Cosa.
Diavolo.
Sta.
Succedendo.
Mi sento... non so come. Cerco di capire cosa mi
sta accadendo, da dove arriva questo... fastidio... e perché sono tutta
intontita. Con uno sforzo apro gli occhi, e la prima cosa che vedo è...
Christian? Oh, Orione, ma sei onnipresente? Ahi!
Sento la pelle che mi tira all’altezza del fianco sinistro e non riesco a
capire perché. È un dolore strano.
Mi volto appena e vedo Anne, in piedi alla mia
sinistra. Da dov’è sbucata fuori? Provo a dire qualcosa ma ho la gola come
carta vetrata e le labbra talmente secche che sembrano roccocò. Mi passo la
lingua sulle labbra cercando di ammorbidirle e deglutisco, strizzando gli occhi
per il fastidio.
«Che è successo?» Riesco a chiedere infine con
un filo di voce. Christian e Anne si guardano, poi lui fa un cenno con la mano
per cederle la parola.
«Hai avuto un’emorragia. Avevi una cisti ovarica
che è scoppiata e ti ha causato tutto quel dolore. Sei stata operata d’urgenza,
ma il dottore si è detto davvero soddisfatto dell’intervento. Dovrebbe passare
tra poco per spiegarti bene tutto. Tesoro mio...» Quando mi stringe la mano,
sento le lacrime affiorarmi agli occhi. Li chiudo, per fermarle.
Ho qualche vago ricordo del mio arrivo qui, era
come se perdessi conoscenza e rinvenissi a brevi e frequenti intervalli di
tempo. Ricordo di essere stata messa su una barella, ricordo gli occhi di
Christian, ricordo l’odore pungente della sala operatoria, e il freddo che mi
ha avvolto le membra. Ricordo la sensazione del... sangue, tra le gambe, mentre
mi spostavano dalla barella a quel minuscolo tavolo operatorio. Poi non ricordo
più nulla.
Riapro gli occhi, ancora velati di lacrime, e
guardo Christian.
«Mi hai...» Deglutisco con uno sforzo immane.
«...mi hai portata tu qui?»
Lui annuisce e avvicina la mano al mio viso.
Vorrebbe toccarmi, forse, ma le sue dita afferrano solo la stoffa bianca e dura
del lenzuolo. La suoneria del suo cellulare interrompe quel momento, e per un
istante temo che possa dover andare via. Non voglio che se ne vada. Non
voglio...
«È Lily. È stata con noi fino a poco prima che
uscissi dalla sala operatoria. È dovuta tornare al lavoro, ma ha già chiamato
due volte.» Mi spiega velocemente prima di rispondere. «Lily? Ciao. Sì, ora è
sveglia. Sì, è andato tutto bene e tra poco dovrebbe passare il chirurgo per
darci maggiori informazioni sull’intervento.» Sposta lo sguardo dal letto a me.
«No, credo che abbia difficoltà a parlare... forse per via dell’intubazione. Te
la saluto io. D’accordo, d’accordo. A presto.» Preme il tasto rosso e stavolta
afferra la mia mano senza esitare. «Ti saluta. Ha detto che se volevi scansarti
il manoscritto della Rousseau non te la caverai così facilmente.»
Non posso fare a meno di ridere, cosa che però
mi porta dolore alla pancia e fastidio alle labbra. Devo essere un disastro.
«È sveglia?!» La voce di mia sorella mi fa
voltare verso la porta della stanza. La vedo correre verso di me e prendere il
posto di Christian, che è costretto a lasciarmi la mano e indietreggiare verso
la finestra.
«Ele...» Eva mi abbraccia, per quanto possibile
con le flebo e tutto il resto, e poi fruga nella borsa, tirando fuori un...
lucidalabbra? «Hai le labbra tutte screpolate, ma il dottore ha detto che non
puoi bere per un po’, così ho pensato di prendere un burro cacao.» Toglie il
tappo e mi guarda. Non ti azzardare a mettermelo come se avessi due anni.
Allungo la mano destra e lo prendo, facendo da sola.
«Oh mio Dio ti sei svegliata!» Chi è adesso?
Serro le labbra per distribuire il burro cacao e vedo Rachel accorrere al mio
capezzale. Mamma mia, ma chi l’ha chiamata tutta questa gente?! Non ho ancora
salutato Cooper, tra l’altro.
«Vi odio. Non dovreste vedermi in queste
condizioni.» Biascico, imbronciata.
«Invece sì, così potremo prenderti in giro a
vita.» Ridono tutti, e io alzo gli occhi al cielo.
«Vi piace vincere facile, insomma.» Li imbecco,
e vedo che Eva sta per replicare qualcosa ma si blocca scorgendo un’infermiera
venire verso di noi per cambiarmi la flebo. Oh, io non le devo vedere queste
cose...
Sento che armeggia con l’ago infilato nel mio
braccio e mi inizia a girare lo stomaco. Deglutisco lentamente, cercando di
attenuare la sensazione sgradevole, ma finisco per peggiorare la situazione,
col disastro che mi ritrovo in gola.
«Devo vomitare.» Riesco appena in tempo ad
avvertire l’infermiera che lei mi piazza un catino bianco davanti salvando le
lenzuola immacolate.
«Oh cazzo, ma quello è sangue!» Sento che dice Anne,
e quando metto a fuoco effettivamente vedo un liquido scuro sul fondo del
catino.
«Probabilmente il tubo col quale l’hanno
intubata le ha graffiato la gola. Hai fastidio alla deglutizione?» Mi chiede
l’infermiera, e io annuisco decisa, mentre torno ad appoggiarmi al cuscino. «E
allora è stato il tubo. Non è sangue vivo, evidentemente qualche goccia dev’essere
finita nello stomaco durante l’intervento e ora il tuo corpo la sta rigettando.
Stai tranquilla, adesso ti sentirai subito meglio.»
Voglio morire ora e subito.
«Tesoro...» Rachel mi stringe la mano. «Io devo
scappare, mi hanno chiamata a sostituire una mia collega all’ultimo momento.
Però torno domani appena smonto, hai capito? O in ogni caso ti chiamo stasera.
Tu riposati.» Mi dà un bacio sulla guancia e va via, incrociando nel corridoio
della stanza quello che sembra un dottore, a giudicare dal camice bianco.
«Allora, Elettra. Come ti senti?» Si siede sul
letto e mi prende affettuosamente la guancia tra due dita. Io espiro
lentamente. «Ho la gola scartavetrata, la testa pesante, ho appena vomitato
sangue, ho la sensazione che tra poco il braccio della flebo se ne cadrà, ho un
fastidio perenne al fianco sinistro e mi fa male l’osso sacro.» Dico tutto d’un
fiato, stringendo i denti per il bruciore alla gola. «Ah, e ho fame.» Aggiungo,
arrossendo.
«Quadro clinico perfetto!» Esclama sorridente il
dottore. «Vediamo di tranquillizzarti: per quanto riguarda la gola, è colpa del
tubo. Hai il collo longilineo, e per quanto il tubo sia piccolo ha potuto
ugualmente graffiare le pareti della laringe, ma questo passerà fra qualche
giorno. Per la testa, è la conseguenza dell’anestesia generale, assolutamente
normale. Il braccio della flebo non tenerlo immobile, muovilo tranquillamente e
vedrai che non avrai più quella sensazione. Il fastidio al fianco sinistro è dovuto
al tubo del drenaggio.» A questo punto il dottore si alza e fa il giro del
letto, spodestando Anne dal punto in cui si era inchiodata. Si china e alza una
busta, che sembra quella del catetere ma invece raccoglie sangue. Nel
movimento, sento distintamente il tubo di cui parlava muoversi nella mia pancia
e sussulto dal dolore.
«Cazzo! Fa male.» Lui lo rimette giù e mi spiega
a cosa serve.
«Il drenaggio serve a pescare il sangue e i
liquidi dall’utero e a segnalare un’eventuale emorragia. Lo terrai fino a
mercoledì.» Mamma mia. Che bella notizia. «L’intervento non è stato una
passeggiata: avevi una cisti delle dimensioni di una grossa arancia, che poteva
torcere l’ovaio e generare serie complicazioni. Fortunatamente sei stata
portata subito in ospedale, e siamo riusciti anche a evitare di intervenire
attraverso laparotomia.» Dieci paia d’occhi lo guardano perplessi. «Non hai
avuto il taglio. Hai quattro bei buchetti sulla pancia, di cui uno
nell’ombelico. Quello del drenaggio è un po’ più grande, infatti hai avuto due
punti di sutura lì, ma col tempo le cicatrici saranno davvero minime, solo un
occhio attento se ne accorgerà.»
«Okay.» Mormoro, elaborando tutte quelle
informazioni. Niente cicatrici, molto bene.
«Per mettere a riposo le ovaie ti è stata fatta
un’iniezione che comporterà l’assenza del ciclo per due mesi. Dopodiché inizierai
a prendere la pillola, se non la prendevi già.» Io scuoto la testa. «Bene,
allora te ne prescriverò una a basso dosaggio ormonale. Intanto farai una cura
di ferro, che hai già iniziato qui – indica una delle due flebo, che in effetti
è di un marroncino chiaro – e che continuerai a casa per un’altra settimana. Per
quanto riguarda il cibo, stasera potrai iniziare a bere ma non a mangiare.
Domani avrai il tuo bel brodino.» Detto ciò, si alza e mi scompiglia i capelli.
Istintivamente guardo Christian e lo vedo sorridere divertito. Si porta una
mano alla bocca come a prevedere la mia reazione contrariata che non arriva
perché, per una volta, decido di trattenermi. E poi sono troppo stanca per
arrabbiarmi.
Il dottore va via e io sbuffo sonoramente,
facendo sollevare un ciuffo di capelli che mi ricadeva sul viso. Anne scoppia a
ridere.
«Come sei comica.»
«Se non avessi un tubo nella pancia ti
ucciderei, poi vediamo quanto sono comica!» Borbotto, piccata.
«Avanti, non è così male…» Dice Cooper,
sghignazzando.
«Ho vomitato sangue, sto facendo pipì in un
catetere come se avessi centoventidue anni e il dottore ha appena sbandierato
ai quattro venti la mia situazione ginecologica. Noooo,
non è per niente male! Credo di aver
perso anche quel briciolo di pudore che mi era rimasto.» E adesso datemi una
pala che devo sbrigare un affare in Cina.
«“E smettila di fare la vittima!”» Christian mi
fa il verso e si avvicina, allungando la sua minacciosissima mano su di me. Mi
prende le guance e stringe piano, serrando le labbra come se si stesse
trattenendo dal fare qualcosa. Per esempio… mangiarmi.
Anne ci sta guardando con un sorriso che parte
da un orecchio, fa il giro dell’ospedale e arriva all’altro. Cooper sta mimando
un neonato tra le braccia, cullando l’aria con un’espressione tenera e a tratti
rincoglionita. Eva invece è stata posseduta da Violet e sta violentando il
muro. Fortunatamente Christian è di spalle e non li vede. Se solo potessi allungarmi
a prendere quella borsa che è ai piedi del letto gliela lancerei in fronte.
Christian, che stupido non è, intercetta il mio sguardo e si volta, causando
l’immediata paralisi dei miei tre parenti-serpenti, che adesso sembrano giocare
a Un, due, tre, stella!
Cooper si gratta il capo, Eva fa finta di
affacciarsi alla finestra e Anne sta trattenendo una risata, ma tra poco le
esploderanno le orecchie per lo sforzo. Io piano piano
scivolo sotto il lenzuolo, desiderando il dono dell’invisibilità. Cosa ho fatto
per meritare questo?
«Sono dieci idioti. Tu ne vedi tre, ma in realtà
ne sono dieci. Un concentrato di scemenza formato tascabile. Non fare caso a
loro.» Agito la mano come a voler liquidare la faccenda e Christian sorride col
suo solito fare canzonatorio, della serie ‘niente mi tange, nemmeno i tuoi
parenti che giocano a Indomimando alle nostre spalle’.
Uno sbadiglio mi coglie di sorpresa, portando
con sé un’improvvisa ondata di sonnolenza che mi intorpidisce tutto il corpo,
cervello compreso.
«Ragazzi, mi dispiace ma io vado in stand-by.
Non mostrate il meglio di voi a Christian. Christian, salvati finché puoi.» Gli
dico, e il suo sorriso dolce è l’ultima cosa che vedo prima di sprofondare in
un sonno beato.
***
«Sembra quasi…
innocua.»
«Sembra, hai detto bene. In realtà emana
radiazioni cancerogene anche da addormentata.»
«Dai smettetela, non è corretto prenderla in
giro mentre dorme! Aspettate che si svegli.»
«Sì, poi possiamo anche iniziare a correre.»
«Guardate che vi sento.» Mormoro con gli occhi
ancora chiusi. Si sente una risatina nasale, che al novanta per cento
appartiene a mia cugina.
«Da quanto sei sveglia?» Questo è Christian. È
ancora qui? Che ore saranno?
«Da poco. Le radiazioni cancerogene però le ho
sentite.» Apro gli occhi e scopro che fuori è buio; ad illuminare la stanza ci
sono le luci singole dei letti, meno “sfolgoranti” di quelle del soffitto. Sposto
lo sguardo da Christian ed Anne, seduti alla mia destra, alle due nuove losche
figure comparse alla mia sinistra: Nancy ed Andrew.
«Ragazzi, non dovevate…»
Lei mi stringe la mano, scuotendo la testa.
«Che dici, stupida. Tu ti sei sorbita la nostra
smielata festa di fidanzamento, era il minimo che potessimo fare.»
«Mhmm, su questo hai ragione.» Replico, anche se
Violet sta protestando. Sventola le fotografie che ritraggono me e Christian e
il suo cardigan, che a proposito giace ancora sul mio letto a casa. Quanto
vorrei averlo addosso adesso.
Oddio. No, non l’ho pensato.
Violet si sta sfregando le mani, sul volto ha un
sorriso simile a quello della maschera di Guy
Fawkes. Cioè, fa quasi paura.
«Ti senti bene? Hai una faccia sconvolta, ti fa
male qualcosa?» Anne, super premurosa come sempre, si alza per guardarmi
meglio. Io scuoto la testa velocemente e la allontano con il braccio.
«No, no. Pensavo.» Guardo Christian di sottecchi
e sarei pronta a giurare che sa a
cosa sto pensando.
Pensando,
fantasticando, desiderando, bramando come il cioccolato per un diabetico.
«Evento raro, attenzione.» Dice, rispondendo poi
con una linguaccia alla smorfia che gli faccio. «Con l’anestesia, poi,
figuriamoci... riprenderai totalmente le funzioni cerebrali tra un mese. Poveri
noi.» Continua imperterrito e io allungo la mano a dargli uno schiaffo, ma non
ci arrivo. Christian si china in avanti e se la porta sul viso, strizzando
appena gli occhi nell’attesa della sberla. Per un microscopico attimo guardo
Anne e vedo il suo sorriso totalmente innamorato che non riesco a non
ricambiare e poi do un pizzico sulla guancia a Christian. La sua pelle è liscia
e calda. Mi scopro a pensare che vorrei ricordare com’è stato sfiorarla con le
labbra, con il viso. Il solo pensiero di quel contatto mi provoca un gradevole
formicolio alla nuca. Ma chi mi ha dato la brillante idea di ubriacarmi, quella
sera?
Stringi
la mano a te stessa, cara.
Già.
«Tesoro, si è fatto tardi, dobbiamo andare dai
miei.» Sento che dice Andrew, rivolto alla futura moglie. Nancy annuisce e si avvicina
per abbracciarmi.
«Tanti tanti auguri, esci presto da qui ma
approfittane per farti coccolare!» Mi fa l’occhiolino e fa passare Andrew che
mi saluta con una carezza sulla spalla.
Mentre escono salutando educatamente i parenti
della signora del primo letto, commento la frase di Nancy: «Coccolare...» Alzo
gli occhi al cielo e faccio schioccare la lingua. «Come se avessi tre anni.»
Christian schiude le labbra e alza le
sopracciglia in una finta espressione desolata e guarda Anne. «Allora mi sa che
non se ne parla per il frappuccino al caramello e il pacco di Mars che avevo
pensato di portarle domani...» Scuote la testa, dubbioso, e Anne fa un sospiro
dispiaciuto.
«No, mi sa di no, Christian. Elettra potrebbe
sentirsi viziata o troppo riverita.»
Sono talmente teatrali che scoppio a ridere.
«Ehi! Mica ho proprio detto così! Forse per i Mars farei un’eccezione.» Il mio
stomaco è d’accordo, a giudicare dal rumore.
«Ormai Christian si è offeso.» Commenta
addolorata Anne. «Devi farti perdonare.» Ecco che sparisce il cruccio e appare
il sorriso dello Stregatto. Stronza.
Christian ride sotto i baffi e io espiro
rumorosamente. Poi alzo il braccio sinistro e sorrido amabile. «Se vuoi
dividiamo la flebo di ferro, ti vedo un po’ sciupato...»
I due scoppiano a ridere e poi Christian si alza
per andare in bagno. Appena chiude la porta, Anne inizia a saltellare sul
posto.
«TU LO DEVI SPOSARE!» Sussurra con la voce che
trema dall’emozione. Io lancio un’occhiata perplessa alla parete del bagno che
sta sì e no a cinquanta centimetri da noi.
«Anne, non dire-»
«È rimasto a guardarti tutto il pomeriggio, ha
chiamato l’infermiera due volte per farti controllare le flebo e la
temperatura... tu non hai idea di
quant’è dolce!» Dice velocemente stringendo le mani e portandosele alla bocca.
Dal bagno si sente prima il rumore dello sciacquone, poi dell’acqua del
rubinetto.
«Di che avete parlato mentre dormivo, bastarda
infame?» La guardo minacciosa e lei fa un sorriso angelico. Sto per minacciarla
seriamente di dirmi tutto quando sentiamo la serratura della porta sbloccarsi e
lei si ricompone. O quantomeno smette di saltellare.
Quando l’oggetto della conversazione riappare
nel nostro campo visivo, ci guarda con non poco scetticismo, intuendo forse che
l’improvviso silenzio e i sorrisi serafici nascondono qualcosa.
«Ohiohi.»
Mugolo sentendo una fitta all’addome. Era troppo strano che non avessi ancora
dolore dopo l’operazione.
«Ti fa male? Prima l’infermiera ha detto che se
hai dolore ti fanno tranquillamente un antidolorifico. La chiamo?» Anne è
pronta a soccorrermi. Christian si avvicina al letto e mette un dito sul
campanello col quale si chiamano gli infermieri. Io annuisco e lui lo fa
suonare. Il ‘bip’ insistente che proviene dal corridoio cessa dopo qualche
secondo, e un giovane infermiere entra nella stanza per chiederci cos’è che non
va.
«Si può avere una siringa di antidolorifico?»
Chiede Anne per me, e lui annuisce. Torna poco dopo con un flacone che mette al
posto della flebo di ferro che è finita.
«Questa ti basterà anche per stanotte. Con
questi dolori non basta una siringa, specialmente il primo giorno.» Spiega
l’infermiere e poi va via dopo aver controllato l’altra paziente. Io resto con
gli occhi chiusi e la mente concentrata sugli spasmi per un tempo indefinito,
sperando che passino il prima possibile. Li riapro solo quando sento la voce di
Eva riempire la stanza.
«Eccoci! Come stai Ele? Oh. Non hai una bella
faccia. Ti hanno tolto una flebo?» Si avvicina al supporto metallico dove sono
fissati i flaconi e controlla con aria professionale il loro contenuto. «Ah, è
Toradol. Con questa passa tutto, tranquilla.» Mi accarezza la testa e si siede
sul letto. Anne ciondola lentamente verso Cooper e lo abbraccia, strofinando il
naso contro il suo petto. Dev’essere stanca morta, povera.
«Anne, perché non vai a casa?» Mormoro,
sentendomi in colpa. Cosa stanno a fare tutti qui? Anne combina solo guai con
Christian. Meglio che vada via, decisamente.
«Sì, è vero. Resto io per la notte, tranquilli.
Andate tutti. Anche tu, Christian, se vuoi.» Interviene mia sorella. Perché a
Christian dice “se vuoi” e ad Anne ha detto “va via e basta”? Lo dico io che
sono delle complottatrici.
Christian si strofina un occhio con la mano e
annuisce, dev’essere stanco anche lui. Mia cugina inizia a riporre nella borsa
i vari oggetti che aveva posato sul letto e sul tavolino e con uno sbadiglio
che riesce a malapena a contenere si avvicina per abbracciarmi.
«Grazie.» Mormoro e lei mi schiocca qualcosa
come trenta baci consecutivi sulla guancia.
«Cerca di dormire, e se non ci riesci o ti fa
troppo male non farti scrupolo di chiamare l’infermiere. Anche se conoscendoti
potresti anche far svegliare l’intero ospedale se ne avessi bisogno, quindi su
questo posso stare tranquilla.» Risponde con un sorriso.
«Ci vediamo domani, per qualsiasi cosa puoi
chiamare noi, lo sai.» Dice Cooper e mi saluta affettuosamente. «Anche se dalle
dieci a mezzanotte potremmo essere impegnati.» Guarda malizioso Anne e tutti
scoppiamo a ridere. Lei gli dà uno spintone e fa roteare gli occhi.
«Sono talmente stanca che dovresti fare tutto da
solo.» Afferma in risposta, e lo prende sottobraccio. «Andiamo dai. Ciao,
Christian... se non ci vediamo in questi giorni è stato un piacere conoscerti,
nonostante le circostanze insomma...»
Christian saluta i due consorti con una stretta
di mano. «Anche per me. Domani dovrei passare, comunque.» Sorride, poi mi
guarda. «Se non è di troppo disturbo alla malata.»
Anne mi sorride con un’espressione che nasconde
un “rispondi bene altrimenti ti sgozzo davanti a tutti” e io serro le labbra
per non ridere. «Se porti i Mars...» Dico, alla fine, speranzosa.
«Vedremo. Intanto fai la brava e non fare
arrabbiare tua sorella.» Con questa frase probabilmente si sarà guadagnato l’eterno
amore di quest’ultima, che ridacchia con aria ebete. Sto per commentare la cosa
ma mi blocco quando capisco che Christian sta per salutarmi. Lo vedo chinarsi
su di me e sento le sue labbra sulla fronte, insieme alla mano che mi accarezza
la nuca. «Buonanotte, per dopo.» Sussurra e io approfitto degli ultimi secondi
di vicinanza per inspirare il suo profumo.
Non posso fare a meno di notare gli sguardi
impressionati delle due figlie della signora dall’altro lato della stanza: lo
stanno praticamente mangiando con lo sguardo mentre attraversa il piccolo
corridoio. Lui invece guarda solo me, per l’ultima volta prima di uscire, e mi
rivolge un piccolo sorriso che ricambio col cuore che fa una capriola. Quando
torno a guardare Eva la trovo assorta con gli occhi persi nei dintorni della
porta. Senza staccarli da lì, sorride.
«Sai, se proprio non lo vuoi... lo prendo io.»
Non ho neanche bisogno di chiederle a chi o cosa
si stia riferendo. «Non ti tiro un cuscino in faccia solo perché mi fa male
sollevarmi per prenderlo.»
«Se non sono io sarà qualcun altro, sorellona. Io fossi in te mi darei una
mossa.» Dice, e poi si alza per andare in bagno, lasciandomi con questa frase
che mi rosicchia il cervello come un tarlo insistente.
Mpf.
Dormiamoci sopra.
**********
«Buongiorno!»
Una voce che non conosco si insinua nelle mie orecchie strappandomi dal sonno
leggero che mi ha accompagnato tutta la notte. Apro gli occhi e la forte luce
bianca della stanza mi costringe a socchiuderli di nuovo. Fuori è ancora
piuttosto scuro, almeno per quel che si riesce a intravedere dalle serrande
bianche.
Ma che ore sono? È l’alba?
Un’infermiera di mezza età dal sorriso gentile
mi si avvicina con una siringa contenente un liquido giallo e un termometro.
«Dobbiamo misurare la febbre e darti
l’antibiotico.» Spiega, garbata. Fortunatamente, non c’è bisogno di bucarmi il
sedere. Il mio braccio è già bucato e al cateterino
venoso che mi hanno messo in sala operatoria è stato aggiunto un ‘rubinetto’,
come mi ha spiegato Eva, che ha tre vie – o ingressi – per le flebo o per le
siringhe, come in questo caso. Dopo aver posizionato il termometro, spinge il
liquido giallo nel mio braccio e istantaneamente avverto un sapore orribile in
gola.
«Che schifo, lo sento in bocca.» Sorvolo
sull’estremo doppio senso della frase, ma l’infermiera non sembra accorgersene.
Annuisce e mi dice che è normale e passerà subito. Poi, quando il termometro
con due lievi bip annuncia di aver
registrato la temperatura, lei lo sfila dal mio braccio e legge sul piccolo
display.
«Trentasei e due, perfetto.» Dichiara con un
sorriso, per poi andare a ripetere il procedimento alla signora del primo letto.
Mugolo qualcosa mentre uno sbadiglio mi sfigura
momentaneamente la faccia, e poi mi volto verso Eva.
«Ma è normale che vengano così presto?» Borbotto
insofferente.
«Sì, l’antibiotico dev’essere somministrato con
precisione ogni dodici ore, ieri sera te l’hanno dato alle sei.»
Ah, quindi sono le sei del mattino.
Ottimo.
Dovete morire tutti.
***
«Ele? Ele, c’è mamma al telefono, vuoi
parlarle?» Per la seconda volta in troppo poco tempo vengo svegliata contro la
mia volontà, stavolta da mia sorella e da un profumo di caffè. Apro gli occhi e
la vedo seduta ai piedi del letto con un bicchierone fumante in una mano e il
cellulare nell’altra.
Caffè anche io!
Allungo la mano per prendere il telefono e nel
farlo controllo l’orario sul display. Sotto le otto e trentadue, ma le finestre
sono ancora oscurate. Forse l’altra signora sta ancora dormendo. Poverina, ha
avuto un intervento complicato, mi hanno detto ieri. Infatti non fa altro che
lamentarsi per il dolore. E ruttare. Ma ruttare tanto.
«Mamma?» Biascico strofinandomi gli occhi.
«Ele! Come stai amore? Quella disgraziata di tua
sorella mi ha chiamata ieri sera, non posso crederci che non l’abbia fatto
prima!» Brontola mia madre dall’altro capo, apprensiva.
«Tranquilla mamma, sto bene. Non volevamo che ti
preoccupassi troppo. In ogni caso, essendo dall’altra parte del mondo non
avresti potuto fare molto, a meno che papà non abbia inventato il
teletrasporto... ma ne dubito.» Eva sorride al mio solito sarcasmo, mentre
ostenta quel suo caffè pur sapendo che io avrò le crisi d’astinenza a breve.
«Lo so, lo so, ma sono pur sempre tua madre.
Comunque, quando ti fanno uscire?» Ecco, una persona che pensa positivo e
guarda oltre.
«Giovedì mattina credo. Devo restare qui altri
due giorni.» Sbuffo, e mi pento subito quando sento il tubo del drenaggio
tirare nella pancia.
«Ho capito... va bene, cerca di stare
tranquilla, adesso chiamo Anne e la zia Libby e mi assicuro che ti stiano
vicino. Ho provato a convincere Eva a trattenersi un altro po’ lì ma ha detto
che non può proprio e deve tornare.»
«Certo che deve tornare, ha il suo tirocinio.
Cosa resta a fare qui? C’è chi si prende cura di me, non preoccupatevi.» La
rassicuro, e quando mi sente, Eva annuisce e si raccoglie i capelli fermandoli
in un codino con la mano, poi gonfia il petto e mi guarda maliziosa, in una
evidente imitazione di Christian. Prendo il pacco di fazzoletti che ho sul
tavolino e glielo lancio addosso. «Mi dispiace solo di non averle fatto godere
il soggiorno a Miami.» Dico, sincera. Eva scuote la testa e viene a stringermi
la mano.
«Molto meglio che sia stata lì con te.» Risponde
mia madre, e Eva dice la stessa cosa contemporaneamente. «Dille di chiamarmi
stasera prima di partire. Con te ci sentiamo domani.» Prosegue, e quasi mi
sembra una minaccia.
«Va bene mamma, saluta papà. Un abbraccio
forte... vi voglio bene.» Riattacco e torno con la testa sul cuscino. Prendo il
telecomando che controlla il letto e schiaccio il primo pulsante in alto, che
istantaneamente fa alzare lo schienale.
«Questo letto è fighissimo, dici che non posso
portarlo a casa come souvenir?» Domando euforica a mia sorella, e lei
ridacchia.
«Non credo. Come vanno i dolori? La flebo sta
quasi per finire, dimmi se devo fartene portare un’altra.»
«Direi di sì, stanno iniziando a farsi
risentire...» Annuisco e mi porto una mano alla pancia, espirando scocciata.
Quando Eva torna con l’infermiera che mi cambia
la flebo, la faccio sedere di nuovo accanto a me. «Mi dispiace davvero che
questa... cisti del cacchio abbia rovinato il tuo viaggio. Sei sicura di non
poter venire nemmeno a Panama?»
Lei scuote la testa. «No, purtroppo. Ma vorrò
sapere ogni cosa!» Sorride sorniona, già so a cosa sta pensando e faccio
roteare gli occhi, scocciata.
«Non succederà nulla di rilevante.» Affermo,
convinta.
Lei mi picchietta la testa con la mano.
«Vedremo, sorellona, vedremo.»
***
Ohhh.
Che stanchezza.
Non faccio altro che dormire, svegliarmi,
dormire, svegliarmi, col risultato che non mi riposo quando dormo e non sono
perfettamente ricettiva quando sono sveglia. Ergo, sono un vegetale.
Cerco di aprire gli occhi ma non voglio, meglio
sondare prima il terreno con le orecchie e scoprire se è venuto qualcun altro a
trovarmi. Prima, all’ora di pranzo, sono passati Tony, Lily e Danny ed è stato
assolutamente l’imbarazzo totale. Tony voleva una foto ricordo col mio catetere
per incorniciarla e appenderla nella bacheca della MP e ho dovuto minacciarlo
di chiamare la guardia per farlo smettere. Danny invece ha letteralmente
stregato un’infermiera che entrava ogni due e tre per controllare – inutilmente
– le flebo sotto gli sguardi minacciosi di Lily. Menomale che la pausa pranzo
dura poco, così, visto che non avevo potuto mangiare, sono ritornata al mio
stato vegetativo dormiente.
Tendo l’orecchio ma non sento nulla, a parte il
chiacchiericcio delle figlie della signora e lo sgambettio della nipotina.
«Nonninaaaaa!» Sento che dice con la sua vocina
adorabile, e mi ritrovo a sorridere. Apro gli occhi per vedere cosa sta facendo
e invece di ritrovarmi davanti il suo faccino tondo contornato da una frangetta
sbarazzina, quello che vedo è il viso squadrato di Christian, concentrato a
leggere qualcosa. Osservo i suoi occhi scorrere tra le parole, attenti, e di
tanto in tanto segnare qualcosa al margine con la penna rossa. Si passa la
lingua sulle labbra, lentamente, in un gesto inconsapevole che mi fa perdere
litri di bava. Inconsapevolmente.
Mentre sta sottolineando una frase, alza lo
sguardo su di me, beccandomi a fissarlo. Finisce di tracciare la linea e
sorride nel frattempo, con l’aria di chi sa. Cosa sappia non lo so, ma ha
l’aria di chi sa.
Sa di
piacerti, no? Ma devo sempre dirti tutto?
«Cosa stai leggendo?» Gli chiedo, prima che
possa soltanto accennare a una delle sue battutine.
«Un manoscritto italiano. Indovina?» Sorride,
allegro, e poi mi mostra la copertina, dove al centro della pagina spicca la
scritta “Glitter”. Spalanco la bocca e rido per la
sorpresa.
«Oh mio Dio! È
arrivato?! Cioè, tu... come... cosa... perché io non ne sapevo niente?»
Christian mi guarda con un sopracciglio alzato in maniera decisamente
altezzosa. «Non dire perché sei il redattore del cavolo, l’ho data io l’idea e
dovevo essere avvisata!»
«Non ti scaldare, piccola Elettra.» Alza il
manoscritto e me lo sventola davanti al naso. «È arrivato stamattina. Non mi
sembrava il caso di chiamarti alle otto per dirtelo, visto che sarei passato
nel pomeriggio. Devi smetterla di arrabbiarti senza conoscere tutta la versione
dei fatti. Ho fatto anche la rima.»
«E sei più scemo di prima.»
Ci guardiamo seri per qualche istante e poi
scoppiamo a ridere.
«Che ore sono?» Domando, ormai ho perso
totalmente la concezione del tempo.
«Le cinque e venti. Tra un’oretta dovrebbero
portarti la tua prima cena, sei contenta?»
Alzo gli occhi al cielo. «Tantissimo, guarda.
Sono secoli che muoio dalla voglia di mangiare un brodino, avevo proprio
intenzione di chiederlo a Babbo Natale quest’anno, e invece vedi che fortuna!»
Christian continua a ridere: quel suono incantevole riempie la stanza e perfino
la piccola Daisy ne resta affascinata. La vedo muovere qualche passo incerto
nel corridoio, ignorando sua madre che la chiama, fino ad arrivare davanti a
Christian.
«Ciao, principessa! Quanto sei bella con questo
vestito!» Le dice, dolcissimo, e la bambina mostra il suo sorriso sdentato di
un incisivo.
«Oh, e quel dentino lì dov’è finito?» Le chiede,
e lei ridacchia imbarazzata.
«L’ha preso la fatina.» Dice poi con la sua
vocina adorabile. Christian si finge sorpreso.
«L’ha preso la fatina dei denti? Davvero?» Daisy
annuisce e incrocia le braccia dietro la schiena, girando su se stessa.
«Che brava! E me lo dai un bacino?» Christian si
indica la guancia col dito e lei si mette una mano sulla bocca, guardando la
madre che ride. Poi torna con lo sguardo su di lui e scuote lentamente la
testa.
«Come no? Lo sai che se mi dai un bacino il
dentino ti crescerà più in fretta?» Dice, allungandosi in avanti per porgerle
la guancia. Lei lo guarda coi suoi occhioni ingenui e si avvicina,
schioccandogli poi un timido bacio che lo fa sorridere. Sua madre sta morendo:
scommetto che vorrebbe essere al posto della figlia, che adesso sta ricevendo
lo stesso bacio da Christian. Daisy torna sgambettando dalla madre e la
abbraccia, nascondendo il viso nel suo seno.
«Fai lo stesso effetto a tutte, grandi e
piccine, eh?» Mi volto a sinistra e vedo Anne, stesa sulla sedia per gli ospiti,
che è rinvenuta dal lungo sonno in cui era scivolata dopo pranzo e ora sta
guardando Christian con gli occhi a cuore. Ovvio.
Lui si limita a sorriderle e torna a leggere il
manoscritto.
***
«Che schifo la frutta cotta!» Piagnucolo,
imbronciata, quando mi portano il vassoio con la mia prima cena dopo
l’intervento. Guardo di sottecchi il brodino dal colore arancione - giallognolo
e inizio a girare il cucchiaio dentro, smuovendo tanti piccoli semini di pasta
nascosti sul fondo del piatto.
Al primo boccone, il liquido salato è una pura
sofferenza contro la mia gola scartavetrata, ma ho troppa fame e decido di
riprovarci. Dio, come brucia! Lascio il cucchiaio e mi rilasso contro il
cuscino.
«Non posso mangiare con la gola che mi ritrovo.»
Dico, e spingo il labbro inferiore in fuori per muovere a pietà i due
“guardiani” che mi sorvegliano.
Christian scuote la testa. «Devo imboccarti?»
«Cosa? No!» Non so perché la prendo malissimo,
manco fosse una battuta a doppio senso.
«E allora mangia.» Replica categorico,
porgendomi il cucchiaio che afferro con uno sbuffo.
«Ce l’ho già un padre, grazie.» Gli faccio una
linguaccia e lui solleva un angolo della bocca in un sorriso. Lo conosco quel
sorriso. Aiuto.
«Sei adulta e vaccinata, tuo padre non avrebbe
alcuna autorità su di te. Io, invece, in qualità di tuo superiore, posso sempre
minacciare di sculacciarti se non mi obbedisci.»
Anne serra le labbra per non ridere e io sento
distintamente ogni cellula dell’epidermide sulle mie guance prendere fuoco.
«Christian 1 – Elettra 0, palla al centro.»
Annuncia Anne con voce da telecronista.
«Zero?! Ma che dici, starò come minimo a
ventimila, io!» Ribatto, accanita.
«Hai ragione. Ma le mie valgono di più, perché
riesco a zittirti senza scappare.» Replica, e mi sfiora la punta del naso col
dito, sorridendo.
«Christian 2000 – Elettra 0. L’atmosfera si fa
incandescente.» Commenta mia cugina, usando la mano chiusa a pugno a mo’ di
microfono.
A salvarmi – io, Elettra Wayne che ha bisogno di
essere salvata! – è Rachel, che viene a trovarmi insieme a Eva. Mando giù quel
salatissimo brodino strizzando gli occhi per il bruciore e cerco di godermi al
massimo queste ultime ore in compagnia di mia sorella.
**********
Il mattino seguente la routine siringa-termometro
si ripete, e stavolta mi misurano anche la pressione. Ma quando uscirò da qui?
Non mi faccio scrupolo a chiederlo per
l’ennesima volta al dottore che è venuto a controllare le mie condizioni.
Lui sorride: «Presto, però oggi devi alzarti.»
Alla sola idea inorridisco e mi tiro il lenzuolo fino al naso. «Adesso chiamo
l’infermiera e ti facciamo togliere il catetere, così sarai costretta ad
alzarti per andare in bagno. Mi raccomando...» Dice poi rivolto ad Anne, che
ascolta attenta. «...deve assolutamente alzarsi e camminare. Io ripasso oggi
pomeriggio per vedere quanti chilometri orari riesci a fare, d’accordo?» E
scompare, con un centinaio di altre cartelle cliniche in mano. Sbuffo sonoramente.
Quando finalmente mi liberano di quel tubicino
che mi fa sentire una vecchia malata di Alzheimer, Anne si punta le mani sui
fianchi e fa il giro del letto per prendere il telecomando che ne regola
l’altezza e la posizione dello schienale.
«Ora ti abbasso il letto, così sarà più semplice
scendere.» Detto, fatto. Il letto cala con un ronzio lento e terrificante.
«No, no, non voglio, mi fa male.» Piagnucolo,
sentendo il tubo del drenaggio che mi tira in modo pazzesco a ogni minimo
movimento.
«Lo so che fa male, ma devi alzarti. Avanti,
vieni.» Mi tende le mani e io le afferro controvoglia, lasciando che mi sollevi
fino a portarmi seduta al bordo del letto.
«Ahiaaaaa!» Mi lamento, e lei mi guarda
dispiaciuta. Oddio, è orribile questa sensazione, no, no, voglio tornare
distesa!
«Ele ti prego, un ultimo sforzo e sei in piedi.
Dai, così cambiamo anche il pigiama...» Il cuore mi batte forte per il dolore e
lo sforzo e quando metto i piedi a terra sento un leggero capogiro. Quel
maledetto affare nella pancia mi fa malissimo.
Riesco a muovere qualche passo incerto e poi mi
siedo di nuovo sul letto.
«Non ce la faccio, davvero. Fa troppo male.»
Dico a mia cugina con le lacrime agli occhi, e lei si morde un labbro,
sconcertata.
«Riproviamo tra cinque minuti, dai. Respira e
cerca di rilassarti.»
***
Con uno sforzo immenso sono riuscita a camminare
fino al bagno per lavarmi e cambiare il pigiama. Sono passata dall’essere una
vecchia rimbambita all’essere una bambina di un anno che non può vestirsi da
sola. Un’esperienza che non consiglio a nessuno.
Okay, forse a qualcuno sì.
Adesso voglio restare in questo letto per il
resto della giornata. Non voglio alzarmi mai più, a costo di farmi venire le
piaghe alla schiena. Mpf.
«Permesso?» Sentiamo bussare alla porta e poco
dopo un codino familiare attira tutta l’attenzione dei presenti. Le figlie
della signora sgomitano tra loro, sposate e buone, e si mordicchiano
nervosamente le unghie mentre Christian passa loro davanti per raggiungere il
mio letto.
«Come ti senti?» Mi chiede, dopo aver salutato
Anne con un abbraccio.
«Una meraviglia, guarda. Non vedi come saltello
allegramente per la stanza?» Chiedo ironica e Christian guarda mia cugina
scuotendo la testa rassegnato.
«Christian, il dottore ha detto che Elettra deve
alzarsi.» Inizia a parlare quest’ultima, e io la guardo fulminandola. Lei mi
ignora beatamente. «Adesso, approfittando che porteranno il pranzo, mi aiuti a
farla scendere?»
«Certo.» Annuisce lui, e io mi metto un cuscino
in faccia, sperando che i tizi della cucina si dimentichino di questa stanza.
Cosa che, manco a dirlo…
non succede.
Quando un inserviente porta il vassoio in
camera, Christian e Anne si alzano e mi guardano intimidatori. Lui si avvicina
e mi porge le mani, aspettando che io le afferri. Guaisco come nemmeno un
cagnolino sa fare tanto bene e Christian scuote la testa, con uno sguardo che
non ammette obiezioni.
«Ti odio.» Brontolo, con un mezzo ringhio. Mi
sto trasformando in un mastino a tutti gli effetti.
«Non è vero.» Risponde lui, tranquillo. Afferra
il lembo del lenzuolo e mi scopre le gambe, poi mi fa mettere seduta. Vedo che
esita un attimo quando del sangue scende dal tubo del drenaggio – cosa che
succede praticamente a ogni mio movimento – ma constatandone la quantità
irrisoria procede nel suo intento e mi tira, così che sono costretta a puntare
i piedi per terra per mettermi in posizione verticale. Trattengo una miriade di
imprecazioni al dolore insopportabile del tubo e premo la fronte sul suo petto,
espirando piano con un gemito sofferente. Lui mi accarezza la testa con una
mano e mi sorregge con l’altra, forse per infondermi un po’ di coraggio.
«Bravissima. Dai, vieni a sederti per mangiare.»
«C’è il tavolino accanto al letto per
mangiare...» Mormoro afflitta, e lui stringe la presa sulla mia nuca. Non mi
risponde, ma mi trascina piano in avanti per invogliarmi a muovere qualche
passo. Stringo i denti e due minuti dopo mi siedo con un sospiro fiacco sulla
sedia blu accanto al tavolo. Solo quando la ferita smette di pulsare mi rendo
conto che ho attraversato tutto il corridoio con le mie gambe.
Anne è sbigottita. «Non ci posso credere. Io ho
sudato freddo per farla semplicemente mettere in piedi!»
Christian sorride, e all’ilarità generale si
uniscono anche le figlie della signora. «Nessuno può opporsi al mio volere.»
Afferma con un sopracciglio alzato e l’aria di chi la sa lunga.
Faccio schioccare la lingua e agito il cucchiaio
di plastica. «Ma smettila, che ti faccio il bagno col brodo...»
***
Nel tardo pomeriggio, all’allegra combriccola
composta – sempre e comunque – dai due pilastri irremovibili al secolo
conosciuti come Anne e Christian, si aggiunge Cooper. Entra con un sorriso
smagliante tutto rivolto a sua moglie. Troppo smagliante. Le si avvicina
delicatamente, la stringe a sé e la culla piano tra le braccia, solleticandole
la fronte con le labbra. Okay, sto per vomitare di nuovo. Non ho mai visto una
scena del genere in casa Lewis. Cioè, non che di solito si scannino, ma
insomma, il livello di zuccheri è schizzato alle stelle!
C’è qualcosa che non quadra, e me ne accorgo
dallo sguardo di Anne che intercetta il mio e lo distoglie subito. Mhmm.
«Ciao cugina, come ti senti?» Dice infine Coop,
sollevando una mano nella mia direzione.
«Oh, ma tranquillo, non badare a me. Non sono mica
io il motivo per cui siamo tutti riuniti in questa stanza.» Replico sarcastica,
ma mantenendo il sorriso. Anne si muove sul posto con un piglio isterico. Sta
nascondendo qualcosa. Oh, sì. Guardo Christian di sottecchi e vedo che sorride
rivolto a lei.
Complottatrice! Ha cospirato qualcosa contro di
me mentre dormivo. Me lo sento! Sta uscendo con la testa fuori dal sacco, la
piccola Anne... merito di Rachel, sicuramente, quell’altra pazza schizzata che
vuole appiopparmi al codino biondo che non si sgancia da questa sedia manco a
pagarlo. Oh, cielo.
Povera me.
#Well,
I’m back, back, Well I’m back in black, Yes I’m back in black#
«Oh. Oh. Il capo.» Annuncio, solenne,
riconoscendo la suoneria del mio cellulare. Anne guarda Christian che guarda me
e io alzo gli occhi al cielo mentre afferro il telefono. «Il grande capo. Pronto? Ehi, Martin. Ciaaao.»
Sorrido e cerco di sistemarmi sul letto come se potesse vedermi. «Sì, sto
meglio, grazie. Non posso ancora camminare senza piegarmi in due dal dolore ma,
almeno a detta dei medici, dovrebbe passare in fretta. Già. Sì, sì, lo so.
Credo di sì... mhmm... d’accordo. Sì, è qui. Te lo passo? Oh, va bene. Ciao.» Riattacco
e guardo Christian.
«Ha chiesto di me?»
Annuisco, e mentre sto per chiedergli come mai
non vada in ufficio invece di farmi la guardia, qualcuno bussa alla porta. È un
ragazzo con un grande mazzo di fiori. Muove qualche passo incerto nel corridoio
e poi legge distrattamente il biglietto che accompagna il regalo.
«Elettra? Chi è?» Alzo la mano quando sento il
mio nome e lui recapita la sorpresa fiorita direttamente tra le mie braccia.
Apro il biglietto e leggo ad alta voce: «Tanti
cari auguri di pronta guarigione. Christopher, Mike e Clara.»
«Wow, si sono sprecati.» Commenta Anne,
corrugando la fronte mentre passa la mano sui petali finti.
«Questo è per aver scelto Panama.» Rispondo,
alzando gli occhi al cielo. Odio i fiori. Sono inutili, puzzano e sporcano.
Come i cani.
«Etciùùùù! Oh,
Signore. Come faccio a essere allergica anche ai fiori finti?» Anne si porta
una mano sul naso e starnutisce di nuovo, per poi sbattere gli occhi già
semigonfi.
«Tesoro, vieni via. Dai, ti fa male. Attenta.»
Borbotta Cooper, allontanandola dal mazzo incriminato con fin troppa veemenza.
Cosa le farà male? Starnutire troppo? Ha paura che le parta un embolo?
«C’è qualcosa che devo sapere?» Aggrotto la
fronte e Anne serra le labbra, imbarazzata. Cooper invece guarda altrove e finge di non aver sentito. Bene, come volete,
ignoratemi. Ma sto per ripetere la domanda all’infinito finché uno dei due non
sputerà il rospo. O mi darà una botta in testa. Quindi, tre, due, uno…
«Ciaaaao!» A
interrompermi è la voce di Rachel, che entra tutta saltellante e mi guarda con
un sorriso a più denti del normale.
«Ciao! Oh mio Dio.» Anne la abbraccia e
arrossisce quando, dopo di lei, vede un uomo alto, dai capelli castano-rossicci
e gli occhi azzurri che noialtri conosciamo molto bene. «Salve.» Balbetta,
timida, stringendogli la mano.
«Buonasera. Io sono Thomas, lieto di
conoscervi.» Replica lui, presentandosi a mia cugina e suo marito. Poi si
rivolge a Christian e gli si avvicina salutandolo con una pacca sulla spalla, a
me invece dà un bacio sulla guancia.
«Come ti senti? Senza di te è una noia mortale.»
Mi dice, sedendosi sulla sedia che Christian gli cede.
«Ma se non mi vedi mai…»
Rispondo, ridendo.
«Beh, gli aneddoti che ti riguardano fanno il
giro dell’ufficio molto in fretta, cara Miss Wayne.» Per un microscopico
momento mi si ferma il respiro, pensando al fatto che abbia associato il cognome
di Christian a me. Poi ricordo di avere lo stesso cognome e torno a inspirare
regolarmente.
Come
sei scema.
Vero?
«Non vi manca Christian? Perché non ve lo
riprendete?» Alzo una mano per indicarlo e Thomas ride sotto i baffi. Scuote la
testa e incrocia le braccia al petto.
«Lasciami un po’ di respiro. Non è bello avere
sempre il cocco di Martin tra i piedi, sai.» Lo sfotte, ma Christian non si
muove di un millimetro. Sorride composto, come sempre. Ma sorride sempre?
Cielo. Come fa?
«Come siete eleganti. State uscendo?» Interviene
Anne, attenta osservatrice della mise
di entrambi.
Rachel diventa rosso Thomas e annuisce
timidamente. «Andiamo in quel pub… dove dovevate
venire anche voi, o sbaglio?» Lancia un’occhiataccia più a me che a Christian e
io la ignoro beatamente.
«Oh, che bello! Perché non andate voi due con
loro, invece, ragazzi?» Devio prontamente l’attenzione da me e Christian e
sorrido ai miei cugini.
«Ah… non lo so…» Incalza Anne, guardando Cooper che scuote
immediatamente la testa. Anne è contrariata, lo vedo dal suo sguardo. «Mmm…
beh, forse volete uscire da soli… perché
accompagnarsi a due vecchi sposati?» Ridacchia, e Rachel la guarda stranita.
«Cosa? No, ci fa piacere se venite. Dai, ci
divertiamo!»
Anne guarda di nuovo Cooper e Cooper guarda la
sua pancia. «No, potresti stancarti, amore… non credi
che sia meglio-»
«Oh, per l’amor del cielo, Coop! Sono incinta di
tre settimane e tu sei già così apprensivo!»
Una volta sganciata la bomba, nella stanza cala
un silenzio degno delle catacombe cristiane. Una roba inquietante, se ci siete
stati.
«Ecco, non dovevate venire a saperlo così, ma…
sorpresa!» Sdrammatizza Anne con un sorriso accecante. «Ta-dàn!»
«Ma auguriiii! Congratulazioniii! Cosa si dice in questi casi? Felicitàààà!» Grida Rachel mentre si precipita ad
abbracciare Anne.
«Ecco cos’avevate di strano tutti e due!
Potevate dirlo subito, accidenti. Beh, Coop. Congratulazioni ai tuoi
spermatozoi per aver ingravidato mia cugina. Cugina…
sei contenta?» Anne mi sorride raggiante. Non c’è bisogno che risponda. «Allora
tanti auguri, vieni qui.» Lei non se lo fa dire due volte e viene ad
abbracciarmi. «Anche se non ti farò mai da babysitter, lo sai vero?»
«Certo che lo so. Ma cambierai idea, un giorno.»
L’occhiata che scocca a Christian non se la perde nessuno.
«Bene, ora che siamo tutti d’accordo perché non
ve ne andate così la smettete di parlare di amore, di cene e di figli?» Dico
risoluta facendo cenno di sloggiare con le mani.
«Oh, d’accordo. La paziente ci sta cacciando.
Mai mettersi contro le pazienti isteriche, sono pericolose.» Dichiara Rachel,
tirando Thomas per un braccio mentre si allontana nel corridoio. Anne e Cooper
sono altrettanto veloci a squagliarsela quasi senza salutarmi.
“Ciao, ciao, ciao, baci, baci, ci vediamo, sì,
sì, baci.”
E in men che non si
dica, tra un battito di ciglia e l’altro, sono rimasta da sola. Con Christian.
Porca miseria.
D’accordo.
Niente di nuovo, no? Dopotutto siamo sempre soli in ufficio. Beh, quasi. E a
casa mia siamo stati soli. E in macchina anche. E...
Ti
devo ricordare che ti ha vista in lingerie provocante come nemmeno Alessandra
Ambrosio di Victoria’s Secret?
No,
grazie, non c’è bisogno.
«Hai
caldo?» Mi chiede Christian, interrompendo il dialogo immaginario con Violet e
tornando al suo posto sulla sedia.
«No,
perché?» Alzo un sopracciglio. Che domanda è?
«Sei
arrossita.» Spiega, sorridendo. E ti pareva. Da quando mi hanno operato, non
capisco più il mio corpo.
Io
non capisco più il tuo corpo da quando hai incontrato Christian.
Infatti
tu non esistevi!
Mpf.
«No,
stavo pensando.» Rispondo, e un istante dopo sento di essermi scavata la fossa
da sola, con tanto di pala e di terreno accumulato in un angolo.
«A
cosa?» Ecco. L’ho già detto che sono Nostradamus? Maledizione.
«Ma… un
etto di affari tuoi?» Contrattacco con un sorriso. «Piuttosto, perché non mi
racconti tu qualcosa?» Rilancio, piccata.
Christian
ripone il manoscritto che stava leggendo e si china in avanti, poggiando le
braccia sulle ginocchia, come quella sera sulla sdraio. Il che non presagisce
nulla di buono.
«Cosa
vuoi sapere?» Domanda, tranquillo.
Espiro
lentamente e distolgo lo sguardo dal suo mentre penso a cosa chiedergli.
Guardando oltre la sua schiena, vedo le sedie vuote accanto al letto della
donna che sta dormendo. Siamo proprio soli.
Torno
con gli occhi in quell’azzurro, mi ci perdo per un istante. Faccio spallucce,
poi ripenso agli ultimi giorni.
«Siete
molto amici tu e Tony, vero?»
Che
domanda profonda.
Christian
annuisce senza perdere il sorriso. «Sì, è uno dei migliori. Sono fortunato a
lavorare con lui.» Dice, e fa una piccola pausa per valutare il mio interesse.
Quando capisce, da non so cosa, che l’argomento mi incuriosisce davvero,
prosegue. «Tony è stato l’unico ad accogliermi con un sorriso genuino e una
pacca sulla spalla, alla MP. Avendo qualche anno in più mi ha, per così dire, adottato
come un fratello minore e mi ha insegnato tanto. Certo, è pazzo. A volte
insopportabile, l’hai constatato anche tu. È proprio per questo che ho dovuto
ospitarlo tre mesi quando ha divorziato da sua moglie.»
«Cosa?
Tony è divorziato?» Lo interrompo, incredula. «Credevo fosse single perché
donnaiolo incallito!»
Lui
ride. «Sì, anche. Lo è sempre stato, ma Susan l’ha amata davvero. Peccato che
lei abbia preferito un cubano più giovane di vent’anni, dopo sette di
matrimonio.»
«Cielo.»
Mi passo una mano sulla fronte, sgomenta. Ora mi fa tutto un altro effetto
pensare a lui. «E così avete convissuto tre mesi. Wow. Immagino cosa sarà
diventata casa tua.»
«Un
night club.»
Scoppio
a ridere e lui si stropiccia piano un occhio, mentre sorride al ricordo.
«Ho
dovuto tirarlo su col cucchiaino a volte, ma alla fine ce l’ha fatta. Ora sta
benissimo, come vedi.»
La
domanda che mi preme sulla bocca dello stomaco non riesce a restare lì. «Ora
sarebbe pronto per un’altra storia importante?» Parlo fissando il lenzuolo, poi
incrocio i suoi occhi e mi sento arrossire. Perché ho la sensazione che sappia
cosa c’è dietro a questa domanda?
«Non si
è mai pronti a livello mentale. Se glielo chiedessi ti zittirebbe con una
risposta ironica delle sue. In fondo, però, so – e lo sa anche lui, nel suo
cuore – che se incontrasse la persona giusta si lancerebbe a occhi chiusi, e le
darebbe più di quanto non abbia fatto con Susan. Deve solo incontrarla.»
DIN
DIN DIN DIN
DIN! Christian 3.000.000 – Elettra X
Affondo
nel cuscino e sospiro confusa, poi lo guardo di sottecchi.
«Ma non
ti dicono nulla a lavoro che sei sempre qui?» Sibilo col broncio.
«Sono
così fastidioso e inopportuno?» Domanda interessato mentre si raddrizza sulla
sedia e incrocia le braccia al petto.
«No,
io... non volevo dire questo.» Balbetto, la gola improvvisamente riarsa.
«E
allora non preoccuparti del lavoro.» Mi sorride gentile e vittorioso. Ah,
maledetto.
La ruota nella mia testa continua a girare alla ricerca di
una nuova domanda da fargli. «Cosa fai nel tempo libero, oltre a soccorrere
traduttrici malate?»
«Accompagno colleghi dai gusti discutibili in giro per
negozi.»
«E contatti agenzie immobiliari.»
«Già. Proprio così.»
Mi
specchio nel suo sorriso contagioso e bellissimo e non posso fare a meno di abbassare
lo sguardo, imbarazzata. È lui a riprendere le redini della conversazione per
riportarla sul piano originale.
«Nel
tempo libero – che attualmente è molto poco, perché mi sto dedicando molto al
lavoro – cerco di passare del tempo con gli amici e la famiglia. E vado in
palestra.»
«Ah, ma
dai? Non si direbbe.» Mi porto una mano sotto il mento e lo squadro dubbiosa.
Lui ride, grattandosi la tempia, gesto che esalta il bicipite chiamato in
causa.
«Hobby?
Oltre la palestra, se la consideri tale. E dovresti, visto che non ne hai bisogno…» Ma sto blaterando da sola e quindi è meglio smetterla…
«Ti
rispondo solo se ti alzi.» Replica lui, mettendosi in piedi e offrendomi le
mani.
«Cosa?
Che razza di ricatto è mai questo?» Mi lamento spazientita. «No che non mi
alzo. Sto così bene qui.» Piccola bugia. Ignoriamo il dolore alla schiena per
la posizione che non cambio da due giorni.
«Per
favore. Il dottore ha detto che domani mattina torni a casa. Vorrai tornarci
sulle tue gambe, spero.» Alla sua risposta sbuffo e gli stringo le mani, mentre
faccio leva sulle gambe per alzarmi.
«Altrimenti
che fai, mi ci porti in braccio?» Borbotto con un sopracciglio sollevato.
Quando incrocio il suo sguardo corredato di sorriso sadico emetto un sospiro scocciato.
«Sì, è da te. Va bene, uno, due… ossantocielo
che male.» Mi tengo la pancia con una mano mentre con l’altra mi reggo al
braccio di Christian che mi accompagna fino alla sedia.
«Hai
visto? Niente di impossibile.» Mi imbecca gentile, portandomi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio. Dio, devo fare uno shampoo. Prima di subito.
«Se,
se. Tanto mica fa male a te. Ahi.» Mi massaggio l’addome con una smorfia e lui
mi scruta con gli occhi da cucciolo dispiaciuto. No, dai, non guardarmi così…
Che
si scioglie.
Ma chi,
io? Tzè.
«Allora,
questi hobby?» Mugugno con un filo di voce quando la pelle smette di tirare
almeno un po’.
«Dunque…
beh, la lettura su tutti. Sembra strano, dovrei averne fin sopra le orecchie di
libri e manoscritti con il lavoro che faccio, ma ho sempre meno tempo per
leggere libri finiti, puliti e stampati che non necessitano di correzioni di
alcun genere. Ho una pila di libri da leggere che tra poco festeggiano il loro
primo compleanno a casa mia. Assurdo.» Si passa una mano sul viso, stanco, poi
torna a sorridere. «Adoro il surf, ma non posso definirlo un hobby a tutti gli
effetti visto che lo pratico solo in qualche periodo dell’anno. Sono contento
che tu abbia scelto Panama, a proposito, proprio per questo. Ah, sarà stupendo surfare lì!» Gli occhi gli si illuminano al solo pensiero e
per un istante sembra sprizzare quell’ardore e l’entusiasmo tipico della
giovinezza da ogni poro. A volte dimostra più anni della sua età, ma credo sia
per la responsabilità che il suo lavoro comporta. Rieccolo
che torna in sé, riflettendo ancora sulla domanda. «Quando posso vado a giocare
a tennis con mio padre e, in ultimo… colleziono farfalle.»
Conclude con un sorriso.
«Cosa? Vive?» Chiedo con gli occhi sbarrati
immaginando barattoli della marmellata o cilindri di vetro pieni di farfalle
svolazzanti come nel film di Sherlock Holmes. Le incanta anche lui coi violini?
«Certo
che no.»
Un
piccolo dubbio spunta nella mia mente come un germoglio di soia. «Parli in
senso figurato?» Domando a voce estremamente bassa. Ma lui sente lo stesso, e
scoppia a ridere. Quando riprende fiato, prova a rispondere ma un altro accesso
di risa glielo impedisce.
«Ah,
Elettra. Sei meravigliosa.» Dice, una volta calmatosi. «No, nemmeno in senso
figurato. Sono essiccate. Come quelle che vedi nei musei, possibile che tu non
le abbia mai viste?»
Improvvisamente
vengo colta da un lampo di genio. «Aaaaaaaah. Certo.
Wow, davvero? Non ti facevo un tipo… farfallone.
Cioè, amante delle farfalle. Okay, riuscirò a dirlo senza che abbia un doppio
senso? Hai capito, comunque.» Christian annuisce. «Anche a me piacciono.»
«L’ho
notato.» Commenta con un angolo della bocca sollevato in un mezzo sorriso.
«Orecchini, stampe sulle maglie, scarabocchi sui manoscritti…»
Simulo
un colpo di tosse e mi sento avvampare, manco avesse detto che mi ha vista
nuda. Il che sarebbe anche vero. In parte. Il fatto che Christian mi osservi mi
inquieta.
«Mi
piacciono anche le piume, comunque.» Dico, tanto per dire qualcosa. Poi, con
mia – e sua – grande sorpresa, provo ad alzarmi da sola per tornare a letto. Lui
mi accompagna lasciandomi fare ma sempre vigile nel caso abbia bisogno di
aiuto. Mi sostiene con una mano mentre mi stendo sul materasso ed emetto un
lungo sospiro.
«Si è
fatto tardi, dovresti andare.» Indico con un cenno del capo le finestre che
danno su un cielo quasi scuro e lui annuisce.
«Sì, è
vero, ma ora sei da sola. Anne e Rachel sono fuori…»
«Tranquillo,
è l’ultima notte qui e sto già meglio. Ce la faccio a restare da sola.»
Christian
sembra abbastanza sereno. «D’accordo. Anne mi ha detto che starai da lei per il
weekend, vero?»
Faccio
una mezza risata. «Già. Per tua somma gioia non torno ancora nella bettola.»
«Sì, ci
mancherebbe solo qualche vicino approfittatore a farti da infermiere...»
Non so perché penso a Ethan e ciò mi provoca uno spiacevole brivido che maschero grattandomi una
spalla. Lui ha la bocca piegata in una smorfia talmente sdegnata che sembra
aver mangiato del sushi avariato. «Beh, comunque. Indovina chi ti viene a
prendere domani, per tua somma
gioia?» Christian torna all’argomento precedente con un sorriso beffardo che mi
fa venire voglia di prenderlo a schiaffi.
«Oh ma
non mi dire, tu?» Mi fingo sorpresa e lui scoppia a ridere, poi si alza.
«Già.
Cooper ha una incontro importante e Anne non sapeva come venire. Per fortuna ci sono io… lo so, lo so,
non sai come ringraziarmi. Tranquilla. Un giorno saprai ripagarmi.» Imita la
voce profonda di un doppiatore e agita la mano in segno di condiscendenza.
Premo le labbra una contro l’altra per non ridere e per un attimo mi perdo nel
suo sguardo.
«A
domani, James Bond dei poveri.»
~ Note
Lo so, lo so, sono imperdonabile. Non starò
qui a discolparmi anche se di giustificazioni ne avrei a sufficienza, semplicemente
non voglio ammorbarvi. Quello che conta è che questo capitolo sia finalmente
approdato qui e che vi sia piaciuto!
Note particolari non ce ne sono, se non che
la scena della prima “camminata” con drenaggio e tutto è successa davvero –
come tutto, del resto –, soltanto che al posto di Christian c’era il mio
fighissimo ginecologo. Ci tengo anche a dire che i rutti della signora del
primo letto li ho sentiti con le mie orecchie ed erano una cosa assurda. Povera
donna, certo, ma avrebbe potuto contenersi XD
Spero, spero davvero vivamente e con tutto
il cuore di riuscire a scrivere come una volta – l’ispirazione è una brutta
bastarda a volte – per aggiornare presto. Ci sono tante cose che devono
succedere.
Vi ringrazio, non infinitamente ma di più per le splendide recensioni e
per i numeri di preferiti, seguite e ricordate che lievitano ogni giorno.
Grazie, davvero.
Un abbraccio da orso (o da
Christian),
Sara.