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Autore: Dancyon    04/04/2013    3 recensioni
Era una bella sensazione, l’ossessione.
Lo riempiva.
E riempiva il suo vuoto.
Per questo quando l’aveva vista per la prima volta aveva capito subito che lei sarebbe stata il soggetto della sua nuova ossessione.
Non avrebbe lasciato che lei sfuggisse dal suo pugno d’acciaio. Tom Riddle non commette errori.
L’avrebbe legata a sé senza via di scampo, trasformandola nella sua compagna.
Vicina, vicinissima a lui, ma mai abbastanza.
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Storia partecipante al contest Letale di SonnyRiddle, che non ha ancora avuto i risultati.
Lily per pura curiosità viaggia al tempo di Tom Riddle, ritornando poi al suo tempo.
Ma se le conseguenze delle sue azioni nel passato avessero dato un'interpretazione completamente nuova di quello che sappiamo?
Se ci fosse un motivo molto più profondo per la somiglianza sottolieata nel 2° libro fra Tom Riddle e Harry Potter? Se Harry non fosse Rettilofono solo a causa dell'Horcrux?
Segue i libri, ma interpreta un avvenimento importantissimo a modo suo!
Manta
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Lily Evans, Tom O. Riddle, Voldemort
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Nick: Barbamanta

Titolo: MIA OSSESSIONE

Personaggio coprotagonista: Lily Evans Potter

Rating: arancione

Genere: Introspettivo, Drammatico

Avvertimenti: 

One Shot

Prompt utilizzato: rosso, viola

Personaggio/Luogo/Oggetto obbligatorio utilizzato: cavallo (amortentia)

NdA:
 Non so se va bene comunque, ma Lily non è nel suo settimo anno ma ha appena lasciato Hogwarts
 
 
 

 MIA OSSESSIONE

"Ieri rappresentavi la mia ossessione, oggi la mia depressione, domani la mia rivoluzione."
Lailly Daolio

 

Aveva sempre saputo di essere ossessivo.
Quando viveva all'orfanotrofio glielo ripetevano sempre.
Col tempo ci aveva fatto l’abitudine. Si era adattato a quello che gli altri credevano di sapere.
Essere uno psicopatico ossessivo lo svaghiva, gli trovava qualcosa con cui passare il tempo.
Che poi lui rompesse cronicamente i suoi giocattoli non importava.
Era una bella sensazione, concedersi totalmente a qualcosa, o qualcuno.
Era una bella sensazione, l’ossessione.
Lo riempiva.
E riempiva il suo vuoto.
Per questo quando l’aveva vista per la prima volta aveva capito subito che lei sarebbe stata il soggetto della sua nuova ossessione.
Non avrebbe lasciato che lei sfuggisse dal suo pugno d’acciaio. Tom Riddle non commette errori.
L’avrebbe legata a sé senza via di scampo, trasformandola nella sua compagna.
Vicina, vicinissima a lui, ma mai abbastanza.
Aveva cominciato studiandola da lontano, mentre camminava con le spalle afflosciate e lo sguardo basso per le vie di Diagon Alley.
Era comparsa un giorno dal nulla, il cappuccio scuro che a malapena nascondeva i capelli ribelli, rosso scuro, rosso sangue.
Tom era sicuro di non averla mai vista ad Hogwarts, ed era anche sicuro che lei fosse una strega.
Ma se era una strega e non era stata ad Hogwarts, da dove diavolo era uscita fuori?
Probabilmente dall'inferno.
Probabilmente l’avevano mandata i demoni a trascinarlo giù con loro.
Chi meglio di una figlia di demoni travestita da angelo per ingannare il Figlio del Diavolo?
Ovviamente, Tom non aveva riconosciuto il pericolo in quella figura così sola.
L’aveva voluta, come non aveva voluto nessun’altra in vita sua.
Si era dimostrato il degno figlio di sua madre e l’aveva avuta.
Due gocce.
Erano bastate due gocce di Amortentia e lei si era sciolta come una marionetta fra le sue mani.
Quando le aveva abbassato il cappuccio si era quasi pentito, vedendo per la prima volta la sua pelle bianchissima e tirata, come se fosse morta, e soprattutto quei suoi occhi spiritati e innaturalmente grandi, di un verde morto.
Avrebbe voluto annullare gli effetti della pozione anche solo per pochi secondi, giusto per poter vedere come erano sul serio quegli occhi, senza il vuoto e la nebbia a ricoprirli.
Ma non aveva osato.
Per quanto l’avesse sottovalutata, non aveva osato renderla completamente lucida.
Aveva avvertito la forza che quel piccolo corpo conteneva.
L’aveva portata a casa sua, nel piccolo appartamento che riusciva a mantenere con la paga di Burgis e Burke, e una volta lì non l’aveva più sfiorata.
Voleva che lei fosse consenziente.
Amava piegare i suoi oggetti lentamente, lasciando che si abituassero alla sua presenza per poi diventare dipendenti da lui.
Solo allora li avrebbe avuti completamente, consenzienti e preganti, per poi passare al gioco successivo.
Sindrome di Stoccolma.
Certo, quella pallida, strana ragazza dagli stupendi capelli Grifondoro e dai terrificanti occhi Serpeverde si era dimostrata più forte del previsto.
Aveva resistito a lungo e ogni volta che Tom diminuiva di poco le dosi di Amortentia nella sua bevanda lei ne approfittava per mordere la mano che la nutriva.
Col tempo, tuttavia, era riuscito a domare e sedare in lei anche l’ultimo accenno di ribellione.
Ed era stato quasi un peccato, aveva sempre amato l’anima infiammabile e possessiva della sua bella rossa senza nome.
Perché se era vero che lui era ossessivo, lei si lasciava andare alla passione con ogni sua fibra.
Era capace di amare senza limiti come era capace di odiare senza limiti.
Ed in un certo senso per Tom era più bello non sapere il suo nome. Poteva darle tutti i nomi che desiderava.
Poteva chiamarla Afrodite, come la dea dell’amore di cui lei era piena.
Poteva chiamarla Giunone, la bellissima e cattivissima divinità greca.
Poteva chiamarla Persefone, la dea della morte.
E poteva chiamarla Mia.
Mia come suo possedimento e Mia come lui che senza saperlo ormai le apparteneva, più di quanto gli appartenesse lei.
La notte che la liberò dagli effetti della pozione l’accarezzò a lungo, prima di condurla in camera.
Le sfiorò le guance e la fronte, scendendo verso il collo e poi risalendo.
Intrecciò le dita fra le sua ciocche infiammate.
Le passò i polpastrelli sugli occhi e sulle palpebre traslucide.
Si irrigidì quando lei gli si avvicinò di più, poggiando le labbra fredde sul suo orecchio e sussurrando: ”La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.“
Tom si ricordò di dover respirare.
Chiuse gli occhi.
Li riaprì.
Lei era ancora lì, e lo guardava, come aspettandosi qualcosa.
Con i suoi occhi. I suoi occhi maledetti e allo stesso tempo benedetti.
Lei schiuse ancora le labbra: “Spero un giorno di potermi perdonare per questo.”
E poi lo stava baciando.
Un bacio doloroso, come se lei volesse esprimere tutta la sua rabbia in quell'unico bacio, in cui lui non le avrebbe permesso di comandare.
Lei non avrebbe comandato nel suo stesso gioco.
Le morse la lingua, che si era intrufolata fra le sue labbra, ed assaggiò il suo sangue.
Sì, lei non avrebbe comandato.
Con un ultimo movimento la trascinò verso la stanza, chiudendo la porta con un calcio, e lentamente la spogliò.
Lei stava ferma immobile, lasciandolo fare.
A Tom andava bene così.
Non sentì nemmeno le parole mormorate a labbra chiuse di lei: “Un giorno spero di arrivare a perdonare anche te.”
Con un gemito, Tom le morse la spalla ormai nuda e sollevandola per i fianchi magrissimi la trasportò sul letto.
Aveva sognato di poter baciare ogni centimetro del suo corpo nel momento stesso in cui l’aveva vista, ma poterlo fare dal vivo era una cosa completamente diversa.
Il suo odore era intossicante.
Lo rendeva incapace di ragionare.
L’unica cosa che poteva fare era venerare quel corpo perfetto e sfiorarlo e stringerlo e leccarlo.
E per la prima volta da quando aveva imparato a manipolare le persone e renderle dipendenti da lui e prostrate ai suoi piedi, pensò che era lui, stavolta, ad inginocchiarsi di fronte ad una ragazza.
Una ragazza che persino fra quelle lenzuola lo sfidava per avere il dominio.
Mentre infine la rese sua, in tutto e per tutto, uno strano pensiero lo invase.
Se fosse andata ad Hogwarts, sarebbe stata sicuramente una Grifondoro.
Gli venne quasi da ridere, mentre raggiungeva l’orgasmo, o per lo meno sorridere.
Sì, sarebbe stata sicuramente una Grifondoro.
Al mattino si svegliò solo.
Lei era scomparsa nella notte, protetta dalle tenebre e dai demoni che l’avevano partorita, lasciandolo solo e nel buio.
Aveva trovato quel sentimento che gli si chiudeva in gola, rendendolo sordo ad ogni altra cosa.
Quel sentimento che aveva addirittura superato la sua ossessione.
E gli era sfuggito in una notte.
Una bellissima, pazza notte.
Sentendo dentro il vuoto della parte del letto che lei aveva lasciato, sfiorò il pezzo di carta in cui il suo angelo-demone aveva scritto con una calligrafia veloce e disordinata: 
Assomiglia al fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso.
Lily.

Lily.
La sua Mia aveva un nome.
Un nome perfetto per lei.
Lily. Lily come il fiore della purezza e della regalità. Lily come sotto di esso il serpente che morde e uccide.
Sì, era un nome davvero adatto alla figlia dei demoni che lo aveva sedotto, lasciandogli credere di essere stato lui in comando fin dall’inizio.

 

§§°§§

 

 

31 Ottobre 1980

 

Lily corse su per le scale con un urlo strozzato in gola.
Il suo bambino. Doveva salvare il suo bambino.
Il Signore Oscuro non poteva vedere il suo bambino. Non poteva.
Avrebbe potuto prendere lei.
Avrebbe dovuto prendere lei.
Era la sua punizione, per quello che aveva fatto due anni prima.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita nel suo letto.
Amava suo marito, lo amava davvero.
Era stata solo curiosa, quando aveva fatto quel viaggio.
Non pensava che le conseguenze l’avrebbero seguita per tanto tempo come un’ombra.
Chissà se Tom Riddle alla fine aveva capito cosa voleva dirgli quella sera.
Se aveva capito che la rabbia e la solitudine lo avevano condannato al male.
Forse Tom Riddle l’aveva capito.
Ma Lord Voldemort no.
Chissà se la ricordava ancora.
No. Non doveva pensare a questo adesso.
Doveva pensare al suo bambino.
La porta saltò in aria, lasciandolo entrare.
Era così diverso da com'era Tom Riddle.
Forse poteva anche convincersi che non erano la stessa persona.
Trattenendo l’aria dei polmoni spalancò le braccia di fronte al suo bambino, aspettando.
Era arrivato il momento della sua punizione.
Ma almeno il suo bambino sarebbe stato vivo.
Lo sapeva, se lo sentiva.
Con un brivido, capì di aver perdonato Tom Riddle per quello che aveva fatto, dal catturarla al diventare Lord Voldemort.
E, finalmente, aveva perdonato anche sé stessa.
Sperava tanto che Harry non facesse i suoi stessi errori.
La luce verde fu l’ultima cosa che vide. E il volto di Harry l’ultimo a cui pensò, sovrapposto ad intervalli a quello di Tom Riddle.
Lily rabbrividì alla somiglianza.

 

§§°§§

 

 

2 Maggio 1998
 

Lord Voldemort non può perdere.
E’ immortale.
Eppure un bambino lo aveva battuto.
Un bambino dagli occhi arrabbiati e terrificantemente verdi.
E fu in quegli occhi verdi, così familiari, che finalmente la vide.
La verità che gli era sfuggita dalle dita per anni interi.
L’ombra di sé stesso e una bellissima ragazza, donna, dai capelli rossi che in un tempo lontano l’aveva sedotto.
Il verde fu l’ultima cosa che vide mentre cadeva, gli occhi spalancati fissati in quelli di suo figlio.
Pensò che, se mai si fossero presi la briga di seppellirlo, sulla sua tomba ci avrebbe voluto un giglio.
Non lo seppellirono.
Un giglio nacque comunque lì dove era caduto.
Nessuno lo vide.
Il vento lo prese con sé, trasportandolo verso il mare in cui le ceneri del Signore Oscuro erano state sparse.
Lo lasciò cadere.
Nella caduta, i petali bianchi si staccarono.
Quando toccò l’acqua, ne era rimasto solo uno.



 

  
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