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Autore: thenightsonfire    09/09/2013    11 recensioni
Prendete uno stage lavorativo a Cannes, una diciassettenne imbranata e allergica alla sensualità fan dei 30 Seconds to Mars, il cantante del suddetto gruppo, un'amica incapace di coprire le scappatelle, un professore troppo furbo e un Blackberry galeotto. Cosa si ottiene?
Un gran casino, se la suddetta diciassettenne si è appena svegliata mezza nuda in una camera d'albergo con Jared Leto affianco e, per qualche motivo, non ricorda nulla della notte appena passata.
Quindi, ricapitoliamo.
Sono a quattro piedi, in una stanza che adesso conosco, in un hotel che credevo d’aver visto solo da fuori e con una persona con cui probabilmente ho passato la notte a fare Dio solo sa cosa.
E, cosa più importante, sono in mutande. Questo significa che in questo momento sto dando una globale, perfetta visione a trecentosessanta gradi del mio culo a Jared Leto.
“Sempre che stanotte, del tuo culo, tu non gli abbia offerto solo la visione.”
Sotterratemi.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5, ovvero:

“Sarebbero state meglio le chiamate da uno sconosciuto”

 

Be', pensandoci bene, andando proprio a fondo della questione, tutte le più belle storie d'amore non sono iniziate sotto i migliori auspici: Rose stava per suicidarsi, Harry per uccidere Draco, Edward considerava Bella come un dessert e a me una volta non piaceva la Nutella.

Peccato, certo, che poi Jack sia morto, la Drarry non sia diventata canon, Twilight faccia schifo e che io a dodici anni avessi già raggiunto la massa corporea di Plutone.

(La Drarry non è diventata canon, capito? J.K. Rowling, questa me la legherò al dito per la vita.)

(Sempre che Jared Leto non mi faccia fuori nelle prossime ventiquattro ore, s'intende. In questo caso, “per la vita” è sinonimo di “per le ore che mi rimangono”; ma sarà comunque un risentimento molto, molto, molto acceso, Rowling, te lo assicuro.)

Posso sempre sperare che questa sia la tradizionale eccezione che conferma la regola e che la “nostra storia” – immaginate una risata sarcastica di sottofondo condita con un «ti piacerebbe», grazie – non finisca con un corpo (il mio) ritrovato a pezzi (ovviamente piccolissimi e sporchi di smalto azzurro) in un bagno pubblico di Cannes. Che, devo ammetterlo, sarebbe comunque un dignitoso posto per lasciare questa terra, dato che profumano meglio dei bagni della mia scuola e luccicano come fossero rivestiti di diamanti. Se non fosse che io non vorrei lasciare questa terra entro i prossimi settant'anni.

Sì, be'. Come dicevo, c'è una piccolissima, remota possibilità che tutto si risolva per il meglio, che magari Jared decida che non devo morire e che io non debba andare a fare la coltivatrice di banane in Sudamerica cambiando il mio nome il Julio Ricardo Montoya de la Rosa Ramirez per salvarmi il culo.

Ma devo anche considerare la verità universale che, nella vita, non si può avere sempre ciò che si vuole, giusto? Giusto.

Con fare volutamente drammatico, dunque, sospiro e comincio a scrivere:

 

Ultime Volontà di Elena C.

È con immenso rammarico che, prima di lasciare questa terra, e non di mia volontà, lascio così i miei pochi averi ed esprimo, con le seguenti parole, le mie ultime volontà (professoressa di italiano, se legge, perdoni l'anafora).

  1. Il mio gatto nero, Tristo Mietitore detto Tristo o Mieti, alla mia zia gattara di Romagna, cosicché mia madre non lo avveleni nel sonno per non trovare più palle di pelo nel lavabo.

  1. Il mio cartellone pubblicitario di Orlando Bloom alla mia migliore amica, Anna, per allietare le sue altrimenti notti solitarie in compagna di una vaschetta di gelato e, spero, il mio ricordo.

  1. Il mio cartellone di Jared Leto... no, fermi. Questo lo voglio con me.

  1. I miei cofanetti di Elisa di Rivombrosa dovranno essere bruciati all'aria aperta perché di certe cose è meglio non avere le prove.

  1. Le mie adorate mutande con le mucche dovranno invece essere oggetto di una messa nera per vedere così se, come dice la già citata Anna, è vero che sarebbero capaci di spaventare pure Satana...

 

« Elena » dice Anna dietro di me, « che minchia stai facendo? »

« Non è ovvio? » rispondo, puntando il naso all'insù. « io impiego bene il mio tempo. »

Anna si siede accanto a me, appoggia il gomito sul tavolo in legno, la testa sul pugno chiuso e mi fissa a metà tra l'impietosito e il demoralizzato. Sembra Maddalena Penitente. « Quindi mi spieghi perché stai scrivendo le tue ultime volontà? Ah » aggiunge, facendo un impercettibile cenno al foglio col mento, « io voglio Jared, non Orlando. »

« Jared me lo porto io nella tomba, okay? » sbotto, seccata.

E che cazzo. Se non posso averlo nella vita, lo voglio nell'aldilà. E almeno un cartellone non può strangolarmi.

« Secondo me il cartellone te lo bloccano alla dogana. »

Aggrotto la fronte, perplessa. « Il Paradiso ha una dogana? »

« Ah-ah-ah » esclama lei, facendo un gesto di noncuranza con la mano. « Perché, tu pensi di finire in Paradiso? »

Fisso in silenzio le mie ultime volontà per qualche attimo. Forse avrei dovuto imprecare un po' di meno, in vita mia. E non fare sconcerie con Pipino e Pipina, il mio indice e il mio medio della mano destra. La gola è mica uno dei sette peccati capitali? Assieme all'accidia? Mi gratto la nuca con la penna. Considerando che d'estate mi alzo dal letto per inabissarmi sul divano...

Chissà se il pentimento funziona.

Quindi, per il sì e per il no, aggiungo velocemente un altro punto:

 

6. Seppellite un ventilatore con me.

 

« No, okay. Mi spieghi l'utilità di questa cosa? »

« Sai, a meno che Satana, Lucifero e Belzebù non abbiano deciso di installare un impianto di condizionamento dell'aria, laggù continua a fare un pelino di caldo » ribatto, sicura. « Quindi, se devo passare l'eternità tra le fiamme dell'inferno, preferisco avere qualcosa che mi faccia aria. »

« E la presa dove la attaccheresti? » mi domanda lei, con una logica ineccepibile.

Le lancio un'occhiataccia. « Lo vuoi davvero sapere o preferisci rimanere nell'ignoranza? Perché mi è appena venuta in un mente un'opzione concernente il tuo retto e la trasmissione di energia elettric— »

Lei alza entrambe le mani con fare difensivo, mostrandomene i palmi. « Okay, okay. Comunque intendevo il tuo testamento. Anche se secondo me tendi un attimino al melodramma barocco, solo senza coro e orchestra » commenta poi. « Solo un tantino, eh. »

« Tu non capisci » borbotto, lagnosa, lasciandomi cadere sul tavolo a braccia conserte. Per un attimo, però, la mia mente mi dipinge vestita con una specie di tendone color rosso porpora addosso e tre chili di stucco in faccia al posto del trucco che canto un'operetta tragica. Stonata come sono, gli spettatori si suiciderebbero nei primi dieci minuti. « Morirò. La mia vita è finita. »

Lei rotea gli occhi, come a dire “appunto”.

« Da quando ti abbiamo trovata a vagare come un beduino nel deserto per la Croisette non hai fatto che blaterare di Blackberry maschio, Blackberry femmina, morte violenta e sogni infranti. Siamo tornate a casa e ti sei infilata sotto la doccia a bocca aperta sperando così di affogare. Elena, per quanto ti voglia bene » conclude, « nell'ultima mezzora ho pensato di chiamare un ospedale psichiatrico almeno sei volta, lo sai? »

Non ha tutti i torti. Ho fatto il tragitto Cannes-casa borbottando solo di Blackberry, morte e apocalisse smaltata d'azzurro e, una volta arrivata, mi sono infilata sotto la doccia a bocca aperta sperando di affogare col getto dell'acqua. Ovviamente, non ha funzionato. Però mi è finito dello shampoo negli occhi, imprecando ovviamente in cinque lingue diverse, e quindi ho vagato per la casa con gli occhietti semichiusi e rossi degni del peggiore alcolizzato alle sei di mattina per dieci minuti, prima di sbattere la testa contro una parete, assicurare a Madame Verve che stavo bene e fustigarmi con la cintura di Hello Kitty della figlia piccola di casa. Giusto due colpi, però. Non capisco perché non la vendano nel reparto dirty birdie dei sexy shop. Quelle cazzo di orecchie pungolano forte, eh.

BDHK. Bondage, discipline, hello, kitty. Se solo avessi più di qualche ora di vita, proverei a brevettarlo.

Comunque.

« Anche se te lo dicessi, non mi crederesti. »

« Prova » fa lei.

Agguanta un biscotto che la signora ci ha lasciato prima di uscire di casa con la bambina-di-Hello-Kitty-Sadomaso e se lo porta alle labbra, mordendone un bel pezzo. Mi guarda attenta, gli occhi socchiusi. Lo sono anche i miei, ma per lo shampoo.

Alla fine sospiro e decido di sganciare la bomba. « Ho incontrato Jared Leto. »

Anna mi fissa. Continua a fissarmi. Si porta il pugno alla bocca con fare pensieroso e persiste nel fissarmi. Continua. A fissarmi. Ancora.

Non.

Sta.

Smettendo.

E non dice una parola.

Sta cominciando a diventare inquietante. Pare la Mona Lisa, però in versione scettica. Una Mona Lisa Giudice. Sento che mi sta giudicando.

Chiedo aiuto a Dio, Superman, Buddha e Morgan Freeman affinché almeno finga di credermi e non mi dichiari pronta per il reparto psichiatrico dell'ospedale più vicino.

« Hai incontrato Jared Leto »

Per fare scena, annuisco energicamente.

Ermenegildo e Pasqualina, i miei due neuroni, stanno solo aspettando lo scoppio di ilarità.

« Hai incontrato Jared Leto e sei di fronte a me adesso » risponde, cauta. Per poco, risponde la mia Coscienza limandosi le unghie. « Quindi devo supporre che lui non abbia più vestiti nella parte inferiore del suo corpo, o direttamente la parte inferiore del suo corpo. »

« Perché pensano tutti che lo stuprerei? » sbotto, rimettendomi dritta, incrociando le braccia al tetto.

« Perché basta dire il suo nome perché tu ti ritrovi con le mutandine bagnate come se fossero state lanciate contro una pompa d'acqua lasciata aperta. »

Okay, uno a zero per lei.

« Non mi credi » deduco, inarcando un sopracciglio. « Lo sapevo. »

Com'era prevedibile, nessuno lassù presta ascolto alle mie preghiere. Ehi, lì, ai piani alti? Lo so che io sarò relegata ai piani sotterranei per l'eternità, ma sarebbe carino se qualche volta riattaccaste i fili del telefono. Chiamate un elettricista, che ne so. Hai scagliato le dieci piaghe d'Egitto e non riesci a rispondere ad una chiamata?

“Probabilmente,” commenta la mia Coscienza, “ti ha inserito tra i contatti bloccati. Pronta per diventare la versione umana di un girarrosto nella tua prossima vita?”

Vorrei alzarmi buttando la sedia a terra, afferrare i biscotti in uno scatto altezzoso e andarmene con un fare superiore da Grande Nobildonna Decaduta, cioè naso all'insù e un sottile «pezzente» soffiato denti stretti dopo essermi passata stizzosamente un foulard attorno al collo, però ciò presupporrebbe :

a) il dovermi alzare e camminare invece di lasciarmi morire qui, su questo tavolo, dove tra dieci anni ritroveranno il mio scheletro in questa stessa identica posizione di oggi,

b) un passo leggiadro e regalo che non possiedo, perché conoscendomi è probabile che finirei con lo stramazzare a terra prima di essere uscita dalla stanza,

c) in generale, trovare la voglia di fare qualunque cosa che non sia autocommiserarmi perché ho incontrato il soggetto attivo – in tutti i sensi – di qualunque mia fantasia erotica e invece di trovarmi con le sue mani al collo in una fantastica dinamica serva-Padrone l'ho fatto incazzare così tanto che le mani al collo me le metterà per uccidermi.

Lo vedete anche voi, l'umorismo distorto di questo mondo?

« Vorrei crederti, sai » replica, « se non fosse che hai gli occhi arrossati di chi si è fatto un cannone e, be', se non fosse che mi hai appena detto che hai incontrato Jared Leto. Jared. Leto. Jared Ho I Capelli Rosa Ma Posso Fartelo Nero Leto. Jared Leto. »

« Senti, credimi o no, io ho incontrato Jared Leto... »

« I tuoi sogni erotici non valgono » risponde Anna, « perché se no io avrei già un harem formato, tra gli altri, da Zac Efron, Aaron Johnson e Frank Iero, inaugurando così un nuovo, felice mondo prestato alla poligamia e al sesso liber— »

Comincia ad apparirmi chiaro, forse per la prima volta in vita mia, perché siamo così amiche. Pasqualina ha l'acquolina in bocca al pensiero di un mondo in cui prosperi la poligamia e io possa avere un harem personale in cui passare da fiore in fiore. O da zucchina a zucchina che dir si voglia.

Sì, insomma.

Devo smettere di distrarmi.

Dov'ero rimasta? Ah, sì, autocommiserazione e dannazione eterna.

« Te l'avevo detto che non mi avresti creduto » mi lamento, sbattendomi entrambe le mani in faccia. « Visto che ci siamo, comunque sappi pure che ci siamo scambiati i cellulari. »

« Vi siete scambiati i numeri di cellulare? Tu e Jared Leto? AH! » esclama, fingendo di asciugarsi le lacrime per le risate. « Già, come quando io e Johnny Depp abbiamo cominciato a mandarci lettere d'amore intinte di profumo alle rose la settimana scorsa... »

Mi sento leggermente presa per il culo. Ma leggermente, eh. Giusto un pungolamento fievole che si estende per tutta l'area di quei luoghi che generalmente non espongo al grande pubblico.

(SPOILER: ricordatevi di queste parole, tra qualche capitolo.)

« Non ci siamo scambiati i numeri di cellulare » la correggo. « Ci siamo scambiati i BlackBerry. Lui ha il mio, io ho il suo. »

« Ah, certo! » fa lei. « Allora è come quando io ed Emma Watson ci siamo scambiate i reggiseni per sbaglio dopo il pigiama party a casa mia... »

« Va bene » esclamo alla fine, stufa. Prendo il Sacro Cellulare di Marylin Leto dalla tasca, ci soffio sopra per levare ogni traccia di polvere che possa essersi poggiata sopra, gli do un bacio per non farlo spaventare, gli faccio il segno della croce per togliergli ogni possibile male e lo poggio sul tavolo ignorando l'espressione a metà tra l'incredulità e la pietà di Anna, scoccandole un'occhiata scocciata. « Oggi hai provato a chiamarmi? »

Lei risponde, visibilmente di controvoglia: « Sì ».

« E chi ti ha risposto? »

Increspa le labbra. « Un tizio straniero. »

« Ah-ah. »

« Succede a tutti che le chiamate vengano trasferite all'estero, questo non significa che... »

« Chiamami adesso » la sfido. « Forza. »

Con gesti che fanno trasparire scocciatura da ogni poro, prende il suo cellulare e compone il mio numero. Umettandosi le labbra, si porta il cellulare all'orecchio e comincia ad aspettare.

Aspettiamo. Tanto, non dovevo comunque far altro che lasciarmi morire di sete, no?

Lo sento squillare pure io da qui. Tu, tu, tu.

Lei guarda il mio cellulare (il cellulare di Jared che lei crede il mio).

Il BlackBerry, come volevasi dimostrare, non accenna ad un solo segno di vita.

Guarda me.

Guarda di nuovo il mio cellulare.

Allontana il suo dall'orecchio, chiude la chiamata e rimane a fissare il vuoto per qualche secondo. Per molti secondi, a dirla tutta. Dopo un po' comincio a spaventarmi, a credere che sia morta e che questa sia solo la proiezione tridimensionale della sua anima e che il suo corpo sia già a terra.

Do una controllatina.

Eppure a terra non c'è niente.

La mia Coscienza mi sta suggerendo di suicidarmi per far finire prima le mie pene.

Pene.

Jared Leto.

Satan.

Eh-eh-eh. Lo dicevo, io che, in un modo o nell'altro eravamo destinati. Che poi il nostro “modo” sia un'eternità a rosolare sul fuoco come un involtino di carne, questo è solo un dettaglio.

“Dai un senso alla tua esistenza: infila la testa nel water e tira lo sciacquone,” borbotta la mia Coscienza. Mio dio, che Coscienza molesta che ho. Non poteva essere una Coscienza simpatica, una di quelle alla mano... gentili... pronte a dare consigli? No.

Anna non ha ancora parlato, ma mi sa se spalanca la bocca un po' più di così finisce che le si disloca la mascella. Probabilmente avevo le stessa faccia quando ho visto Jared, oggi. Prima di bagnargli il blackberry e fargli scattare un istinto omicida degno di Charles Manson, certo. Poi probabilmente ho cominciato ad assomigliare all'omino dell'urlo di Munch.

Poi, di colpo, Anna scatta in piedi, punta il dito contro il cellulare, muove le labbra come a formare una frase – anche se dalla sua bocca non esce alcun suono. Ha gli occhi spalancati, spiritati; poi si porta le mani alla faccia e comincia a saltellare di qua e di là e con un acuto da ultrasuoni esclama solo: « AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH! OH MIO DIO! OH MIO DIO! ».

Be', suppongo si sia convinta, no? Questo, oppure ha la sindrome di Tourette.

« HAI-IL-CELLULARE-DI-JARED-LETO! » strilla, continuando a saltellare come un coniglio in calore. « ODDIO! IO HO PARLATO CON JARED LETO! TU HAI INCONTRATO JARED LETO! »

Forse si è fatta di anfetamine e stanno facendo effetto solo ora. Non riesco a credere che una persona possa saltellare così tanto, così veloce e non cadere a terra stremata e in un lago di sudore dopo un minuto.

O meglio, questo è quello che mi dico per giustificare il fatto che non riesco nemmeno a correre cinque minuti senza avere la tachicardia. A diciassette anni.

Praticamente sono un tipo sportivo solo nel senso che ho il gomito del tennista e i polpacci da calciatore.

« No, aspetta, fammi articolare la questione » rispondo, sorridendo candidamente. « Oggi incontro Jared Leto, Jared Leto, faccio più o meno un migliaio di figure di merda davanti a lui, incluse innumerabili gaffe verbali dal contenuto più che esplicitamente sessuale, faccio cadere il suo BlackBerry a terra, bagnandolo, e... oh, giusto, lo prendo al posto del mio. Poi, non contenta, me ne accorgo in ritardo e gli faccio pensare di averlo fatto apposta – gli faccio credere involontariamente che gliel'ho rubato. E, quasi dimenticavo: probabilmente a quest'ora sta progettando il mio omicidio e l'occultamento del mio cadavere. »

« Tu hai fatto cosa? » boccheggia, smettendo di fare su e giù come un canguro fatto di LSD.

Sarà una lunga serata.

 

Anna deve seriamente perdere l'abitudine di fissarmi in questo modo. Come se avesse un cagnolino investito da un auto davanti a sé e lo stesse vedendo esalare i suoi ultimi guaiti. No, davvero, comincia a mettermi a disagio. Come se non fossi già abbastanza giù di morale per conto mio, poi.

Tra poco Pasqualina dovrà andare in terapia. È lì, accucciata in un angolo, a dondolarsi avanti e indietro per la disgrazia d'essere il neurone sano di una demente come me. Va tutto bene, Pasqualina, va tutto ben—

« Stai di nuovo parlando con i tuoi neuroni. »

Non è una domanda.

Maledizione.

Mi conosce troppo bene.

Arriccio il naso. « Certo che no. Io non parlo con i miei neuroni. »

« Sai » fa lei, « non che io sia esattamente Miss Popolarità 2013, ma se parlassi un po' di meno con i tuoi amici immaginari forse saresti in grado di incontrare la fantasia erotica della tua vita senza trasformare l'evento in una barzelletta di seconda categoria. »

Mi trattengo dal rispondere che Pasqualina, Ermenegildo e Coscienza esistono davvero e mi limito a gemere, ficcandomi in bocca l'ennesimo biscotto. Se devo morire, morirò grassa e sazia. Poi, poggiando la testa sulla mano chiusa a pugno, fisso sconfortata il BlackBerry di Jared. Non fa cenni di vita da un po', ora che ci penso. A proposito...

« Per caso mia madre ha chiamato te? »

Anna sembra improvvisamente in una posizione molto, molto scomoda: si agita sulla sedia e fa una smorfia, passandosi una mano sul collo.

Oh, mio dio.

Oh, porca puttana.

Ahi, ahi, ahi,” fa la mia coscienza.

« Oh, no » esclamo, mettendomi le mani nei capelli. « Ti stai muovendo come se avessi una supposta di dieci centimetri nel sedere. Non è mai un buon segno quando ti muovi come se avessi un corpo estraneo dalle dimensioni considerevoli nel didietro. » Gemo e mi lascio andare ad un lieve piagnucolio. « Mia madre ha chiamato al mio cellulare e ha risposto Jared, non è vero? E poi ha chiamato te e io ero irrintracciabile, giusto? »

Il silenzio di Anna non ha bisogno di spiegazioni.

Non so se il pensiero di una conversazione tra mia madre o Jared dovrebbe scatenarmi un attacco di risa o un attacco di panico, visto e considerato che lei parla inglese come io parlo austro-ungarico. Aggiungiamoci che lui è una checca isterica e lei è isterica e basta ed otteniamo la ciliegina sulla torta.

Sono fottuta. Mi ucciderà. Sono finita. Come mi ha fatto, mi disfa. Lo so, come so di chiamarmi Elena e di avere appena mandato la mia vita in una direzione che punta dritta a metà tra “a puttane” e “nella merda”, so che farò meglio a non tornare a casa e a darmi alla macchia come cacciatore di anaconde in Africa Nera. Sperando di venire mangiata, magari.

E dire che l'unica anaconda che avrei voluto conoscere era quella di Jared.

Ora, il problema con i genitori è che, se sei lontano da solo o con la scuola, l'unica cosa che riusciranno a pensare per tutto il tempo del viaggio è che stai rischiando la vita. Non importa che tu ti trovi a Francoforte o Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, e non in mezzo ai proiettili e agli spacciatori di cocaina in Colombia: sei in pericolo di vita. Nella loro mente, le chance che un serial killer ti carichi in macchina per stuprarti, fare un rito satanico col tuo sangue e poi ucciderti passano dall'essere meno di quelle che l'Inter ha di arrivare a fine campionato senza metà dei giocatori infortunata, in panchina, o morta, al diventare una certezza universale. Sei lontano da casa, ergo dovrai morire in modo lento e atroce. O comunque beccarti una febbre da cavallo o una malattia infettiva che nemmeno i missionari nel Burundi, anche se è da sette anni che non hai nemmeno un raffreddore. E ovviamente succede. Succede. Io non lo so come fanno. Non ti ammali da sette anni e ti ammali quando sei lontano, e, cornuto e bastonato, devi sorbirti pure il vecchio “te l'avevo detto di coprirti bene” – anche se indossavi già la canottiera della salute del nonno, due maglioni, un cappotto, dei calzettoni antistupro e una sciarpa in lana perché lei ti aveva precedentemente minacciato di catapultarsi da te se non l'avessi fatto. E il peggio è che tu sai che ne sarebbe capace. Poi si avvera la peggiore delle possibilità: non rispondi al cellulare. Perché non lo senti, è scarico, l'hai dimenticato a casa.

Se un figlio non risponde al cellulare, non è che non l'ha sentito, no. È morto. Non c'è via di mezzo. Se poi non si risponde per un periodo di tempo che supera la mezza giornata, si è peggio che morti. Ti hanno fatto a pezzi. Hanno venduto i tuoi reni al mercato degli organi. Ti hanno rapito e adesso stai facendo la prostituta in India o giù di lì. Possibilmente senza una gamba. Nel tempo che impieghi per chiamare a casa e avvertire tua madre che 1) respiri, 2) non ti hanno amputato niente, 3) non hai preso la malaria, lei ha già avvertito polizia, carabinieri, CIA, Scotland Yard e i servizi segreti per ritrovarti. Te, o ciò che ne è rimasto. Tuo padre, povera anima pia, si è già nascosto sotto il letto quando ha cominciato a urlare che sei uno sciagurato insensibile che non pensa al povero cuore di mammà.

Quando poi, finalmente, la ricontatti, sai che la tua vita è finita. Sai cosa ti aspetta. Tempo due minuti e tua madre ha già promesso che, una volta tornato a casa, non rivedrai mai più la luce del sole né il tuo cellulare, perché non le hai risposto e quindi “TANTO NON LO USI SE NON PER MESSAGGIARE”, ha girato il collo di trecentosessanta gradi e ha vomitato roba verde per poi ricominciare a sbraitare. Nel frattempo hai già perso buona parte del tuo udito, ovviamente, ma tanto non ti servirà. Non in isolamento. Nella tua stanza. “Per sempre”, sottolinea tua madre, chiudendo la chiamata.

Ora riportiamo questa situazione tipo nel mio caso specifico. Mamma ha chiamato. Mamma si è sentita rispondere al telefono da uno che avrebbe potuto fare presumibilmente parte di una o più delle categoria ivi citate (spacciatore/commerciante d'organi/magnaccia – soprattutto magnaccia – il serial killer è una professione?) e poi dalla mia migliore amica, che non sapeva dove fossi. Questo significa che nelle migliori delle ipotesi mia madre è la seconda persona, stasera, che vuole ammazzarmi. Ammesso, nella sua mente, che mi ritrovi viva.

Insomma, mamma, probabilmente, al momento somiglia a Satana. Però peggio. Più incazzata.

E il telefono di Anna squilla. Come nei peggiori film horror, il telefono squilla. Io salto su in piedi, sbattendo il ginocchio sinistro contro il tavolo e facendomi scappare un ululato di dolore mentre Anna tiene il cellulare lontano da sé come se fosse una bomba ad orologeria.

« Stai lontana da me! » strillo tra le lacrime di dolore, « io non rispondo a quell'aggeggio malefico! »

« È TUA MADRE! »

« È SATANA! »

« È PUR SEMPRE TUA MADRE! »

« MIA MADRE È SATANA?! »

« NON CAMBIARE ARGOMENTO! DEVI RISPONDERE TU! »

« HO PAURA— »

« È SOLO TUA MADRE! »

« È PROPRIO PER QUESTO CHE HO PAURA! »

Allora Anna fa una cosa orribile. Mi acchiappa per la collottola, risponde alla chiamata, mi mette il cellulare in mano e me lo sbatte sull'orecchio. Dall'altro capo della cornetta, si sente solo un ronzio leggero e il respiro di qualcuno.

Di mamma.

Questo è un film horror.

I miei due neuroni si fanno il segno della croce.

« Elena? » fa lei.

« Ciao, mamma » pigolo, con un filo di voce. « Fammi indovinare: morirò tra sette giorni. »

E poi, come avevo previsto, si scatena la Bestia. « HAI IDEA DI QUANTE VOLTE TI HO CHIAMATO? DI COME MI SONO SENTITA QUANDO HA RISPOSTO PRIMA QUELL'INGLESE E POI ANNA? QUANDO MI HA DETTO CHE NON SAPEVA DOVE FOSSI? COSA LO USI A FARE IL CELLULARE SE POI LO TIENI SCARICO? SEI IN FRANCIA, POTREBBE SUCCEDERTI QUALUNQUE COSA E IO NON POTREI MAI SAPERLO, NON SE NON RISPONDI ALLE MIE CHIAMATE! SAI QUANTO ERO PREOCCUPATA? EH?OVVIAMENTE NO, NON CI HAI PENSATO! » Ecco. Secondo me le madri seguono un corso specifico su come instillare i sensi di colpa nei figli. Per forza, perché non posso credere che sia tutto talento naturale. « Si può sapere che stavi facendo DI TANTO IMPORTANTE PER NON AVERE TEMPO DI RISPONDERMI?! » Mamma, non lo vuoi sapere, credimi. « ANCHE LA NONNA ERA SPAVENTATA? » Ovviamente. « E anche papà! » Poteva essere diversamente?

« Mamma... » provo a dire.

« NIENTE MAMMA! »

« Madre... »

« NON FARE LA SPIRITOSA! IO TI TOLGO TUTTO! »

Che vi avevo detto?

 

Sono le tre del mattino. Mamma, nel caso che lo steste chiedendo, ha sbraitato e presumibilmente vomitato robaccia verdastra come la bambina de L'Esorcista per un altro quarto d'ora, prima che le promettessi che domani l'indomani l'avrei chiamata io, e poi, finalmente, chiudere la chiamata.

Ovviamente, devo ancora trovare il modo di chiamarla se il mio cellulare è fra le mani di Jared Leto. Sottigliezze.

Dicevo.

Sono le tre del mattino e tutto tace.

Tranne il dannato BlackBerry di Jared.

Ho pensato di tenerlo acceso, attaccato al caricabatteria, nel caso decidesse di telefonare (io ho troppa fifa di fare il primo passo). Peccato che sia da più o meno sei ore che il cellulare non-smette-di-vibrare. Mi sono svegliata cinque volte. Alla quarta, gli occhi chiusi e palle delle dimensioni di un asteroide, ho quasi lanciato l'Aggeggio Demoniaco contro il muro. Ed è superfluo dire che nessuna delle chiamate, nessuno dei messaggi è da parte di Jared.

I primi due messaggi erano di Chloe. Poi c'è stata Josephine. Poi, Charlotte. Pausa. E fin qui mi sono detta: “okay, posso capire, ha quarant'anni, è single e dovrà sfogare i suoi impulsi sessuali su qualcuno”.

Però poi ci sono state, in ordine: Elise, Natasha, Eleonor, Violinista Rossa n°1, Violoncellista Bionda (giuro, erano salvate tra i contatti così), Katiusha, Mary, Penny, Lily e Hugo. Sì, Hugo. Seguiti da un altro paio di nomi che parevano usciti da un porno slovacco scadente e da una vaga, misteriosa M♥ con tanto di cuoricino stilizzato accanto. Mi sono interrogata su chi sia la fortunata che si è meritata il cuoricino, visto che Mom è salvato normalmente, per all'incirca due secondi e mezzo, prima di tornare in coma con la bava alla bocca e risvegliarmi adesso. Ho ancora un occhio aperto e uno semichiuso, praticamente.

La nuova chiamata persa è di una certa Camila.

Comincio a chiedermi se fa il cantante per copertura, per nascondere la sua fiorente carriera da magnaccia. O se gestisce una casa di appuntamenti. O un love hotel.

Coscienza dice che è la mia gelosia che sta parlando.

Anna si rigira nel letto sopra il mio, che cigola sinistramente. La sua mano penzola al lato del letto. Dopo qualche secondo, giunge la sua voce cavernosa che sembra tanto un'eco dell'inferno.

« Se non spegni immediatamente quel cellulare, ti giuro che ti strozzo con il filo del caricabatterie e alla polizia dico che è stato un gioco erotico finito male. »

Gemo. « Ma se chiama lui... »

« Non ci stiamo capendo » ringhia, « se non spegni quel dannato coso molesto scendo e te lo infilo dove non batte il sole mentre ancora vibra. »

E sospirando vado per spegnere il BlackBerry.

Se non fosse che ricomincia a vibrare e leggo il nome sul display.

Mom.

Oh, merda.

Merda.

Merda.

È Constance.

 

 

 

Sono imperdonabile, lo so. Ho ricevuto un bel po' di messaggi che mi chiedevano di continuare questa fanfiction, e mi dispiace di averlo fatto così in ritardo e con un capitolo orrido dove Jared manca pure. Sono seriamente mortificata. Comunque, ci ho provato, sono qui e mi scuso del ritardo. Fra esami di maturità e altre cose non ho potuto continuarla, e tra qualche giorno dovrò pure trasferirmi, quindi... prometto di continuarla, anche se, magari, con molti ritardi.

Se ci siete ancora, grazie di aver letto.

Vedo se riesco a rispondere alle recensioni.

Un bacio,

 

Carme.

 

 

 

 

 

 

   
 
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