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Autore: thenightsonfire    03/04/2013    18 recensioni
Prendete uno stage lavorativo a Cannes, una diciassettenne imbranata e allergica alla sensualità fan dei 30 Seconds to Mars, il cantante del suddetto gruppo, un'amica incapace di coprire le scappatelle, un professore troppo furbo e un Blackberry galeotto. Cosa si ottiene?
Un gran casino, se la suddetta diciassettenne si è appena svegliata mezza nuda in una camera d'albergo con Jared Leto affianco e, per qualche motivo, non ricorda nulla della notte appena passata.
Quindi, ricapitoliamo.
Sono a quattro piedi, in una stanza che adesso conosco, in un hotel che credevo d’aver visto solo da fuori e con una persona con cui probabilmente ho passato la notte a fare Dio solo sa cosa.
E, cosa più importante, sono in mutande. Questo significa che in questo momento sto dando una globale, perfetta visione a trecentosessanta gradi del mio culo a Jared Leto.
“Sempre che stanotte, del tuo culo, tu non gli abbia offerto solo la visione.”
Sotterratemi.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4, ovvero:

“Come (non) prendere in mano la situazione con un Leto arrabbiato.

In tutti i sensi.”

 

« Quindi, se ho capito, sei scappata via col cellulare di mio fratello che non sapevi fosse il cellulare di mio fratello per poi scoprire che è effettivamente il cellulare di mio fratello mentre lui è rimasto lì col tuo cellulare che in realtà lui credeva fosse il suo perché tu avevi preso l'altro ma che in realtà è tuo? »

« Eh? »

La conversazione al telefono tra me e Shannon procede come la sottoscritta durante i mille metri a Educazione Fisica.

Okay, forse un po' meglio di me durante i mille metri.

Io non procedo proprio, ecco. Piuttosto, “corro” (cioè mi trascino in avanti come lo zombie di un B-movie) incespicando qua e là, arrivando a metà del primo giro col fiatone e gli occhi arrossati allucinati d'un drogato in crisi d'astinenza d'eroina e finisco gloriosamente il percorso crollando a terra e chiedendo dello zucchero.

In endovena.

Invece no. La conversazione tra me e Shannon procede. A rilento, sì, ma procede. Certo, il suo inglese un po' – ehm – tanto – ahm – personalizzato mi rende difficile la comprensione piena di alcuni passaggi delle sue frasi, e ad un certo punto anziché “e per l'autografo gli hai dato un po' di carta?” ho capito “e per l'autografo gli hai dato un po' di merda?” e c'è stato in imbarazzante minuto di silenzio denso di significati (ovvero denso di “mi sa che hai frainteso” e “ma cosa cazzo blateri” e “mi dovrebbero pagare per questo”) dopo che gli ho chiesto perché avrei dovuto dare un pezzo di merda a Jared per l'autografo. Poi Shannon ha scandito: “I said sheet, not shit”e ho pensato al modo più veloce per suicidarmi con la biro.

La mia Coscienza dice che puntare alla giugulare funziona.

Penso che lo scoprirò a breve.

« Ho detto... »

« Shannon, no. No. Un altro di quei periodi infiniti e mi lancio in mare. Ti basti sapere che a conto i fatti io ho il suo cellulare e lui il mio. »

Shannon rimane in un silenzio cogitabondo un paio di secondi, poi replica, un po' preoccupato: « È ancora integro? ».

Sussurro: « Aspetta ».

Allontano il cellulare dall'orecchio, lo squadro, lo rigiro, controllo ogni millimetro della superficie scura. Ha qualche graffio qua e là, in effetti.

Più o meno come me quando cadrò nelle mani smaltate di Jared.

Una parte di me (quella a Sud dell'equatore) ulula: “Dov'è che si mette la firma?”.

Mi sbatto una mano sulla fronte.

E io che avrei sempre voluto finire sotto le mani di Jared (un brivido mi scorre lungo la spina dorsale, dalla cervicale alla zona lombare, e poi a luoghi che è educato non menzionare in questo preciso istante).

« Tutto apposto, Shannon. Voglio dire. Non mi ucciderà per dei graffietti sullo schermo, no? »

« Sul necrologio vuoi “la nostra adorata Elena” o “la nostra amata Elena”? »

« Non fare il melodrammatico... »

« Finché non conosci Jared tu non conosci il melodramma, ragazza mia. L'ultima volta che qualcuno ha scherzato di lanciargli Berry in piscina ha urlato una bestemmia impronunciabile e ha buttato quella persona in piscina. Tenendole la testa sott'acqua. Povero Babu. »

Ho l'immagine mentale di Jared che, di fronte al suo cellulare in pericolo, lancia un urlo ad ultrasuoni da Maria Callas d'America, sbraita qualche bestemmia in aramaico antico e per difendere il suo tesoro si lancia a pesce sul povero Robert tentando d'ammazzarlo.

Devo allontanarmi dalla spiaggia.

« Be', oddio. Basta correre veloce. »

« Jared correrà più veloce, ti acciufferà e ti farà passare il quarto d'ora peggiore della tua esistenza. »

Ora, non per lamentarmi, ma non è esattamente così che avevo immaginato il mio “quarto d'ora con Jared”. Punto primo, non era un quarto d'ora: diciamo quarantotto ore. A porte chiuse. Sprangate. Sigillate dall'interno e insonorizzate. Poi, io era nuda. E lui pure. Oppure no. Non completamente. Diciamo che non era vitale.

Dicevamo?

« Ugh » faccio, stringendo le gambe in uno spasmo.

« Quello era un gemito o un lamento? »

« Entrambi » piagnucolo.

« Hai capito la filosofia di mio fratello. »

Mi massaggio le tempie. « Non credi che si farà spiegare la situazione? »

« Certo, ma solo dopo aver attentato alla tua sicurezza. »

Ugh.

E io che volevo che l'unica cosa a cui potesse attentare fosse la mia verginità.

Ehm.

Mi schiarisco la voce, sentendomi arrossire. « Non potresti parlargli tu? »

« … Ti ricordo che sei tu ad avere il suo cellulare, Elena. »

« Ah. Giusto. »

« Ma perché tutte voi che incontrate mio fratello vi rincoglionite? »

« Se parli di quelle con cui va a letto, mi dispiace dirlo, ma credo che la loro totale assenza di cervello sia un fattore indipendente a tuo fratello » rispondo, acida. « Per quanto mi riguarda, anche se ho solo due neuroni in croce, l'unica differenza è che non sono nemmeno andata a letto con lui. »

O non avresti nemmeno più le ovaie, oltre che i neuroni.”

« Però » fa Shannon (ma sembra divertito), « tu sì che hai autostima. »

« Come no » ribatto alzando gli occhi al cielo. « Così tanta che potrei benissimo sdraiarmi a terra e farmi calpestare. »

« Non ti assicuro che non gli piacerebbe. »

« E io non ti assicuro che mi dispiacerebbe. »

C'è un momento di silenzio dall'altra parte della cornetta, e mi porto una mano sulla bocca.

Fermi tutti.

Alt.

Zitti.

L'ho sul serio detto ad alta voce? Ho davvero partorito quelle parole? Non è l'effetto allucinogeno dell'aria glitterata di Cannes? Pulviscoli di cocaina dall'ultimo party dei VIP? No, eh?

« Cosa? » chiede Shannon, a metà fa l'incredulo e il divertito.

« Eh? Niente. »

« Mi pareva... »

« Non pare niente. Nein. Niet. Tutto quello che ha sentito è frutto della tua fantasia e io non ho mai asserito che mi farei calpestare da Jared. » Tossisco un paio di volte, poi, a mezza voce, aggiungo: « Sbattere, magari... ».

« … Hai appena detto che ti faresti sbattere o sbaglio? »

Porca merda.

E per l'ennesima volta in questa giornata mi sbatto la mano libera sulla faccia e mi mordo la lingua. Di questo passo non ci arriverò comunque integra sotto le mani di Jared. Mi ammazzerò prima, se non imparo a tenere questa dannata lingua a posto (o ad aspettare di utilizzarla al momento opportuno, per esempio con Jared, in ginocchio, in una stanza da letto).

Mimo i rumori di una linea danneggiata con la gola, a costo di raschiarmi le corde vocali. « Sbattere? Sbattere? Ho detto... » Altra serie di rumori. « Eh? Scusa – non – Shannon? Non ti sento bene. »

« Elena? Elena? »

« La linea dev'essere... » Ennesima serie di rumori molesti prodotti dalla mia gola. Tossisco, sputacchio, rievoco la voce del prozio ultracentenario attaccato alla pensione che mia madre mi ha fatto conoscere il Febbraio scorso (spera che mi lasci la sua villa in eredità, per intenderci. Quell'uomo è sopravvissuto a due infarti, un ictus e un'ulcera, e mi sembra intenzionato a lasciare questa terra quanto Jared lo sarebbe d'organizzare una cena a base di carne di maiale). Mi sento un genio del male. « ... dev'essere danneggiata. »

« Ah, sì? »

E in un momento di gloriosa soddisfazione, penso: “l'ho convinto”. Ah. Ah! Ermenegildo Pasqualina stappano una bottiglia di champagne e brindano al primo successo della mia giornata.

« Eh » dico convinta, annuendo pure. « Dannate compagnie telefoniche. »

C'è un attimo di elettrico silenzio. Riesco a sentire, di sottofondo, la tipica musica al cardiopalma tipica dei film thriller, quella del momento prima dello spuntare improvviso dell'assassino, del serial killer, del demone assettato di vergini (Shannon, in questo caso), quella che ti fa imperlare la fronte di sudore e ti fa irrigidire sul divano.

« E mi spieghi come fa ad essere danneggiata se ho chiamato il numero con Viber? »

E che cazzo.

Posso, per un solo, misero giorno, non fare una figura di merda ogni dieci minuti? Tu che sei lassù, Re Kaioh, Gesù, Buddha, Tomo o chi per voi, non potete essere un tantinello più – ecco – compassionevoli?

Pensa velocemente, Elena, pensa velocemente.

« È un mistero. Hai presente Lourdes? »

“Lourdes?” esclama la mia Coscienza, allargando le braccia.

« Cosa c'entra Lourdes? »

Appunto. Cosa c'entra Lourdes?

Posso chiedere l'aiuto del pubblico?

Perché mi vado a impelagare sempre in queste situazioni?

« È la religione. Se fossi cattolica ti direi che c'entra sempre. »

« Sei cattolica? » domanda Shannon, scettico.

« No. »

« E allora? »

« Parlavo per ipotesi. »

« Io... credo di aver perso il filo » borbotta Shannon. « Cielo, tu sì che sei strana. »

« Io sono strana? » sbotto, sbuffando. « Shannon, hai comprato una scimmia e l'hai chiamata Rippley! »

« Non mettere in mezzo la mia scimmia! » risponde quello, oltraggiato.

E la tua anaconda?

Quella possiamo?

« Io non ho un'anacon... » comincia a rispondere Shannon. Poi la voce si affievolisce, rimane in silenzio e fa: « … Oh ».

Perché mi sento come se l'intera Cannes mi stesse osservando? Oh, be', poco male. Certo, le sopracciglia di quella vecchietta lì in fondo alla strada, noto con la coda dell'occhio, sono così inarcate che probabilmente tra poco raggiungeranno l'attaccatura dei capelli. Poco male. Forse non le capita di vedere tutti i giorni qualcuno sbattere ripetutamente la fronte contro un muro. O sì?

Quanto ci colpi ci vogliono per avere una commozione cerebrale?

Se è Jared che te li sta dando, ne basta uno.

Per un attimo ridacchio, rincoglionita dalle testate al muro e persa nel languore delle mie fantasie sessuali.

Se non gli torni il cellulare, una botta te la dà in testa. Con una mazza.”

Sto per pensare “basta che sia la sua”, ma blocco il pensiero e per sicurezza do un'altra testata al muro. Piano, questa volta. Per promemoria. La vecchietta di prima, il viso che è una maschera a metà tra Moira Orfei e Marilyn Manson, mi guarda strano, a metà fra l'allibito e il preoccupato, scuote la testa e si allontana velocemente, ciabattando.

Devo smetterla di avere conversazioni interne tra me, la mia Gina e la mia Coscienza.

Non va bene.

« Shannon, per favore, quando sparo queste cazzate ignorami, va bene? »

Lui ridacchia. « Va bene. Giuro, se potessi metterei una buona parola per te e chiederei a mio fratello di risparmiarti. Sei la ragazza più assurda con cui abbia mai parlato, però non sei male. »

Eh. Peccato che suo fratello mi farà fuori entro la giornata.

A proposito...

Mi rendo conto che il sole sta tramontando. Da qui non riesco a vedere il mare, ma solamente case che si aggiungono ad altre case che si aggiungono ad altre case e poi a negozi in cui vengono cose che potrei pagare solo facendo un mutuo o prostituendomi. Dopo aver perso all'incirca venti chili, ovviamente. Sospiro e mi massaggio la testa (l'effetto delle testate continua a farsi sentire), cominciando a sentire un lieve senso di disperazione pervadermi il petto.

Avrà già chiamato mia madre?

Mi irrigidisco, agghiacciata. E se ha chiamato, ha risposto Jared?

Non posso cominciare a fasciarmi la testa fin da ora. Magari è andata bene. Magari mia madre non ha già allertato polizia, esercito, protezione civile, NAS, CIA e Scotland Yard perché un individuo losco dagli acuti facili e dall'inglese volgare ha risposto al cellulare di sua figlia al posto di sua figlia. Magari non ha dato di matto.

E mio padre. Se ha chiamato mio padre?

Prendo un respiro profondo, cercando di non farmi prendere dal panico. Calma: non può aver chiamato mio padre. Mio padre è quello che, quando il cellulare o qualsiasi altro apparecchio elettronico è scarico, lo sbatte contro qualsiasi superficie rigida credendo che così funzioni per ricaricarlo. Mio padre non scrive messaggi, compone messaggi criptati perché non ha ben capito il funzionamento del T9. Mio padre non sa usare la tecnologia.

Devo riavere il mio cellulare. Ora.

« … Elena? Elena? »

« Sì, ehm, scusa » rispondo, balbettando. « Ascolta, chiudo. Devo chiamare tuo fratello. Cioè, devo chiamare al mio cellulare. »

« Meglio » conviene lui. « Allora ci salutiamo. »

O meglio, io saluto questa terra.

« È stato bello parlare con te » dico, sincera. Poi aggiungo, con una smorfia: « Se non dovessi sopravvivere, fa sapere al mondo che almeno ho tenuto in mano il vero amore di tuo fratello Jared ».

Shannon sghignazza. « L'unico vero amore di mio fratello abita i suoi pantaloni. »

Come l'eroina di un film d'azione, volgo lo sguardo al cielo e stringo le labbra in un'espressione decisa (sono sicura che se non avessi lo charme di un'anatra obesa potrei quasi sembrare affascinante, in questo momento), penso: Un giorno, Shannon. Un giorno.

 

*

 

All'incirca quattordici minuti e ventidue secondi fa (all'incirca, eh, perché ovviamente Jared non sta contando i secondi e i minuti con sguardo allucinato, insomma, è un valore abbastanza approssimativo), Jared ha poggiato il Blackberry dell'Indemoniata sopra il tavolino della sua suite presidenziale della modica cifra di cinquemila virgola novantanove centesimi a notte. Si è seduto sul pregiatissimo divano in pelle (valore commerciale: all'incirca millenovecentonovantanove virgola novanta centesimi), ha poggiato i gomiti sulle ginocchia e il volto sulle sue mani chiuse a pugno. E ha cominciato ad aspettare. Il primo minuto, tutto okay. Il secondo, il primo pelo vicino all'incavo del gomito del braccio sinistro ha cominciato a rizzarsi. Il terzo, ha cominciato a battere i secondi col piede.

Adesso, quattordici minuti dopo, Jared sta oscillando avanti a indietro fissando il cellulare come se da un momento all'altro possa trasformarsi in una delle sue ex. Fissa il cellulare come farebbe con Colin Farrell se lui fosse a gattoni e l'irlandese dietro di lui. Terrorizzato.

E preparato al dolore.

Dolore perché non sente Berry nelle sue mani da troppo tempo. Non ha nemmeno, tragedia!, Emma da maltrattare chiedendole cazzi a destra e a manca per sfogarsi o una sottomessa qualsiasi da prendere a cinghiate per scaricare la tensione. O quella ragazzina da prendere a cinghiate, per quel che gliene importa.

Dev'essere successo qualcosa a Berry.

Jared può sentirlo.

Non vuole nemmeno andare a controllare su internet se le foto delle tette di Scarlett stanno già facendo il giro del web, senza contare quelle dell'amica dei Paesi Bassi di Annabelle, il sedere di Chloé, i piedi di Katiusha e il collare di pelle di Tanya.

Mannaggia.

Nell'arco di questi – ormai quindici – minuti, quel dannato cellulare ha ricevuto altre tre chiamate. Jared, per il sì e per il no, ha risposto a tutte, col risultato che ovviamente né lui né i suoi interlocutori all'altro capo del telefono hanno saputo portare avanti una conversazione che andasse oltre i due minuti e il vaffanculo finale di Mr Non C'Ho La Pazienza Leto.

La prima era di nuovo l'Amica Pazza dell'Indemoniata. Jared ormai sospetta che siano in realtà scappate da una cosa di cura, e mira a denunciare a Sarkozy il problema della sicurezza degli ospedali psichiatrici.

La seconda chiamata era sicuramente un'altra amica della pazza. Jared non ne è sicuro, ma teme che questa abbia frainteso la situazione. Oltre ad aver afferrato, tra gli urletti orgasmici, il nome dell'Indemoniata Assassina di Blackberry, tutto quello che è riuscito a carpire è stato uno stridulo: “Oh deeow! Quee thee stay skoopando, Elena? Spowrkacchona! Eh ingleaseh?”, poi si è egregiamente scartavetrato l'apparato genitale e con l'udito quasi andato a causa degli ultrasuoni emessi dalla Scimmia Urlatrice, ha sibilato un: “Non mi avrete, razza di pazze sfuggite a un manicomio!” e ha chiuso la chiamata. Punto.

La terza telefonata, invece, era da parte di un uomo. Però sembrava fosse troppo divertito che avesse risposto lui per essere il padre della ragazzina. Insomma, se lui chiamasse sua figlia (se avesse una figlia, e a quanto ne sa non ne ha) e rispondesse un uomo straniero al telefono, ecco, entrerebbe un filino nel panico. O comunque la sua voce suonerebbe come quella di un serial killer davanti alla sua vittima. O di lui davanti alla fila infinita dall'estetista. E invece no, quello ridacchiava. Boh. Ha chiuso la chiamata perché a forza di sentire il tono sornione e le risate dello Sconosciuto cominciava, a dirla tutta, a sentirsi un po' a disagio.

E insomma. Il cellulare sul tavolino adesso ha un'aria vagamente inquietante. Guardando fuori dalla finestra, vede che è già praticamente quasi buio. Gli si stringe il cuore a sapere Berry lì da solo, spaventato, preso in ostaggio, le tette di Scarlett con lui. Si mangerebbe le unghie, se solo non ci avesse speso trentacinque euro e quattordici centesimi + la visione gratis della procace procace scollatura dell'estetista.

Poi, sente un ronzio familiare.

Il cellulare della Pazza ha ricominciato a vibrare. Il nostro eroe espira seccamente dal naso, assottiglia gli occhi e allunga il collo, domandandosi, tra sé e sé, se il caso di prepararsi all'ennesimo esemplare di italiano impazzito della serata.

Ma quello che vede, quella serie di numeretti, quella splendida, perfetta sequenza di cifre... è il suo numero.

Jared praticamente se ne viene nei pantaloni.

Ululando un euforico “Berry è viiiiiiivo!”, scatta in piedi, quasi si lancia sul tavolino, prende il cellulare e accetta la chiamata. Si ripropone di essere diplomatico e calmo e di non suonare troppo intimidatorio.

« Ti consiglio di scappare in Cambogia. »

Forse è stato troppo intimidatorio – sente la ragazza squittire. Ma a lui questo piace.

Srride coome il Cristo Redentore, si lascia cadere sul divano con la delicatezza di una ballerina di danza classica (tanto il peso è più o meno quello), accavalla le gambe e modula la voce: « Non voglio spaventarti » sussurra, tutto uno zucchero. « Ma se non vieni immediatamente a ridarmi il mio cellulare, ti faccio una causa che manderà la tua famiglia in bancarotta per almeno due generazioni dopo di te. »

 

*

 

Ma no. Perché mai dovrei essere spaventata? Insomma, ho Jared Leto al telefono, che è in teoria è praticamente il sogno di tre quarti delle Echelon di questo mondo, e mi sta solo minacciando di far partire una denuncia tale che per pagare le spese legali dovrò andare a fare la battona nella Salerno Reggio Calabria da qui all'età della pensione. Se mi va bene e non dovrò immettermi nel mercato nero degli organi.

Ugh.

Prendo un respiro profondo. « Dove sei? »

« Al Carlton. »

Spalanco la bocca. « Al... al.. al Carlton? »

« È un hotel. Sai, nei paesi civilizzati gli hotel sono dei posti in cui la gente alloggia in modo temporaneo magari quando sono in vacanza. »

Jared modalità Alberto Angela.

Se non mi stesse facendo incazzare come una bestia lo troverei pure arrapante, sapete.

La novità sarà il giorno in cui non troverai in lui qualcosa di arrapante.”

« Io vengo da un paese civilizzato. »

« Quindi tu sei l'unica siciliana incapace di relazionarsi in modo sano col prossimo e che sembra scappata da un circo? »

« Sì! » Alzo gli occhi al cielo. « Cioè, insomma, voglio dire – io sono civilizzata! »

« Ma dai? »

« E poi parli tu! Hai preso a microfonate una ragazza durante un live di Buddha for Mary, lanci occhiate di fuoco ad ogni essere femminile con dei pelucchi biondi in testa basta che respiri e mi vieni a parlare di relazionarsi in modo sano col prossimo? »

Così non va. Così non va proprio. In mezza giornata sono riuscita a incontrare il mio idolo e a passare da “chissà se ci finisco a letto” a “chissà se ci finisco in tribunale”. E non sono nemmeno passate due ore.

Datemi ventiquattro ore e se continuo con l'andamento surreale di questa giornata finirò col riuscire a rendere Jareda addirittura virile.

« Per tua informazione, ragazzina, io non sono fan della politica “basta che respiri” » risponde, secco. « Io trovo anche altre qualità in una donna. »

« La taglia di reggiseno non conta » sbotto, acida.

« Intendevo il cervello. »

« E di solito il cervello lo cerchi nella cervice? Col pene? »

Oh, mio dio. Oh. Mio. Dio. Non ho appena detto la parola pene in una conversazione, non ad alta voce, vero? Non l'ho fatto, giusto?

« Non nominare il nome di dio invano » risponde.

Certo che se riesce a fare dello spirito forse non è così infuriato, penso mio malgrado, speranzosa. La parte più bassa e profonda di me, di nuovo, ha un movimento inconsulto al pensiero delle parti inferiori di Mr Leto e io, senza volerlo, stringo le gambe.

Non pensare che hai Sesso Leto al telefono, non pensare che hai Sesso Leto al telefono.

E che vorresti averlo da tutt'altra parte.”

Coscienza, no.

« Divertente » commento, con aria di sufficienza.

Jared fa un verso esasperato. « Tu hai il mio cellulare ormai da mezzo pomeriggio, io rischio che le mie foto private vengano sbandierate al mondo intero, io sono l'evidente vittima di un palese problema di malasanità francese e di mancanza di fondi ai reparti psichiatrici degli ospedali, e tu hai il coraggio di incazzarti? »

« Be', sì, se tu mi insulti! »

« Nemmeno ti avessi dato della troia » lo sento borbottare.

« Quello dipende dal contesto. »

Oh dio.

Dio.

Dio.

Cos'ho appena detto?

« Che hai detto? » chiede Jared, in tono vagamente stupito.

Eh, appunto, che cazzo ho detto?

« Niente » rispondo velocemente. « Adesso torniamo al punto in cui eri incazzato con me e dimentichiamo la mia uscita infelice? »

E poi qualcuno mi presta gentilmente una vanga, così posso finalmente scavarmi la fossa?

Comincio a camminare velocemente, in direzione del punto in cui – per quanto mi ricordo – c'è il Carlton, ma ormai è buio e mi ritrovo a pensare che non ci arriverò mai, per quanto veloce possa camminare – che nel mio caso, purtroppo, significa “spaventosamente lento”. Ormai la gente sta tornando a casa e a me sta venendo un attacco di panico perché non ho modo di contattare nessuno e avvertire che arriverò in ritardo.

O, se finisco sotto le mani di Jared, che non arriverò proprio.

« Guarda guarda » sghignazza. « Abbiamo una sporcacciona, qui. »

« Smettila » sibilo.

« Non mi piace ricevere ordini, ragazzina. Mi piace darli. »

E allora penso che, se tanto mi dà tanto, tanto vale finirla in bellezza.

« Fammi riformulare: per favore, smettila, Master. »

Sento Jared trattenere il respiro, poi ridere piano.

Ridere?

Sta ridendo?

Vuol dire che non mi ucciderà?

« Ehi, stai ridendo. Vuol dire che mi perdoni per aver rovesciato l'acqua sul tuo cellulare, averlo scambiato col mio e averlo tenuto involontariamente in ostaggio? » domando, speranzosa, accelerando il passo.

Sbuco nella Croisette, ormai illuminata a sera. Cammino più veloce, alla mia destra il mare placido che bagna le spiagge private degli hotel che si affacciano qui, davanti a questo panorama da cartolina, alla mia sinistra le macchine che sfrecciano su una delle strade più costose di Francia.

« Certo che no » risponde lui, smontandomi subito. « Se ti avessi qui in questo momento, giuro che ti legherei con lo scotch e te ne darei fino a renderti incapace di camminare diritta. »

Mi blocco un secondo.

Dannazione.

Ho le gambe molli.

Non credo che potrei essere più bagnata di così anche se mi buttassi in acqua con tutti i vestiti.

« Ah, sì? » chiedo, in un pigolio.

« Ovviamente. Adesso non stare lì a gingillarti e vieni immediatamente. »

Ugh.

« Già fatto » ansimo, senza voce.

 

Ma mentre Jared risponde qualcosa di spaventosamente osceno e che suona come una minaccia – qualcosa a proposito del mio sedere e di quello che ne farà se non mi sbrigo a raggiungerlo al Carlton – mi sento tirare da dietro.

In un momento di panico, penso solo: “un maniaco sessuale”.

La mia vita è finita.

Lancio un urlo acutissimo, comincio a dibattermi, mi giro di scatto, smollo una sberla in faccia all'Aggressore Anonimo e senza nemmeno guardarlo faccio per scappare via, quando mi sento chiamare a gran voce e la stessa mano di prima riacciuffarmi.

E ovviamente inciampo.

Perché non sono nemmeno capace di salvarmi la vita.

« ELENA! ELENA, DANNAZIONE, FERMA! Oddio, stai bene? »

Ansimante, il telefono di Jared per terra (però intero, grazie a Dio), quello lì che ancora mi chiama e in un inglese inframmezzato da “fucking” vari, mi metto seduta e... e...

E scopro che l'Aggressore Anonimo è la mia migliore amica.

Dietro di lei, a qualche metro da noi, c'è tutto quanto il mio gruppo.

E il mio professore. Che mi osserva, sospettoso, assottigliando lo sguardo e occhieggiando al cellulare come se fosse una pistola carica.

Come quella che avrà Jared in mano,” commenta mia Coscienza, “quando non ti vedrà arrivare stasera.”

« Tu devi spiegarmi un paio di cose » dice Anna, incrociando le braccia.

La voce di Jared si spegne nella notte.

« Ehm » faccio, tentando un sorriso. « Ti ho mai raccontato della storia del Blackberry Maschio e del Blackberry femmina che si incontrano in un bar? »

 

 

  1. Ritardo terribile.

  2. Il capitolo fa schifo.

  3. Bleah.

Non ho nemmeno il coraggio di chiedervi un commento, non mi piace per niente. Niente niente. Va be'. Spero che a voi non faccia troppo schifo (ci spero poco).

Un bacio grande.

   
 
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