Il primo giorno di tirocinio, fu per Grace qualcosa di
interessante, qualcosa che riuscì a distrarla da tutti i pensieri che le si
affollavano in testa.
Fu per l’ennesima volta grata di avere un’occupazione, un mestiere
da apprendere, un nuovo ambiente nel quale ambientarsi, in base alle sue
possibilità e difficoltà. Tutto era nuovo e ogni angolo di quella labirintica
struttura la affascinava, facendole dimenticare tutto ciò che la tormentava.
Jeremy, neanche a dirlo, le mancava terribilmente. Ma questo era un
motivo in più per impegnarsi, in modo da racimolare un po’ di soldi per poterlo
raggiungere e conoscere il luogo in cui viveva.
Poi, ovviamente, c’era Elizabeth e la sua confessione che,
inevitabile, ogni tanto faceva capolino nei suoi pensieri e la metteva a
disagio.
Grace, tuttavia, scacciò ogni cosa che non riguardasse il tirocinio
e si concentrò completamente su ciò che le veniva spiegato.
Alla fine della mattinata, uscì dall’ufficio, sfinita ma
soddisfatta di sé.
Sua madre, premurosa com’era, aveva insistito per andarla a
riprendere.
Grace salì in macchina e sospirò. “Che stanchezza!”
Sua madre mise in moto e sorrise, dirigendosi verso il
supermercato. “Com’è andata? Cos’hai fatto?”
La ragazza, con entusiasmo, prese a raccontarle tutto nei minimi
dettagli e si stupì di quanto quel primo giorno le fosse piaciuto, nonostante
si fosse appena orientata e avesse assorbito solo un elenco infinito di cose
interessanti che, col tempo, avrebbe dovuto imparare a svolgere in completa
autonomia.
“Ah, contabilità! Sembra interessante” commentò la donna, mentre
parcheggiava l’auto.
“Sì. È tutto interessante, spero solo di essere in grado” mormorò
Grace, per poi scendere dalla macchina e avviarsi all’interno del negozio, dopo
aver preso sottobraccio sua madre. Fu lieta di essere investita da un’ondata di
aria fresca che le fece quasi dimenticare il caldo che permeava l’aria
all’esterno.
Mentre si guardava intorno, il suo cellulare squillò.
“Jemy!” saltò su, allegra. “Non sei a lavoro?”
“Ciao, Gracie. Sono in pausa. Ti ho chiamato per sapere com’è
andata” disse lui, con tono stanco.
“A me tutto bene. Sembra interessante. Ma tu, piuttosto… sei
sfinito, vero? Hai fatto un grande sacrificio per me, mi sento un po’ in colpa”
mormorò la ragazza, rattristandosi un poco.
“Non ti preoccupare, sto bene. Il fatto di aver trascorso del tempo
con te mi ha reso felice, non importa cosa ho dovuto fare.”
Grace sorrise, mentre sua madre ordinava del companatico alla
salumiera. “Mi manchi” sussurrò, sperando che nessuno si impicciasse troppo
nella sua conversazione.
“Anche tu, lo sai. Ci rivedremo presto, non sopporto di starti
lontano troppo a lungo.” Jeremy ridacchiò.
Si salutarono e Grace rivolse nuovamente la sua attenzione alla
madre.
“Era Jeremy?”
“Sì. L’ho sentito stanco, ha combinato un casino per potermi
accompagnare a quel concerto senza perdere il lavoro.”
La donna si avviò alla cassa. “Sì, in effetti ha fatto un bel
sacrificio.”
“Però ci siamo divertiti!”
Le due pagarono e uscirono, per poi rientrare a casa.
Mentre Grace sparecchiava, il suo cellulare la avvertì dell’arrivo di
un messaggio. Sbuffò e lo estrasse dalla tasca dei pantaloncini che indossava.
Sullo schermo apparve Elizabeth come mittente.
“E questa che vuole?!” sbottò, attirando l’attenzione di suo padre.
“Chi?”
“Elizabeth.”
“Non siete più amiche?”
Grace fece spallucce. “Non lo so.”
“In che senso?” L’uomo la osservò, curioso.
Grace era sempre riuscita a confidarsi con lui, più di quanto non
facesse con sua madre. Lui cercava sempre di analizzare con calma le situazioni,
dandole dei consigli ragionevoli. Sua madre, invece, si limitava a dirle di
lasciar perdere chi non le andava a genio, senza analizzare né prendere in
considerazione eventuali motivazioni.
Grace finì di pulire il tavolo e si sedette sul divano accanto a
suo padre.
“Cosa ti ha fatto?” domandò ancora lui, socchiudendo gli occhi.
“Lei…” Lei fece un sospiro. “Va a trovare Noel Deaver” ammise,
vergognandosi infinitamente di avere un’amica del genere.
“Quel delinquente!”
“Sì, proprio lui. Dice di esserne innamorata da tempo, dice che lui
è pentito e un sacco di altre stupidaggini!”
“E adesso che pretende da te?”
Grace riprese il cellulare e aprì il messaggio.
C’era scritto:
Ciao. Noel vorrebbe vederti, ha detto che vuole chiederti scusa per
tutto quello che ti ha fatto. Grace, lui è davvero pentito e non vuole che tu
ce l’abbia con lui per sempre. Ti prego, pensaci.
“Questo è troppo!” Grace si alzò, impettita. Schiacciò con forza il
tasto verde e chiamò Elizabeth.
Suo padre, dopo aver letto il messaggio, aveva scosso il capo.
“Grace, hai…”
“TU SEI FUORI DI TESTA!” sbraitò, puntandosi una mano sul fianco.
“Calmati, dai…”
“No, Elizabeth! Come faccio a calmarmi? Quel tipo mi ha quasi
violentato, come pensi che io possa sentirmi? Credi che tutto sia facile, vero?”
“No, ascolta. Lo so, lo so che è stato orribile, anche Noel lo sa e
io non faccio altro che ripeterglielo, perché è giusto che paghi per i suoi
errori. Ma lui vuole essere una persona migliore, sa che ha sbagliato e si
sente orribile per questo. Vorrebbe solo chiederti scusa guardandoti negli
occhi.”
Grace espirò bruscamente, camminando avanti e indietro per la
cucina. “E secondo te, io dovrei accettare di venire con te a casa di Noel
Deaver? Se la pazza sei tu, dovrei diventarlo anch’io?”
“Non diventerai pazza! Puoi andartene quando vuoi, nessuno ti
trattiene, non più.”
“Non lo so, ti faccio sapere.” Detto questo, la ragazza fece
terminare la telefonata e si sedette nuovamente accanto al padre.
“Allora?”
“Vuole che io vada a casa di quel… insomma, di Deaver, perché lui
vuole chiedermi scusa.”
L’uomo annuì. “E tu cosa vuoi fare?”
“Sinceramente non lo so. Potrei anche andarci, non sono obbligata a
rimanere chissà quanto. Sai, mi piacerebbe sfogarmi contro quello stronzo, dopo
tutto quello che ha combinato.”
“Devi fare quello che ti senti, Grace.”
Lei annuì, come per convincere se stessa. “Sì, credo proprio che ci
andrò.” Afferrò il cellulare e inviò un messaggio ad Elizabeth.
Così, si accordarono per quel pomeriggio.
Grace era agitata. Ancora non aveva capito come avesse potuto
accettare di compiere una simile pazzia. Se Jeremy fosse stato con lei, non
glielo avrebbe permesso.
Al telefono, aveva sbraitato per un quarto d’ora prima di calmarsi
e cercare di accettare la decisione della sua ragazza. Ma, come ben sapeva,
Grace non lasciava che nessuno le dicesse cosa doveva fare. Non era sicura che
fosse la decisione giusta, ma rimase coerente con se stessa e non mancò
all’appuntamento con Elizabeth.
Erano le sei del pomeriggio e le due si incontrarono vicino a casa
Carlsson.
“Elizabeth, sono sicura che questa sia una pessima idea, ma credo
proprio che quel coglione si meriti un po’ dei miei insulti” commentò Grace,
acida.
“Non essere così dura con lui” la implorò l’altra, camminando
velocemente verso la periferia del paese.
“Non cominciare a difenderlo, altrimenti me ne torno a casa!”
“Va bene, va bene…”
Le due ragazze rimasero in silenzio finché non giunsero alla loro
meta.
Elizabeth suonò il campanello e, pochi istanti dopo, la signora
Deaver aprì loro, invitandole flebilmente ad entrare.
Grace le rivolse quella che doveva essere un’occhiata
compassionevole, certa che non fosse colpa sua se il figlio era cresciuto come
un animale.
“Mi dispiace… mio figlio…” farfugliò, rivolgendosi alla ragazza.
“Signora, la prego, non dica niente. Non serve. Suo figlio è una
bestia, ma sono certa che non sia colpa sua. piuttosto, a me dispiace per lei,
non dev’essere facile vivere in compagnia di un reietto.”
La signora Deaver sgranò gli occhi e spalancò la bocca, stupefatta
da quelle parole dure e dall’odio che quella ragazza nutriva nei confronti di
Noel.
Elizabeth, turbata, si limitò a scuotere il capo.
“Allora, dov’è? Vado di fretta!” sbottò Grace con strafottenza, per
poi sbuffare.
“Elizabeth, ci pensi tu?”
“Sì, Emma, non ti preoccupare.”
Grace si costrinse a tacere, nonostante trovasse disgustoso che
Elizabeth avesse tanta confidenza con la donna.
“Grazie. Allora… ciao, ragazze.”
“Ciao Emma” rispose Elizabeth.
L’altra ragazza non aprì bocca e si limitò a seguire la sua amica,
facendo di tutto per non toccarla, pur non riuscendo a vedere granché
all’interno di quell’angusta abitazione.
Le due raggiunsero una porta ed entrarono senza bussare.
“Liz” mormorò rauco Noel, non appena vide Elizabeth far capolino
nella sua camera.
“Ciao, Noel.” La ragazza lo raggiunse e gli regalò un abbraccio.
“Come stai? Hai mangiato?”
Lui scosse il capo. “Non mi va.”
“Dio, Noel! Farai impazzire Emma!”
“Già, povera mamma. Oggi le ho imprecato contro, sicuramente mi
odierà.”
“Insomma, vogliamo smetterla con questa pagliacciata?!” sbottò
Grace, facendo qualche passo avanti. Osservò con disgusto ciò che la
circondava, poi fece una smorfia e scosse il capo.
“Grace, sei venuta. Non ti avevo visto, scusami…” Noel Deaver si
alzò a fatica dal letto e, automaticamente, Grace fece tre passi indietro, fino
a ritrovarsi contro la porta.
“Non ti avvicinare, porco” sibilò tra i denti, fissando in cagnesco
l’ombra del ragazzo.
“Non ti si avvicinerà, Grace, tranquilla” dichiarò Elizabeth,
posando una mano sulla spalla di Noel, come per trattenerlo.
Grace non disse nulla e rimase ferma, attendendo che quello
psicopatico pervertito dicesse qualcosa che valesse la pena di ascoltare.
“Grace, non so da dove cominciare… io… so perfettamente che mi
disprezzi, che ti faccio schifo e non posso darti torto. Non ti chiedo neanche
di perdonarmi.” La sua voce era stanca, debole, come se non avesse più voglia
di farla udire al mondo. Parve quasi barcollare, sfinito, oppresso da un peso
che solo lui meritava di portare sulle sue spalle.
“Tutto bene?” fece Elizabeth, apprensiva, facendo per sostenerlo.
“Sì, grazie, Liz.”
Grace fissò la scenetta con un certo disgusto, provando comunque
pena per la ragazza. Era cieca d’amore e quel maiale se ne stava approfittando
ampiamente.
Noel, dopo essersi schiarito la voce, riprese a parlare: “Non
pretendo che tu mi perdoni, non potrei mai chiederti qualcosa di simile. Mi
sento uno schifo per tutto quello che ho combinato, non merito niente da
nessuno, lo dico anche a Liz, sempre.”
“E lei? Lei cosa ti dice, eh?” Grace era sempre più incredula, era
tutto troppo paradossale per essere vero.
“Lei vuole starmi vicino, vuole aiutarmi a non cadere sempre più in
basso. Sono disperato, non so proprio cosa mi sia preso. Ero geloso di Jeremy,
non lo so. Vorrei poter tornare indietro. Ma quel che è fatto, è fatto, ne sono
consapevole.” Tossicchiò, poi si sedette nuovamente sul letto, già stanco.
Grace era sotto shock: quello che era sempre parso un ragazzo
forte, spavaldo, sicuro di sé, ora rappresentava poco più che un cadavere.
Emanava un’energia negativa, quasi mortale, qualcosa se lo stava mangiando
dall’interno e lo rendeva debole, facendogli rifiutare qualsiasi forma di
sostentamento. Stava morendo dentro.
“Basta così” balbettò Grace, facendo un altro passo indietro.
Improvvisamente, si sentiva quasi come se lei fosse Noel, come se fosse stata
lei a commettere quell’orribile gesto. L’empatia poteva essere qualcosa di
positivo, alle volte; in altre occasioni, come quella, la trovò spaventosa e fu
decisa più che mai ad andarsene per sempre fuori da quell’inferno.
Si voltò.
Fece qualche passo avanti, poi si fermò, cercando di capire come
uscire da quel tugurio.
Udì appena un fruscio provenire dalla camera di Noel, poi si sentì
afferrare per un polso.
Cacciò un grido.
“Grace, aspetta.”