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Autore: debbythebest    03/04/2013    1 recensioni
Questa storia è ambientata Dopo The Departed, in un AU dove Stefan è stato soggiogato da Rebekah, ed Elena è morta come nella fine della serie. Ma qualcuno si sentirà in debito nei suoi confronti. Qualcuno la aiuterà con i nuovi e improvvisi cambiamenti. L'amore si nasconde dietro ogni momento. Tutto ciò che dobbiamo fare, è capire se siamo pronti ad accogliere questa consapevolezza.
/Tratto Dal Primo Capitolo/
Prima che potessi rendermene conto, la mia vista si offuscò, ed un senso di smarrimento si fece strada in me. Sentii che provare a respirare sarebbe stato solo tentativo di rianimare un corpo ormai inghiottito dall'acqua. Era dunque questo, ciò che significava morire? Perdere semplicemente conoscenza, e non risvegliarsi più?
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Elijah, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After the Departed - Elena's diary <3'
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25-Nostalgia di ciò che eravamo...




Ekaterinburg 1912
 
Provava qualcosa che lo faceva sentire strano. Non era qualcosa di forte, o forse si. L'unica cosa che Leo sapeva era che niente sarebbe più stato come prima. Anzi, niente era come sarebbe dovuto essere ormai da anni. Per lui il tempo scorreva lento ed inesorabile come se si fosse trovato in una clessidra rotta. E mentre le persone a lui care morivano e crescevano, o semplicemente vivevano la loro breve vita, lui rimaneva intrappolato. Soggiogato dal tempo. All'inizio pensava di essere invincibile, che l'immortalità fosse il dono più bello del mondo. Aveva imparato ben presto cosa significasse però. Strinse il foglio che si ritrovava in mano con forza, cercando di mascherare il fatto che le mani gli tremassero più del normale. "Doveva succedere...". Si ripetè stanco. "Doveva succedere prima o poi Tolstoy...". Un uomo, quello che gli aveva portato quell'inutile pezzo di carta straccia con il potere di sconvolgere la sua vita, lo fissò preoccupato. Dal suo cipiglio austero non doveva aver capito molto di lui.
 
-Vuole che...-. Come se quella voce lo stesse riportando alla realtà Leo lo zittì. No, voleva restare ancora un po' nei suoi sogni prima di tornare alla cruda realtà. Nella realtà dove tutte le persone che amava erano morte. Strinse i denti e strizzò forte gli occhi, per impedire a qualsiasi cosa di farlo svegliare.
 
-Signor Hindemburg, sua zia le ha lasciato una...-. Ignorando l'anziano uomo baffuto che era l'assistente di sua cugina cercò di rimanere ancora nei suoi pensieri. Ma ben presto si rese conto che nonostante tutto non sarebbe servito. Tutto intorno a lui era avvizzito e invecchiato, persino la sua adorata Marijah.
 
-Senta, Ivan, lo so che io e lei non siamo mai andati d'accordo negli ultimi anni...potrebbe però lasciarmi in pace per un po'?-. Sottolineò l'intera frase tentando di mantenersi distaccato il più possibile.
 
-Ma signor Hindemburg é della massima urgenza! La signora Tolstoy non...-. Leo si voltò con sguardo furioso verso di lui. Aveva una profonda rabbia dentro di sé, e Ivan Covoskj aveva avuto la brutta sfortuna di istigarlo.
L'uomo non indietreggiò spaventato come il ragazzo si era aspettato, anzi si avvicinò di più a lui.
 
-Leo ora basta. Sto parlando dal corpo di questo uomo per avvertirti che ciò che stai per fare è profondamente sbagliato. Non devi lasciarti dominare dalla rabbia, figliolo...-. E lo indicò con lo sguardo. L'altro rabbrividì e fece qualche passo indietro. E ora? Chi era quello?
 
-Sai chi sono ragazzo. Lo sai. Ho fatto in modo che la tua amata Marijah vivesse una vita piena di spensieratezza, ma la sua ora era arrivata. Non c'era niente che tu potessi fare!-. E marcò sull'ultima frase piuttosto coinciso. Lo sguardo attonito del ragazzo di fronte a lui era come una pugnalata al cuore per lui.
 
-T-Tu...tu sei...no!-. Mormorò sbigottito mentre calde lacrime si facevano prepotentemente strada fuori dai suoi occhi.
 
-No!-. Urlò a sè stesso.
 
-Si!-. Rispose L'uomo con violenza. -E ora, dato che hai passato tutta la tua vita a vagabondare da una città all'altra, ed a trascinare la tua misera esistenza di luogo in luogo usando i tuoi poteri da irresponsabile...-. Si fermò come per riprendere fiato. Poi continuò. - Ti sei preso gioco di me in un certo senso. Invano pregavo gli altri di lasciarti fare le tue esperienze, ma i Dodici non perdonano neanche uno dei Cinque! Ora...vedi di prenderti le tue responsabilità e di non  usare i tuoi poteri in modo così scoperto. Leo Tolstoy deve morire!-. E dicendo questo Ivan cadé a terra svenuto prima che l'altro potesse aggiungere qualcos'altro. Con occhi spalancati Leo cercò di farsi forte, e trascinò l'uomo sulla poltrona più vicina. Ultimamente succedeva tutto a lui. Non invecchiava, quindi dovette abbandonare la sua vecchia identità ed assumerne una nuova. Mentre grazie ad un incantesimo un "vecchio sé" passava i suoi ultimi anni con la "sua" famiglia e pubblicava i libri a suo nome riscuotendo molto successo, lui se ne stava in disparte. A guardare lo spettacolo di quella che sarebbe dovuta essere la sua vita. Sua cugina era così diventata sua zia, e lui da Lev (Leo in russo) Tolstoy aveva preso l'identità di Vladimir Hindemburg. Sospirò pensando a ciò che era appena successo. Suo padre Apollo aveva trovato un altro modo per sgridarlo.
 
-Usi i tuoi poteri con irresponsabilità !-. Disse imitando l'accento del padre. Aveva imparato a conoscerlo nel tempo, e non riuscì a capire come sua madre avesse potuto amarlo. Era semplicemente...insopportabile. Era un pallone gonfiato troppo che quando era di buon umore parlava in rima...
 
Quando Covoskj si riprese sulla sua faccia c'era uno sguardo piuttosto confuso.
 
-Cosa é successo signor Hindemburg?-. Leo alzò le spalle.
 
-Le é venuto un attacco d'ansia, Covoskj! Ora mi dica, avanti!-. L'uomo si mise composto e si aggiustò la camicia. Dagli enormi baffi grigi il semidio lesse nient'altro se non preoccupazione. Per quello che stava per fare. Paura della sua reazione. Erano utili alla fine i suoi poteri.
 
-Come sa sua zia ha lasciato tutto a lei, e questo fa di lei uno degli uomini più ricchi e nobili di tutta Russia...ma...-. "Niente di buono...". Pensò l'altro.
 
-Ma??-. Lo incitò ancora.
 
-Ma c'era una clausola. Sul letto di morte la duchessa mi ha riferito una scioccante verità: sua figlia Marianna, avrebbe avuto una figlia  prima di morire dieci anni fa. É morta di parto, signor Hindemburg!-. E a quelle parole Leo sussultò inconsciamente. Cosa? La piccola Marianna una figlia? Aveva a malapena diciotto anni...
 
-Quindi...-. Si portò la testa fra le mani quandi Ivan gli passò una lettera.
 
-Qui è descritto tutto dettagliatamente!-. Leggermente barcollante Covoskj si alzò dalla poltrona e raggiunse la porta. Prima però lo fissò con compassione.
 
-Lo so che lei é un giovane a cui piace il gioco e il divertimento Vladimir, ma la prego di mostrare compassione per quanto leggerà, e di prendersi le sue responsabilità!-. Ancora, ancora, ancora responsabilità...tante volte ormai questa frase era risuonata nella sua testa. Dopo che l'uomo uscì con uno scatto improvviso l'altro poggiò il capo contro il vetro della finestra all'altra parte della stanza.
 
-Cosa ti sei inventata Mari? Cosa stavolta?-. Disse ad alta voce. Quando gli era arrivata la notizia della sua morte era a Mosca cercando di nascondersi dai suoi nemici e dagli sguardi indiscreti. Una volta la cameriera di Marijah l'aveva guardato spaventato, ed aveva detto spaventata "Ma che demonio sei tu?". E quello era bastato per fargli capire che doveva lasciare quella città. Se la cameriera l'aveva riconosciuto, figuriamoci gli altri. Troppi ricordi della sua infanzia passata insieme a Marijah. Naturalmente lei era di dieci anni più piccola, e non la si poteva definire esattamente "infanzia", ma era proprio su quella finestra che lei e lui avevano allacciato i loro rapporti. Discutendo di letteratura. E quando suo padre lo portava alla loro residenza estiva, Leo sapeva che nella casa di fronte c'avrebbe trovato la sua Marijah. L'unica in grado di capirlo e sostenerlo, il suo mondo intero. Ed ora lei non c'era più!
Chiuse gli occhi un momento e con fretta e furia aprì la busta laccata.
 
"Caro Leo,
Questa lettera non é scritta da me, ma da Ivan. Da anni egli é a conoscenza del nostro segreto. Ti prego di non avere dispiaceri, poiché in cuor tuo sapevi che sarebbe arrivato il momento in cui ci saremmo arresi alla potenza del tempo. La mia vita é al suo crepuscolo, e sento che sperare di sopravvivere sarebbe solo un volgare tentativo di spingere il mio esausto corpo all'impossibile. Rimembri quando nella gioventù che  ancor ricordo con nostalgia, mi parlavi di Anna? Io ti dicevo che non avrebbe funzionato tra voi due, ed é stato così. Non che volessi portarti sfortuna, ma a quanto pare la povera Anna aveva un destino ben diverso. Ed è di questo che si tratta. Di Destino. Di quel filamento sottile che si contrappone tra il tempo stesso e la potenza divina. Perché a volte é semplicemente impossibile sfuggirvi, ma a volte gli si può addirittura ridere in viso. A te vanno tutte le nostre proprietà, compresa la casa con la famosa finestra. Ma non sei l'unico ad essere titolare dei miei beni, poiché qualcuno di cui non ti ho parlato, sarà al tuo fianco. Ti prego di trattarla come tratteresti me, Leo. E non solo perché mi assomiglia in una maniera impressionante, ma perché é sangue del tuo sangue. Quando Marianna morì, che Dio sia sempre con lei, diede alla luce una bambina. Fu tenuta nascosta, per non suscitare lo scandalo. La nascondemmo persino a te. Irina é il suo nome. Se sul tuo viso ora ci sono dipinte delle rughe di rabbia, posso capirti. Ma lo posso fare ancora di più,se il tuo viso é pieno di quelle lacrime tanto strane che hanno sempre illuminato i tuoi occhi.
Leo, mia nipote é la cosa più preziosa che Marianna ci ha lasciato, e come tale ti chiedo di istruirla come se fosse tua figlia. Tanto difficile é non amarla, che il compito ti risulterà più che facile. Se ci hai tenuto a me, sai cosa fare.
 
Tua Marijah."
 
Represse un singhiozzo con il polso e strinse gli occhi ancora. Guardò fuori il paesaggio ricoperto di ghiaccio con nostalgia. Prima scoppiare in un pianto respirò lentamente e si sedette con strana calma.
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Era troppo preso a studiare la macchina che non aveva neanche sentito il modo in cui l'aveva chiamato. Se le sue orecchie fossero stata attente avrebbe ascoltato la voce melodiosa della ragazza che per la prima volta lo aveva chiamato per nome.
Mai un attimo aveva smesso di definirlo "incrocio tra un cane ed un pipistrello".
 
-Tu credi che...-. La fissò mentre decisa scendeva dalla macchina e toccava l'automobile come se ci vedesse qualcosa. Itaca chiuse gli occhi e si concentrò sulle vibrazioni che emanava il metallo del cofano posteriore. Sembrava...impregnata della stessa forza che aveva attraversato il suo torace.
 
-Ma che fai? Sei completamente impazzita??-. Sentì una mano che le afferrava la spalla e incontrò un paio di occhi azzurri che le intimavano qualcosa.
 
-Che stai dicendo? Sono vicinissimi, lo sento!-. Lui scosse la testa mantenendo un'espressione piuttosto cattiva.
 
-No, non lo sai!-. E la trascinò indietro.
 
-Certo che si!!-. Si infuriò lei ribellandosi. Lo spinse via con una forza che non sapeva di possedere, e che sorprese tutti e due.
 
-Itaca torna in macchina!-. La avvertì lapidario. Ma lei non ascoltò. Perché ora che era così vicina al traguardo la teneva lontana da tutto ciò che cercava??
Nik sembrava un lenzuolo bianco, un vero straccio. Un momento dopo si era ricordato del perché lo stile di quell'automobile gli fosse così familiare. Era lo stile di Elijah. E se la ragazzina aveva ragione, lì c'era anche L'ex Doppelganger. Il che significava che c'era suo fratello, e a lui proprio non andava di farsi trascinare dai ricordi e dai legami familiari. Aveva seguito Itaca per uno scopo puramente egoistico: trovare la chiave del mondo dei morti ed essere totalmente immortale. Pensava di esserlo prima, ma poi Elena ed i suoi amichetti avevano giocato ai "maghetti" ed erano riusciti ad ucciderlo. Era partito tutto per una sua mania, ma poi si era lasciato trascinare anche dalla storia della redenzione.
 
-Io non ci torno in macchina, Niklaus!-. E si tirò indietro amareggiata. Vedeva lo sguardo spaesato dell'ibrido, e capì che era spaventato. "Di cosa??". Si chiese mentalmente mentre tante idee sfioravano il suo cervello. Cosa poteva spaventarlo al punto di reagire così..."Cinque"?...
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In lontananza mi sembrò di sentire una macchina che frenava rumorosamente, ma non ci feci molto caso presa com'ero dalla situazione. Ora che ci pensavo quello che aveva detto Elijah aveva un senso. Potevo avere altri poteri...anche se non  sapevo bene quali, ero certa che questi trall'altro non fossero gli unici.
 
-Mio Dio...-. Constatai. Elijah fece fatica ad alzarsi, ma alla fine ci riuscì.
 
-Elijah...io...mi dispiace...-. Accorgendomene solo in quel momento lo feci appoggiare di nuovo all'albero per non fargli sforzare la caviglia che evidentemente non stava molto bene.
 
-Non é niente, credo sia solo una distorsione!-. Mentre provava a mettersi più comodo gli uscì un rantolo, così cercai in un modo che neanche io conoscevo di alleviare il suo dolore.
 
-Solo una distorsione??-. Chiesi allarmata. Di certo una distorsione causava un bel dolore, e se consideravo che lui era umano faceva molto male. Da piccola avevo passato quella brutta esperienza. Quando i miei genitori erano ancora vivi c'eravamo fermati per un weekend alla casa sul lago. Per stare un po' lontani dal mondo che ci circondava, per stare uniti come famiglia. Ed era proprio lì, che sulla sponda del lago ero caduta nell'acqua scivolando e distorcendomi la caviglia. Era una cosa da niente forse, ma ne rimasi segnata per molto tempo. Talmente da tanto tempo quell'esperienza faceva capolino tra i miei ricordi, che ora se mi concentravo anche solo minimamente riuscivo a sentire ancora il dolore. E questo si rifletteva sul mio ragazzo.
 
-Si, e allora?-. Sbattei le ciglia più volte come se non avessi capito bene.
 
-Come "allora"?-. Lui alzò le spalle come se non fosse successo niente, e la mia pazienza iniziò a scarseggiare. Mi offrì un sorriso che poteva sembrare rassicurante, ma che sapevo era una smorfia di dolore trattenuta. Riuscivo a sentire il suo battito cardiaco aumentare, e sapevo con certezza che non stava bene ed aveva paura.
 
-É una distorsione. Non é la prima nella mia vita. Quando ero ancora umano sono caduto almeno tre volte da cavallo rompendomi qualcosa!-. Lo disse con una tale normalità da farmi quasi pensare che non fosse mai stato umano. Riusciva a restare serio anche nelle situazioni più strane. Estraniandosi da una qualunque situazione egli volesse e riferendo tutto con una naturalezza inquietante. Ad esempio ora descriveva quello che era successo come se fosse stata non una parte della sua vita passata, ma una lontana esistenza della quale non conosceva altro se non un'ombra...nient'altro che un'ombra di  Elijah il figlio di Mikalel e di Esther...
 
-Quindi non ti fa male?-. Lo sfidai imperterrita e puntai un piede al suolo più silenziosamente di quanto avrei voluto .
 
-Non ho detto questo!-. La sua voce cambiò di espressione e mi rilassai un po'. Con un gesto meccanico mi portai io polso alla bocca e sentii i miei stessi denti conficcarsi nella vena. Prima che guarisse glielo porsi. Lo vidi un po' esitante, ma alla fine se sentii le sue labbra sulla mia pelle e degludii quando iniziò a bere. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da un qualcosa che non avevo mai visto in lui. L'altra volta, quando era ammaccato persino più di così, avevo sentito la mia forza fluire in lui, e tutto ciò che fino a poco prima avevo saputo sul cosa volesse dire dare il sangue ad un umano era stato riscritto nella mia mente a fuoco. Più che riscritto, ristampato ...
Non avevo mai visto Elijah lasciarsi andare così. Sembrava ammaliato dal sangue, come se non fosse mai stato un vampiro e non conoscesse nulla su questo.
 
-Ora basta!-. E sentii che lasciandava andare il mio polso. La ferita che rimarginava piuttosto in fretta.
 
-Come ti senti...-. Dissi incerta, anche se suonò come una domanda storpiata dalle mie labbra.
 
-Bene credo. Io...non ero molto preso dalla guarigione...-. Sussurrò vago e provò a mettersi in piedi.
 
-Sembra sia a posto...-. E mi sorrise come un bambino. Ecco. Era in questi momenti che sentivo di poter essere felice. Forse perché il mio umore ormai era legato al suo...
 
-Vieni qui!-. E non me lo feci ripetere due volte.
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Le nuvole si vedevano ancora nel cielo notturno. Non erano bianche, certo, ma davano ancora quell'aspetto diurno al firmamento che invece era tinto di un azzurrino sbiadito. Era quel periodo della giornata quando la sera é già arrivata, e si fonde in una danza di colori con il giorno che invece va via minuto dopo minuto. Quel periodo del dì che sembra non aver nome. Pensandoci bene, un nome forse ce l'aveva, ma non le andava di mettersi ad archiviare tutti i suoi ricordi cercandolo. Ora le andava solo di godersi quello spettacolo. Si sentiva spenta, stranamente vuota anche se non capiva perché. Tyler era di nuovo con lei, Klaus non si faceva più vedere e Bonnie era di nuovo sua amica. Allora perché stava così male? I pensieri della ragazza furono interrotti dalla voce dell'uomo alla guida.
 
-Che silenzio...-. Constatò Leo con gran voce. Ma non ebbe risposta. Caroline lo guardò di sfuggita, mentre spostava poi lo sguardo sulla strega. Bonnie sembrava assorta quanto lei nel paesaggio.
 
-E tutti risposero!-. Fissò la ragazza nel sedile vicino al suo ed ebbe una sorta di istantanea simpatia per lei. Non seppe perché, e neanche se lo chiese, ma in un primo momento gli aveva ricordato sua cugina. Quel suo essere schietta e non aver peli sulla lingua. In un primo momento, certo. Poi aveva visto questo suo lato triste e vuoto, e comunque la sua opinione non era cambiata. Non gli ricordava sua cugina, era esattamente come lei. Probabilmente era a causa del suo essere leggermente "nevrotica" a causare senza motivo tristezza. Le sorrise senza che lei lo notasse.
 
-Vuoi parlare, Caroline?-. Chiese improvvisamente. Ottenne la sua attenzione così. La vampira si voltò lentamente verso di lui, come a voler sottolineare la stranezza della situazione per lei.
 
-Non lo so io...-. Lanciò un'ultima occhiata a Bonnie e poi titubante spostò definitivamente lo sguardo su di lui.
 
-Non mordo mica, sai?-. Sorrise e guardò la strada davanti a se stesso.
 
-No, penso di no. É solo che non so di cosa dovrei parlarti...-. Leo si voltò verso di lei con uno sguardo tra io divertito e lo scettico. In quel preciso momento Caroline sarebbe voluta sprofondare. Non sapeva perché si sentiva così. Aveva un miscuglio di sensazioni dentro che non sapeva definire. Confusione, sfinimento...il tutto mescolato all'imbarazzo che provava nello stare di fronte al semidio.
 
-Oh andiamo! Lo so che non sei per niente taciturna. Te lo leggo negli occhi. E poi mi sei davvero molto simpatica...-. Aggiunse quest'ultima frase leggermente vago, per farla indagare sul suo atteggiamento. E se il fatto che gli sembrasse come sua cugina aveva un fondamento, ora lei avrebbe indagato.
 
-Come mai? Neanche ti sarai fatto un'impressione ....-. Sorrise lei nervosa. A Leo sfuggì una risata. "Proprio come Marijah...". Pensò elettrizzato.
 
-Mi ricordi una persona!-. E incrociò il suo sguardo azzurro come il cielo.
 
-Chi?-. Si interessò lei.
 
-Mia cugina. La mia migliore amica!-. Rispose loquace. Alla bionda questo non sfuggì, e si chiese se lui si aspettasse che gliel'avrebbe chiesto. Forse...
 
-Eri amico di tua cugina? Io e mio cugino non facciamo altro che litigare...-. Lo disse come se la precedente affermazione fosse stata la cosa più strana su questa terra.
 
-Si. Lei era tutto il mio mondo. Mi fidavo più di lei che di tutta la mia famiglia messa insieme...quando lei é morta io....é stato...-. Si fermò improvvisamente e le offrì un sorriso rassicurante, anche se dentro di lui c'era solo rammarico. Ma ora non era di questo che voleva parlare. Meglio non riportare in vita ricordi solamente dolorosi , no?
 
-Mi dispiace...-. Ammise con sincerità la bionda.
 
-Quindi...cos'è che ti turba?-. Domandò riprendendosi all'istante. Almeno in apparenza.


NDA: OH MY GOD o.o nn smetterò mai di scusarmi per aver postato così tardi ragazzi, mai mai. Ultimamente lo studio e gli altri impegni si succhiano via così tanto tempo che a malapena riesco a postare...infatti quando lo faccio ,lo faccio in ritardo... -.-
Come sempre un grazie mille mille mille (tremila :-D) a chi recensisce e segue la mia storia :-P so di essere un tipo piuttosto difficile ... emmm...quindi...che ne pensate?
   
 
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