Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Loony Evans    03/04/2013    8 recensioni
Un tempo quel luogo veniva chiamato America del Nord. Un tempo quel luogo era famoso per essere la patria della libertà. Un tempo quel luogo ogni anno festeggiava il giorno in cui aveva conquistato la sua libertà.
Ora quel luogo è chiamato Panem. Ora quel luogo non è più famoso, è solo crudele. Ora quel luogo ogni anno ricorda il giorno in cui ha perso ogni libertà, anche quella di rimanere in vita o no.
Questa è la 38 edizione, la vostra 38 edizione. Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Solo con l’agonia della separazione si può capire la profondità del nostro amore.

 
 
Elle era ferma. La stanza era spaziosa e illuminata dal sole di luglio. Le pareti erano di un tenue ocra mentre le finestre erano ornate di gioielli, il prodotto del Distretto.
La ragazza era tranquilla: i suoi genitori non sarebbero di certo venuti, di amici così stretti non ne aveva.
Fu dunque del tutto inaspettata l’entrata del Pacificatore.
-         Antonius?- mormorò.
Lui non rispose e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, le mani dietro la schiena. Sembrava preda di una terribile indecisione.
Elle rimase a guardarlo tranquillamente con giusto una punta di curiosità.
Alla fine, Antonius cambiò direzione, si diresse verso di lei e si bloccò di colpo, come irrigidito. Fece scivolare i suoi occhi sulla ragazza, osservandola intensamente da cima a fondo, con una strana luce nello sguardo. Un attimo dopo, con uno scatto repentino, le fu addosso. 
Elle si ritrovò stesa sul divano, il corpo del Pacificatore sopra di lei.
Shockata, non riuscì a reagire fin quando non avvertì l’umido delle labbra dell’uomo sul suo collo. A quel punto, s’infuriò e raccogliendo le sue forze assestò una poderosa ginocchiata nelle parti delicate dell’altro.
Quello si tirò su e urlò di dolore ed Elle lo sbatté per terra. Poi tornò a sedere sul divano.
- Bel saluto.- fu il suo ultimo commento.
 
Jesse era seduto sul divano, annodando un piccolo pezzo di corda che aveva deciso di portare nell’Arena con sé. L’Arena…mancava così poco e ci sarebbe andato, come Laser. Il suo successo, a quel punto, sarebbe dipeso solo e unicamente dalla sua abilità.
Si appoggiò allo schienale del divano, guardando in alto.
La tranquillità della stanza fu bruscamente interrotta dall’apertura della porta e dall’entrata dei suoi genitori.
-         Jess- cominciò la madre, ma fu interrotta dal padre che avanzò minaccioso.
-         Finalmente ti sei deciso eh ragazzino? Ora vedi di riportare a casa le chiappe, chiaro?!- esclamò.
Jesse fissò lui e poi sua madre, notando un grosso livido sulla guancia. A quanto pareva, suo padre non aveva perso le vecchie abitudini.
- Oh, papà, papà, non impari mai. Dev’essere difficile mettere al mondo due figli solo per vederli morire, no?-
 
Alexa sorrise accarezzando il suo piccolo pugnale. Era utile averlo come portafortuna, avrebbe già avuto un’arma.
Si sentì del rumore, e dalla porta entrarono i suoi genitori.
-         Cosa ti è saltato in testa di offrirti?- esclamò il padre. Alexa storse il naso: puzzava di gin.
-         Sì, perché?- chiese la madre distratta. Si vedeva che non vedeva l’ora di andarsene.
-         Mi state sottovalutando.- sibilò Alexa.
Per risposta il padre scoppiò a ridere; risata che poi si trasformò in un rutto fragoroso.
- Stai tranquillo, papà. - sibilò la ragazza con disprezzo.- Voi tutti mi sottovalutate me presto vedrete di cosa sono capace! Alexa Prior tornerà a casa, e allora vi pentirete di non avermi mai presa sul serio!-
 
Ian fissava la porta che si stava aprendo. Qualche istante e i signori Stoner fecero la loro comparsa. Per essere del Distretto 2, erano molto curati.
-         Madre, padre.- salutò Ian.
-         Ian. Sei stato…coraggioso.- disse la signora Stoner con un lieve sorriso.
-         Grazie.- replicò lui.
Ci fu un momento di silenzio.
-         Sono certo che ci renderai fiero. Sei allenato.- aggiunse il signor Stoner.
-         È ovvio.-
-         Ti seguiremo Ian. Osserveremo i tuoi progressi.-
-         Va bene.-
-         Perfetto.-
E rimasero così, in silenzio.
 
-         Tanisha! Tanisha!- esclamò Troy in lacrime.
-         Fratellino!- esclamò lei.
-         Non andare via! Per favore!-
La ragazza accarezzò guardando la nuca del fratello guardando il padre che aveva gli occhi lucidi. Probabilmente ricordava Lavinia ai suoi saluti.
Gli fece segno di avvicinarsi e strinse entrambi in un grosso abbraccio commosso, poi s’inginocchiò per essere alla stessa altezza del fratello.
-         Ascoltami, Troy, non piangere va bene? Ricorda che papà conta su di te. Io proverò a tornare con tutte le mie forze. Siamo d’accordo?-
Il bambino annuì tirando su con il naso.
-         Tanisha - mormorò il padre ma un Pacificatore entrò e li avvertì che era ora di andarsene.
-         Papà! Tornerò, papà!- esclamò lei un attimo prima che uscissero dalla sua vista.
Crollò sul divano lasciando che le lacrime scendessero sulle sue guance.
-         Nini! Oh, Nini!- la voce di Monica si sentì forte e chiara.
-         Monica…- mormorò la ragazza mentre l’amica la abbracciava.
-         Come ti senti?- chiese Monica.
-         Be’, sono stata meglio…- replicò Tanisha con un debole sorriso.
-         Ascoltami Nini, tu uscirai da lì, ok? Ne sei in grado.-
-         Non rimarrò inerte, tranquilla.-
Monica la fissò per un istante, poi disse: - Mi dai un momento la tua collanina?-
Tanisha annuì, confusa, e le porse la catenina d’argento un tempo appartenuta a sua madre.
L’amica armeggiò per un po’, poi gliela porse. Vi aveva attaccato un papavero essiccato contenuto in un quadratino di vetro.
Mentre il Pacificatore la afferrava per un braccio, Monica continuò a guardarla con un sorriso triste e l’ultima cosa che le disse fu: - Trovati un alleato, Tanisha.-
La ragazza sospirò. Non si aspettava che qualcun altro sarebbe venuto a trovarla, quindi cominciò a prepararsi, ma la porta si aprì di nuovo ed entrò Eric, fratello di Tanisha e suo…interesse.
Rimasero a fissarsi per qualche istante, poi il ragazzo camminò verso di lei le prese il viso fra le mani e le diede un bacio delicato sulla fronte rossa e bollente della ragazza. Poi la abbracciò e sussurrò: -Torna. Ti prego.-
E lei non riuscì a fare altro che annuire.
 
Shade camminava avanti a indietro per la stanza con le mani intrecciate dietro la schiena.
Stava aspettando che arrivasse qualcuno e intanto rifletteva su una possibile strategia. Non c’era un minuto da sprecare.
La porta si aprì e la sua famiglia apparve.
-         Oh. - fu l’unica cosa che riuscì a dire.
-         Piccolo.- mormorò sua madre commossa. Shade pensò che, probabilmente, stesse rimpiangendo i momenti in cui non gli aveva prestato attenzione.
La prima ad avvicinarsi fu Wi. Lo abbracciò e Shade riuscì a sentire la pancia arrotondata e dura. La consapevolezza che non avrebbe mai potuto vedere suo nipote gli provocò un’ondata di commozione ma trattenne le lacrime che, tanto, non sarebbero servite a nulla.
-         Shade… non ti buttare giù ok, fratellino?- disse Wi.
-         Certo. Non mi avranno facilmente.-
-         Ovvio.- fece la sorella, poi si allontanò un poco per far avvicinare il padre.
-         Figliolo, tu…tu sei intelligente. Lo sei e tanto quindi…quindi…- ma scoppiò a piangere prima di finire la frase.
Shade si ritrovò fra le sue braccia e fra quelle della madre che si era avvicinata velocemente. E allora capì che per loro, e nel profondo anche per lui, quello era un addio. Nessuno si aspettava il suo ritorno.
 
Tess era furiosa e malignamente felice al tempo stesso. Furiosa perché, in fondo, lei era sempre furiosa. Felice perché finalmente avrebbe avuto l’occasione di vendicarsi di quel ragazzo. D’accordo, era stato suo padre ad agire ma lui era rimasto lì fermo a guardare…non gliel’avrebbe mai perdonato.
La porta si aprì e, come la ragazza si aspettava, Shadi fece la sua comparsa. A quanto pareva, era molto arrabbiata.
-         Tu! Razza d’idiota come ti è venuto in mente di offrirti?!- esclamò.
-         Sono cazzi miei, ti pare? Cosa te ne frega?-
-         Me ne frega cogliona!-
-         Tanto ormai l’ho fatto, cosa vieni a sacramentare adesso?!-
-         Oh certo! Perché io mi aspetto che alla tua prima Mietitura tu ti offra tranquillamente, sì? Hai dodici anni, imbecille! Ti massacreranno!-
-         Cosa ne vuoi sapere tu? Mi sono fatta un mazzo tanto in Accademia!-
-         Oh per favore! Vuoi farmi bere di esserti offerta per puro piacere?! Guarda che so anch’io chi è quel ragazzo!-
-         E allora non rompermi le palle!-
-         Credi davvero che il miglior modo per vendicarsi sia suicidarti, sottorazza di demente?-
-         Se riesco a portarlo nell’oltretomba con me sì!-
-         Sei un’illusa!-
A quel punto, però, vennero interrotte da un Pacificatore che trascinò via la ragazza, ancora urlante.
- Vai al diavolo, Shadi, e non tornare!-
 
Leo osservava la sua sedia a rotelle. Non l’aveva mai detestata tanto. Come avrebbe potuto vincere lui? Sospirò.
La porta si aprì e Sheru apparve. Sembrava affranta.
-         Leo io…perdonami.-
-         Perdonarti?- replicò Leo sbalordito.
-         Io avevo promesso di proteggerti. E non ci sono riuscita.-
Leo sorrise: - Avresti dovuto essere un maschio per aiutarmi, Sheru. E in quel caso non te l’avrei mai perdonato. Non sono un bambino.-
-         Ma io…-
-         Sheru, non fartene una colpa. Assolutamente. Io vedrò di cavarmela ok?-
La ragazza lo abbracciò velocemente ma dovette andarsene subito. Al suo posto entrarono la madre e la nonna del ragazzo.
-         Tesoro mio!- esclamò la madre.
-         Ciao…-
-         Oh piccolo! Vedrai che ci riuscirai, tu…vincerai sì?- continuò la donna. - E quando tornerai, ti faremo una grande festa.-
-         Mamma,- cominciò Leo. Poi, vedendo la sua faccia speranzosa, sorrise e disse: - certo, grazie.-
-         Oh per favore Daphne! Non fare la sciocca e non mettergli in testa strane idee!- s’intromise la nonna bruscamente.
Scostò la donna e si mise davanti al nipote, fissandolo negli occhi.
-         Ascoltami attentamente Leonid. Non so quante possibilità tu abbia di vincere, ma non sono molte. Il mio più grande desiderio sarebbe vederti scendere da quel treno come vincitore; ma se ciò non dovesse accadere, combatti con onore ok? E non ascoltare tua madre, perché indorare la pillola, non è mai la strategia giusta.-
Leo annuì. La durezza della nonna era stranamente confortante in quel frangente. Le due donne lo accarezzarono e baciarono prima di essere scortate fuori da un Pacificatore dalla faccia scura.
La porta si aprì di nuovo e, con sommo orrore di Leo, suo padre entrò.
-         Allora, ragazzo, cosa devo dire? Se non fossi stato così debole, ora potresti tornare a casa. - esordì.- Perché tanto lo sappiamo benissimo che non tornerai, vero sgorbio?-
-         Questa paralisi non è certo una mia colpa.- replicò Leo con calma.
-         Sì invece perché sei una femminuccia. Non sei mai diventato un uomo. -
-         Un uomo?! Non voglio essere ciò che tu intendi per “uomo”! Sai chi è la ragazza che si è offerta?!- scattò il ragazzo.
-         Perché dovrei?-
-         Perché è la ragazza che tu hai violentato tre anni fa! Quello che per te vuol dire diventare un uomo è rovinare una povera ragazza!-
-         Come osi piccolo…-
Probabilmente l’avrebbe colpito, non ne era sicuro ma sembrava che stesse per farlo. Per fortuna, il Pacificatore entrò a portare via l’uomo e lasciò lì Leo, solo, a guardare le sue gambe immobili.
 
Raen tamburellava le dita sul davanzale della finestra riflettendo su ciò che le era accaduto. Sarebbe tornata? Avrebbe rivisto tutti quelli cui voleva bene? L’orecchino a forma di Ibisco donatole dalla madre per la sua prima Mietitura e che ora sarebbe stato il suo portafortuna scintillava, illuminato dai raggi del sole.
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di sua madre.
Rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi Misaki sospirò e la abbracciò forte stringendole la mano. La figlia rispose lievemente qualche momento dopo. Anche in quel frangente la sua freddezza imperava.
Poi la madre si staccò e non disse niente perché in quell’abbraccio aveva già espresso tutto quello che pensava.
-         Ti guarderò.- mormorò prima di voltarsi e andarsene.
Presa da una strana emozione, Raen fece un gran respirò e sussurrò: - Ti voglio bene.-
La donna voltò la testa e fece un leggero sorriso prima di uscire.
Al suo posto si precipitò Sarah. Aveva gli occhi rossi, Raen capì che aveva appena finito di piangere.
- Amica mia! Io…non oso immaginare cosa tu stia passando!-
Raen alzò le spalle.
-         Ormai ci sono, no? Tanto vale impegnarsi.-
-         Hai ragione ma…-
-         Ma niente. Vedrò di tornare.-
A quel punto Sarah la guardò stupita finché un lampo di comprensione attraversò i suoi occhi e appoggiò la mano sulla spalla dell’amica che annuì.
- Ah! C’è qualcuno che ti vuole vedere.- esclamò Sarah. Si scostò e Raen vide che sulla porta era ferma Ayumi.
La bambina sorrise tristemente e Raen ricordò il giorno in cui l’aveva nascosta dai Pacificatori che la stavano cercando per un furto di pane. Da allora la bambina era sempre stata con lei.
Ayumi si avvicinò e le prese la mano. Poi, timidamente, disse: - Buona fortuna Raen. -
La ragazza, inaspettatamente, sorrise con dolcezza e rispose: - Grazie mille, Ayumi.-
-         Voi due fuori!- tuonò il Pacificatore di guardia e le due la salutarono mestamente.
Raen si massaggiò le tempie cercando un’altra volta di riordinare le idee e venendo un’altra volta interrotta dall’entrata di…Max.
-         Massimo? Come mai qui?- chiese Raen, stupita dalla sua entrata.
Il ragazzo sembrava sconvolto quanto lei da quell’atto, ma, arrossendo, riuscì ad avvicinarsi a piccoli passi e a dire: - Raen, io…volevo darti un portafortuna.-
La ragazza annuì, perplessa, e lui le stampò un veloce bacio sulle labbra che la fece restare di stucco.
-         Tutto qui, ok?-
-         C-Certo.-
E Max uscì.
 
Skeet aspettava che arrivassero e intanto si chiedeva cosa cavolo l’avesse spinto a compiere quel gesto assurdo. Era stata forse pietà per Emis? O più semplicemente la cotta per Lucette aveva raggiunto i massimi storici?
-         Skeet!- esclamò sua madre precipitandosi nella stanza.
-         Ehi, mamma, come mai queste lacrime?- chiese il ragazzo stringendola.
-         La tua pazzia le causa! Come hai potuto pensare di offrirti?!- esclamò lei stupefatta.
-         Mamma io sono Skeet Larmor, andiamo! Sono certo che tornerò!-
-         Sempre il solito.- sbuffò Kyrion, il fratellastro di Skeet.
-         Ehi, Kyr, sto andando a combattere! Un po’ di sostegno per il tuo fratellone!-
L’undicenne alzò gli occhi al cielo, poi si avvicinò al ragazzo e i due batterono i pugni.
Poi la madre si staccò e lo fissò con gli occhi lucidi.
-         Tifiamo per te, Skeet.- gli disse.
-         Lo so mamma.-
Un ultimo abbraccio e poi dovettero uscire.
Al loro posto entrò Rox.
-         Ehi, Skeeter.- esordì.
-         Ehi, Roxanne.- replicò l’altro.
-         Anche ora fai l’imbecille?- chiese l’amico.
-         Ora o mai più, giusto?-
-         Già.-
Rimasero in silenzio per un istante, poi sul viso di Rox si disegnò un sorriso malizioso.
-         A proposito, complimenti per lo spettacolino.-
-         Ma piantala.-
-         Skeety, si è vista la lingua.-
-         Per favore, Roxy. Con gli occhi che ti ritrovi è già tanto se mi hai visto salire su quel palco.-
-         Ecco appunto. Non ti facevo così romantico.-
-         E io non ti credevo così deficiente.-
-         Vedi, ogni giorno si scoprono cose nuove.-
-         Che gioia.- rifletté per un secondo e poi chiese: - Lucette che fine ha fatto?-
-         Si è data alla fuga, trascinando via Emis. Le mie fonti mi riferiscono che era rossa come pochi. Forse le vostre azioni conturbanti l’hanno sconvolta.-
-         Dici? In effetti eravamo molto focosi.-
-         Mi avete shockato.-
-         Perdonami.-
-         Supererò la cosa. -
-         Salutami tutti. Mi raccomando.-
-         Bacerò Lucette per te. -
-         Non ci provare perverso.-
Rox sogghignò, poi, sentendo il Pacificatore che si avvicinava, si affrettò e lui e Skeet si strinsero in un imbarazzato abbraccio simil-fraterno.
-         Vedi di tornare.- lo ammonì Rox.
-         Ovvio.-
 
Magda, seduta su un divanetto,osservava assorta le sue mani. Non si era pentita del suo gesto, ci teneva a suo nipote, ma solo in quel momento cominciava a rendersi conto delle conseguenze.
Come sarebbe potuta andare nell’Arena, lei che era così debole? Tara avrebbe avuto più possibilità di vincere, pur essendo incinta.
Lupus in fabula, la sorella entrò nella stanza. Con stupore di Magda, sul suo viso scorrevano lente delle lacrime.
Tara s’inginocchiò davanti alla sorella e appoggiò la testa alle sue mani.
-         Perdonami sorellina, perdonami.- mormorò. Magda rimase in silenzio e lei continuò: - Sono stata un’emerita stronza e non sai quanto me ne penta. Tu sei…sei sempre stata mille volte migliore di me e io…ero gelosa. Sono stata una stupida, mi puoi perdonare Magda?- concluse guardandola negli occhi.
Magda rimase un attimo in silenzio, poi rispose: - Certo che ti perdono, Tara. È ovvio che ci vorrà un po’ per dimenticare tutto, ma ce la farò. E comunque, sappi che mi sono offerta solo e unicamente per lui. O lei.-
Tara annuì con un lieve sorriso e si alzò per abbracciarla. Magda rispose esitante.
-         Tara. Promettimi una cosa. - mormorò quando si fu staccata dalla sorella.
-         Certo.-
-         Tieni il bambino, per favore.-
Con suo stupore, l’altra annuì convinta: - Tranquilla, ho già detto tutto a mamma e papà. Questo piccolino non se ne va. Ah, ti mandano i loro saluti. -
- Grazie.-
Risero timidamente, poi la sorella le schioccò un baco sulla guancia di Magda e uscì lentamente.
Al suo posto entrò Chris, il giardiniere tanto caro alla ragazza.
-         C-Chris. Come mai qui?- riuscì a sussurrare arrossendo dopo essere scattata in piedi.
-         Per salutarti.- replicò lui.- E per dirti che…che tu devi tornare Magda. Io…non riuscirei a sopravvivere alla tua morte. Ti prego, torna.- terminò con foga.
La ragazza rimase ferma e boccheggiante per qualche secondo, poi annuì.
Chris sembrò sollevato, e sorrise, poi uscì.
Magda crollò di nuovo sul divanetto, shockata e sempre più consapevole del fatto che molte, troppe, persone contavano su di lei. Al suo ritorno, si promise, avrebbe detto tutto a Chris. Sì, l’avrebbe fatto.
La porta si aprì per la terza volta, per far entrare Valerie e Jeanne. La prima corse verso di lei e, dopo averla fatta alzare, cominciò a scrollarla per le spalle.
-         Piccola pazza, fra tutti per Tara ti dovevi offrire?!-
-         Io veramente…-
-         Adesso torna però! Cioè, ormai sei in ballo e devi ballare! Fatti valere perché ne sei capace ok?!-
-         Certo, ma…-
-         Perfetto! Quindi tornerai perché tu ne sei capace. Tutto chiaro.-
-         Sì, però…-
-         Ottimo siamo d’accordo. E adesso, dove l’ho messo? Ah, eccolo.- tirò fuori un ciondolo cui era appeso un fiore essiccato: - È coriandolo.- spiegò Valerie.- Significa “valore nascosto”. In altre parole, vedi di tirare fuori gli attributi in Arena ok?-
Un sorriso affiorò sul volto di Magda che annuì e abbracciò l’amica.
Poi Valerie si scostò per far avvicinare Jeanne che, commossa, abbracciò dolcemente Magda.
Quando fu rimasta sola, un brivido le attraversò la schiena. Sarebbe stato il suo ultimo abbraccio?
 
Jude fissava la corda di violino che aveva deciso di portare con sé. Non era particolarmente preziosa, ma era casa e tanto bastava.
Come si aspettava, i primi ad arrivare furono i suoi familiari.
-         Come va, Jude?- chiese la madre.
-         Be’, avrei preferito non essere estratto, ma se così deve essere…-
-         Il mio bambino.- mormorò sua madre abbracciandolo.
-         Figliolo, tu hai tutte le qualità per tornare. Io sono certo che vincerai.-
-         Sì. -
Lo abbracciarono forti, incapaci di parlare del loro terrore che si era improvvisamente concretato.
Si spostarono per far passare Danielle.
-         Ciao fratellino.- mormorò sedendosi accanto a lui.
-         Ciao. -
La ragazza fece passare il braccio sopra le spalle di Jude e appoggiò la testa sulla sua spalla.
-         Ehi, cosa mi dovevi dire?- chiese il ragazzo.
-         Oh, quello…- Danielle lanciò una veloce occhiata ai genitori, poi si passò velocemente una mano sulla pancia.
-         Ah, capisco.- commentò Jude.
-         Credo che se sarà maschio lo chiamerò…-
-         Non come me spero. Non sono mica morto.- osservò Jude.
Danielle rimase interdetta, poi capì e annuì. Lo baciò sulla fronte e si alzò. A quel punto lei e i genitori se ne andarono lasciando nella stanza solo Jude e Kathy, la cugina del ragazzo.
I due erano molto legati, erano cresciuti insieme.
Lui si alzò e i due si strinsero in un veloce abbraccio.
-         Tornerai?- chiese Kathy.
-         Come si suol dire se la buona sorte sarà a mio favore.-
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Loony Evans