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Autore: redeagle86    05/04/2013    1 recensioni
(Ipotetico seguito di TMI)
Dal prologo:
"Era la fine: aveva perso, i suoi sogni di gloria erano crollati come castelli di carte e lui moriva con la faccia nel fango. Un finale epico, senza ombra di dubbio.
Clary e i suoi amichetti avrebbero avuto il loro “per sempre felici e contenti” e tutti si sarebbero presto dimenticati della sua esistenza. Non c'era nessun segno del suo passaggio, solo una sconfitta.
-Ave atque vale- sussurrò.
Non è ancora giunta la tua ora, Jonathan Christopher Morgenstern.
"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Suo figlio

Appena la porta si era chiusa alle spalle di suo marito, Clary aveva reclinato la testa all'indietro e fissato il soffitto: il motivo per cui era stato convocato era talmente serio che lei non aveva nemmeno dovuto insistere per convincerlo a partire per Idris.
Gliel'aveva detto quella notte a letto, anche se la moglie aveva già intuito che qualcosa lo turbava: lo aveva sentito nel suono della sua risata mentre scherzava con i ragazzi, nel modo in cui l'aveva stretta poco dopo e le aveva cercato la mano per intrecciare le dita con le sue.

-Domani vado ad Alicante. C'è una riunione del Consiglio- sussurrò alle sue spalle, coperto dal buio della notte.
-Sta succedendo qualcosa, vero?- gli chiese senza voltarsi.
Jace esitò un attimo, indeciso: non voleva farla preoccupare, ma era una Cacciatrice, come lui, e c'erano cose da cui non poteva proteggerla semplicemente non parlandone.
-Sì. Il cadavere che hanno trovato Ron e Will non è un caso isolato. È un fatto che ultimamente si sta ripetendo spesso in tutto il mondo: mondani uccisi in modo inspiegabile da qualche forza demoniaca che non conosciamo. E il Conclave si è deciso a prendere dei provvedimenti.
-Di che genere?
Clary non aveva un buon rapporto con il Conclave e il sentimento era reciproco: non capiva buona parte delle decisioni che prendeva e, generalmente, era in totale disaccordo con ogni cosa uscisse dalle sue stanze.
-Riunisce il Consiglio, tutti discutono e urlano, poi si torna a casa e si continuano a trovare mondani morti. Lo sai come vanno queste cose- rispose con tono ironico. -La loro priorità è il ventesimo anniversario della sconfitta di Sebastian, non certo una catena di delitti.
La donna emise un lieve brontolio, agitandosi nell'abbraccio di Jace.
-Ci pensi ancora... - affermò, baciandola tra i capelli rossi. Non glielo stava chiedendo, perché sapeva già la risposta: conosceva le ombre della compagna almeno quanto le sue. -Hai fatto la cosa giusta e io sono fiero di te. Mi basta guardare ciò che ho adesso perché ogni dubbio svanisca.
-Lo so ma... a volte penso che lui non sia morto, che sia da qualche parte e progetti di tornare per vendicarsi. Io e lui, dopotutto, siamo simili: lo ripeteva spesso. E aveva ragione.
-Clary, Sebastian non esiste più e il suo corpo è stato carbonizzato dall'incendio. Non tornerà e io non sono così stupido da riportarlo in vita una seconda volta. Inoltre tu non gli somigli affatto, altrimenti non ti amerei così tanto.

Guardò per l'ennesima volta il calendario: mancava davvero poco a quella data fatidica, troppo poco per chi come lei tremava al semplice accenno.
Ogni volta che quel ricordo tornava a galla, Clary riviveva quella notte e le sue mani tornavano calde ed umide del sangue di suo fratello.
Il suo stesso sangue.
I primi giorni dopo la fine della battaglia, la morte di Sebastian era un incubo ricorrente che le levava il sonno: né Jace, né Simon, né un incantesimo di Magnus riuscivano a scacciare quell'immagine dalla sua mente e a concederle un riposo ininterrotto.
Poi pian piano si era attenuato tutto, come una ferita che lentamente si cicatrizzava e non lasciava alcun segno sul corpo. Ma dentro il cuore i segni c'erano ancora: aveva avuto paura il giorno delle sue nozze con Jace; aveva avuto paura quando era nato William e aveva paura ad ogni anniversario. Paura che lui ricomparisse, paura di rivedere quegli occhi neri, quei capelli di neve e ghiaccio, quel volto troppo simile a quello di Valentine. E al suo.
Fu un delicato rumore alla porta a distoglierla da quelle riflessioni.
-Avanti- disse, regalando un sorriso radioso al suo patrigno. -Luke, ciao! Non dirmi che è stato Jace a chiederti di venire a controllarmi.
-No, veramente è stato tuo figlio- spiegò. -Non voleva che restassi qui da sola, così eccomi qui.
-Sono contenta che tu sia venuto. Tutto bene a casa?
-Sì- rispose, indugiando un attimo prima di proseguire. -A lei... dispiace questa situazione.
Il sorriso scomparve dalle labbra della donna, sostituito da un'espressione dura.
-Doveva pensarci prima di crearla.
-Voleva solo proteggerti.
-Controllando che William non fosse nato come Jonathan?!- esclamò, dandogli un'occhiata di fuoco. -Ai suoi occhi Jace sarà sempre il figlio di Valentine, sarà sempre come mio padre. Ed io sarò sempre una stupida che commette i suoi stessi errori.
Luke rimase in silenzio, posandole una mano sulla sua con uno sguardo colmo di tristezza e comprensione: aveva rimproverato spesso Jocelyn per il suo atteggiamento, l'aveva avvertita che stava rischiando d'essere odiata da Clary, ma era stato inutile ed ora sua moglie ne pagava le conseguenze.
Quello sciocco accanimento nei confronti di un ragazzo che non aveva altre colpe se non quella d'essere stato una cavia in mano a Valentine... il lupo mannaro non l'aveva mai capito. Jace amava Clary molto più della sua vita, lo aveva dimostrato più di una volta e continuava a farlo: cos'altro poteva desiderare un genitore per la propria figlia?
-Allora, avete deciso il nome per questa piccolina?
Clarissa si rilassò, ringraziandolo per aver cambiato argomento: sua madre era un capitolo chiuso, soffocato sotto troppe cose che non poteva perdonarle.
Credeva di poter superare il fatto che le avesse tolto i ricordi e impedito di vivere la vita che le spettava; era riuscita a non soffrire troppo per la sua intolleranza verso Jace; ma quando aveva visto i suoi occhi scrutare William un centimetro alla volta in cerca di segni demoniaci, per Clary era stato come ricevere un pugno nello stomaco. Aveva stretto al seno il suo piccolo e le aveva chiesto di uscire dalla stanza e dalla sua vita.
E in quel momento aveva compreso di non poterle perdonare niente. Nemmeno ciò che aveva fatto a Jonathan.
Dopo essere diventata madre, quelle azioni e quei sentimenti che prima aveva giustificato, le apparvero in una luce diversa. Dopo aver messo al mondo Will, aver tenuto in braccio quella creaturina che era cresciuta in lei per nove mesi, non aveva potuto provare che orrore per il comportamento di Jocelyn.
Anche se aveva una natura demoniaca, era pur sempre suo figlio, ma lei lo aveva rifiutato, rigettandolo come se fosse immondizia, lasciandolo in balia della crudeltà di Valentine.
Essere così non significava essere madri, ma vigliacchi.
Essere così significava essere peggio di Valentine: lui aveva forgiato il carattere di Jonathan con la frusta, lei con l'odio.
-Sì, abbiamo deciso. Dopo una lunga consultazione di alberi genealogici e archivi, abbiamo finalmente deciso.
-Bene, ma non dirmelo: voglio che sia una sorpresa. Però dillo a Magnus, così comincerà a ricamare le iniziali su tutto quello che le ha regalato.
-Non so cosa gli prenda: con Will si era fermato a un centinaio di cose, mente con lei non ha limiti: l'Istituto non può contenere altri doni- replicò, guardando le pile che suo marito aveva ormai rinunciato a sistemare.
-Sarà l'età- ribatté Luke. -Ma dov'è Jace? Non l'avrai chiuso in uno stanzino.
-No, è ad Alicante. Riunione del Consiglio.
-Da quando non faccio più parte del Conclave, non sono aggiornato su quello che accade.
-Non ti perdi molto. Le cose non sono cambiate: si combatte, si salva il mondo, pensi di meritarti un attimo di pace e invece il mondo si caccia di nuovo nei guai- affermò la donna. -È come badare a Will e a Jace, insomma.
-Non faccio fatica a crederci.
-Immagino che nemmeno tu andrai alla festa- continuò. Luke annuì: non si festeggiava un figlio morto, per quanto malvagio potesse essere e lui rispettava la volontà della moglie. -Jace è convinto che sia in cima alle priorità del Conclave e temeva che la riunione fosse per decidere quali tovaglie si abbinassero meglio alle tende o quale dovesse essere il colore d'obbligo per abiti degli invitati.
-È una festa del Conclave, non a casa di Magnus Bane. Non penso che qualcuno noterà la biancheria.

Jace alzò gli occhi al cielo terso di Alicante, facendosi schermo con la mano: era da tempo che non vi metteva piede, ma la città degli Shadowhunter era immutabile ed eterna. Né le guerre, né il tempo, né la natura potevano intaccarne l'aspetto antico e solenne, intervallato dalle alte torri antidemoni che si innalzavano verso l'alto come lunghissimi aghi.
-E tu pensi che William ti ubbidirà?
Il Cacciatore allungò le gambe e portò indietro la schiena facendo leva sulle mani: seduti sulla scalinata che portava alla Sala degli Accordi, lui ed Alec attendevano pazienti l'inizio della riunione.
-Se mi somiglia come temo, avrà già aperto un Portale per Idris e tra poco sarà in un mare di guai.
-Come facevi tu alla sua età.
-È sangue del mio sangue in fondo- ribatté con un sorriso fiero.
Alla parola “sangue” il suo parabatai si irrigidì: improvvisamente i gradini erano diventati irti di chiodi e freddi come il ghiaccio. Doveva approfittare di quel momento, ma come? Come entrare nell'argomento... e uscirne vivo?
Ricordò il loro giuramento, la runa che li legava e di colpo tutto apparve troppo flebile di fronte al segreto che serbava nel cuore.
-Che fine ha fatto Magnus?- domandò Jace, ignaro dei pensieri dell'altro. -Ha forse dimenticato come si arriva qui?
-Certo che no. Gli si è avvicinata una ragazza e si è fermato a parlare con lei dicendo che mi avrebbe raggiunto.
L'amico si voltò, sollevando un sopracciglio scettico e lo scrutò come se di colpo l'uomo accanto a lui si fosse trasformato in una creatura a due teste con sei o sette braccia.
-Chi sei?
-Cosa?- replicò. Sbatté le palpebre, confuso da quella domanda.
-Di certo non sei Alec. Il vero Alexander Gideon Lightwood starebbe facendo fuoco e fiamme all'idea di Magnus che parla con qualcuno. Sarebbe qui con una faccia da funerale e il fumo che gli esce dalle orecchie, brontolando cose come...
-Piantala, Jace, sono io. Ho smesso di essere geloso di ogni persona che gli va vicino. Dopo vent'anni e dopo che ha rinunciato all'immortalità, non ho bisogno di altre prove del suo amore.
-Credevo non sarei vissuto abbastanza da sentirtelo dire- commentò il diretto interessato, arrivando alle loro spalle.
Le guance di Alec si colorarono di rosso, come quand'era ragazzo; si girò con l'intenzione di replicare, ma si bloccò: malgrado il sorriso che incurvava le sue labbra, gli occhi dello stregone non erano affatto allegri. C'era un'ombra scura nello sguardo felino, un chiaro turbamento che non aveva prima di incontrare quella ragazza dai lunghi capelli castani.
-Va tutto bene?
-Sì... o forse no. Ma non è questo il momento per parlarne.
-Ehi, so quando la mia presenza, per quanto incredibile ed illuminante, è di troppo- esclamò Jace, alzandosi e spazzolando la tunica nera con una mano.
-Io non mi riferivo a te- si corresse Magnus. -La riunione sta iniziando e sarebbe un peccato perdersela per stare qui a discutere: potremmo non sapere mai che colore va di moda adesso ad Alicante. Non sopporterei di arrivare alla festa con l'abito sbagliato.
I due Shadohunters si guardarono rassegnati e, con un sospiro, iniziarono a salire i gradini.
-Speriamo non sia il rosa: non credo mi doni molto- affermò Jace.
-Puoi sempre attingere al mio armadio- propose lo stregone che, quando si parlava di abiti sgargianti e appariscenti, era un maestro indiscusso. E una fonte inesauribile di vestiti. -E ovviamente anche tu, fiorellino.
-Lo stesso stilista per tutti e tre, insomma.
-Certo, il migliore.
  
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