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Autore: ManuFury    02/04/2013    3 recensioni
La mia prima storia Introspettiva... e in prima persona, wow! ^^
Ditemi che ne pensate...
"Già… mezz’ora, incredibile come tutto si riduca e si concentri in questo breve lasso di tempo. Assurdo come il mio cervello riesce a condensare tutta la mia vita in questo momento, in questo tragitto che compio due volte al giorno per duecentosessanta giorni all’anno, per anni che paiono lunghi come secoli."
(Undicesima Classificata al Contest "Le Sfumature del Dolore" indetto da phoenix_esmeralda)
(PRIMA CLASSIFICATA al Contest  "La cognizione del rancore" indetto da darllenwr)
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST “LA COGNIZIONE DEL RANCORE”
DI DARLLENWR

 
&

 

 

MEZZ’ORA

 
 
Un cigolio alle mie spalle: quello che il braccio sempre poco lubrificato del portello dello scuolabus produce aprendosi o chiudendosi. Ho fatto presente più di una volta quella carenza di manutenzione, ma non mi hanno ascoltato… in fondo non mi ascoltano mai.
Mi giro e oltre al vetro sporco vedo il viso appena preoccupato di mia madre. Quando è perplessa le si forma sempre una minuscola ruga al centro della fronte, adesso nascosta dai riccioli castani che le incorniciano il viso.
Capisco il perché di quell’espressione, è per quella domanda che le ho rivolto prima di salire sullo scuolabus.
“Allora Suckling, ci muoviamo?” Mi riprende bruscamente l’autista, il Signor Wayne. Ha lo stesso cognome di Bruce Wayne, l’uomo che di notte si trasforma in Batman, ma non ci ha proprio niente a che fare. Il viso mal rasato e la pelle per troppe volte scottata dal sole, uniti al brutto grugno che ha sempre lo rendono una persona sgradevole alla vista. Non che caratterialmente sia meglio, in effetti. Ora che ci penso, mi ricorda vagamente un troll, con più capelli e dei vestiti addosso. Anche la voce è uguale.
Sorrido a quel pensiero, sorriso che indirizzo a mia madre, come per tranquillizzarla.
Un minuto dopo percorro le due ali di ragazzi e ragazze alla ricerca di un posto libero, mentre il veicolo riparte.
Per il momento i miei compagni di scuola si limitano a parlottare distrattamente tra di loro, mi giungono spezzoni di discorso: una verifica di matematica andata benissimo grazie ai bigliettini, cosa fare nel pomeriggio dopo la scuola, l’uscita del rosse della Avon. Normali discorsi tra adolescenti, ma non dureranno a lungo. Giusto il tempo di arrivare in fondo alla strada e svoltare l’angolo… poi sarò io il fulcro di ogni discorso.
Sospiro, prendendo posto in fondo e abbassando la testa. Cerco già di estraniarmi, ma non vi riesco del tutto.
Basta un movimento, una voce, un suono, un profumo per rievocare mille ricordi.
Mi rendo conto solo ora della quantità spropositata di ricordi e pensieri che è in grado di far riaffiorare il nostro cervello.
Mentre mi siedo, ad esempio, sento una risata nasale e pesante, che sembra quasi un gorgoglio. È la risata di Mark Rogers, il ripetente della mia classe, il mio cervello associa la sua espressione di ilarità a un fatto avvenuto sei mesi fa, durante l’ora di ginnastica, quando lui e la sua banda mi bloccarono, mentre ancora mi spogliavo per cambiarmi, e mi avvolsero con carta igienica e nastro isolante, chiudendomi in uno dei bagni. Erano stati i ragazzini della prima, venti minuti dopo al cambio dell’ora, a trovarmi in quello stato. Ricordo bene il mio imbarazzo per quella situazione, le mie guance in fiamme e le risate dei ragazzini attorno a me, che erano come tante e tante pugnalate.
Era un’altra umiliazione che si aggiungeva alla già lunga lista a carico di Rogers. E sapevo bene che non sarebbe nemmeno stata l’ultima.
Ritorno al presente, sguardo basso alle scarpe: la punta della destra è macchiata di fango, come quello che mi è sempre stato gettato addosso. Cerco di restare calmo, di stare concentrato su quello che devo fare, ma è difficile. Mi sudano le mani per quanto sono nervoso, una reazione che mi colpisce anche durante i compiti in classe, o meglio, che di solito mi colpisce solo durante i compiti in classe.
La mano sinistra è diventata incredibilmente scivolosa: quasi mi pare che il piccolo oggetto che stringo con forza tra le dita voglia scivolare via. È solo una mia impressione, per fortuna, ma per non correre rischi appoggio il pugno chiuso alla gamba, tanto per essere sicuri. Non è l’unica precauzione che prendo, c’è anche quella di non appoggiare eccessivamente lo zaino che ancora non mi sono tolto dalle spalle contro lo schienale del sedile.
Un sobbalzo dovuto ad un dosso di cemento e mi rendo conto che siamo arrivati al fondo della strada e stiamo per svoltare. A questa distanza sono completamente lontano dallo sguardo corrucciato di mia madre e questo può significare una sola cosa...
“Come si definisce un povero perdente, senza ragazza e senza amici?” Una domanda quasi fischiata per via di un problema ai denti da parte di Ralf Stokes. Sono appena sorpreso, ci hanno messo qualche secondo in più del solito per iniziare con la loro commedia.
“Fammici pensare… Suckling!” Risponde ridendo il suo gemello, Rodd, privo di quel fastidioso sibilare.
Coro classico di risate che mi portano indietro a quasi cinque mesi fa. Ero seduto su una delle panchine durante l’intervallo. Leggevo. Mi dilettavo raramente in attività sportive, più che per il fatto di non avere il fisico, attributo che non mi mancava, piuttosto perché nessuno mi invitava mai a giocare in squadra, ma ci avevo fatto l’abitudine e, proprio per non annoiarmi mi portavo sempre un libro. Ricordo che ero concentrato in quel passaggio de “Il Signore Degli Anelli”, era il momento della battaglia finale, l’epico e leggendario scontro tra bene e male, tra luce e tenebra. Sorridevo e non avrei mai smesso di ringraziare i miei nonni per quello splendido regalo. Di colpo un movimento e il libro che mi si sfilava dalle mani, ero troppo preso dalla storia per accorgermi che qualcuno si era avvicinato furtivamente alla panchina sulla quale sedevo da solo. I due soggetti in questione erano Rodd e Ralf, il primo si era posto alle mie spalle per bloccare le mie rivolte, il secondo, con la sua sibilante risata, mi aveva strappato il libro di mano. Avevo provato ad alzarmi per recuperarlo, ma Rodd mi aveva inchiodato alla panchina, alzando poi le braccia e indietreggiando leggermente per prendere al volo il libro che il gemello gli aveva tirato. L’epilogo era stato semplice: il mio libro distrutto, pagine spiegazzate che volavano ovunque per il cortile come una nevicata precoce e un coro di risate, proprio come adesso.
Sospiro di nuovo abbassando di più la testa e stringendomi nelle spalle. Mi accarezzo anche il pugno adesso serrato con un briciolo in più di forza. Questo pugno che rappresenta il motivo di quella mia domanda a mia madre.
Ma ancora non ci voglio pensare, preferisco concentrarmi sul contatto non più freddo di questo oggettino che pare così insignificante. Non voglio pensare che un oggetto così piccolo possa fare qualcosa di così grande.
Non ancora… in fondo ho sopportato per anni, mezz’ora in più non mi può cambiare la vita.
Già… mezz’ora, incredibile come tutto si riduca e si concentri in questo breve lasso di tempo. Assurdo come il mio cervello riesce a condensare tutta la mia vita in questo momento, in questo tragitto che compio due volte al giorno per duecentosessanta giorni all’anno, per anni che paiono lunghi come secoli.
Anche se, teoricamente parlando, il tragitto casa – scuola dura in media quarantacinque minuti, una manciata in più se c’è traffico, solitamente.
Solo che oggi il tragitto sarà più breve, molto più breve.
Lo so solo io, per il momento, nemmeno il Signor Wayne è stato informato di questa eccezione. Meglio così.
Socchiudo gli occhi e prendo un bel respiro, cercando di non pensare più a quel gruppetto di bulli che anche adesso continua a sfornare squallide battute su di me, mi ricordano dei comici falliti che sanno far ridere solo i fessi sparando una volgarità dopo l’altra. Ripensandoci… il paragone mi sembra corretto: i miei compagni sono degli idioti che, agendo in gruppo, si credono tanto forti. Nemmeno si rendono conto di quanto dolore sono in grado di arrecare con quegli scherzi che per loro sono tanto comici.
A dirla tutta, non ho mai capito se ci godano nell’umiliare qualcuno, oppure se nemmeno si rendano conto di infliggere così tanta sofferenza.
Una domanda inutile e retorica. Non mi interessa saperlo, ormai la mia decisione l’ho presa. E quasi a confermarla, nelle tenebre in cui sono caduto, mi giungono altre immagini, altri pessimi scherzi che mi hanno fatto stare male.
Scaccio quei pensieri come farei con un cane randagio e stringo appena di più le palpebre, cercando di rendere tutto il mio mondo nero come l’inchiostro.
Non ho però calcolato che con gli occhi chiusi sono gli altri sensi a farla da padroni: l’olfatto per primo. Ci sono odori in questi piccolo spazio e ce ne sono svariati: dopobarba di marche scadenti dagli aromi pungenti, fumo di sigaretta rimasto impregnato sui vestiti o nell’alito, punte di odore di sudore, lievissimo odore di caffè. Poi ci sono fragranze più dolci: odore di fragola che arriva da una gomma da masticare, aromi fruttati di shampoo e delicati profumi.
Sono quelle composizioni floreali dolci che compongono i profumi da ragazza ad attirarmi.
Uno in particolare mi rapisce, come ha sempre e come continua a fare: delicato e dolce, mi ricorda molto lo zucchero filato che mia madre mi comprava quando, da piccolo, mi portava al luna park che annualmente, nelle calde notti di fine estate, approdava in città. Col suo aroma mieloso e quasi appiccicaticcio, mi riempie le narici arrivando con la forza di un fiume in piena sulla diga che ho costruito nel mio cervello, premendo per romperla, per farmi ricordare.
Riconoscerei quel profumo ovunque… è il profumo di Sky Jane, l’unica ragazza per cui abbia mai perso la testa, l’unica ragazza per la quale abbia messo da parte le mie morali…
L’unica ragazza che si sia presa gioco del mio amore come il gatto col topo.
L’unica ragazza che mi ha spezzato il cuore quasi un mese fa.
Basta questo pensiero per far tremare la mia diga, che si frantuma come il mio cuore non ancora del tutto ricomposto, lasciandomi naufrago tra un mare di ricordi salati come lacrime e dolorosi come un amore perduto.
Tutti lo sapevano, sapevo del mio amore sconfinato per lei. Tutti sapevano che mi voltavo solo per guardarla camminare, che trattenevo il respiro col suo, che mi perdevo nei suoi splendidi occhi, che desideravo stare giorno e notte ad accarezzarle piano i capelli, sussurrandole dolcemente tutto il mio amore, come in una bella favola o in un romanzo rosa. Penso che sia la solita storia: la più bella della scuola che nemmeno calcola il secchione che ha occhi solo per i libri e per lei.
Sì, ero preparato a questo. Ero disposto a crogiolarmi nel mio amore senza sbocchi, potevo sopportare l’amarla da lontano senza nemmeno essere visto dai suoi occhi azzurro cielo che le hanno donato il suo nome.
Ero preparato al non averla mai, ne ero preparato come ero preparato a tante cose, anni di delusioni ti forgiano più di quanto si possa immaginare… ma non ero preparato al tradimento.
Ancora me lo ricordo come in un sogno: lei bella e solare che si avviava verso di me, con i capelli sciolti in dolci boccoli color cioccolato, con i suoi movimenti aggraziati, il suo sorriso delizioso e le sue carnose labbra rese ancora più rosse da un filo di rossetto color rubino d’un brillante fantastico. E ricordo il suo profumo, dolciastro come zucchero filato. Quel profumo che era solo suo, attaccato alla sua pelle, sua naturale fragranza.
A rendermi conto che puntava a me e solo a me, il mio cuore perdeva un colpo e la bocca mi si seccava completamente, i muscoli si contraevano come quelli di una gazzella alla vista di una leonessa che si avvicinava col suo fare da predatrice. Col senno di poi, così era, in effetti.
Una volta davanti a me, dopo avermi squadrato dall’alto in basso per un paio di volte aveva parlato: con la sua voce appena alta, stridula, quasi finta, una voce che mi aveva sempre fatto rabbrividire per quanto l’adoravo.
Mi aveva invitato ad una festa: di quelle che organizzavano di continuo quando i genitori erano fuori casa, di quelle alla quale non mi invitavano mai. Il mio cuore si fermò, ma non temevo un infarto, perché sarei morto felice.
Era tutto così bello e perfetto, come nel più roseo dei sogni… che, però a mia insaputa, nascondeva il più orrido degli incubi!
Povero me, ero troppo felice, troppo esaltato da quella notizia alla quale ancora non credevo per pormi delle domande: sul perché così, di punto in bianco, Sky avesse preso a calcolarmi come persona e non come fantasma. Sul perché mi parlasse… sul perché, addirittura, mi invitasse ad una festa!
Se avessi prestato un po’ più di attenzione a certi miseri dettagli, forse, le cose sarebbero andate in modo diverso. Forse il mio cuore sarebbe rimasto sanguinante nel non poterla avere mia, ma almeno non sarebbe stato a pezzi. Così come il orgoglio… o la mia dignità.
Quella fatidica sera mentii a mia madre, dicendole che sarei andata da un amico e presi l’autobus per raggiungere la casa di Sky. Mi ero preparato a puntino, perfettamente elegante, forse anche troppo. Una parte di me credeva che fosse tutto uno scherzo.
Invece la festa c’era veramente e c’erano alcolici per i quali non ero abituato. Se la memoria non mi inganna troppo, al terzo bicchiere di vodka alla pesca ero completamente andato.
Di quella serata non ricordo molto: immagini confuse di visi deformati dai fiumi dell’alcool, spezzoni di frasi senza alcun senso, onomatopee senza alcun senso logico anche se, alcune, mi parevano stranamente nelle risate.
E tutto che scivolava in una nera dissolvenza, come in un cambio tra due scene di un film.
Il giorno dopo, al mio risveglio, c’era la nausea e il mal di testa del dopo sbornia a darmi il buongiorno.
Ero arrivato a casa, non so bene come, probabilmente nello stesso modo in cui me n’ero andato. Fatto stava che vi ero tornato e avevo dormito in terra come un cane, con addosso solo i pantaloni macchiati in più punti da chiazze alcoliche e da resti di cibo, sicuramente il rigurgito di qualcuno più ubriaco di me. Ancora non ricordavo niente, c’era un buco nella mia testa, un vortice nero che risucchiava ogni cosa.
Ma qualcosa era successo, l’aveva capito dopo essere salito sullo scuolabus, dopo una bella doccia e un’aspirina che mi avevano donato un aspetto minimamente decente. C’erano occhiatine e risatine che prima non avevo mai notato, da parte di tutti, ma proprio di tutti. Sembrava quasi una congiura di quelle in cui tutti sanno e solo il diretto interessato è all’oscuro di ogni cosa.
Ero rimasto all’oscuro per tutto il giorno; anche se durante le lezioni e nell’intervallo avevo notato quegli sguardi, quelle risatine mute a fior di labbra e io che continuavo a non capire. E avrei preferito non capire mai!
Finché, poco prima di tornare a casa, era stata la stessa Sky, con il suo sorriso dolce tramutato in un ghigno terribile, a darmi un link internet per vedere un video di YouTube… il mio video, di quello che avevo fatto sotto l’effetto dell’alcool e delle incitazioni degli altri ragazzi, Sky per prima.
Mi sembra di aver pianto dalla vergogna a vedere quello che avevo fatto: mi ero ridotto al giocattolo personale di un branco di pervertiti. Mi ero masturbato davanti a tutti e avevo fatto tutto quello che mi era stato detto di fare tra cui dichiarare il mio sconfinato amore per Sky e, per dimostrare quanto sarei stato bravo con lei, i ragazzi mi avevano consigliato di farmi il suo cane.
Avevo chiuso il video.
C’era dell’altro, molto altro, ma non avevo avuto il coraggio di guardare tutti i ventinove minuti e cinquantuno secondi del mio declino.
Ero già abbastanza schifato dal mio comportamento!
Al ricordo, adesso, stringo con più forza il pugno sinistro, chiudendo gli occhi. Sento le lacrime bussare dietro alle mie palpebre, ma non voglio piangere, non più.
Sono stanco di essere trattato così, sono stanco di dover fingere che tutto vada bene quando niente, in verità, va bene. Sono stanco di dovermi chiudere in camera mia, appena tornato da scuola, e soffocare la mia disperazione nel cuscino del letto per non farmi sentire da mia madre.
Sono stanco e sono un maledetto vigliacco, perché non trovo la forza di reagire in nessun altro modo. Sono tanti, troppi anni che subisco in silenzio, sopportando i peggiori scherzi e le peggiori idee di questi animali che ho per compagni.
Non sono il loro unico bersaglio, lo so, per questo il viaggio dello scuolabus durerà di meno: terminerà prima che imbocchi la strada principale diretto alle periferie della città per passare a prendere Billy Esposito che aspetta al fondo della stradina sterrata che porta alla squallida roulotte dove vive con suo padre e le sue due sorelline.
Il caro Billy, che mi è sempre stato a fianco, che ha sempre provato a difendermi. In tutti i modi, dividendo spesso con me la disperazione di questi scherzi terribili.
Senza di lui sarei impazzito sicuramente, senza il suo sorriso dai denti storti che cercava sempre di tirarmi su di morale, senza la sua capacità di pensare sempre positivo. Provo un profondissimo affetto per lui, per questo non voglio che salga su questo mezzo della vergogna come in tanti stanno facendo.
Ogni volta che l’autobus si ferma e la porta si apre cigolando ad indicare che qualcuno sta salendo ricordo uno scherzo subito: chi mi nascose i compiti, chi i vestiti durante l’ora di ginnastica, chi aveva chiuso la porta del bagno mentre io ero ancora dentro, chi mi aveva versato la colla nello zaino pieno di libri, chi direttamente sui capelli, ovviamente per “errore”, obbligandomi a rasarmi in pieno inverno. E ancora e ancora…
Per mesi… per anni… con scherzi che si facevano sempre più elaborati, oppure che restavano quelli semplici e classici di sempre. Ma sempre scherzi, sempre… giorno dopo giorno!
Ogni scherzo e il suo autore sono stati registrati dalla mia mente in una lista lunga, lunghissima della quale, per terrore, non ho mai contato i punti. E io ho paura del mio stesso cervello, che adesso sta riportando ogni cosa in superficie a ricordarmi il perché del mio gesto.
Tutto mi è stato fatto, ogni cosa, ogni scherzo.
Perché poi…? Perché i miei voti sono alti? Perché mi piace studiare? Perché mio padre non ha più la fedina penale pulita?
Oppure perché come abili predatori quali sono, hanno visto l’anello debole del branco, il timido, il vigliacco, quello che non avrebbe mai reagito?
Forse è così… sicuramente è così.
Ma oggi impareranno che la disperazione sa essere più forte della paura o della timidezza.
A questo pensiero stringo più forte il pugno sinistro e socchiudo gli occhi. La strada è tutta curve, significa che mancano almeno una decina di minuti prima di arrivare alla roulotte di Billy, ho ancora abbastanza tempo per riflettere sui pro e sui contro del mio gesto. Cerco dei lati positivi in tutto questo, so che Billy ne sarebbe capace, ma io non sono lui. Ogni singolo istante su questo scuolabus giallo della vergogna mi ricorda un torto subito, uno scherzo di cui sono stato l’ignara vittima. Forse perché gli autori, ormai, sono tutti presenti e ridono e scherzano tra di loro, studiando, probabilmente, la prossima burla di cui sarò il protagonista.
Cerco di non pensarci, cerco ancora di trovare qualcosa di positivo, qualcosa di salvabile, ma mi risulta particolarmente difficile.
Non c’è niente di salvabile!
È per questo motivo che la mia mente mi rievoca l’immagine corrucciata di mia madre, la sua espressione preoccupata. E la mia domanda: “Mamma, mi vorresti bene qualsiasi cosa io facessi?”.
Ripensandoci non so se fosse il caso di porle quella domanda, ma avevo bisogno del suo sorriso e della sua voce dolce che mi dicesse che, ovviamente, l’avrebbe fatto.
Qualsiasi cosa… forse pensa a un brutto, bruttissimo voto che non ho il coraggio di confessarle, magari pensa ad una nota presa in classe… potrebbe pensare mille e una cosa, ma sicuramente non sta pensando a questa cosa.
È un bene.
Non voglio che ci pensi, non è il caso. E poi, so che troverà la mia lettera, se i miei calcoli sono esatti la dovrebbe trovare più o meno adesso, mentre passa l’aspirapolvere nella mia stanza.
Dovevo dirglielo a voce, lo so, ma avrebbe cercato di fermarmi. Dovevo dirle dei bulli che non mi lasciavano respiro, ma a che sarebbe servito? Potevamo rivolgerci al preside, è vero, ma sarei passato per lo spione e le mie persecuzioni sarebbero solo aumentate.
No… mi occorre qualcosa di più drastico, qualcosa che li fermi una volta per tutte. Anche perché, voglio che almeno il buon Billy possa vivere tranquillo, senza il terrore, come me, di alzarsi la mattina, sapendo quello che lo aspetta una volta chiuso il portello dell’autobus alle sue spalle.
Penserò a tutto io, per una volta sarò io a condurre il gioco.
So come fermarli, come far smettere queste angherie. Ho io qualcosa che li farà smettere una volta per tutte.
Quella cosa che già sto portando con me, nello zaino che non mi sono tolto dalle spalle e che non voglio schiacciare troppo contro lo schienale del sedile.
È incredibile la quantità di ricordi che il nostro cervello è in grado di evocare, così è incredibile la quantità di informazioni che si possono trovare su internet. È stato anche meno difficile di quel che credevo, mi è bastato: lo schermo di un computer, una tastiera consumata, una connessione a internet e poche parole digitate. Non ho trovato controlli, non ho trovato problemi, è filato tutto liscio come l’olio. Trovato il sito è bastato scaricare tutto e mettersi al lavoro. I passi da seguire erano semplici e chiari, come quelli per costruire un mobile dell’Ikea.
Sorrido per il terribile confronto fatto e apro completamente gli occhi guardando i miei compagni senza vederli sul serio: di loro vedo solo figure senza volto e ghigni terribili come fauci e lunghi artigli che mi ghermiscono, mi feriscono, lacerando la mia anima una volta per tutte. Sento il mio cuore ancora a pezzi, abbandonato in terra a fianco della mia dignità, strappata come uno straccio e lasciata a brandelli. E vedo questi due piccoli sentimenti finire in un calderone, come quello delle streghe nei cartoni animati. Sento qualcosa ribollire, ma non credo che sia rabbia è qualcosa di diverso che non riesco ad identificare. L’unica cosa che so è che i vapori che si alzano scuri sono pura disperazione.
Mi alzo piano dal mio posto, come piano si alzano anche quegli scuri vapori di disperazione. Nessuno pare accorgersi dei miei movimenti, come potrebbero? Sono troppo impegnati nei loro discorsi, nei loro futuri piani. Piani che, dal mio punto di vista, sono un po’ troppo irraggiungibili.
Non vorrei farlo, sul serio, non vorrei, ma la mia disperazione è troppo grande, tanto che nemmeno l’immagine di mia madre, ferma di fronte a me che scoppia in un pianto disperato riesce a dissuadermi. Anche perché, adesso, la strada è di nuovo un lungo rettilineo e non ho più molto tempo.
La fermata di Billy è troppo vicina per poter esitare ancora.
“Guardate a cosa la mia disperazione mi ha portato!” Sussurro quasi senza rendermene conto.
Ora mi pare che il mio zaino di Batman, che mi accompagna sin dalle elementari, pesi così tanto da schiacciarmi, di solito sono i libri, con il loro immenso sapere a spezzarmi la schiena, ma oggi, non ho libri con me, nemmeno uno, non voglio rovinarli come è successo con “Il Signore Degli Anelli”.
Devo aver parlato più forte del previsto visto che qualcuno si volta verso di me. Gesti, movimenti e cala il silenzio e tutti gli occhi sono per me, per il mio sguardo serio, per le mie spalle dritte che reggono senza forza fisica questo zaino da bambino che non ho mai voluto cambiare. La forza che ci sto mettendo adesso è puramente psicologica. Tutti mi guardano, zittiti una volta tanto e adesso, oltre allo zaino sento che anche gli sguardi dei miei compagni mi schiacciano, si sono tramutati in vacue espressioni di un terrore troppo grande per essere espresso a parole.
Tocca a me sorridere da sadico, ridere di questo mio scherzo, l’unico che abbia mai fatto.
Tocca a me diventare il predatore.
Tocca a me dirigere e far sì che siano gli altri ad avere paura.
Mi rigiro il piccolo oggetto che tengo nella sinistra: è un minuscolo telecomando nero, recuperato dall’immondizia qualche settimana fa, qualcuno lo deve aver considerato un rifiuto, ma per me è stato un microscopico tesoro. Me lo rigiro tra le dita cercando con il pollice l’unico bottone funzionante.
Lo trovo in fretta e lo schiaccio senza più alcuna esitazione!
È il mio ultimo gesto… ed è un gesto così banale, come banale è stata la mia ultima mezz’ora. So che ho qualche secondo prima che l’innesco si avvii per mandare una scarica statica lungo il cavetto che si attorciglia al mio braccio sino ad arrivare all’ordigno che ho tenuto nel mio zaino di Batman, il mio supereroe preferito. Avrei sempre voluto essere come lui, ma mi ritrovo a essere il cattivo della situazione, poco male, qualcuno mi giudicherà, ma io non potrò più sentirlo.
Mi ritrovo ad alzare gli occhi e il mio ultimo pensiero è per mia madre… ti chiedo scusa mamma, scusa per tutto quello che ho fatto, ma specie per quello che non ho fatto. Cerca di perd…
 
 

BOOM!

 

Angolino mio...


Eccomi qui gente... a proporvi la mia primissima storia introspettiva... scritta pure in prima persona!
Incredibile...
Beh, visto che so che ne pensa la buona phoenix_esmeralda e il caro darllenwr... adesso, vorrei tanto sapere che ne pensate voi! ^^
Se ne avete voglia, fatemi sapere, ok?
Grazie in anticipo a tutto quelli che leggono e non commentano e ancora di più a chi commenta!
A presto... dove?
Ancora non lo so...  temete il peggio! *risata satanica crescente*
Va bene... con questo ho finito... u_u
ByeBye a tutti! 

ManuFury! ^_^
 
  
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