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Autore: amanda91    03/04/2013    5 recensioni
Elena brama la vita, ma vive di menzogne. Damon è fuggito anni prima. Un incontro inatteso, destinato ad unirli. Due vite destinate ad incontrarsi, due anime destinate ad amarsi.
N.B= Tutti umani
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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POV DAMON


Era trascorsa una settimana, interminabili sette giorni da quella notte, e di Elena nemmeno l’ombra. Lo aveva capito da un pezzo che era intenzionata ad evitarlo, e nonostante gli capitasse a volte di sentirne la bruciante mancanza, per quanto in quei giorni troppo spesso aveva pensato di mandare tutto all’aria per correre da lei, anche solo per vederla pochi attimi, aveva concluso amaramente che forse era meglio così. Meglio per entrambi evitarsi come la peste, perché ormai avevano capito tutti che se fossero rimasti nella stessa stanza sarebbe accaduto l’inevitabile. Lo aveva capito anche lui che la storia era  destinata a ripetersi, e non era poi così certo di saperne affrontare le conseguenze. Ma ancor meno era sicuro di riuscire a fare a meno di lei.
Natale era alle porte, il gelo tagliente di quel martedì sedici dicembre ricopriva ogni cosa di una patina umida e densa, una fitta nebbia disperdeva nell’aria l’odore di freddo e noccioline per le vie di Atlanta. Miriadi di lucette colorate in equilibrio sui lampioni della città accecavano a sprazzi il suo cammino silenzioso, e malinconiche canzoncine natalizie ridondavano per i vicoli della città, senza proveniente, né una meta, arrivavano a lui oltrepassandolo per disperdersi lontane. Urla di bambini e genitori alle prese con i primi regali, intere famiglie si preparavano alla festa. Aveva dimenticato cosa significasse riunirsi ad una famiglia in quei giorni, mangiare fino a scoppiare, cantare a squarciagola tutta la notte, scambiarsi i regali ai piedi di un grosso abete illuminato. Aveva scordato ogni cosa di quelle stupide smancerie, ma non la gioia negli occhi di sua madre la mattina di Natale, con l’immancabile pigiama rosso di flanella e i regali tra le mani.
Sorrise al flebile ricordo immergendosi nel calore del palazzo dov’era destinato. Oltrepassò distratto la reception e aspettò l’ascensore che lo avrebbe condotto al decimo piano. Suo padre lo attendeva in redazione, dove gli aveva chiesto di raggiungerlo, senza ulteriori spiegazioni.
 

“Cos’è successo con Klaus?” il timbro grave e adirato con il quale gli si rivolse non appena mise piede nel suo ufficio spoglio e privo di calore gli fece intuire all’istante a cosa si stesse riferendo.
“Niente che ti interessi” deviò con una scrollata di spalle.
“Mi interessa eccome dal momento in cui sei stato denunciato e per colpa tua abbiamo rischiato di perdere un affare sul quale ho puntato praticamente tutto!”
Con un colpo secco alla scrivania pensò forse di intimidirlo, non seppe dirlo con certezza, ma comunque non riuscì nel suo intento. Aveva smesso di averne paura da tanto. Da troppo ormai aveva perduto la referenza e il rispetto nei suoi confronti.
“Non mi è stata notificata nessuna denuncia”
“Si invece, l’ha trovata tuo fratello e l’ha data a me”
Una pugnalata al cuore gli avrebbe, forse, fatto meno male. Un colpo basso del genere non se lo aspettava, non da suo fratello, nonostante tutto il male e le incomprensioni. Ingenuamente non lo credeva capace.
“Vedo che ormai fate coppia fissa – osservò contrariato – beh, che vuoi?”
“Che tu la smetta di fare casini”
“Suppongo sia inutile tentare si spiegare come sono andati i fatti” ipotizzò amareggiato, già pronto a dileguarsi.
“Quanto ti serve Damon? ventimila dollari ti bastano per ripartire?”
Diretto, senza mezze misure, suo padre. Propose l’unica soluzione per lui possibile, che lo sdegnò se possibile ancora di più.
“Sai di cosa ho bisogno io? – urlò furente – di vedervi tutti morti!”
“Sei una mina vagante figlio mio, e io non posso stare dietro ai tuoi colpi di testa. O vai via, o impari a controllarti”
Gli comunicò freddo come il ghiaccio, privo di qualsiasi inflessione, delicatezza, comprensione o perlomeno un’ombra di amore paterno. Giuseppe Salvatore, lo spietato uomo d’affari, non aveva mai saputo fare il padre, e non ci riuscì nemmeno quella volta.
“Cos’è che ti preoccupa precisamente paparino? Che i miei colpi di testa mettano a repentaglio l’onore della famiglia o che la mia bocca larga comunichi al mondo cos’ha fatto tuo figlio insieme a Klaus Mikaelson e come i nostri ricchi padri ci hanno tirato fuori dai guai facendo ricadere la colpa su di un innocente?” domandò spietato andando dritto al nocciolo della questione. Inutile girarci intorno, era quello che l’anziano temeva da sempre.
“Damon abbassa la voce!” gli intimò scrutandosi intorno guardingo, come se davvero qualcuno potesse sentire attraverso gli spessi vetri antiproiettile del suo studio.
“Agli ordini papà! – si inchinò sbruffone e disgustato – ora se non ti spiace vado a fare due chiacchiere con il piccolo Salvatore!” comunicò quasi divertito dall’espressione vigile dipinta sul viso indignato dell’uomo a quell’ultima sua uscita.
Sbatté la porta lasciandoselo alle spalle e fu così che tornando alla caotica redazione notò il suo piccolo e modesto studio, nascosto a malapena da una tapparella. Ma lei era lì, poteva vederla chiaramente.
I lunghi capelli raccolti in uno chignon disordinato dal quale diversi ciuffi morbidi ricadevano sul viso sfuggendo ribelli, un’espressione seria e concentrata sul volto, di tanto in tanto arricciava il naso o sbuffava contrariata per chissà quale errore comparso sullo schermo dinanzi a lei. Sorseggiava un caffè tanto concentrata da non accorgersi di lui che come un uragano irruppe nella stanzetta chiudendosi con forza la porta alle spalle. Era arrabbiato, oltraggiato, fuori controllo, e aveva bisogno di lei. Doveva vederla, toccarla, sentire la sua voce. Non poteva farne a meno, non in quella giornata. Al diavolo ogni buon proposito, la desiderava con tutto sé stesso ed era stanco di negarlo.
“Mi stai evitando” proruppe senza mezze misure, non lo chiese. D’altronde sapeva già la risposta. Gli occhi della ragazza saettarono verso i suoi, lucidi di paura mentre sussultava spaventata.
“Damon – sussurrò paonazza – io… non ti sto evitando!” spiegò in un balbettio confuso guardandosi intorno senza posare l’attenzione su di lui, cosa che lo mandò in bestia.
“Bene, ma guardami negli occhi mentre parli”
Obbedì mansueta spostando lo sguardo nel suo. Ci vide tormento e stupore negli occhi, profondi e inquieti, lucidi. Ed ebbe la certezza che anche lei avvertiva la forza magnetica che li avvicinava. Era quello il tormento che vi lesse. Ne era consapevole quanto lui, e per questo era fuggita. Non era scappata da lui, ma dal desiderio reciproco che li aveva travolti.
“Non ti sto evitando” ripeté, se possibile ancor meno risoluta di prima.
“Stai mentendo, e lo sai bene”
“Perché sei qui?” chiese di rimando lei, ignorando bellamente le sue accuse. Sembrava pregarlo di smetterla, con gli occhi e quel continuo sviare.
“Fa differenza il motivo per cui sono qui?”
“Si, perché sei sconvolto” notò sincera recuperando in parte la fermezza persa. Sbuffò irrequieto avvicinandosi alla scrivania confusionaria e quindi anche a lei che indietreggiò appena di riflesso, spaventata.
“E hai paura che faccia qualche cazzata” ipotizzò sorridente di stizza, notando l’espressione corrucciata e dubbiosa sul suo volto, il corpo rigido, in attesa, o forse semplicemente in allerta.
“Non ho paura che tu faccia cazzate!” lo rassicurò, ma mai come allora quelle parole parvero risuonare false e prive di fondamento.
“Se io ti baciassi?” le domandò sfrontato, ormai piazzatole di fronte. Aveva circumnavigato la scrivania raggiungendola. La vide sussultare a quella domanda e guardarsi intorno spaesata, tremante e a corto di fiato. Sapeva che lo desiderava almeno quanto lui, ne era certo. Doveva solo dimostrarlo.
“Qualsiasi sia il tuo problema rifletti Damon, non sei in te!” gli consiglio accigliata, spiazzata dalla sua sicurezza, dalle accuse dirette, dal sua entrata in scena inaspettata.
“Sono in me invece… suvvia Elena non dirmi che non desideri farlo anche tu dal primo giorno…” bisbigliò imperterrito calandosi su di lei, ancora aggrappata alla sedia. Ormai vicino poté lasciarsi inebriare dal suo odore caramellato, cullare dal cuore galoppante e dal leggero tremolio delle sue labbra serrate, dai grandi occhi sbarrati e … terrorizzati. Aveva paura di lui. Abbassò la guardia un solo istante, sconvolto dalla sua reazione, e lei ne approfittò per spintonarlo e schizzare poi in piedi frapponendo di nuovo la scrivania tra di loro.
“Cos’è successo Damon?” gli chiese apprensiva, padrona del suo spazio vitale dal quale lo aveva prudentemente escluso.
“Cerco mio fratello”
“Non ti ho chiesto questo”
“Non sono affari tuoi” le rimproverò tagliente. O forse ferito, deluso, ma quello non lo avrebbe mai ammesso. Non avrebbe ammesso che in fondo ci aveva creduto, che non avrebbe voluto spaventarla e portarla a chiudersi di nuovo, ma soltanto aprirle gli occhi per ammettere che tra di loro c’era qualcosa. Voleva che ammettesse che quel qualcosa lo sentiva anche lei, e non era soltanto frutto della sua fantasia. 
  
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