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Autore: Nagem    05/04/2013    2 recensioni
Rockfield Studios, Maggio 1995.
E se dopo il famoso litigio tra i due fratelli durante la lavorazione di "(What's the story) Morning Glory?" Liam - e non Noel per una volta - avesse deciso di mollare tutto? Che ne sarebbe stato di lui? E di Noel? Gli Oasis avrebbero avuto lo stesso successo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Gallagher, Noel Gallagher
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

Legò i lunghi capelli scuri in uno stretto chignon maledicendo il taglio scalato che le faceva ricadere sempre qualche ciocca sul viso. Un minuto per tagliarli, un’eternità per farli ricrescere, pensò sbuffando mentre osservava il risultato dei suoi sforzi nello specchio tondo appeso nello spogliatoio. Si sistemò meglio la tuta bianca, infilò gli zoccoli rosa e uscì in corsia.

“Buongiorno Sophie!”, la salutò vivace l’infermiera al bancone del reparto, “Buongiorno Mary – replicò lei con la bocca mezza piena della brioches che aveva preso al volo prima di uscire di casa – qualcosa di nuovo per me oggi?”, “Mmm … penso di sì, sai?! Mi pare che ieri ne abbiano mandati su tre dal Pronto Soccorso … fammi vedere … no, due, quello di stanotte è ancora in sala operatoria, ecco qua le cartelle”, “Grazie Mary, ci prendiamo un caffè fuori dopo?”, “Sìììììììì, ti devo raccontare del tipo fantastico con cui sono uscita ieri sera!” trillò felice Mary, “Eh, non avevo nessun dubbio”, rispose sorridendo Sophie. Si avviò verso le stanze di degenza sbocconcellando poco professionalmente quello che restava della brioches e occhieggiando nello stesso tempo le cartelle cliniche che aveva in mano. Dunque, vediamo… 81 anni, uomo, frattura del femore… 23 anni, uomo, doppia frattura del bacino… ok, prima il vecchietto.

Appena sveglio, Liam non ricordò dove fosse. Gli sembrava di stare in una nuvola: il soffitto, le pareti, le porte… era tutto bianco latte. Alla sua destra si apriva una finestra che si sviluppava in orizzontale e che occupava più della metà della parete. Cercò di sollevarsi per guardare fuori ma nel farlo sentì esplodere un dolore terrificante che lo tenne inchiodato al letto. Confusamente e in modo frammentario gli ritornò in mente quanto era successo il giorno prima: il litigio con Matthew, il volo dall’impalcatura, l’impatto con il terreno, le sirene dell’ambulanza, le luci di un corridoio che correvano sopra di lui. Rimase immobile con gli occhi chiusi, cercando di far sparire le ultime ondate di dolore, ma niente da fare. Quella bordata shockante si era assopita, ma restava un dolore sordo, continuo, alla base della schiena, al quale si aggiungevano delle fitte lancinanti a sinistra. Forse se respiro più piano, forse se non respiro proprio… pensava delirante.

“No, no, no! Non ci siamo! Non fare finta di dormire che lo so che sei sveglio!”. Liam aprì di colpo gli occhi che vennero però accecati da una lucina, fece per richiuderli girando la testa da una parte per il fastidio, ma una mano gli prese il mento e lo fece voltare di nuovo: “Aprili bene, fammi vedere… ok, tutto a posto. Sono la dottoressa Jones e tu sei ricoverato allo Spruce Manor Special Care Home. Ti ricordi perché?”, “S-sono caduto da un’impalcatura”, rispose con la voce più rauca che avesse mai avuto in vita sua. “Perfetto, ti ricordi bene. Nella caduta hai riportato, oltre a tutta una serie di contusioni, un trauma cranico commotivo che secondo la TAC e a quanto vedo danni non ne ha fatti, e due fratture: una all’acetabolo sinistro e l’altra all’ala iliaca corrispondente”. Interessante….non sapevo di avere le ali. E che cazzo è l’acebaubau? Vedendo l’espressione interrogativa di Liam, la dottoressa spiegò: ”Per fartela breve, ti sei rotto il bacino in due punti, di cui uno, l’acetabolo, è la cavità in cui si inserisce il femore. Per tua fortuna sono fratture composte, per cui non è stato necessario intervenire chirurgicamente. Ora devi stare a letto per 30-40 giorni, facendo solo fisioterapia passiva, poi inizierai –“, “Cosa?” – la interruppe Liam – “Non posso alzarmi? Per 30-40 giorni? Ma non posso stare qui per tanto tempo!”. La dottoressa Jones lo guardò, con un sopracciglio alzato e un sorrisetto ironico: ”Oh, sono sicura che se ti impegni puoi farcela”, “No, non penso proprio - rispose ostinato Liam - tanto per cominciare ho un lavoro”. Veramente non sapeva se ce l’aveva, ma tecnicamente nessuno lo aveva licenziato. Non ancora almeno. La dottoressa si sedette sul bordo del letto, intrecciò le dita su un ginocchio e continuò: “Questo non ti impedisce di startene immobile”, “Lei non capisce, io non sto sdraiato in un letto a fare niente per più di un mese!”. La dottoressa rimase in silenzio per qualche istante, poi, tirando via il lenzuolo gli disse:”Va bene, mi hai convinto, se riesci ad alzarti ti dimetto all’istante così domani puoi provare di nuovo a romperti l’osso del collo, magari questa volta ti riesce”,”Ma non mi posso muovere!” quasi urlò Liam. Ma da dove saltava fuori quella? Era una sadica che si divertiva a giocare con i pazienti? “Ecco, stiamo dicendo la stessa cosa. Non ti puoi muovere. E sarà così per tutto il prossimo mese, e anche di più se non la smetti di agitarti. Vie d’uscita alternative non ne esistono. Devi dare il tempo alle tue ossa di ricalcificarsi e questo avverrà tanto prima quanto più te ne starai buono buono a fare niente, come dici tu. Ah ma ecco la dottoressa Lambert, la fisioterapista. Ciao Sophie ”e così com’era entrata, con un gran svolazzare di camice, la dottoressa Jones uscì dalla stanza.

Liam neanche si voltò a guardare chi era entrato, tanto era sconvolto. Come cazzo era potuta succedere una cosa del genere? Ma perché ultimamente dovevano capitare tutte a lui? Tanto per cominciare si sentiva come una vecchietta con l’osteoporosi, con tre fratture in neanche un anno e mezzo. E quella storia di stare in ospedale per oltre un mese … ma perché? Perché? “Ah boh. Destino?”. Liam tolse le mani dagli occhi e si voltò confuso verso la persona che aveva parlato. “Dicevo, forse è il destino” riprese sorridendo lei. Cazzo, ho pensato ad alta voce. “Magari da questo incidente nascerà qualcosa di buono”. “Non penso proprio. Per come mi stanno andando le cose è più probabile che rimanga zoppo a vita”, rispose tetro lui. “Mah, forse una lieve zoppia potrà rimanere ma iniziando subito con la fisioterapia abbassiamo le probabilità di molto”. “Un attimo, posso davvero rimanere zoppo?”, Liam era attonito. Ma è un incubo in cui quello che penso diventa realtà o cosa?  

Sophie iniziò a spiegargli in cosa avrebbe consistito la sua riabilitazione, ma si rendeva perfettamente conto che non la stava ascoltando più. Non si preoccupò molto, succedeva spesso che i pazienti costretti a lunghe degenze inizialmente fossero storditi, sapeva che era tutta questione di ambientamento. Aveva calcolato di iniziare con i primi esercizi nel pomeriggio, ma pensò che qualche semplice rinforzo della muscolatura avrebbe potuto distrarlo.

 

Strimpellava con la chitarra già da un po’, il solito quaderno con la copertina nera aperto davanti, la penna abbandonata sul divano. Aveva una certa melodia in testa e qualche parola, ma faticava a metterle insieme. La strana sensazione provata il giorno prima, quella sensazione oscura, densa di angoscia, carica di un panico freddo ma allo stesso tempo rarefatta, quasi trasparente, era stata sostituita da un’ansia molto più terrena e concreta, determinata dal fatto che sua madre non era scesa a Londra solo per l’appuntamento con il signor Richardson ma anche per fare dei controlli approfonditi su un nodulo che si era scoperta al seno poco tempo prima. Testarda, autoritaria e indipendente com’era – da qualcuno Noel doveva pure aver ripreso – era assolutamente voluta andare da sola in ospedale, con la scusa che se fosse andato con lei, l’ospedale stesso si sarebbe riempito di fotografi e giornalisti. Noel sorrise ricordando la discussione con Peggy: “Non vorrai farmi finire sulla prima pagina di qualche giornale in camicia da notte, vero Noel?!”.

Il lieve sorriso si spense subito e la ruga che faceva da termometro delle sue preoccupazioni o delle sue arrabbiature, e che per anni era stata appannaggio quasi esclusivo di Liam, si fece ancora più marcata. Non andartene mamma. Ho ancora bisogno di te. Avrò sempre bisogno di te. Il pensiero di sua madre e quello di suo fratello si alternavano in una sorta di girotondo che di giocoso non aveva proprio niente.  Per quale cazzo di motivo te ne sei andato stronzo? urlò disperatamente nella sua mente.

Da quando Liam era partito quella era la prima volta che Noel ne sentiva veramente la mancanza. Quei quattordici mesi di lontananza erano stati talmente pieni di novità, preoccupazioni, sfide vinte, obiettivi raggiunti, sogni realizzati, che non aveva avuto neanche il tempo di rendersene concretamente conto. Era solo in quel momento così difficile per lui, con la persona più importante della sua vita che forse avrebbe perso prima del tempo, che avvertiva in pieno l’assenza dell’unica persona al mondo che lo avrebbe capito fino in fondo. E la sentiva in modo così acuto, così prepotente da risultargli quasi impossibile da pensare, come se tutti gli anni passati insieme nella stessa cameretta, a pochi centimetri l’uno dall’altro, li avessero resi in qualche modo dipendenti a livello viscerale, fisico.

C’era anche Paul, ovviamente, con il quale aveva condiviso tutta la vita, e Meg. Sapeva che anche loro avrebbero capito, che con loro avrebbe potuto parlare. Ma il punto era proprio questo: come ogni volta in cui di mezzo c’erano i sentimenti che provava, lui non aveva nessuna voglia di parlare; non riusciva neanche a immaginare di poter perdere Peggy, figuriamoci parlarne. Con Liam sarebbe stato completamente diverso invece. Si sarebbero aperti una birra davanti alla tv e senza neanche mezza parola, avrebbe saputo che lui capiva, che lui provava lo stesso dolore, lo stesso smarrimento, lo stesso senso di ingiustizia (Papà dovrebbe avere il dubbio di un fottuto tumore, non la mamma!) che sentiva lui. 

C’era anche un’altra sensazione, che Noel non riusciva a indagare fino in fondo, ma che si traduceva in una specie di parallelo fra la possibile perdita di chi lo aveva sempre protetto e la perdita oggettiva di chi lui aveva sempre protetto. Sentiva di aver mancato qualcosa nei confronti di Liam, come se in qualche modo l’avesse spinto ad andare via, come se avesse tradito la fiducia che il fratello doveva aver riposto in lui.

Erano pensieri strani, ai quali Noel non era abituato, pensieri e prese di coscienza che lo facevano star male ma che stavano producendo un risultato che conosceva, quello sì, perfettamente: a poco a poco, quelle parole sparse e quegli accordi che gli giravano in testa da ore iniziarono a prendere corpo, quasi materializzandosi davanti a lui. 

…con tutte le cose intrappolate nella mia mente … dimmi che resterai per sempre e un giorno, per tutto il tempo della mia vita … maledetta la mia situazione e i giochi a cui ho giocato … non andare via … sembra che sappiamo solo come mostrare i sentimenti sbagliati … non andare via … ho bisogno di più tempo per fare le cose giuste …
 






Ok ok ok …. So che Don’t go away non c’entra un emerito cappero con Liam, ma mi è capitato di riascoltarla in radio mentre pensavo a questo capitolo e non ho potuto non inserirla quella meraviglia!

In “Brothers: from childhood to Oasis, the real story”, la biografia scritta dal fratello Paul, viene spiegato che Peggy non venne ricoverata per il dubbio su un tumore, come titolarono tutti i giornali, ma per una forma piuttosto grave di pneumotorace. Dato che inserire questo particolare mi avrebbe procurato tutta una serie di complicazioni, ho lasciato la “spiegazione ufficiale”.

Approfitto per ringraziare di nuovo tutti voi che continuate a seguire. Un grazie speciale a chi trova il tempo per commentare, in pubblico e in privato … you are my Wonderwall!!!!

  
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