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Autore: Kitri    02/04/2013    14 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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NUBI ALL’ORIZZONTE 
 
 
6 mesi dopo …
 
Era in ritardo, clamorosamente in ritardo!
Stavolta Mamo si sarebbe arrabbiato sul serio.
Ma non poteva mica pretendere che, dopo un esame di cinque ore e un turno di sei, si presentasse a casa di Motoki e Reika senza nemmeno fare una doccia e darsi una sistemata!
E poi la festeggiata era lei, che aveva superato brillantemente l’esame del primo anno di specializzazione, e poteva permettersi il lusso di arrivare un po’ più tardi … già, un po’ più tardi, non un’ora e mezza dopo! E non poteva neanche avvisare per via del cellulare scarico. Dannazione!
Se solo quella vipera della Haruna non l’avesse trattenuta inutilmente più del dovuto. Era sicura che l’avesse fatto di proposito. Era risaputo che avesse un particolare interesse per il dottor Chiba e, da quando la sua storia con Mamoru era stata ufficializzata, era diventata ancora più acida, soprattutto nei suoi riguardi.
“Strega invidiosa!” l’apostrofò Usagi, indispettita da quel pensiero.
 
«Non sei ancora riuscito a rintracciarla?» chiese Motoki.
«No! Ha il cellulare staccato – rispose Mamoru, innervosito dall’eccessivo ritardo di Usagi – Stavolta mi sente, però!».
«Dai, sei il solito esagerato! – intervenne Heles – Forse è stata trattenuta in ospedale per un’urgenza».
«E tu sei sempre pronta a difenderla, eh? - rispose Mamoru - Qualunque cosa l’abbia trattenuta poteva benissimo avvisare!».
Heles rimase un attimo spiazzata dalla brusca risposta del suo amico. Osservò titubante la sua espressione accigliata e, alla fine, non ce la fece più a trattenersi.
«Che hai da ridere?» le chiese il ragazzo sconcertato.
«È che sei poco credibile. Stai sbraitando da un’ora come un vecchio orco, sembra chissà che sfuriata hai intenzione di farle e, invece, non appena la vedrai, basteranno due parole per farti dimenticare tutto».
Mamoru aggrottò la fronte perplesso.
Heles non aveva tutti i torti, ma non voleva certo passare per l’incoerente della situazione.
Guardò Motoki in cerca di appoggio, ma anche lui sembrava d’accordo con lei ed era anche alquanto divertito. E Reika e Michiru non erano da meno.
Alla fine, si vide costretto ad arrendersi, suo malgrado, e a ridere di se stesso, o almeno a provarci.
«Allora, Mamoru, - chiese all’improvviso Michiru, tornando seria – non avevi qualcosa da mostrarci?».
Sul volto di Mamoru comparve un sorriso sghembo e, senza proferire parola, il ragazzo estrasse qualcosa dalla tasca interna della giacca. Pose al centro della tavola una scatolina di velluto blu, tra gli sguardi curiosi e trepidanti dei suoi amici.
Con delicatezza, Michiru la prese e l’aprì.
«Ma è stupendo!» esclamarono all’unisono lei e Reika, mostrando poi l’anello anche agli altri.
«Degno della bellezza di Usagi!» affermò Heles, approvando la scelta.
«Sempre che accetti di sposarlo!» aggiunse Motoki in tono beffardo, riferendosi alla propria iniziale perplessità, e beccandosi un colpo sulla spalla da parte del suo amico.
Quando Mamoru aveva comunicato loro la sua intenzione di voler sposare Usagi, i suoi due amici avevano avuto reazioni completamente diverse tra loro e, senza dubbio, opposte rispetto a quelle attese.
Stranamente, Heles aveva reagito con grande entusiasmo, da subito, mentre Motoki era rimasto a dir poco sbalordito. Il suo dubbio era che fosse troppo presto, dato che si conoscevano da soli sei mesi, e pensava che la decisione di Mamoru fosse dettata solo dalla passione e dall’euforia del momento.
Ma il ragazzo aveva risposto che Usagi era la donna della sua vita e che, se non avesse sposato lei, allora era destino che non si sposasse affatto.
La determinazione e la sicurezza nei suoi occhi e nel tono della sua voce, mentre pronunciava queste parole, tolsero spazio ad ogni dubbio. E così anche Motoki, alla fine, non poté fare a meno di fargli il suo “in bocca al lupo”.
«Hai già deciso quando glielo darai e come?» gli chiese Reika sognante, al ricordo della romantica proposta di Motoki.
«Glielo darò la settimana prossima, il giorno del suo compleanno. Come, non lo so ancora» rispose Mamoru pensieroso.
Erano giorni che cercava un modo romantico per chiedere a Usagi di essere sua per sempre, ma le uniche cose che gli erano venute in mente erano banali e scontate.
Ci voleva qualcosa di speciale per la sua Usako. Ma cosa?
 
Saliva le scale a due a due, ringraziando tra sé la divina provvidenza di averle almeno concesso di trovare un parcheggio al primo colpo. Bussò e, mentre attendeva che qualcuno le aprisse, riprendeva fiato, dopo l’estenuante corsa.
«Ben arrivata, Usagi!» l’accolse Heles sorridente.
«Ti prego, dimmi che non è incavolato nero! Sono troppo stanca per litigare» chiese la ragazza con un’espressione supplichevole sul volto, mentre varcava la soglia dell’appartamento.
Heles scosse la testa sorridendo.
«Adesso non lo è più – la rassicurò, mentre Usagi sospirava di sollievo – Ma tu potevi almeno avvisarlo!».
«Batteria scarica - rispose sventolandole davanti il telefono - Buonasera a tutti e perdonatemi!» aggiunse, poi, entrando nel salotto e salutando.
«Non ti preoccupare, Usagi!» rispose la padrona di casa.
«Piuttosto, complimenti per il tuo esame» aggiunse Michiru, abbracciandola e baciandola.
Mamoru era in fondo alla stanza, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte, e continuava a fissarla con sguardo severo.
«Spero tu abbia un ottimo motivo per giustificare il tuo enorme ritardo» le disse serio.
La sua esclamazione suonò come un rimprovero alle orecchie di Usagi. Ma Heles non aveva detto che adesso era calmo?
«Prenditela con la dottoressa Haruna – rispose per giustificarsi, mentre gli si avvicinava – Stasera ha deciso che le mie suture facevano schifo».
Mamoru osservava Usagi, mentre avanzava, con quel vestitino azzurro che richiamava il colore dei suoi occhi tentatori, i capelli legati e il viso ancora arrossato dalla corsa. Sospirò rassegnato davanti a quella sirena ammaliatrice.
«Ci parlo io con Sakurada, se vuoi» disse cingendole le spalle con un braccio e posandole un bacio sulla fronte.
Menomale, non era più arrabbiato!
«No, non ce n’è bisogno! – esclamò Usagi decisa- Me la so cavare da sola!».
E detto questo gli sfiorò dolcemente le labbra con un bacio.
«Che vi avevo detto? – si intromise Heles – Solo due parole!».
E tutti quanti scoppiarono a ridere, a eccezione della povera Usagi che, ovviamente, non comprese il motivo di tanta ilarità.
 
La cena organizzata sulla terrazza di Motoki e Reika, in quella calda sera di inizio estate, poté quindi proseguire tranquilla, come una serata tra vecchi amici.
Usagi aveva legato da subito con tutti e, ormai, era entrata a far parte di quel gruppo a pieno titolo, e non solo come la donna che aveva fatto capitolare Mamoru Chiba.
Di sicuro aveva il merito di essere riuscita, in poco tempo, in un’impresa considerata praticamente impossibile, ma aveva anche conquistato tutti con la sua spontaneità e la sua allegria.
Solare come sempre, al centro dell’attenzione di tutti, raccontava del suo esame, e, intanto, non dimenticava di lanciare nella direzione di Mamoru continui sguardi di intesa, ricolmi d’amore. E lui, da sei mesi ormai, si riempiva l’anima di quegli sguardi limpidi e cristallini.
Amava quella donna e non avrebbe potuto immaginare la propria vita senza lei.
 
Ogni mattina, a casa di Usagi, dove ormai vivevano, salvo l’arrivo di qualche ospite, si ripeteva sempre la stessa scena.
Mamoru si svegliava almeno con un’ora d’anticipo e, mentre lei continuava a dormire beatamente, lui si lavava, si vestiva, metteva su il caffè e preparava la colazione.
Solo quando era tutto pronto si decideva a svegliare la sua dormigliona. E quella mattina, tutto procedette come al solito.
«Svegliati, Usako! Altrimenti vado in ospedale da solo».
La voce di Mamoru era giunta da lontano a destarla dai suoi sogni. Sorrise. Non poteva esistere risveglio più dolce per lei.
Allungò le braccia per stiracchiarsi ed emise un sonoro sbadiglio.
«Buongiorno, piccola!» le sussurrò Mamoru chinandosi a baciarla.
Usagi gli avvolse le braccia attorno al collo trattenendolo su di sè.
«Buongiorno, Mamo-chan - gli disse lei col suo solito sorriso radioso – Ti stavo sognando».
«Ah, sì?- chiese curioso – E cosa sognavi?».
Usagi non rispose, ma si limitò a mostrare quello sguardo malizioso e birichino che poteva significare solo una cosa. Mamoru rise.
«Mi dispiace, amore – le disse posandole un bacio tenero sul naso e poi alzandosi in piedi – credo che dovremo rimandare la realizzazione dei tuoi sogni a stasera. È già tardi».
Usagi sbuffò. Certo che Mamoru, quando si calava nelle vesti del serio dottor Chiba, era proprio incorruttibile. Ma non gliel’avrebbe data vinta, sapeva bene come sedurlo. Un sorrisino beffardo comparve sul suo viso.
Corse in bagno a fare una rapida doccia e quando uscì, ancora in accappatoio, andò direttamente in cucina, dove lui era intento a leggere il giornale, mentre sorseggiava il caffè. Gli si parò davanti e, quando Mamoru alzò gli occhi dal giornale, Usagi decise di mettere in pratica tutte le proprie capacità seduttive. Cominciò prima a slacciare la cintura e poi a far scorrere lentamente l’accappatoio lungo il suo corpo ancora umido, fino a lasciarlo cadere completamente.
«Credi ancora che sia tardi?» gli disse con voce suadente.
Mamoru sembrò non batter ciglio. Si tolse gli occhiali, piegò il giornale e lo posò sul tavolo. Raccolse l’accappatoio di Usagi da terra e con un gesto rapido e deciso glielo avvolse attorno alle spalle.
«È tardi … » disse guardandola negli occhi.
Usagi si morse un labbro per la delusione. Forse non aveva tutte queste grandi capacità di seduzione! Almeno non con il dottor Chiba.
Era pronta a girar le spalle sconfitta, quando Mamoru l’afferrò di scatto, caricandosela sulle sue forti spalle.
« … ma penso che stavolta mi farò attendere!» aggiunse portandola verso la camera da letto, mentre lei fingeva di dimenarsi, dandogli tanti piccoli colpi sulla schiena e, nel contempo, ridendo soddisfatta.
Questo sì che era il suo Mamo-chan!
 
Un’ora dopo, entravano in ospedale mano nella mano, come tutte le mattine, da sei mesi a quella parte. L’infermiera li salutò sorridente.
«Buongiorno!» disse.
«Buongiorno, Himeko!» risposero all’unisono.
Ormai non dovevano più nascondersi, tutti sapevano che si amavano e che erano una coppia.
Avevano deciso da subito di ufficializzare la storia e di affrontare i pregiudizi dei colleghi, da quando erano rientrati dopo le vacanze di Natale.
Per Mamoru era stato alquanto semplice. Per tutti era solo il classico medico in carriera, giovane e bello, che seduce una sua allieva. Ma per Usagi non era stato altrettanto facile. Era subito stata additata come l’arrivista della situazione, che sfrutta la propria avvenenza fisica per trarne dei vantaggi. Ma fortunatamente aveva sempre potuto contare, oltre che sull’appoggio del suo fidanzato, anche su quello dei propri amici e degli amici di Mamoru, che erano sempre stati pronti a prendere le sue difese e a spegnere sul nascere ogni stupida chiacchiera. E così, passato il primo mese, alle fine, tutti i pettegolezzi erano scemati. Anzi, la maggior parte dei malpensanti aveva addirittura cambiato opinione, di fronte all’autenticità dei loro sentimenti, cominciando a considerarli una coppia bella e invidiabile.
 
Quella mattina correvano un po’ più del solito.
«Siamo in ritardo ed è colpa tua! » esclamò Mamoru con un finto tono irritato.
«Non mi pare che ti sia dispiaciuto! – disse lei guardandolo maliziosa – Soprattutto quando … ». Mamoru le impedì di continuare posandole due dita sulle labbra.
«Ho capito, non c’è bisogno di continuare con i dettagli - disse alzando un sopracciglio, con la solita espressione da furfante, che Usagi trovava divinamente sexy - Quelli possiamo ripassarli dopo nel mio ufficio! » aggiunse con un sorriso allusivo.
La salutò con un bacio sulle labbra, apparentemente casto, ma che racchiudeva in sé mille voluttuose promesse che Usagi captò all’istante.
Lei lo guardò allontanarsi lungo il corridoio opposto e sospirò sognante.
Il suo Mamoru! Bello, intelligente e tremendamente eccitante. Lo amava da impazzire e sognava di vivere tutta la vita con lui.
«Ehi, Usagi!».
Una voce maschile la destò dai suoi pensieri.
«Ciao Seiya!» rispose voltandosi.
«Sei dei nostri stasera? - le chiese il ragazzo, riferendosi alla serata che avevano organizzato per festeggiare la promozione. Poi con un sorriso ironico aggiunse - Non dirmi che il tuo fidanzato geloso ti terrà segregata in casa?».
Usagi alzò gli occhi al cielo sorridendo.
«Certo che verrò! Il mio fidanzato non mi tiene segregata in casa!».
«A proposito di che umore è, oggi?» continuò lui.
«Pessimo!» lo prese in giro Usagi per vendicarsi, sapendo che quella mattina toccava a lui assisterlo.
Seiya storse la bocca in segno di disappunto.
«Mi conviene andare, allora, prima che mi spedisca direttamente a fare clisteri. A stasera!».
«Non litigate!» si raccomandò Usagi, mentre Seiya scappava via.
Il ragazzo si voltò sorridendole.
«Dillo prima a lui!».
Usagi scosse la testa rassegnata.
Quei due erano come cane e gatto, proprio non riuscivano ad andare d’accordo.
Eppure, superati i pregiudizi iniziali, avevano imparato ad avere stima l’uno dell’altro.
Sul lavoro, poi, se la intendevano alla grande, tant’è che Mamoru lo sceglieva sempre più spesso come suo assistente, scatenando un pizzico di gelosia da parte di Usagi.
Quando la ragazza gli chiedeva come mai, nonostante tutto questo feeling professionale, litigassero in continuazione, la risposta di Mamoru era sempre la stessa.
«Boh! Forse inconsciamente sono ancora geloso di lui!».
E questo benché le vecchie rivalità si fossero appianate da tempo.
Seiya ormai aveva scelto, o meglio era stato costretto a dimenticare Usagi, sconfitto in partenza, senza avere neanche la possibilità di lottare, e aveva ereditato quello che prima era il ruolo di Mamoru: play-boy inguaribile, che amava volare di fiore in fiore.
Alla fine, il ragazzo aveva deciso di sfruttare il suo successo con le donne, cambiandone una a settimana. Ultimamente era il turno di Akiko, una giovane infermiera di pediatria, che, a differenza delle altre, era in carica da ben due settimane.
Forse Seiya aveva realmente dimenticato il suo amore per la bella collega o, magari, quello era solo il modo di convincersi che non provava più niente per lei.
 
Dopo una lunga giornata di lavoro, durata più del previsto, Mamoru era seduto alla scrivania nella stanza di Usagi.
Provava a sistemare gli appunti di una ricerca che stava conducendo in ospedale, ma era continuamente distratto dalla vista di Usagi che si preparava per la serata di baldoria con i suoi colleghi.
«Blu o bianco?» gli chiese la ragazza, mostrandogli i due vestitini che aveva scelto, indecisa su quale indossare.
Mamoru li osservò entrambi con attenzione. Decisamente troppo succinti!
«Nessuno dei due!» rispose deciso.
Usagi sorrise.
«Ok, quello blu!» disse, ignorando il suo sguardo contrariato e accingendosi ad indossarlo.
Dopo un quarto d’ora, Usagi uscì dal bagno.
Mamoru restò incantato dalla sua bellezza, ma non poté astenersi dal mostrare il proprio disappunto.
«Quando esci con me non ti vesti mai così!» disse con un pizzico di risentimento.
«Beh, quando usciamo io e te non andiamo mai in giro per locali a ballare!».
Mamoru sollevò un sopracciglio perplesso. Usagi aveva ragione. Sospirò e, senza aggiungere altro, abbassò di nuovo lo sguardo sulle sue scartoffie, cercando di nascondere l’espressione di fidanzato geloso, che aveva impressa in volto.
Usagi gli si avvicinò, avvolgendogli da dietro le braccia intorno al collo e stampandogli un rumoroso bacio sulla guancia.
Il ragazzo si abbandonò un istante a quella tenerezza, poi si alzò per accompagnarla alla porta.
«Ci vediamo dopo!» lo salutò Usagi, sfiorandogli le labbra con un bacio.
«Non fare tardi, non bere e guida con prudenza!» si raccomandò Mamoru.
La ragazza rise.
«Qualche altra cosa ... papà?».
«Non dare confidenza agli sconosciuti!» rispose con particolare enfasi su quest’ultima raccomandazione.
Usagi gli gettò le braccia al collo.
«D’accordo! – gli disse – Ora posso andare?».
«Sì! - rispose Mamoru sospirando -Divertiti» aggiunse poi sorridendo.
«Grazie! Buon lavoro, Mamo-chan!».
Mamoru restò ancora qualche secondo sulla porta prima di richiuderla, osservando Usagi mentre scendeva le scale. Quel vestito era eccessivamente aderente, le metteva troppo in risalto il fondoschiena! Scosse la testa e si sforzò di non pensarci. Richiuse la porta e se ne tornò ai suoi appunti, deciso a lavorare tutta la notte, aspettando che Usagi rincasasse.
 
Mamoru guardò l’orario: quasi l’una.
Stese le braccia per rilassare i muscoli. Erano quasi tre ore che lavorava ininterrottamente al computer e pensò che una piccola pausa ci stava benissimo. Andò in cucina, sapendo che Usagi aveva sempre una bella scorta di birre in frigo. Ne prese una, si preparò uno spuntino veloce e andò a rilassarsi sul divano.
D’un tratto sentì il rumore delle chiavi che giravano nella toppa e vide la porta aprirsi lentamente.
«Non mi dire che la tua serata di baldoria è già finita!» esclamò sorpreso che Usagi fosse rientrata così presto.
«Sono stanchissima!» rispose lei togliendosi subito gli scomodi sandali dai tacchi vertiginosi. Mamoru sorrise, ricordandosi la stessa scena, vista proprio la prima volta che era salito a casa sua.
«Sarà l’età!» aggiunse Usagi andandosi a sdraiare accanto a lui sul divano.
Mamoru l’accolse tra le sue braccia, baciandole la testa, mentre lei si accoccolava sul suo torace.
«Allora, come è andata? Ti sei divertita?» le chiese accarezzandole i lunghi capelli dorati.
«Mhmm … sì!».
«Non mi sembri tanto convinta!».
«Non sono fatta per le discoteche – rispose lamentandosi – La musica era troppo alta e non si poteva parlare, i piedi mi facevano male, non potevo bere perché dovevo guidare e poi c’erano tanti seccatori da tenere a bada e che non mi lasciavano in pace».
Seccatori? Ecco, appunto!
Mamoru pensò che non avrebbe dovuto lasciarla uscire con quel vestito. Sospiròe, per non rovinare la dolcezza di quel momento, decise di lasciar correre.
«Da come ne parli la serata è stata un disastro» disse.
«Non così disastrosa – rispose la ragazza – Ma ho pensato a te tutto il tempo e alla fine ho deciso di mollare tutti e andarmene».
Mamoru sorrise compiaciuto, posandole un altro bacio sulla testa, mentre con la mano continuava ad accarezzarle i capelli.
«Mamo – disse Usagi sollevando il capo e guardandolo negli occhi – A volte ho come l’impressione di vivere in una bolla di cristallo, in cui ci siamo solo e io e te … credi che sia sbagliato? Sii sincero! A me piace vivere in questa bolla, ma ho paura che per te non sia lo stesso, che tu abbia bisogno dei tuoi spazi, in fondo sei sempre stato abituato a startene da solo».
Mamoru la osservava curioso, mentre lei gli esponeva i suoi dubbi.
Ci pensò su un attimo.
«Amavo la mia solitudine … » le rispose serio, provocandole una leggera smorfia di delusione.
« … ma amo di più te – aggiunse infine deciso – Anzi, sai che facciamo? Ci pensavo prima. Domani ci prendiamo un giorno di ferie e ce ne stiamo tutto il tempo da soli nella nostra bolla di cristallo!».
Immediatamente Usagi tornò a sorridere.
«Ti ho mai detto che ti amo tanto, Mamoru Chiba?».
«Sì, molte volte, Usagi Tsukino! Ma mi piace sentirtelo ripetere!» rispose lui, catturandole le labbra in un bacio che divenne subito profondo e passionale.
In men che non si dica, i loro abiti erano già a terra ai piedi del divano.
Erano due calamite e non sarebbe bastata una vita a placare la passione tra loro, quella fiamma che, come sempre insaziabile, ancora una volta esplose in mille scintille.
Mamoru si sollevò dalla posizione supina mettendosi a sedere, continuando a baciare quelle labbra morbide e sensuali che non lasciavano scampo.
Usagi gli avvolse le braccia strette attorno collo, come se volesse trattenerlo e non lasciarlo più andar via. Quando intuì le sue intenzioni, gli cinse la vita con le gambe, incrociandole dietro la sua schiena.
Mamoru sorrise appoggiato alle sue labbra, sfuggendo per un attimo alla presa di quei baci, poi con uno scatto si sollevò in piedi e si avviò verso la stanza di Usagi.
Caddero sul letto non proprio dolcemente, presi dalla foga del momento, e ne risero.
Ancora qualche bacio e qualche carezza bollente, poi Mamoru scivolò senza troppe esitazioni dentro di lei, perdendosi nei suoi respiri ansimanti e lasciandosi guidare da quella musica.
Ogni volta che si univano, si stupiva dolcemente di quanto la sua Usagi fosse sempre una nuova scoperta, una nuova terra da conquistare, e accarezzandola, pensò che non si sarebbe mai stancato di quella pelle di luna, che lo faceva vibrare sempre come se fosse la prima volta.
Quando il piacere giunse, i due innamorati ricongiunsero le labbra come se, da quel bacio, potessero recuperare energia.
Si guardarono intensamente, poi una scintilla si accese nel cuore di Mamoru.
Capì che era il momento giusto e che non poteva attendere una magia più grande di quella che si stava compiendo in quell’istante.
«Mi vuoi sposare?» le sussurrò.
Usagi strizzò gli occhi incredula.
«Che cosa hai detto?» gli chiese, pensando che forse la passione del momento le avevo giocato un brutto scherzo.
Mamoru sorrise di fronte all’espressione stranita di lei.
«Ti ho chiesto se vuoi diventare mia moglie» ripetette con lo stesso tono dolce che aveva utilizzato poco prima.
Gli occhi di Usagi si spalancarono per la sorpresa, diventando di colpo lucidi per le lacrime di gioia.
«Sì, sì, sì, sì! » gridò ridendo e gettandogli le braccia al collo, mentre anche il cuore di Mamoru si riempiva di calde lacrime di gioia.
«Aspetta qui!» le disse interrompendo per pochi secondi l’euforia del momento.
Poi scivolò giù dal letto, mentre Usagi, mettendosi seduta e coprendosi il seno col lenzuolo, ammirava la splendida nudità del suo futuro marito.
Mamoru tornò a letto porgendole una scatolina blu. Le labbra di Usagi si aprirono in un sorriso meraviglioso, di quelli che lasciavano Mamoru senza fiato.
«Volevo dartelo per il tuo compleanno – le disse – ma non ho saputo resistere».
La ragazza aprì la scatolina e quando vide l’anello il suo cuore perse un battito. Non solo per la bellezza di quel gioiello, ma soprattutto per quello che esso rappresentava, la realizzazione di un sogno, la sua vita insieme all’unico uomo che aveva mai amato.
Mamoru, in silenzio, prese l’anello dalla custodia e glielo infilò all’anulare, anticipando quel gesto simbolico ben più importante che sarebbe avvenuto di lì a pochi mesi. E fu in quel momento che Usagi non riuscì più a trattenere le lacrime, abbracciandolo e baciandolo con passione, in una muta richiesta di unirsi di nuovo a lui, questa volta come la futura signora Chiba.
 
Due giorni dopo, Usagi percorreva il corridoio dell’ospedale intenta nel suo lavoro, sforzandosi di rimanere concentrata.
Con il pollice continuava a stuzzicare l’anello che portava all’anulare, pensando sognante a quel giorno di fine settembre in cui lei e Mamoru sarebbero diventati marito e moglie.
Avevano passato l’intera giornata precedente chiusi nel loro nido d’amore, persi nella loro felicità, in quella bolla di cristallo che avevano costruito attorno a sé e da cui era esclusa ogni altra forma di sentimento che non fossero le proprie emozioni.
Avevano fatto mille progetti. Una cerimonia semplice con pochi intimi, da celebrare a settembre, un viaggio in Italia, una casa nuova più grande per i bambini che sarebbero arrivati. Già perché nei loro progetti c’erano anche dei bambini.
«Almeno tre!» aveva esclamato Mamoru, lasciando Usagi perplessa.
«Non più di due! Ricordati che li devo partorire io!».
Questi pensieri e mille altri ancora affollavano la mente di Usagi, quando la dottoressa Haruna, con l’asprezza che la contraddistingueva in quel periodo più che in altri, la riportò alla realtà. «Tsukino svegliati! – la sua voce stridula e brusca arrivò come un rumore fastidioso alle orecchie della ragazza – Sei desiderata nell’ufficio del primario!».
«Nell’ufficio del primario » chiese con aria interrogativa.
Che cosa poteva mai volere il primario da lei?
«Sì, nel suo ufficio e di corsa!» rispose la Haruna ancor più acida, gettandole un’occhiataccia e chiedendosi tra sé cosa ci potesse trovare di tanto interessante Mamoru in quella ragazzina. Bella lo era senza dubbio, e poi?
Usagi sostenne quello sguardo sgarbato, immaginando bene i pensieri che potessero albergare in quel momento nel cervello di quella arpia, e così, senza neanche rispondere, girò le spalle per andare nell’ufficio del primario che si trovava al piano superiore.
Arrivata alla porta, bussò, attendendo con ansia il permesso di entrare.
  •  
La voce del capo la invitò a entrare.
«Buongiorno! Mi ha fatto chiamare?» chiese cercando di mostrare sicurezza.
«Dottoressa Tsukino, prego si accomodi!» le rispose l’uomo sorridendo e invitandola a sedersi con molta gentilezza.
Il primario non era da solo nel suo ufficio.
Usagi notò subito la presenza di un uomo, più o meno attorno ai sessant’anni, che la guardava con un’espressione strana sul viso.
La ragazza fissò subito i suoi occhi azzurri negli occhi blu di quell’uomo che la scrutavano.
Era sicura di non conoscerlo, eppure le sembrava un volto familiare.
«Si chiederà perché l’ho fatta chiamare con tanta urgenza – esordì il primario, mentre Usagi prendeva posto di fronte a lui – Bene, ho il piacere di comunicarle che ci sono ottime notizie per lei».
Usagi lo guardò con aria interrogativa. Di quali ottime notizie stava parlando?
«Nel frattempo, prima che le esponga il motivo per cui è stata convocata, mi permetta di presentarle il professor Hiroshi Chiba» disse indicando l’uomo seduto.
«Quell’Hiroshi Chiba?» ripetette Usagi, sgranando gli occhi per la sorpresa e provocando con la spontaneità di quell’esclamazione un sorriso divertito da parte dei due uomini.
Quello era Hiroshi Chiba, il famoso cardiochirurgo!
Ecco perché il suo volto le era così familiare, sicuramente aveva visto la sua foto su qualche rivista di medicina.
«Vede dottoressa, il professor Chiba sta cercando un assistente per il suo lavoro di ricerca. Dato che siamo ottimi amici, ha chiesto a me di indicargli qualche possibile candidato tra i miei più giovani specializzandi. E tra i vari curriculum che gli ho presentato ha scelto il suo, ritenendolo il più interessante».
Usagi ascoltava le parole del primario e stentava a credere a quanto le stesse dicendo.
«Potrà usufruire di una borsa di studio, della durata di sei mesi, presso uno dei più importanti ospedali universitari del Paese. Sarei molto lieto se lei volesse accettare».
Questa volta era stato proprio il professor Chiba a parlare.
Usagi non si aspettava minimamente che, all’improvviso, arrivasse una proposta del genere.
Era davvero molto allettante e, in un altro momento, avrebbe accettato così su due piedi, senza neanche rifletterci sopra. Ma un dubbio si era insinuato nella sua mente. C’era qualcosa in quella proposta che non la convinceva.
Perché era stata scelta proprio lei?
Il suo era un curriculum eccellente, ma niente a che vedere con quello di altri colleghi, come Umino o Naru.
E, soprattutto, perché un professore del calibro di Chiba, doveva scomodarsi e andare fin lì solo per farle quella proposta?
Di sicuro uno come lui aveva migliaia di persone al suo servizio pronte a svolgere quel compito seccante al suo posto.
«Dottoressa Tsukino, allora? - la richiamò il primario - Che cosa ne pensa?».
«Beh, è una magnifica opportunità, senz’altro! – rispose. Poi aggiunse titubante – Solo che non capisco perché la scelta sia ricaduta proprio su di me».
Il primario stava per rispondere a quel dubbio, ma Chiba lo bloccò con un cenno della mano. «Lascia, Goro! – disse – Rispondo io. La dottoressa è ancora più sveglia di quanto mi aspettassi e pare che abbia compreso subito che c’è anche dell’altro. Rispondo io ai suoi dubbi più che leciti! Leviamoci da subito il pensiero, senza troppi giri di parole».
Si alzò e cominciò nervosamente ad andare su e giù per la stanza, mentre Usagi si chiedeva che altro poteva mai esserci dietro quella proposta.
«Dottoressa Tsukino, sono qui in veste di professore, primario di chirurgia in un importantissimo ospedale, - cominciò a spiegare Chiba - ma principalmente sono qui come padre dell’uomo che sta per sposare!».
Pronunciò quest’ultima frase indugiando con lo sguardo sull’anello che faceva bella mostra di sé sulla mano della ragazza.
A quelle parole Usagi si sentì sprofondare. Si lasciò andare appoggiandosi completamente allo schienale della poltrona.
Stentava a crederci! Quello era il padre di Mamoru.
Il suo futuro marito era figlio del professore Hiroshi Chiba, il cardiochirurgo più importante di tutto il Paese. Ecco perché gli era sembrato subito un volto familiare. Non perchè aveva visto la sua foto su una rivista di medicina, ma perché i suoi occhi blu, la loro espressione, erano identici a quelli di Mamoru. Ma perché lui non glielo aveva mai detto? Si ricordò immediatamente di un episodio avvenuto poco prima. «Hiroshi Chiba…non sarete parenti? » gli aveva chiesto mentre leggeva un articolo pubblicato recentemente dal celebre professore. «Un banale caso di omonimia! » le aveva subito risposto Mamoru, come se fosse abituato a quel tipo di domanda . E, adesso, a pensarci bene, Usagi aveva notato che la sua espressione era cambiata. Ma perché Mamoru le aveva nascosto la verità?
«A giudicare dalla sua espressione, dottoressa, lei non sapeva neanche che Mamoru fosse mio figlio! Non mi stupisce!» esclamò con un ghigno sul volto, attraverso il quale trapelava amarezza e forse malinconia. Sì, Usagi vi lesse una sorta di malinconia.
«Che cosa vuole da me, professor Chiba? » chiese la ragazza con un tono brusco.
Era sconvolta, delusa nei confronti dell’uomo che amava, e confusa perché non riusciva a capire cosa suo padre volesse da lei.
«Usagi, posso darti del tu?» chiese l’uomo.
Quando la ragazza annuì, continuando a fissarlo con il suo sguardo gelido continuò a parlare. «Immagino quello che tu stai pensando. Non ti abbiamo preso in giro, credimi! – provò a spiegarle intuendo l’avversione in quello sguardo – La storia dei curricula è vera. Avevo realmente bisogno di un assistente. E quando mi è capitato il tuo curriculum tra le mani, ho pensato che potesse essere un segno. Usagi Tsukino, la fidanzata di mio figlio. Ero a conoscenza della tua esistenza e, stando a quello che mi aveva raccontato mia moglie Kaori, sapevo quanto tu stessi rendendo felice Mamoru. E di questo ti ringrazio. Sembrerà strano, ma io so tutto di lui e non solo in base ai racconti di Kaori. Quello che voglio dirti, però, è che ho pensato che tu potessi essere l’ultima possibilità per ritrovare a mio figlio».
«Io cosa? - quasi gridò Usagi – Ma mi sta prendendo in giro?»
«So che può sembrarti strano, un piano diabolico architettato ad arte, in cui sei stata coinvolta senza il tuo volere, ma, credimi, Mamoru non mi permetterebbe mai neanche di avvicinarmi a lui. E io ci tengo a recuperare l’affetto di mio figlio».
«E lei crede che così riconquisterà Mamoru?».
Usagi era scandalizzata.
Gli occhi di quell’uomo sembravano malinconici, ma la freddezza con cui parlava era da brividi. Non si stupì che Mamoru avesse tagliato ogni rapporto con lui.
Parlava con la stessa freddezza e obiettività con cui i medici espongono i casi clinici.
«Non lo so! Ma attualmente sei la persona più importante per lui e la mia unica possibilità» rispose lui guardandola diritto negli occhi.
Un sorriso sprezzante comparve sul volto di Usagi.
«Mi dispiace, ma non posso accettare la sua proposta, non voglio entrare in un intrigo del genere, alle spalle dell’uomo che amo. Mamoru non mi ha mai parlato di lei. E non mi stupisce, vedendo di che cosa è capace. Ma dico, come si fa a ricorrere a sotterfugi del genere?».
«Dottoressa Tsukino - a questo punto fu il primario a intervenire, che fino a quel momento era stato solo un silenzioso spettatore – Forse prima di parlare dovrebbe conoscere i fatti».
«Io non li conosco i fatti! Ma si rende conto di che cosa mi è stato chiesto? Capisce che ho appena scoperto che sto per sposare un uomo di cui non so niente? E lei pretende che mi calmi? Sa che le dico, qui si tratta della mia vita e dei miei sentimenti, non ci sto a farmi prendere in giro! E con questo ho chiuso».
E detto questo lasciò l’ufficio di corsa, sbattendo la porta dietro di sé, incurante delle buone maniere e del rispetto verso i suoi superiori.
D’istinto, la prima cosa ovvia che le venne da fare fu di correre subito da Mamoru.
Attraversò di corsa l’intero corridoio, senza neanche badare a medici e infermieri che incrociava sul suo percorso.
La sua mente era altrove.
“Perché, Mamoru? Perché?”continuava a ripetersi, senza riuscire a trovare il motivo per cui una cosa così importante le fosse stata nascosta.
Arrivò davanti al suo ufficio e bussò. Aspettò di udire la voce di Mamoru e poi entrò.
Lui era lì, bello come sempre, che lavorava su una pila di scartoffie e documenti. E quando le sorrise, Usagi si sentì quasi morire. Era l’uomo che amava, ma si rese conto che non sapeva nulla di lui.
«Usako!» esclamò Mamoru felice di vederla.
Lei aveva richiuso la porta alle sue spalle e adesso se ne stava lì immobile, con la schiena appoggiata alla porta, e lo fissava con aria smarrita.
«Cos’hai? È successo qualcosa?» chiese lui preoccupato.
Usagi continuava a guardarlo con la stessa espressione.
«Perché non mi hai detto che sei il figlio di Hiroshi Chiba?» fu la prima cosa che la ragazza riuscì a dire.
 
  
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