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Autore: DontMindMe    05/04/2013    0 recensioni
[Che]
[Ernesto/(OMC) Esteban]
A parte il nome non ricordava niente del giovane che aveva detto di amarlo.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Sono felice di non essere morto prima di avervi incontrato, signore. Ora che abbiamo combattuto per la stessa causa e condiviso qualcosa… posso anche andarmene in pace.” Gemette il ragazzo in lacrime mentre Ernesto gli ricuciva una ferita troppo grossa che aveva perso troppo sangue. 
“Non è ancora il tuo momento, ragazzo.” Gli sussurrò mentre gliela ripuliva delicatamente. Tanti pensieri invasero la sua mente simultaneamente: maledì le scarse condizioni igieniche in cui era costretto a operare, ricordò quando aveva promesso che non sarebbe più stato medico e il motivo per cui, in quel caso, aveva fatto uno strappo alla sua stessa regola, e si vergognò, profondamente, perché a parte il nome, che era Esteban, non ricordava nient’altro del ragazzo in fin di vita lì, di fronte a lui, su un’amaca sudicia in un campo di ribelli nel mezzo della foresta. Eppure l’aveva seguito da Cuba in ogni sua azione, fino in capo al mondo: era lo sguardo d’approvazione sullo sfondo, l’ingranaggio ben oleato che non si era mai inceppato, che mai aveva generato biasimo o lotte intestine e che per lo più aveva portato ordine. 
“Sto morendo, "Che"… devo… devo dirvelo… io vi amo!”, aveva ammesso quando un soldato l’aveva colpito con un proiettile in pieno addome.
In quel momento Ernesto, che era lì al suo fianco, aveva deciso che l’avrebbe salvato ad ogni costo. 
“Non è ancora il tuo momento.” Ripetè “Devi restare con me, lottare e vincere con me ancora una volta.” Continuò.
Lo bendò e congedò gli assistenti. Non potevano fare più niente per il ragazzo e c’era un turno di guardia da coprire. Ciò che poteva salvare Esteban, ormai, era la sua voglia di vivere e la forza stessa del suo corpo, eppure Ernesto non lasciò mai il suo capezzale se non quando strettamente necessario. Rimase sveglio al suo fianco tutta la notte, e quella dopo, e quella dopo ancora, rinfrescandogli la fronte bollente per la febbre, facendogli ingoiare antibiotici, cercando di nutrirlo come poteva e quando in cambio riceveva sorrisi o dei grazie sussurrati a malapena, si sentiva profondamente gratificato.
La dichiarazione in extremis del ragazzo l’aveva commosso. L’amore, nato fra repressione, fucili, fughe, dolore, imprecazioni e guerriglia, in atto per una causa più grande mossa anch’essa poi da quello stesso potente sentimento, era di per sé un piccolo miracolo.
Nei giorni di silenzio, di Esteban aveva imparato a memoria ogni lineamento così che mai più avrebbe potuto vergognarsi. Quel viso angoloso dalla pelle olivastra circondato da capelli neri come il buio più profondo, la cicatrice che gli divideva in due il sopracciglio destro e quegli occhi che, quando erano aperti, erano sorprendentemente chiari e gentili, pieni di speranze e di promesse che esigevano realizzazione. Poi quelle labbra, circondate da barba incolta e che dovevano essere state morbide prima di rovinarsi provate dalla sofferenza... Ernesto promise a se stesso che le avrebbe baciate quando il ragazzo si fosse ripreso del tutto. 
In quelle notti insonni non scrisse il suo diario di guerriglia, bensì una lunga poesia come non ne scriveva da tempo. Un verso alla volta per il suo fedele compagno, tutti i giorni fino alla sua completa guarigione. 
Quando il ragazzo iniziò a migliorare passarono ore a parlare di qualunque cosa, delle volte tenendosi la mano, così che la loro conoscenza non fu mai più superficiale ed Ernesto imparò ad apprezzare quel giovane rivoluzionario e le sue idee, grazie alle quali si sentiva più forte, più motivato, delle volte persino innamorato. “Non bisogna mai dimenticare la tenerezza.” Si ripeteva baciandogli le dita e sentendosi fragile.
Poi anche la convalescenza finì. Era riuscito a salvarlo. C’era voluto del tempo ma ce l’aveva fatta e il suo cuore tradì un’emozione più forte del dovuto il giorno in cui Esteban indossò di nuovo la sua divisa e si presentò da lui per ringraziarlo, ancora una volta, l’ennesima, di avergli salvato la vita. Ernesto gli riconsegnò il suo fucile, gli prese il viso fra le mani e, come promesso, lo baciò. Quello fu uno dei baci più dolci della sua esistenza, così tanto, forse, perché circondato dalla guerra. 
Un così netto contrasto. 
Su quelle labbra per un attimo tutto il resto aveva perso consistenza.
Gli prese la mano e vi chiuse dentro un mazzetto di fogli scomposti scritti di suo pugno “Questo è il mio amore per te.” gli disse, ed Esteban lo portò ripiegato sul cuore per tutti i mesi che seguirono, fino al giorno in cui un altro colpo di fucile lo ferì a morte ricacciando di colpo nel silenzio la poesia di Ernesto.
  
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