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Autore: La Mutaforma    02/04/2013    2 recensioni
Quanta tristezza hai dovuto affrontare, amico mio? Quanto valgono adesso le tue fughe, il tuo imbarazzo?
Dov’è l’amore?

Feliciano pianse più forte, perché tanto Ludwig era dietro di lui e non poteva vederlo.
O forse perché era solo un bambino, e per i bambini non c’è vergogna a piangere.  
Qualcuno ha creato il mondo, bello come niente. Ci ha regalato il cielo, le stelle, il sole, il mare, la musica. Abbiamo inventato l’amore.
Eppure ci facciamo la guerra. 
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Chibitalia, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nel sogno era primavera.

Nei sogni è sempre primavera.

Nel sogno c’era una collina verde, e il vento che spazzava l’erba folta e rigogliosa.

E nel sogno c’era lei, e c’era lui. Lei, vestita malamente come un maschio, i capelli tagliati corti e legati stretti sulla nuca, la corda dell’arco che le attraversava il petto.

E c’era lui, con i capelli bianchi disordinati, perché così erano più magnifici.

Biancovestito, come un principe, come un angelo. Una croce scura sul petto e una spada al fianco. Una spada vera, ma solo per giocare.

Nel sogno c’erano le corse sui prati, i loro giochi festosi, gli occhi pieni di sole.

“Ora subirai l’ira del cavaliere teutonico!” gridava e si lanciava su di lei, abbracciandola e rotolando nell’erba mentre si picchiavano affettuosamente.

Ma non c’era rivalità in quelle parole.

Nel sogno si amavano ancora. Ma si amavano come si amano i bambini, quando era tutto facile, tutto era un gioco.

Quando si risvegliò, si amavano come adulti, che si fanno la guerra, che si amano in modo complicato.

Elizabeta strinse gli occhi e allungò una mano, ad accarezzare il corpicino raggomitolato di Feliciano.

Le sue dita distratte ricaddero sul cuscino vuoto; spalancò gli occhi verso il soffitto.

 

La cera bianca colava rapida lungo la candela. La fiamma illuminava appena il percorso dei suoi passi lungo le scale di pietra, e Feliciano dovette mantenersi alla parete umida per non cadere sui bassi gradini.

Era così buio che non si vedeva la fine delle scale.

Pensò con malinconia ai suoi scarponcini che nella fretta non aveva potuto infilare sotto la camicia da notte bianca di pizzo.

La candela illuminava a stento i suoi piccoli piedi nudi sulla pietra.

Dopo alcuni minuti il pavimento gli parve piano, e stabile.

Sono finite?

Feliciano strinse gli occhi nel fitto buio: davanti a lui si apriva un lungo corridoio, e tante porte di legno, tutte chiuse.

Doveva essere parecchi metri sotto la reggia, non avrebbe potuto stabilire quanti.

Era umido, e faceva freddo. Un brivido insidioso si infilò su per la sua leggera camicia da notte mentre prendeva il primo passo, con cautela, verso quel corridoio senza fine.

Il cuore gli batteva così rumorosamente nel petto che temette che qualcuno lo sentisse.

Poi, un gemito sordo proveniente da una delle porte gli fece gelare il sangue nelle vene. Tuttavia, riuscì a trattenere l’istinto di urlare e correre via, e procedette con ancora più cautela.

Si avvicinò ad una delle porte di legno, e buttò uno sguardo oltre lo spioncino quadrato bloccato dalle sbarre di ferro. Era buio.

“C’è qualcuno?” sussurrò lui, spaventato.

Rispose un altro gemito, più silenzioso.

“Chi è?” Feliciano avvicinò la candela alle sbarre, sulla porta di legno mezza marcia. Il bambino dovette fare forza sulle gambe per restare in punta di piedi. La poca luce illuminò un corpicino sottile e una capigliatura che sotto il sangue e il sudiciume avrebbe dovuta essere bionda.

“Sei Austria?” chiese il ragazzino.

“No. Mi chiamo Feliciano”

“Hallo, Feliciano”

Aveva la dura pronuncia tedesca. Non poteva che essere lui.

“Sei tu Ludwig?”

“Ja, anche se non sembra. Devi portarmi al patibolo, Feliciano?”

“No”

“Perché sei qui?”  

Il bambino sospirò. Quella situazione era incredibile. Non avrebbe mai immaginato che, sotto i suoi piedi, mentre disegnava o si faceva pettinare i capelli da Eliza, un bambino era chiuso in cella.

Come quando da piccolo faceva cadere qualcosa e il padrone lo puniva.

Ma allora non era che per poche ore.

Questo ragazzino è chiuso in cella da venti anni.

Si chiese se fosse il caso di parlare di Prussia, di dirgli tutto quello che sapeva.

“Sono qui per salvarti”

Seguì un breve silenzio emozionato. “Hai le chiavi?”

Già. Le chiavi.

Feliciano non aveva idea di dove fossero. Fino a quel momento non era stato nemmeno sicuro che Ludwig fosse rinchiuso nelle segrete.

“No” rispose tristemente “Ma tornerò presto, Ludwig. È mia intenzione farti uscire di qui. Le troverò, stanne certo”

“Sei gentile”

“Ti ho portato una candela. Così non stai al buio. Quanti anni hai, Ludwig?”

“Quindici” rispose quello, laconico.

“Arrivi con la mano alle sbarre?”

“Credo di sì”

Feliciano lo sentì sollevarsi da terra e prendere pochi passi verso di lui. Attraverso le sbarre vide appena la sua testa, i capelli sporchi e disordinati.

Era più alto di lui.

Lasciò passare prima la candela, poi una scatola di fiammiferi.

“Fosfato bianco?”

“Clorato di potassio. Sono svedesi”*

“Sono stato troppo lontano dal mondo, in questi anni” la voce del principe sembrava molto malinconica “Tornerai a prendermi, Feliciano?”

“Prima che tu finisca tutta la candela”

“Al tuo ritorno, saresti così gentile da portarmi qualcosa da mangiare? È da un po’ che non viene nessuno a portarmi da mangiare. In che anno siamo?”

Feliciano sospirò. Tutto ciò era troppo crudele. Non avrebbe mai immaginato che Austria sarebbe stato capace di tutto quel che stava vedendo. “1864”

“Che stagione?”

“Siamo in autunno. Ieri pioveva piano”

Gut. Tra poco cadrà la neve a Francoforte”

Feliciano sorrise.

“Farò in modo che tu possa vederla”

 

Quando tornò in stanza, trovò Eliza fuori la porta in ansia. Si era accorta della sua assenza.

Sperò che si fosse svegliata da poco.

“Ita-chan! Dov’eri? Ero preoccupata per te” disse lei, prendendolo in braccio.

“Mi dispiace, Eliza. Mentre dormivo ho sentito un rumore e sono uscito a controllare. Era solo una finestra aperta”

La ragazza gli sorrise, accompagnandolo a letto. “Hai ragione, Feliciano. Ogni rumore in questa casa è sentore di guerra”

Lo abbracciò e entrambi ripresero a dormire, ognuno col proprio tormento sulla pelle.

 

Quello stesso pomeriggio Feliciano rubò dal cestino del pane una pagnotta e alcuni frutti, prese una candela e scese di nuovo le scale delle prigioni.

Era inquieto perché Ungheria sapeva che era in giardino a giocare.

Inoltre di giorno doveva fare più attenzione se non voleva essere scoperto. E magari finire in cella insieme a Ludwig, per altri venti anni.

Il solo pensiero lo terrorizzava.

Quando riconobbe la porta si avvicinò e bussò trepidante.

“Ja?”

“Sono Feliciano”

“Hallo”

“Ti ho portato da mangiare. Come te lo do?”

“Guarda sul fondo della porta, dovrebbe esserci uno sportello. Sposta il blocco di ferro e apri. È abbastanza grande per farci passare un piatto”

Feliciano fece come richiesto, pur faticando a spostare il blocco arrugginito e a muovere i cardini dello sportello di legno. Gli porse il fazzoletto col cibo che gli aveva preparato, e le sue mani avide afferrarono subito la pagnotta dolce.

Si sedette con le gambe incrociate sul pavimento di pietra, e lo guardò mangiare con foga; doveva essere molto affamato.

“Hai trovato le chiavi della cella?” disse il principe tedesco, addentando una mela.

“Non so dove cercarle. Forse c’è un altro modo per farti uscire”

“Un modo, sì, c’è”

“Dimmi come”

Il bambino deglutì, ingoiando un altro morso di mela. “L’umidità qui sotto a fatto marcire la porta. Se sai usare una sega non ci vorrà molto”

“Sono venti anni che sei rinchiuso qui sotto… non hai mai provato a fuggire?”

Feliciano poteva vedere solo una piccola parte del suo viso, ma avvertì ugualmente il suo cambiamento di espressione.

“Fuggire? E andare dove? A Francoforte? Non sono nemmeno una nazione. Sono solo un trofeo di guerra”

La sua voce esprimeva una cupa tristezza, tutto il dolore della rivoluzione e del fallimento. Aveva una voce simile a quella di suo fratello Lovino, quando gli raccontava i suoi tentativi di insurrezione.

“E a Berlino?”

“A Berlino non c’è nulla per me. Non è casa mia”

Feliciano sospirò. “E’ stato tuo fratello a mandarmi da te. È sinceramente pentito di quello che ha fatto. Sta combattendo con valore”

“Gilbert è così”

“Sta preparando l’Europa alla guerra”

Seguì un lungo silenzio.

“Non posso aspettare ancora a lungo. Stanotte porta due seghe, coltelli seghettati, quello che trovi. Voglio uscire di qui”

 

Quella notte Feliciano attese con ansia che Eliza si addormentasse, prima di tornare alle segrete. Aveva lasciato due seghetti, trovati nella stalla dove tenevano i cavalli, sulle scale, al buio, cosicché nessuno potesse vederli.

Scese frettolosamente le scale con la candela in una mano e i seghetti nell’altra.

Ci volle del tempo per aprire lo sportelletto e cominciare a tagliare verso l’alto, in modo da ingrandire il buco. Non ci volle molto, era davvero marcia come aveva detto Ludwig.

Tagliarono e spinsero i seghetti fino a ferirsi le mani, finché il buco non fu abbastanza largo per il bambino.

“Sei sicuro di passare?”

“Sono molto dimagrito” disse silenziosamente l’altro. Fece passare con molta cautela prima la testa, poi trascinò il resto del corpo. Rimase sdraiato alcuni secondi con gli occhi chiusi sulla pietra fredda, incredulo.

“Stai bene, Ludwig?”

“Sì… credo di sì. Hai portato quanto ti avevo chiesto?”

Feliciano annuì, incerto. Gli aveva chiesto una benda e dell’acqua.

“Sei ferito?”

“No” Gli prese la borraccia dalle mani e bagnò abbondantemente la benda. “Stringimela dietro la testa, in modo che copra gli occhi”

“Perché?” chiese l’italiano, tuttavia stringendo il nodo dietro la testa di Ludwig.

“Sono stato al buio troppo a lungo. Il contatto con la luce potrebbe accecarmi”

“Oh. Non ci avevo pensato. È ancora notte però. La notte è buia”

Bendato, Ludwig sembrava un fantasma. Piccolo e smagrito. “Non c’è nulla di più buio di quella cella, Feliciano”







Pensieri della persona che scrive ≈

Penso che questa sia la parte centrale della storia.

Come avevo avvisato dal primo capitolo, Sacro Romano Impero e Germania saranno due nazioni diverse per necessità della trama.

Ho fatto un riferimento stupido al periodo storico anche sui fiammiferi non-sto-bene. I fiammiferi a fosforo bianco erano tossici, ma continuarono ad essere venduti a lungo, anche dopo l'invenzione svedese dei fiammiferi di emergenza (1844) al clorato di potassio. I fiammiferi a fosforo bianco furono aboliti solo nel 1872 dalla Finlandia e in seguito anche dalle altre nazioni. 

(Abbiate-pietà-di-me-mi-piace-la-Storia) 

   
 
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