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Autore: shotmedown    04/04/2013    1 recensioni
Elisa ha diciannove anni da compiere, un'esistenza all'apprenza monotona, un cielo di carta da infrangere. Perché di certezze ne aveva fin troppe, ma tutte campate in aria. Un ragazzo da lasciarsi alle spalle, Alessandro, che un piccolo strappo in quel cielo lo aveva provocato, ma c'era lui, Andrea, che prometteva di squarciarlo completamente e cambiarle non la vita - sarebbe banale e scontato dirlo - ma la visione complessiva delle cose.
Andrea è un commesso della Hollister, all'apparenza burbero e senz'anima. Ma Elisa riuscirà a scovare qualcosa di più sotto quel guscio da duro, perché sotto quella corazza si nasconde il vero lui.
Il titolo è tratto da un passo ripreso da Pirandello, Il fu Mattia Pascal.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’indomani ero di tutt’altro umore. Avevo parlato con Anna, non riuscendo però a raccontarle tutto nel dettaglio, anche perché non volevo affatto apparirle pesante e superficiale, descrivendole ogni singola parola pronunciata da Andrea, com’era solita fare quell’altra riguardo ad Alessandro.
 Al solito, un riassunto della serata e di quello che ci eravamo detti, prima di passare a lei la parola per capire cosa pensasse. Aveva iniziato quasi subito la sua analisi, perché quando mi arrivò la risposta per poco non scoppiai a ridere di fronte al display del cellulare. La brillante deduzione della Sherlock in gonnella mi aveva spiazzata, portando il mio cervello ai limiti del pensabile a suon di riflessioni. Stando a ciò che aveva “capito”, lui cercava davvero un avvicinamento, perché probabilmente si sentiva attratto da me. Udendo la mia risata sconnessa, mia sorella era entrata in camera chiedendomi cosa cavolo avessi da ridere così tanto a quell’ora, senza neanche il televisore acceso. L’avevo mandata via poco galantemente, tornando alla mia conversazione con Anna, fino a distoglierla da quel pensiero assurdo. Eravamo giunte a parlare d’altro, e ad un certo punto lei mi aveva anche ricordato che a breve saremmo dovute andare ad una festa di compleanno in un locale noto di Firenze. Erano secoli che non compravo vestiti per i diciotto anni di qualcuno, e proprio quella settimana avrei dovuto sbrigarmi a cercarne uno nuovo per la festa di una persona che neanche ricordavo di aver frequentato quell’estate. Ovviamente sapevo dove Anna avrebbe cercato il suo, così mi limitai ad accennare ad un altro negozio in cui avrei voluto recarmi per trovare qualcosa. Di solito mi accontentavo subito, quindi non avrei impiegato poi tanto tempo.
Mentre continuavo quell’allenamento totalmente inutile per poi passare alla partita maschi contro femmine di pallavolo, continuavo a pensare a quello che stavo facendo della mia vita in quel periodo: poteva davvero Andrea causare lo strappo nel mio cielo di carta? Da un lato mi ero ritrovata a sperarlo ardentemente, dall’altro temevo questo potesse avere ripercussioni molto forti sulla mia programmazione del futuro. Anna aveva sempre sottolineato il fatto che fossi molto ordinata, e lo si notava dai miei appunti, da camera mia, da come trattavo i libri… Avrei solo dovuto imparare che la vita non era divisibile in file, come succedeva nel mondo della tecnologia e che avrei dovuto essere io ad adeguarmi al tempo, e non viceversa.

Non sono molto bravo a farlo, in genere sono gli altri che si adeguano a me.

Avevo vissuto con quella convinzione per molto tempo, ma, al solito, la mia migliore amica mi aveva spinta a riflettere. E un po’ ci si era messo anche Pirandello con le sue novelle, aveva contribuito Leopardi con le sue operette. Avevo modellato la mia vita, inconsapevolmente, in base allo studio che avevo fatto di determinati autori e alla lettura di certi libri. C’era una citazione esatta di Chuck Palahniuk, che diceva più o meno così: “Niente di me è originale. Sono il risultato dello sforzo di quelli che ho conosciuto”, e io ci avrei aggiunto “di quelli che ho letto”. Fredda e scostante per la prima, ancora disponibile a capire qualcosa per la seconda. Ero in una continua situazione di bilico, e molto probabilmente ci sarei rimasta a vita, ma la cosa non mi pesava poi così tanto. Fino a quando nulla veniva a turbare in modo definitivo la mia quiete, era tutto okay.
<< Eli, potresti implorare il professore di farci fermare? Ti prego! >>Angela, la mia compagna di classe, era ansante e, sapendo che io e il professore avevamo un buon rapporto, mi aveva chiesto di fare da intermediario. Stanca anch’io, mi avvicinai a lui, che continuava a tenere quel fischietto tra le labbra per incitarci. Tutti i miei compagni mi guardarono speranzosi, mentre io mi rivolgevo al signor Cappello – aveva un’infinita varietà di copricapo ultra costosi che nessuno poteva toccare. Solo una volta, approfittando di un momento di distrazione, mi ero provata quello alla Indiana Jones, facendolo sussultare e quasi imprecare. Ero stata l’unica tra i suoi studenti a indossare uno dei suoi tesori, e ne andavo fiera.
Cercando la via diplomatica, convinsi il nostro insegnante a lasciarci andare un po’ prima, essendo quella l’ultima ora: avremmo dovuto cambiarci e le ragazze ci avrebbero impiegato un’eternità tra docce e cambi d’abito.
I miei amici mi ringraziarono, dirigendosi verso gli spogliatoi.
<< Oggi sei molto…umana, Nardi. >> Melinda mi sorprese, spuntando con la testa dall’altra cabina, proprio mentre stavo indossando l’accappatoio. Era comunque imbarazzante mostrare il mio corpo nudo, dato che non era che ne andassi poi così fiera.
<< Lo sono sempre, Meli. >> Mi finsi offesa e tornai alla mia borsa per trovare il cambio d’abiti. Indossai la biancheria, poi una felpa e i jeans, prima di guardare l’orologio e congratularmi con me stessa per la puntualità. Proprio in quel momento suonò l’ultima campanella, che mi spinse a catapultarmi fuori, desiderosa di tornare a casa. Varcai il cancello d’entrata e mi avviai ad est, seguendo il solito tragitto, con la musica a farmi compagnia. Non mi andava di trattenermi a parlare con gli altri, soprattutto quando si trattava di discutere sui probabili make up e acconciature per feste vicine.
Mentre rientravo in casa, sentii la tasca vibrare. Ne estrassi il cellulare e rimasi a fissarlo per un istante infinito. Intanto Anthem, pt.2 dei Blink 182 era già partita, e solo quando sentii il suono della batteria mi decisi ad accettare la chiamata.
Conoscevo benissimo le ultime tre cifre di quel numero e quello che mi spinse a rispondere dovette essere l’istinto suicida.
<< Alessandro. >> Sputai acida, posando lo zaino a terra e chiedendo a mia madre qualche minuto di tempo. Mimò qualcosa con la bocca, ma non le diedi attenzione e mi diressi in camera mia. Sì, lo avrei liquidato in fretta, non mi importava ascoltare le sue parole.
<< Buongiorno. Come stai? >> La sua nonchalance mi stava già dando sui nervi, ma preferii non darlo a vedere, o avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio.
<< Benissimo. Cosa vuoi? >>
<< Chiarire. >> Come se ci fosse qualcosa da mettere in chiaro. Come se tutto non fosse già abbastanza trasparente. << Non sono tornato da lei per quello. Melinda non ha capito nulla, ha frainteso tutto. >> Certo. E magari io ero quella che non capiva nulla, che non riusciva a cogliere significati troppo intrinsechi. Ma per favore.
<< Sono affari vostri. A me non importa. Ho solo voluto mettere in chiaro le cose. >> Affermai, prendendo a guardare fuori dalla finestra. Improvvisamente avrei voluto osservare la mia vita dall’esterno, da un punto di vista che non fosse il mio e cercare di capire perché le persone che mi lasciavano poi pretendevano un pass speciale per tornare.
<< Hai definito quello che abbiamo passato un incidente di percorso, Elisa. E’ per questo che ho voluto chiudere i rapporti con te. >>
<< Eccolo lì! Al solito! Smettila di sentire solo quello che ti fa comodo, Alessandro. Sono stata io a sentirmi sbagliata, non ho reputato tutti i nostri trascorsi come un incidente. E meno male che ho esordito con una frase ben precisa. >> Sbottai, voltandomi per controllare chi fosse entrato senza bussare. Neanche sentii quello che mi aveva detto Ale dall’altro lato della cornetta, impegnata com’ero a cercare di capire se quello di fronte a me fosse realmente Andrea oppure no. << Cosa? Non ho sentito, potresti ripetere? >>
Cercai di non badare alla sua presenza, e mi affrettai a staccare con Alessandro, che, invece, intendeva rovinarmi ancora un po’ l’appetito.
<< Ti ha fatta sentire sbagliata, è diverso. >>
<< Senti, sei sparito due mesi e mezzo, non mi hai cercata, né io ho cercato te. A quanto pare hai tenuto fede al tuo principio del “chiudo la serranda, non la apro più”, e ora vedi di non venir meno ai tuoi ideali proprio con me. Io so andare avanti, non ho bisogno di te. L’ho fatto mille volte, non mi fermerò ad aspettarti. >> Così dicendo, staccai la chiamata.
Tirai un lungo sospiro, e mi misi a sedere sul letto, massaggiandomi le tempie. Perfetto, ora avevo anche un gran mal di testa. La giornata era partita benissimo, io neanche avevo sentito il peso delle lezioni di quel giorno, e ora Alessandro decideva di farsi sentire per riportare a galla un discorso tanto vecchio quanto sgradito. Non m’interessava sentire le sue storie, non m’importava più di lui. Dovevo smetterla di quasi-innamorarmi delle persone sbagliate, dovevo cercare di essere più ragionevole, o avrei passato ancora lunghe giornate a chiedermi perché mi sentissi così affranta per qualcuno che sapevo avesse già fatto del male ad una mia amica e che non stava facendo altro che ripetersi con me.
<< Un ex insistente? >> Avevo completamente dimenticato la presenza di Andrea, segno che la chiamata doveva avermi realmente scossa.
<< Non proprio. Non un ex, insomma. Non stavamo insieme, ma c’era…c’eravamo quasi. >> C’era in realtà una lunga storia dietro quella sorta di rapporto che si era venuto a creare in due mesi, e lui aveva esplicitamente detto di sentirsi attratto da me, quando io, invece, gli avevo chiesto di rimanere entro i limiti dell’amicizia per il bene di Melinda. Dentro morivo sempre più, ma sapevo fosse la cosa più giusta da fare. Solo che dai miei atteggiamenti traspariva affetto da tutte le parti, tanto che anche il mio migliore amico, che non vedevo poi così spesso, se ne era reso conto. Alessandro era l’unico a non aver colto nulla dai miei modi di fare e di parlare con lui.
<< Suppongo ci sia una lunga storia dietro, e che non ti vada di parlarne. >> Scossi il capo, stanca. << E so che avresti voluto chiedermi cosa ci faccio qui, ma presa dall’ansia del momento te ne sei completamente dimenticata. >> Annuii, sorridendo amara.
<< Hai intenzione di rispondermi in questo modo tutta la giornata? >> Sollevai lo sguardo per incontrare il suo, quasi divertito. Quand’è che si era seduto accanto a me? << Pranzare con un’ ameba sarebbe più interessante. >> Gli mollai una gomitata nelle costole, che lui finse di sentire. Finse, perché non sapeva affatto simulare il dolore. Valutai la sua frase, e ripensando al primo verbo utilizzato, mi ripresi.
<< Pranzi qui? >> Chiesi.
<< No, ti porto fuori, da Laura. >> Inarcai un sopracciglio. <>
<< Hai la febbre? Hai bevuto? Fumato? >> Domandai, allungando una mano sulla sua fronte per sentirne la temperatura. Normale. Mi scostò il polso, guardandomi più intensamente. Come avrei potuto dire di no, colta da un paio d’occhi simili? E poi era vero. Insomma, ero stata io a chiedergli di diventare amici, più o meno. E anche lui ne aveva voglia, visto che non si era affatto tirato indietro, e come promesso non era sparito, facendosi trovare, anzi, a casa mia quel giorno.
Mi tornò il sorriso e fui felice di alzarmi e tornare a prendere il cappotto per scendere di nuovo, accompagnata da lui.
Mia madre ci augurò una buona giornata, e quando scendemmo in strada scegliemmo di fare quattro passi a piedi, essendo il ristorante ad appena seicento metri di distanza.
Mi preoccupai di un probabile disagio dovuto alla mancanza di argomenti da affrontare, non conoscendoci sotto molti punti di vista. Ma fu proprio quello il motivo che ci tenne impegnati a parlare per quasi tutto il tragitto. Scoprii che amava la musica rock, ascoltava gran parte dei gruppi che ascoltavo io, che odiava il sushi, che adorava i gialli, film e romanzi. Che il suo film preferito era “Il miglio verde”, che aveva visto quindici volte. Conosceva quasi tutte le battute a memoria.
Che lavorava in quel negozio da un paio d’anni; eppure non lo avevo mai visto, quelle volte in cui ero entrata con Anna per dare un’occhiata ai nuovi arrivi. Non gli chiesi neanche perché proprio quella sera fosse lì, troppo impegnata ad ascoltarlo mentre parlava del suo ultimo esame e di quanto acida e dispotica fosse la professoressa con cui aveva dovuto affrontarlo.
Laura fu ben felice di riservarci un posto in un angolino appartato, cosa che mi fece arrossire: chissà cosa doveva pensare di me e lui.
Ci accomodammo e smettemmo di parlare solo per ordinare da mangiare.
<< Allora, dimmi, tigre. Qual è il tuo libro preferito? >>
<<Qualcuno con cui correre. >> Risposi prontamente, ripensando a quel meraviglioso libro che aveva portato a galla molti aspetti di me che ignoravo. Grossman aveva scavato nella mia anima senza neanche rendersene conto e quante volte mi ero rispecchiata nel personaggio di Tamar! Mi ero innamorata di Shay, e mi era venuta una voglia malsana di aiutarlo, di liberarlo dal peso che gravava sulle sue esili spalle.
<< Lo conosco. Sai che c’avrei scommesso? Sembri proprio una tipa da Grossman, ma anche da Palahniuk e Bukowski per quanto sai essere pungente a volte. Tipo prima. >> Richiamò a sé la chiamata di Alessandro, riferendosi probabilmente alla mia risposta prima di chiudere definitivamente la comunicazione.
Ritornando al nostro discorso, quelli erano tre dei miei autori preferiti e lui lo aveva capito studiando i miei comportamenti.
<< Film preferito, direi “L’attimo fuggente”. >> Sgranai gli occhi, sorpresa del fatto che se ne fosse ricordato. Neanche immaginavo mi avesse ascoltata quella sera, eppure ora, tutti i miei dubbi, erano stati chiariti. Aveva citato me che avevo ripreso Robin Williams.
<< Esatto. >> Mi limitai a dire, incapace di articolare un discorso di senso compiuto. Quel ragazzo mi turbava per l’effetto tranquillizzante che aveva su di me. Era un ossimoro continuo che ero ben volenterosa di accogliere, perché non avrebbe potuto farmi se non bene.
Forse sì, forse Andrea poteva cambiare qualcosa.
<< Dimmi un po’ di questo tipo. Dalla tua faccia sembra tu voglia ucciderlo. >> Risi, ripensando a quanti modi avessi escogitato per far sembrare la sua scomparsa un semplice incidente di percorso, per citare prima le mie, poi le sue parole. Si partiva dal comune colpo al cuore per arrivare alla decapitazione per esporre la sua testa in un museo speciale, in cui avrebbero potuto presentare quel “reperto”, frutto di tanta frustrazione, oppure donarla ad un laboratorio scientifico, per permettere ad un gruppo di esperti di analizzare le cause che determinavano certi comportamenti incoerenti ed illogici di quel ragazzo. Io ci avevo completamente rinunciato, non mi aveva permesso di stargli accanto e io, di certo, non avrei lottato per costringerlo.
<< Frequentava una mia cara amica, con la quale ho stretto un rapporto più profondo proprio l’estate scorsa. Lei mi parlava spesso di lui, così a Settembre abbiamo finito col conoscerci davvero, perché teoricamente ci siamo incontrati a Luglio. Passa un mese, lui la lascia e dice di farlo per due motivi: lei è troppo immatura, e poi per me. Non dice esplicitamente il mio nome, ma Melinda lo capisce, dato che tendeva a nominarmi spesso durante le loro chiacchierate. >>
<< Hai sedotto il ragazzo della tua amica? >> Quel tono serio mi sapeva tanto d’accusa, e la cosa mi ferì profondamente. Perché era così che mi sentivo, costantemente sotto accusa per un crimine che non avevo commesso.
<< Non ho fatto un bel niente. Lui mi chiamava, di tanto in tanto, perché non sapeva con chi parlare. Con lei non ci riusciva. Non sono così egoista, non nego un aiuto a chi ne ha bisogno, e credimi, lui ne aveva davvero bisogno. Ovviamente è ciò che mi ha fatto credere, almeno penso. >> Giocherellai con la pasta, spostandola sul bordo del piatto e riportandola poi nel brodo, prima di decidermi ad alzare lo sguardo per incontrare il suo. Teneva gli occhi socchiusi, come per cercare di leggermi dentro e capire se stessi mentendo. Quel suo atteggiamento mi offese, tanto che mi scoprii finalmente volenterosa di dare una spiegazione logica anche di quello che era successo da parte mia.
<< Sai qual è il punto? Mi sono quasi innamorata di una persona subdola, che ha finto di essere ciò di cui avevo bisogno solo per avere qualcuno con cui divertirsi in attesa del ritorno della sua ex. Credevo di aver trovato qualcuno a cui dare tutta me stessa, di poter finalmente provare quel tanto, tanto famoso sentimento, ma niente. Mi sono fermata in tempo, perché sarò stata anche abbagliata, ma non mi sono mai instupidita al punto di affidarmi completamente alle sue parole. >>
<< E la tua amica? >> Chiese, continuando a guardarmi in quel modo attento e circospetto.
<< Perché credi non sia diventata la ragazza di Alessandro? Non riuscivo a fare niente senza sentirmi in colpa, ecco perché ci siamo sempre limitati alle chiamate e al vederci due volte, da soli. Ma non è mai successo niente, perché io non ce l’ho fatta. E meno male, direi. >>
La sua espressione cambiò, finalmente sembrava credermi. Perché per me era così importante la sua opinione? Eravamo ancora agli inizi, lui non poteva permettersi di giudicarmi in base alle mie azioni passate. Non era ancora il momento giusto, soprattutto se non conosceva la vera dinamica dei fatti.
<< Se lui aveva già fatto del male alla tua amica, perché tu hai continuato a sentirlo? >> Eccola la domanda da un milione di dollari. La verità era che neanche io ero capace di dare una risposta giusta a quel quesito: ero masochista? Stupida? Illusa? Fatto stava che io mi sentivo una traditrice.
<< Il nostro rapporto è nato a parte. Io non chiudo un’amicizia solo per questo. >>
<< Amicizia? Ma se lui era attratto da te! >> Bene, ora passava anche all’accusa. Ma no, non poteva concretizzare tutte le mie più grandi paure in una frase, perché non glielo avrei permesso.
<< Io non potevo saperlo. O forse nel profondo ne ero consapevole, ma mi ripetevo sempre che non era così, che in realtà lui fosse ancora legato alla sua ex storica, Antonia… Ed era così, perché non appena lei è tornata per le vacanze di Natale, lui ha mandato a quel paese tutto e tutti e non si è fatto più sentire. Quando mi ha confessato di sentirsi attratto da me, mi sono allontanata…spingendo lui a fare lo stesso. E siamo arrivati a questo punto, con lui che torna da Melinda per instaurare quelli che lui chiama rapporti civili, ignorando bellamente me. Non fraintendermi, ormai non provo più nulla per lui, per me possono fare ciò che vogliono… Ma mi sono sentita così presa in giro che non ci ho visto più dalla rabbia e gli ho chiesto di non contattarmi mai più perché non mi andava di diventare un fantasma e di sentirmi un incidente. >>
<< Per la tua amica? >> Annuii, sentendomi finalmente più leggera per quella confessione inaspettata. Non era come quando ne parlavo con Anna. Era come se raccontarlo a qualcuno che ne fosse fuori completamente avesse avuto una funzione catartica sul mio animo, e ora mi sentissi finalmente libera e privata di un peso che mi portavo sulle spalle da troppo tempo. << Credo tu sia stata abbastanza chiara con lui, oggi. Non ti chiamerà. >>
Fui colta da una risata isterica, che lui non riuscì certamente a capire, dato lo stato in cui mi trovavo fino a quel momento.
<< Non lo conosci. Ha avuto le palle di chiamarmi oggi, dagli un paio di giorni e si rifarà vivo senza che gli sia chiesto. >>
<< Io avrei un’idea per liberartene una volta per tutte… >> Non riuscii a chiedergli molto, perché decise improvvisamente di alzarsi per andare a pagare il conto. Quando tornò lo guardai buia in volto, insistendo per dargli la mia parte. La rifiutò categoricamente, dato che Laura gli aveva fatto uno sconto molto consistente, avendomi vista seduta con lui. Mi coprii il volto per l’imbarazzo, convinta che ora credesse stessimo insieme: ci avrebbe pensato mia madre a mettere a tacere quelle voci.
Uscimmo dal locale, ma non prendemmo la direzione di casa mia. Andrea svoltò a destra, non curandosi affatto della mia presenza, sicuro, certamente, che lo avrei seguito senza chiedergli nulla. Ma quella volta si sbagliava, perché avevo tutte le intenzioni di capire dove saremmo arrivati andando da quella parte.
<< Zitta e seguimi senza fare troppe storie. >> Lo fissai truce, cercando di stare al passo. Era difficile, se si contava il fatto che avesse una gamba quasi più alta di me.
 
<< Eccoci. >> Ero ansante e ansimavo come un animale assetato, mentre lui era calmo, pacato e tutto in ordine. Non mi ridestai neanche quando, di fronte a me, vidi aprirsi la città sotto i miei occhi. Era uno spettacolo bellissimo, un posto in cui non ero mai stata prima, nonostante vivessi a Firenze da quando ero nata. Erano le cinque del pomeriggio, il sole stava per tramontare e nonostante il gelo, non sarei mai voluta andar via da lì.
Avrei tanto voluto avere con me la mia macchina fotografica, per immortalare quel momento perfetto, ma sfortunatamente avrei dovuto accontentarmi del cellulare. Prima che riuscissi a prenderlo, vidi Andrea avvicinarsi al muretto che dava sulla rupe, dove si fermò per vedere meglio. Lasciai perdere le mie precedenti intenzioni, e quando lo raggiunsi mi rimproverai per quello che stavo per fare: una foto avrebbe rovinato tutto, avrebbe mortificato lo splendore di quel paesaggio. Mi strinsi nel cappotto, perché il freddo c’era e si avvertiva, ma per nulla al mondo mi sarei mossa da lì, se non per un cataclisma.
<< Non mi dire che vieni spesso qui per pensare, che ti butto giù. >> Dissi, senza distogliere lo sguardo dai palazzi. Eravamo sull’altro lato dell’Arno, la Firenze turistica era visibile solo in lontananza. Lo sentii ridere.
<< No, affatto. Per pensare me ne sto comodamente seduto a casa, non ho bisogno di fare una scarpinata simile. L’ho scoperto da piccolo, ci venivo a lanciare le pietre perché convinto di distruggere qualcosa. >>
<< Uh, sei un distruttore nato, allora. >> Lo vidi voltarsi verso di me, con sguardo interrogativo. << Sai, rompi le scatole, cerchi di atterrare palazzi con dei sassolini… >>
Finsi nonchalance, quando improvvisamente sentii mancare la terra da sotto i piedi. Imprecai e gli gridai di mettermi giù, perché detestavo essere presa in braccio. Si avvicinò ancor di più al delimitare della rupe e finse di lasciarmi cadere, provocando un urlo isterico da parte mia. Se non mi avesse messa in un posto sicuro, in quell’istante, gli avrei fatto seriamente male.
<< Chiedi scusa. Su, su! >>
<< Non ci penso nemmeno! >> Affermai, colpendolo alla schiena. Quando mi resi conto che quella cosa poteva ritorcersi contro di me, mi fermai. Meditai a lungo, prima di trovare la soluzione a quel problema. Infilai una mano gelata sotto la sua felpa, causando un suo primo lamento, che però non lo convinse comunque a lasciarmi andare. Passai al piano B, che avevo elaborato seduta stante, e iniziai a carezzargli il lembo di pelle che ero riuscita a scoprire. Non molti resistevano al solletico in quel punto, e lui non faceva di certo parte di quella piccola percentuale. Lo sentii contorcersi sotto il mio tocco. Si allontanò di poco dal muretto e mi fece scendere.
Fu presto per cantar vittoria, perché sarebbe bastato che lui mi lasciasse la mano per farmi precipitare di sotto.
<< Adesso sei in trappola. >> Mormorò, avvicinandosi. Istintivamente mossi un passo indietro, per allontanarmi dal suo tocco, e fu questione di un attimo.
Se non mi avesse stretta a sé, avrei certamente capitombolato lungo quel pendio roccioso, e fu probabilmente per quell’idea che legai le mie braccia intorno al suo collo e lasciai che mi avvicinasse al suo corpo così tanto. In altre circostante sarei morta d’imbarazzo e mi sarei allontanata all’istante.
<< Sei un’incosciente! >> Mormorò, facendomi scendere da lì.
<< Ah, io?! Non mi sembra di essermi messa lì sopra da sola. >> Ribattei, staccandomi da lui.
<< Ti sconsiglio vivamente di solleticare qualcuno che ti tiene in bilico su una rupe, la prossima volta. >> Lo fulminai con lo sguardo. << Ora torniamo a casa… >>
Sentivo  benissimo che stava cercando di reprimere una risata, ma non ci stava riuscendo poi così bene, perché mentre camminavamo mi aveva rinfacciato l’accaduto scoppiando a ridermi in faccia. Mi ero fatta coinvolgere anch’io, promettendogli una vendetta che sarebbe arrivata molto presto, se avesse continuato a prendermi in giro in quel modo.
<< Sei impossibile. Avrei dovuto capirlo da quell’incontro sul mio posto di lavoro. >> Disse, punzecchiandomi.
<< Non rigirare la frittata, Manetti. >> Era la prima volta che lo chiamavo col suo cognome, forse perché mi ricordava troppo suo padre.
Giungemmo a casa mia quando era ormai sera, e le strade erano affollate per il ritorno delle persone nelle rispettive case. Citofonai a mia madre, sorprendendomi del fatto che ci stesse mettendo un’eternità per venire ad aprire, e Andrea aspettava, accanto alla sua auto, che io entrassi. Mi affrettai a cercare il cellulare, per chiamarla e chiederle dove fosse finita con mia sorella, quando sentii una mano sfiorarmi una spalla.
<< Scusami, An… >> Sgranai gli occhi, arretrando di un passo. << E tu che ci fai qui? >>
<< Oggi deve essere caduta la linea, perché improvvisamente non ho più sentito la tua voce. >>
Alessandro era lì, di fronte a me, in tutta la sua altezza – un metro e ottantasette non è certo poco – e tutta la sua ipocrisia. Nonostante fossi fisicamente in svantaggio, cercai di apparire quanto più sicura possibile.
<< Nessuna linea, ho staccato io. Mi è sembrato di essere stata abbastanza chiara. >>
Vidi Andrea avvicinarsi, ma con un gesto vago gli chiesi di restare lì dov’era. Alessandro era un tipo geloso, e non esitava a litigare e fare a botte con chiunque cercasse di portar via qualcuno che riteneva suo. Che io non lo fossi era ovvio solo a me.
<> Incrociai le braccia al petto, per permettergli di dire altre menzogne prima di andarmene. Allarmata guardavo anche Andrea, sperando non si muovesse da lì.
Che situazione.
<< Come ti ho già detto, non sono tornato da Melinda per rimettermi con lei. Sarei un idiota se pensassi di farlo. >> Annuii, poco convinta. << Mi spiace tu ti sia sentita così, ma mi hai fatto imbestialire quando hai definito tutto quello che è successo tra di noi un incidente. >>
<< Basta, Alessandro. Mi hai stancata. Ti ho mai detto di essermi pentita di quello che ho fatto? No. Io ero sbagliata, non noi. O almeno fino a qualche mese fa. >>Era l’ennesima volta che ripetevo quelle frasi, nell’esatta sequenza in cui le avevo formulate un mese e mezzo prima, ma, al solito, lui si mostrava per quello che era: un egoista. La sua versione dei fatti avrebbe dovuto essere quella ufficiale, stando al parere dell’esperto.
<< Sei davvero andata avanti? >> Si avvicinò pericolosamente, tanto che ad un certo punto mi parve di sentire la parete di pietra a diretto contatto con la mia schiena. Non avrebbe cercato di fare nulla, ma la sua presenza, così vicina, mi turbava sempre. C’era, ogni volta, quell’insieme di sensazioni che mi faceva venir voglia di toccarlo, ma al tempo stesso di respingerlo, e ora non era diverso.
<< Ale, allontanati… >> Implorai, appoggiandomi completamente al muro. Okay, forse quello sguardo, l’unica volta che glielo avevo visto, era stato quando mi aveva chiesto un bacio, quel famoso giorno al parco. Quando avevo dovuto lottare con tutte le mie forze per reprimere gli istinti. Chiusi gli occhi, per capire cosa avrei dovuto fare, perché lui, di scostarsi, non aveva intenzione.
<< Elisa. >> Perfetto, ci mancava solo questo. Ora avrei dovuto cercare di tenere Andrea ad una distanza massima da Alessandro di almeno trenta centimetri. << Amore, che stai facendo? >>
Sgranai gli occhi, deglutendo rumorosamente al suono di quel nomignolo. Alessandro sussultò, allontanandosi quanto bastava dal mio corpo perché riuscissi a respirare, finalmente, e Andrea mi affiancò in un attimo. Cinse un braccio intorno alla mia vita, avvicinandomi ancora di più al suo corpo. Vidi gli occhi di Alessandro scorrere lungo le nostre figura, prima di soffermarsi sul volto del ragazzo che mi stava accanto. Vidi comparire un sorrisetto malizioso sul volto di Andrea, che improvvisamente si chinò sul mio viso. In un attimo poggiò le sue labbra sulle mie. Niente di che, se non fosse stato che in un nanosecondo sentii divampare fiamme imponenti in luoghi reconditi. E proprio quando pensavo si sarebbe staccato, sentii la sua lingua massaggiarmi il labbro superiore. Senza rendermene conto, gli diedi libero accesso, permettendogli di approfondire quel bacio.
No, non avevo mai provato nulla di simile prima: dalle sue labbra alle sensazioni che stavo percependo, nonostante sapessi fosse solo per far andare via Alessandro. Allungai una mano sul volto di Andrea e lo strinsi di più, per sentirlo più vicino, sebbene distratta dalla sua lingua che giocava con la mia quasi fosse abituata da una vita a farlo, ma lui parve capire che quello fosse solo un mio tentativo di allontanare prima lo scocciatore.
<< E’ andato via. >> Sospirò, contro le mie labbra, mettendo fine a quel dolce supplizio.
<< S-sì… >> Balbettai, allontanandomi leggermente. << Grazie. >>
<< Di niente. Ora credo di poter andare… >> Con un cenno del capo indicò un punto alle mie spalle: mia madre e mia sorella, con le buste del supermercato, avanzavano verso di noi, discutendo animatamente. Mi voltai di nuovo verso di lui e annuii, evitando il suo sguardo, che, di certo, non aveva tanta voglia di essere incrociato.
<< Era questa la tua tattica? >> Chiesi, legandomi all’ultimo appiglio di speranza. Perché quello avrebbe potuto rovinare tutto, e quel tutto neanche era iniziato. Mi sorrise debolmente e fece un occhiolino, prima di allontanarsi per dirigersi alla sua auto.
Mia madre mi fu vicina in un secondo, e mi chiese scusa per non avermi avvisata della sua uscita improvvisa, ma il frigorifero gridava pietà essendo più deserto del Sahara.
<< Tutto bene, Elisa? Sei arrossita tantissimo. >> Dovetti avvampare ancora di più a quelle parole, tanto che mi rifugiai in camera mia, col timore di destare domande su Andrea e il nostro rapporto. Chiusi a chiave la porta, prima di lasciarmi cadere sul materasso, scoprendomi anche stanca. Alessandro mi stava creando solo problemi, ma Andrea non era da meno: con la sola differenza che gli scossoni del secondo mi andava più che bene di sentirli.
E ripensai al bacio.
Alle sue labbra.
Che avevano sfiorato le mie con una passione che, se era realmente dovuta alla finzione, avrebbe meritato il premio Oscar per la miglior interpretazione. Quelle labbra che mi avevano accolta, che mi avevano fatta sentire viva.

Alla sua lingua.

Che aveva chiesto il permesso di entrare in un modo che avrebbe dovuto essere definito illegale, tanto era seducente ed erotico. Ed eccitante, perché era proprio così che mi sentivo in quel momento.

Alle sue mani.

Che avevano carezzato la mia schiena così delicatamente, stringendomi con altrettanta forza.

Al suo sapore.

Perché era quel che di più gustoso avessi mai assaggiato.

E così, Elisa… Sei fottuta.

  
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