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Autore: DaniDa    02/04/2013    0 recensioni
"Secondo mia madre mi chiamo Pilar e sono una giornalista."
Una ragazza di 23 anni, dopo l'incidente della madre, scopre che sua madre non c'è più. Al suo posto una donna che non aveva mai conosciuto, di cui ora vuole parlare per ritrovare se stessa e un rapporto madre-figlia che non aveva mai avuto prima.
Ma scoprirà che alla verità non si è mai preparati a sufficienza.
*Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale. I personaggi sono di mia invenzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo mia madre mi chiamo Pilar e sono una giornalista.
Pilar, come Pilar del Rio, donna che mia madre ha iniziato ad adorare dopo aver visto un documentario della vita del marito, José Saramago, Nobel per la letteratura nel 1998.
Strano, perché mia madre è incredibilmente religiosa e questo scrittore per nulla.
Non so molto di letteratura e non sono giornalista.
Ho 23 anni, non ho mai concluso nulla nella vita, ma è ancora presto per dirlo. Forse non finirò neanche questa cosa. Sto solo cercando di capire chi sono e cosa voglio, come tutti.
Mia madre diceva sempre “Non serve andare troppo lontano per trovare se stessi”; l’ho sempre ignorata.
Oggi, però, ho per la prima volta ascoltato il suo consiglio – e non dalla sua bocca, ma dalla mia mente - con l’intenzione di metterlo in atto.
L’ho recuperato così, d’improvviso.
Caricavo la lavatrice e puf! Ho sentito la sua voce. Era viva nella mia memoria.
Eccomi, quindi, nella mia città, nella casa dove sono cresciuta, alla scrivania, col mio portatile, a cercare me stessa, scrivendo di mia madre.
Di lei, Demetra Spezzini, non so nulla.
Conosco mia madre, la mia mamma, ma non conosco Demetra Spezzini.
So che ha incontrato mio padre all’età di ventidue anni - so tutti i particolari di quell’incontro, anche se non ho ancora capito cosa mio padre avesse mai trovato in lei.
E poi conosco tutti i dettagli della sua vita da quel momento in poi. Beh, quasi tutti.
Ha tre sorelle, due più grandi, una più piccola, ma non ha molta stima di Cristina, la prima delle tre sorelle.  Non ho ancora capito perché; io, sinceramente, la trovo incredibile.
Le altre sono Federica e Dalila. Mia zia Federica è simpaticissima, una gran donna, ma m’incute timore. Mia madre pendeva dalle sue labbra, anche se non la trattava granché bene. Era sempre molto fredda con lei.
Per quanto riguarda zia Dalila, beh, è una forza della natura, lavora nel campo della musica ed è un po’ una zia sui generis; è la mia migliore amica.  
 
Quando si ha un grande progetto, non si sa mai da dove cominciare, ed è così che mi sento in questo momento.
Ho perso mia madre due mesi fa, in un brutto incidente.
Era ad un incrocio, stava tranquillamente tornando verso casa, quando una Peugeot, ignorando il semaforo rosso, a tutta velocità, la carica.
La sua macchina, una Panda nera e viola, si era dimezzata longitudinalmente.
Ha riportato danni agli arti, un’emorragia cerebrale, alcune costole fratturate.
“Dio l’ha salvata” diceva la zia di mia madre, Michela.
Zia Michela ha avuto quasi ragione. La fortuna, o il suo Dio, aveva salvato sua nipote ma non mia madre.
Mia madre ha smesso di vivere in quel corpo, si è addormentata per sempre. Si è risvegliata, dopo un coma durato un mese, solo Demetra Spezzini, la nipote di sua zia Matilde. Il suo orologio biologico fermo sui 21 anni.
Non conosce me, non conosce mio fratello, non conosce mio padre.
Mi sembra stupido usare il verbo ricordare. Non credo più alle parole dei dottori. Mia madre non ricorderà nulla di noi, né ora, né mai. So una storia su una donna che aveva perso la memoria e non l’ha mai recuperata. Ne hanno fatto anche un film.
Solo che quella donna si era comunque innamorata di suo marito e aveva costruito con lui una famiglia.
Diciamo che mia madre, con la sua perdita di memoria, ha dato il colpo di grazia a mio padre.
Non l’ha mai trattato granché bene. Era sarcastica, faceva commenti sprezzanti, lo criticava in tutto, lo umiliava. Mio padre le faceva un paziente e dolce sorriso.
Mio fratello dice che mi sbaglio, che quelle di mia madre erano semplici battute e che lei stimava mio padre.
Non so se crederci o no. E’ come se tutte le mie certezze, positive o negative che fossero, si stiano sgretolando.
Il problema è che non so cosa mettere al loro posto.
Ora, però, torniamo a ciò per cui ho cominciato a scrivere.
La storia di Demetra Spezzini.
 
Ho saputo dell’incidente di mia madre, da mio padre, al telefono.
Io ero a Milano, ospite di un’amica.
Mi ha chiamato, mi ha detto di un piccolo incidente, di non preoccuparmi.
Aveva la voce spezzata, ma diceva che andava tutto bene, quindi non ho preso il primo aereo per tornare a casa, come succede nei film. Sono rimasta lì per altre due settimane.
Se dovessi descrivere quei giorni, direi proprio che la sensazione con la quale li ho vissuti era quella che hai al mare, quando sei in acqua e avverti l’arrivo imminente di una grossa onda perché il mare ti tira sempre più verso il largo, ma i tuoi piedi sono ben piantati e quindi senti solo che qualcuno ti sta tirando. E l’onda che non arriva mai.
Senti che tutto e tutti ti stanno dicendo “Attenta, arriva” e sai che devi tornare a riva, ma non lo fai.
Finita la mia breve vacanza, tornata a casa, l’onda si è abbattuta su di me. Mia madre era in coma.
Ero così arrabbiata, e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che mia madre, una melodrammatica assurda, era riuscita a catalizzare l’attenzione di tutti, ancora una volta, su di sé.
Mio padre era fiducioso, “Si sveglierà e sarà tutto come prima”, diceva. Mio fratello era spento e triste.
Io mi chiedevo solo quando sarebbe finita, perché mi sentivo una funambola in balia del vento e volevo sapere solo se dovevo cadere giù e schiantarmi, oppure proseguire il cammino, ma volevo che il mio destino venisse deciso in fretta.
Poi, però, quando si è risvegliata e si sono accorti che non sapeva chi fosse mio padre, e che non ricordava nulla dai ventun anni in poi, mi sono accorta che tutto quello cui avevo pensato, tutti i pronostici fatti, erano andati in fumo.
Ora era come se io, funambola, fossi seduta sul filo a guardare il vuoto sotto i miei piedi.
Mio padre, i primi giorni dopo il risveglio, decise di non caricarla di troppi ricordi, decise di aspettare, in disparte, senza dirle che fosse sposata con lui. Aveva scelto di dirle che era un suo amico senza alcun accenno a dei figli.
Poi saltò fuori il lato simpatico di mia madre.
Sapeva che non aveva più ventun anni perché vedeva tutti i suoi parenti molto invecchiati, e venuta a sapere la data dalla sua amica un po’ svampita, calcolò la sua età attuale ed esclamò: <>
Gattara era il termine con cui definiva le zitelle, perché secondo la tradizione, sono accumulatrici seriali di gatti.
Allora mio padre le disse che era suo marito.
Ancora nessun accenno ai figli.
La sera in cui mio padre le comunicò questo si addormentò molto agitata, per risvegliarsi solo due giorni dopo.
I medici decisero di tenerla sotto osservazione ancora un po’.
 
Tra una settimana saranno passati due mesi. Il secondo mesiversario, se tutto andrà bene, uscirà dall’ospedale e farà ritorno a casa.
Per quella data ogni ricordo materiale mio e di mio fratello sarà scomparso dalla nostra casa.
Foto, libri per bambini, i nostri ricordi di scuola, le posate per bimbi che mia madre aveva gelosamente messo da parte.
Papà così ha deciso. Saprà di noi a tempo debito.
Potrebbe anche non accadere mai…
Mio fratello Ferdinando ha già ripulito casa. Ha tolto qualsiasi traccia, persino i segni della colla di un vecchio adesivo sulla porta del bagno, ad altezza bimbo.
Mia madre ci aveva sempre provato, senza riuscirci. Ora mi chiedo se, in realtà, non fallisse di proposito.
Mio fratello se ne starà nell’appartamento che i miei gli hanno regalato.
Io andrò da zia Cristina. Non me la sentivo di stare con quel matto, è diventato il vedovo di mia madre.
Mi meriterò, almeno un po’ di tranquillità, dopo tutta questa merda.
 
Ora vi spiego com’è che mia madre crede che sia una giornalista e come sono arrivata a voler scrivere la sua storia.
Ieri sono andata in ospedale. Avevo il cuore a mille. Pensavo sul serio che avrebbe recuperato la memoria dopo avermi rivista. Sono così terribilmente egocentrica. E pensare che, prima di ieri, non me ne rendevo nemmeno conto.
La porta della camera era aperta, e sono entrata.
Mio padre era seduto sul lettino, e le stava raccontando del loro primo San Valentino.
Lei era seduta su una poltrona richiudibile che scrutava il parco che circondava quell’ospedale.
Era come se non stesse ascoltando quello che mio padre le diceva, ma che stesse ripensando a qualcosa.
Mi sono sentita come in trance, non riuscivo a smettere di guardarla. Credo che per la prima volta mi sia concessa di amare mia madre.
Mi ha risvegliato mio padre, con voce grave, arrabbiato: « Che ci fai qui? Avevo detto di non venire! Ero stato chiaro!».
Ma io non guardavo lui. Vedevo solo lei che piano, aveva girato il volto; mi scrutava, come se fossi qualcosa di cui avere paura.
«Chi sei?», mi chiese timorosa.
Le risposi senza neanche pensare: « Mi chiamo Pilar e scrivo per il giornale locale. Sono qui per raccontare la sua storia».
  
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