Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Frytty    05/04/2013    5 recensioni
Candice e Robert. Due vite e due sogni diversi, incompatibili con la loro voglia di amarsi. Candice parte per New York per frequentare la Julliard e coronare il suo sogno di danza; Robert rimane in Inghilterra con la speranza di riuscire a diventare un attore. E se, entrambi famosi, si incontrassero proprio a New York? E se non fosse tutto semplice? Potrebbero amarsi di nuovo?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutte! <3

Dunque, dunque, dunque... queste note di inizio capitolo saranno un po' lunghe, perché è l'ultimo capitolo ufficiale della Ff, e ci sono diverse persone da ringraziare. Non voglio farlo nell'Epilogo, perché, come sa chi ha seguito altre mie storie, i miei Epiloghi sono piuttosto brevi e ho paura di far diventare le note il centro di esso, piuttosto che l'Epilogo stesso, quindi preferisco spostare tutto all'ultimo capitolo, in modo da avere una pagina più libera per la vera fine.

Innanzitutto, mi scuso per quest'immenso ritardo. Sono stata piuttosto presa con l'università e con la preparazione di un esame che, fino a poco tempo fa, credevo di riuscire a dare il 10 Aprile, e che solo una settimana fa o poco più, mi sono resa conto di essere impossibilitata a studiare tutta la mole di dispense assegnateci per quella data, tanto che l'ho rimandato al 15 Maggio. Lo stress per questo esame ha un po' raffreddato la mia ispirazione, tanto che non sono riuscita a scrivere neanche una parola per due settimane intere. Poi, quando ho avuto la situazione più sotto controllo, tutto è affiorato, dando vita a quest'ultimo capitolo, che spero gradirete.

Non ho nulla da anticiparvi al riguardo, perché non si tratta altro che di sbrogliare i nodi della matassa, e se vi anticipassi qualcosa, rovinerei il finale a tutti.

Tuttavia, ho qualcuno da ringraziare, partendo da coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite:

1 - annaleesa [Contatta]
2 - EllyBelly [Contatta]
3 - ire1920 [Contatta]
4 - Lesley_Gore [Contatta]
5 - Minelli [Contatta]
6 - pallina932 [Contatta]
7 - Two girls and a heart [Contatta]
8 - _DreamingLondon_ [Contatta]
9 - _screps_ [Contatta]

Coloro che hanno inserito la Ff tra le seguite:

1 - 96giuggi [Contatta]
2 - allie_c [Contatta]
3 - Alvarez_RT [Contatta]
4 - antanasia [Contatta]
5 - anto32 [Contatta]
6 - barbystew [Contatta]
7 - cee [Contatta]
8 - danybor [Contatta]
9 - elibru [Contatta]
10 - epril68 [Contatta]
11 - eri99 [Contatta]
12 - francytwilighter80 [Contatta]
13 - frassrock [Contatta]
14 - Gracevelyn [Contatta]
15 - Lilith82 [Contatta]
16 - Love_in_London_night [Contatta]
17 - luna09 [Contatta]
18 - MalvyCojan [Contatta]
19 - maria concetta [Contatta]
20 - Midnight_moon [Contatta]
21 - paty87 [Contatta]
22 - pinkprincess [Contatta]
23 - S o p h i e [Contatta]
24 - shasca [Contatta]
25 - valina_babi [Contatta]
26 - viva4ever [Contatta]
27 - WeloveSneakers [Contatta]
28 - _Cloud_of_tears_ [Contatta]

E colei che l'ha inserita tra le ricordate:

1 - Deby14 [Contatta]

 

GRAZIE DI CUORE A TUTTE! <3 Davvero, se non mi aveste fatto capire quanto tenevate a questa Ff, probabilmente non sarei andata avanti, l'avrei abbandonata, perlomeno sul web; invece, il vostro inserirla tra le seguite/preferite/da ricordare, mi ha fatto capire che, in fondo, ne valeva la pena, perciò, ancora GRAZIE!

 

Ringrazio di cuore anche tutte le persone che hanno recensito, senza distinzioni: quelli che hanno recensito una sola volta, che hanno recensito un solo capitolo, che li hanno recensiti tutti, il cui commento era troppo breve per apparire tra le recensioni, ritrovandolo nei messaggi privati... tutti, nessuno escluso <3 Vale lo stesso discorso di sopra; ho sempre considerato le recensioni importanti per migliorare, per avere una maggiore stima di sé, per capire cosa va e cosa non va nella propria storia e credo che tutte le recensioni ci insegnino qualcosa. Io, personalmente, dopo ogni Ff scritta, mi sono accorta di aver appreso moltissimo da ogni recensioni che mi era stata lasciata e ho sempre fatto tesoro di tutte le parole spese per me o per le mie Ff: GRAZIE MILLE ANCHE A VOI! *.*

 

Ringrazio anche tutti coloro che hanno soltanto dato un'occhiata alla Ff, e che sono stati tantissimi *.* GRAZIE!

Per concludere, ancora una volta, mi sembra doveroso ringraziare Carla, soprattutto per quest'ultimo capitolo, perché l'ho riempita di domande e lei, con gentilezza e pazienza mi ha sempre risposto e ha sempre cercato di aiutarmi per il fattore medico della vicenda *.* GRAZIE! *.*

 

Come ho spesse volte ripetuto, in Candice c'è una grande parte di me, forse più che in tutti gli altri personaggi delle mie Ff, e mi mancherà scrivere di lei e di Robert, così come di Arthur, di Sofia, e del nuovo arrivato che, purtroppo, ha poco spazio per esprimersi; ma, come sempre, tutti loro rimarranno nel mio cuore e avranno un loro posticino speciale, così come spero sarà anche per voi che mi avete seguito in questa ennesima avventura.

Prima di lasciarvi al capitolo, mi sembra doverosa una comunicazione ufficiale: ho una nuova Ff su Robert che non vede l'ora di essere pubblicata e che avrà come titolo Three Stones. Ne ho parlato nel gruppo dedicato alle mie storie (e che vi ricordo essere questo: You tought you know me; è un gruppo privato, perciò dovete richiedermi l'accesso, ma non temete, accetto volentieri tutti coloro che me lo chiederanno via messaggio privato qui, su EFP, o su Facebook, nel mio profilo autore o personale), ma per chi non ne fa parte, aggiungo qui la trama ufficiale della nuova Ff:

Solephine non ha mai smesso di credere nel futuro.
Quando la incontra, Robert capisce che il suo futuro è lei.
Stanno per coronare il loro primo anno di matrimonio con la nascita di un bambino, quando Solephine 
rimane coinvolta in un incidente stradale, entrando in coma.
Robert si trova in una situazione in cui non ha mai pensato di potersi trovare: solo, costretto a crescere un bambino che non sa se vedrà mai la mamma, ossessionato dal pensiero che Sole possa non svegliarsi più, troppe cose da fare, mille altre da gestire, emozioni da tenere a freno.

(dal Prologo)

"Non potevo sapere che avrei fatto bene ad essere spaventato; non sapevo che, quando il telefono era squillato ed io avevo letto il nome di mia madre, la mia vita non sarebbe stata più la stessa. D’altronde, come potevo?"

 

Il prologo sarà pubblicato in concomitanza con la pubblicazione dell'Epilogo di "C'era una stella...", cosa che avverrà, all'incirca, nella metà della prossima settimana. Sarei molto felice se voleste seguirmi anche nel prossimo progetto, molto più delicato di quest'ultimo e a cui tengo molto.

 

La finisco di ciarlare e vi lascio, finalmente, al capitolo :)

 

Buon fine settimana a tutti e, come sempre...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Where The Lines Overlap-Paramore

 

 

 

 

 

 

< Lei è il signor Pattinson? > Chiese il dottore con fare professionale, lanciandomi uno sguardo indifferente, la cartella clinica in una mano e una biro nell'altra.

< Sì, sono io. > Rispose Robert, alzandosi. 

Lo imitai, ma avevo come l'impressione che il medico non gradisse affatto la mia presenza.

< Le dispiace se... parliamo in privato? > Mi guardò ancora, così come Robert, che aveva seguito il suo sguardo.

< Lei è la mia fidanzata, voglio che ascolti anche lei. > Arrossii, la mia mano, mossa da volontà propria, incontrò la sua, stringendola.

< D'accordo, allora. La signorina Stewart è fuori pericolo, così come il neonato. Dovrà rimanere qualche settimana in incubatrice, ma sembrano non esserci altre complicanze. E' stata fortunata. > Sorrise appena e sentii Robert rilassarsi e sospirare di sollievo, come se fosse stato in apnea per tutto quel tempo.

Incrociai i suoi occhi lucidi e il suo sorriso felice e non potei fare a meno di ricambiare, stringendomi a lui, mormorandogli un flebile te l'avevo detto che sarebbe andato tutto bene.

< Possiamo vederli? > Fu la prima cosa che Robert domandò, scrutando ansioso le stanze di fronte a noi.

< La signorina sta riposando, dovrebbe svegliarsi tra qualche ora. Chiederò all'infermiera di accompagnarvi dal bambino. > Si defilò con un cenno, mentre noi rimanemmo lì, fermi, attoniti.

< Ho sempre creduto dovesse essere una femmina. > Furono le prime cose che Robert disse, quando l'infermiera ci condusse nella sala delle incubatrici. Avevamo dovuto indossare un camice verde, come quello dei chirurghi, che ci facevano assomigliare a degli extra-terrestri, tanto che dovetti trattenermi dal ridere in faccia a Robert, quando l'avevo visto indossare il suo. Certo, non dovevo essere più presentabile di lui.

Avevo il cuore che doveva star registrando i mille battiti al secondo. Avvertivo il suo costante tum-tum perfino nelle orecchie, in ogni centimetro di pelle, in ogni cellula, come mi era capitato soltanto con Robert. Mi tremavano le mani e le gambe e avevo la pelle d'oca, la salivazione azzerata e un aspetto orribile, neanche fossi lì per vedere mio figlio.

Mentre l'infermiera ci conduceva all'incubatrice giusta, afferrai la mano di Robert, stringendola più che potevo.

< Tutto bene? > Mi scrutò preoccupato. Lui era il ritratto della felicità e della gioia ed io, l'emulazione blanda di uno zombie. 

Annuii soltanto, riportando l'attenzione ai passi che stavamo compiendo.

< Va tutto bene. Ti adorerà. > Mi sorrise incoraggiante ed io credetti di stare per svenire, perché, era un'assurdità, ma non mi sentivo nel posto giusto, e non perché fossi in ospedale, o in una sala piena di incubatrici vuote, ma perché avrebbe dovuto esserci Kristen al mio posto, in fondo, era lei la vera madre e, anche se mi sarei occupata io del bambino, o almeno, ci avrei provato, mi sembrava di stare usurpando un diritto, di star infrangendo qualche legge che, me ne rendevo perfettamente conto, esisteva solo nella mia testa.

< Forse non dovrei vederlo... > Mi fermai, slegando la mano dalla sua.

< N-non vuoi? Hai... cambiato idea? > Si girò a guardarmi, perplesso.

< No! No, non ho cambiato idea, solo che... dovrebbe essere Kristen a farlo per prima. E' lei che l'ha dato al mondo, no? > Mi torturai le mani, arrossendo come una sciocca.

< Credi che vorrebbe farlo? Ha detto di non volersi occupare di lui, perché dovrebbe vederlo? > Mi chiese, improvvisamente stizzito, deluso.

< Non lo so... magari ha cambiato idea... > Ipotizzai.

< Ti prenderai cura tu di lui, Candice, non Kristen. Ci prenderemo cura di lui, insieme. Credi non sia abbastanza per avere il diritto di vederlo? > Mi si avvicinò, lo sguardo dolce e felice di poco prima.

Forse aveva ragione lui. Forse, Kristen non avrebbe voluto vederlo.

Mi sforzai di sorridergli, ma a lui parve bastare, perché mi afferrò nuovamente la mano, guidandomi verso l'infermiera che, nel frattempo, paziente e sorridente, si era fermata nei pressi dell'incubatrice giusta, attendendoci con aspettativa.

Quando abbassai lo sguardo, conscia che non avrei potuto cercare certo di rivedere me nei lineamenti del bambino, la prima cosa che notai fu la massa informe e piuttosto consistente di capelli biondi che sembravano avere vita propria.

Sorrisi, cercando di trattenere le lacrime.

Per essere un bambino nato con quattro settimane d'anticipo, non era affatto gracile come mi sarei aspettata.

Aveva gli occhi verdi della madre, e la prima cosa che fece, fu cominciare a piangere.

< Non riesco a credere che sia mio figlio... > Robert era stupito, meravigliato e sembrava non essersi neanche accorto che, nel frattempo, il bambino era stato sollevato nelle braccia dell'infermiera per essere cullato.

< Vuole tenerlo in braccio? > Gli domandò, ma lui parve non sentirla neanche, tanto che fui io a scuoterlo appena.

Osservò le braccia tese dell'infermiera e poi mi rivolse uno sguardo spaventato, a cui io risposi con un sorriso e un cenno.

L'infermiera depositò il fagottino azzurro tra le sue braccia con attenzione, spiegandogli che, se avesse voluto, avrebbe potuto tenerlo stretto a sé, come in un marsupio, affinché il bambino avvertisse il calore del suo corpo, stabilizzando la sua temperatura corporea. In questo modo, non avrebbe avuto bisogno dell'incubatrice.

Robert seguì le sue istruzioni con un certo impaccio e, quando si sentì abbastanza stabile e sicuro, si voltò verso di me, facendomi notare come il bambino si fosse immediatamente calmato, tra le sue braccia.

Sorrisi e mi avvicinai.

Avevo paura di fargli male, così mi azzardai soltanto a carezzargli una mano, così piccola e fragile che temevo si sarebbe spezzata a contatto con la mia.

< E' bellissimo, Robert. > Mormorai sincera.

< Dovremmo scegliere un nome. > Sussurrò in risposta.

Un'altra di quelle cose per cui avrei volentieri ceduto il posto a qualcun'altra. Come potevo scegliere il nome ad un bambino non mio? 

Forse avrei dovuto semplicemente smetterla di vederlo come un'entità a se stante, come qualcosa che non mi avrebbe mai riguardata, di cui non mi sarei addossata nessuna responsabilità. Non l'avevo portato in grembo per nove mesi, non l'avevo sentito scalciare e non avevo pianto al momento della prima ecografia, ma avrebbe fatto comunque parte della mia famiglia, della nostra famiglia, se tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Mi rilassai, riflettendo sul fatto che, in fondo, non poteva essere così difficile abituarsi all'idea. Dopotutto, avevo sempre saputo che Kristen era incinta e che, prima o poi, avrebbe partorito, anche se la mia mente aveva cercato di rimuovere questo dettaglio, permettendomi di non concentrarmici troppo.

< Proposte? > Gli chiesi, alzando lo sguardo su di lui.

Fece spallucce, ricambiando con un'occhiata pensierosa.

< Che ne dici di Bentley? > Era un nome che mi era sempre piaciuto, fin da quando una vecchia amica dei miei genitori era venuta a trovarci, portando con sé anche il piccolo fagottino che aveva partorito pochi mesi prima, presentandocelo come Bentley Smith. E poi, non era un nome molto comune.

Robert sembrò pensarci un po' su, indeciso. 

< E' un bel nome. > Dichiarò infine, carezzando gentilmente la testa del bambino.

< E poi, significare radura, il che si adatta perfettamente ai suoi occhi verdi. > Aggiunsi.

< Si adatta perfettamente anche a noi. > Mi sorrise. < Voglio dire, la radura è un luogo isolato, protetto, nascosto, bellissimo; forse è quello di cui abbiamo bisogno, un luogo dove poterci rifugiare di tanto in tanto e Bentley potrebbe esserlo. > Chiarì, notando la mia espressione perplessa.

< Allora, è deciso? Lo chiameremo Bentley? > Quasi saltellai, entusiasta.

< Ma hai almeno ascoltato una singola parola di quello che ho detto? > Sbuffò, a metà tra l'indignato e il divertito.

< Certo che sì! > Sbottai, offesa, incrociando le braccia al petto. < Bentley potrebbe essere il nostro rifugio, no? > Continuai, alzando gli occhi al cielo.

< Sì, beh... qualcosa del genere. Vuoi prenderlo in braccio? > Mi tese il bambino con attenzione, anche se io lo stavo praticamente perforando con il mio sguardo terrorizzato. Avevo avuto a che fare con diversi neonati a Londra, in particolar modo quando frequentavo il liceo e tentavo di guadagnarmi dei soldi che fossero solo miei, facendo la baby-sitter per alcuni amici dei miei genitori, senza contare che avevo badato a Joshua, praticamente da subito, non appena Selen era stata risucchiata dagli impegni dell'Accademia; eppure, in quel momento, mi sentivo così inesperta, così incapace, che tremai quando l'infermiera mi aiutò a sistemarlo nella stessa posizione in cui Robert l'aveva tenuto stretto a sé fino a quel momento. Avevo paura di romperlo, di fargli male, come quando avevo carezzato la sua mano.

Lanciai uno sguardo a Robert, che mi sorrise e mi accarezzò i capelli, avvicinandomisi per baciarmi una tempia.

< Sarai una madre perfetta, me lo sento. > Mi sussurrò in un orecchio.

< Lo credi davvero? > Alzai gli occhi su di lui, speranzosa.

Annuì.

< Ti ho osservata con Joshua... ho capito subito perché la madre avesse deciso di affidarlo a te. > Ricambiai il suo sorriso, osservando Bentley chiudere gli occhi e addormentarsi.

Come poteva, Kristen rinunciare a tutto questo?

 

Qualche giorno dopo, terminate le prove per il Saggio, sempre più imminente, mi ero diretta in ospedale. Avevo attraversato l'atrio e diviso l'ascensore con qualche infermiere, fino a ritrovarmi al quarto piano, come di consueto. Credevo di trovare Robert nella sala delle incubatrici, come l'avevo soprannominata io, Bentley in braccio come al solito, invece non era lì e Bentley giaceva sveglio nella sua incubatrice, solo. Rivolse gli occhi verso di me, quando mi vide ed io sorrisi, tamburellando le dita contro la superficie liscia della struttura.

Dal giorno del parto, non avevo più pensato a Kristen. Sapevo che Robert era andato a farle visita, perché me ne aveva parlato, ma io non avevo fatto altro che annuire e trovarmi d'accordo con lui, perché, in fondo, cosa avrebbe dovuto fare, ignorarla? L'avrebbero dimessa a breve, il tempo di ricevere i risultati delle nuove analisi. Avevo chiesto di lei a Robert, quando aveva fatto ritorno nella sua camera d'albergo, e lui aveva semplicemente scrollato le spalle, rispondendomi che si era ripresa bene e che non c'erano state ulteriori complicazioni, ma avevo notato dal suo sguardo che c'era qualcosa di più, qualcosa che non voleva dirmi. Non avevo insistito e presa dalle prove e dalle visite a Bentley in ospedale, mi ero dimenticata di lei.

Quella sera, però, dopo aver coccolato Bentley e ringraziato l'infermiera di turno, in cerca di Robert, ero approdata nei pressi della sua stanza. La porta era aperta, ma non avevo avuto il coraggio di entrare, temendo di non trovarvi Robert e di attirarmi, ancora una volta, le sue ire.

Tesi le orecchie, pronta a carpire il suono di qualsiasi voce presente.

< Sei sicuro che voglia farlo davvero? Insomma, si sta prendendo una grande responsabilità... > Era la voce di Kristen e sembrava... preoccupata?

< Possiamo provarci e se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, potrò sempre occuparmene io. > La voce di Robert era di poco più alta di un sussurro, tanto che faticai a comprendere tutte le parole.

< Il bambino com'è? Mi somiglia? > Stava sorridendo, riuscivo ad intuirlo dal modo con cui aveva formulato la domanda.

< Ha i tuoi occhi e il tuo naso, fortunatamente. > Risero entrambi.

Mi si strinse lo stomaco al pensiero che, in fondo, Bentley non sarebbe mai stato solo mio figlio. Che l'avesse frequentata o no, che fosse scomparsa dalla sua vita o meno, Kristen sarebbe comunque rimasta la sua madre biologica e io non potevo farci niente.

< Puoi vederlo, se vuoi. > Le propose Robert e avvertii distintamente il fruscio concitato delle lenzuola.

< No, no, non è il caso, mi pentirei della mia scelta, ne sono sicura. > La sua voce mi raggiunse ovattata.

< Rimarrà sempre tuo figlio, Kristen, che tu lo voglia o no. Hai fatto la tua scelta, come potresti cambiare idea? > Sapevo che era sbagliato origliare, così come sapevo che non avrei dovuto intromettermi, ma il corridoio che conduceva alle altre stanze era semi-vuoto e nessuno aveva fatto caso a me.

< Non lo so, ma non sono pronta. > Sospirò. < Lei gli vorrà bene, vero? > Continuò dopo qualche istante.

Mi sentii morire, come se la terra si stesse aprendo sotto i miei piedi. Non avrei saputo spiegarne il motivo, ma il cuore aveva preso a pulsare fin nelle orecchie e avevo l'affanno, come se avessi corso.

Ero così spaventata di quello che Kristen pensava di me? O era la risposta di Robert quella che temevo?

< Candice sarà una madre meravigliosa per lui, credimi. > La sua risposta non mi permise di rilassarmi.

< E la sua carriera di ballerina? > Perché all'improvviso era così curiosa di cosa avrei fatto?

< La seguiremo ovunque sceglierà di andare; in fondo, è suo diritto perseguire i suoi sogni e non sarò di certo io ad impedirglielo. > Doveva essersi alzato, perché avevo avvertito il grattare di una sedia.

< Grazie per i fiori e per la visita, non merito la tua gentilezza. > Mi sentivo una ladra a rimanere così, nascosta, ad origliare, neanche si fosse trattato di un'investigazione dell'FBI.

Raddrizzai le spalle e finsi naturalezza, pronta ad entrare in scena. Doveva essere la mia specialità, in fondo, calcare il palcoscenico.

Tempismo perfetto: non feci neanche in tempo a raggiungere la porta, per bussare educatamente, nonostante fosse aperta, che venni travolta da Robert, tanto che, se non fosse stato per la sua prontezza di riflessi, sarei sicuramente rovinata a terra.

< Candice! Dove scappi? > Sorrise, scompigliandosi i capelli, aggrottando le sopracciglia.

< Ti stavo cercando. Non eri da Bentley, così ho pensato di dare un'occhiata in giro... > Arrossii, colta in flagrante.

Kristen si schiarì la voce per richiamare l'attenzione ed entrambi ci voltammo verso di lei, curiosi.

< Robert, potresti lasciarci un minuto da sole? > Domandò con fare cortese.

Robert sembrò registrare con qualche secondo di ritardo la richiesta, tanto che rimase stupito a fissare Kristen per quelle che a me parvero ore. L'istante successivo, mi afferrò un polso, facendomi scontrare con il suo petto, abbracciandomi brevemente.

< Ti aspetto fuori. > Mormorò, accarezzandomi i capelli, prima di uscire dalla stanza e chiudere la porta, rivolgendo un ultimo sorriso a Kristen.

Rimasi ferma, immobile, come una statua di ghiaccio, fissando l'armadio bianco di fronte a me, ignorando lo sguardo della ragazza a pochi metri da me, che mi stava perforando la schiena.

< Siediti. > Mi sollecitò alla fine.

Quando mi voltai, individuando la sedia accanto a lei, la sua espressione era rilassata e sorridente, niente a che vedere con quella brusca e arrabbiata di diversi mesi prima.

Mi accomodai con sospetto, come se, da un momento all'altro, l'avrei vista lanciarmi addosso qualcosa e cominciare ad urlare come una pazza.

< Puoi stare tranquilla, non ho intenzione di lanciarti quel vaso di fiori. > Rise appena, seguendo il mio sguardo, puntato sul vaso di fiori che, presumibilmente, le aveva regalato Robert.

Mi sforzai di ridere anch'io, convincendomi che sarebbe stato assurdo, ma ne risultò soltanto uno sfogo nervoso, falso e deludente.

< Devo chiederti scusa per come ti ho trattata qualche mese fa, quando tu e Robert siete venuti a trovarmi. Ero arrabbiata, furiosa perché mi sarei ritrovata a crescere un bambino da sola, senza nessun aiuto. Tuttavia, non avevo il diritto di offenderti, di giudicarti senza conoscerti e soprattutto di mancarti di rispetto, perciò ti chiedo scusa. > Esordì, guardandomi negli occhi senza nessuna esitazione.

Annuii, incapace di dire altro.

< Robert mi ha parlato un po' di te in questi giorni e trovo che sia molto fortunato ad avere accanto un'alleata come te. Abbiamo cercato di costruire qualcosa insieme, tempo fa, credendo che fosse amore, ma lui non ha mai parlato di me come, invece, parla di te. > Distolse lo sguardo dal mio e sorrise appena, scuotendo la testa.

< Probabilmente, ero l'unica ad essere davvero innamorata. Cercavo di tenerlo legata a me con tutte le forze, disperatamente, come un fumatore che cerca le sue sigarette in un momento di stress e, devo essere sincera, ho pensato spesso che una gravidanza sarebbe stata ideale per il mio scopo. > La fissai sbalordita. Cos'era quella, una confessione? Voleva dirmi che, in realtà, aveva progettato di rimanere incinta, così come avevano ipotizzato i miei amici?

< La verità è che non ne ho avuto il coraggio. Robert non era innamorato di me e neanche un bambino avrebbe potuto risolvere la situazione. E' stato un caso. Anzi, credo di poter essere la testimonianza vivente che la pillola, una volta su mille, non fa il suo dovere. > Rise amara, mentre io mi rilassavo contro lo schienale della sedia.

Rimase qualche minuto in silenzio, giocherellando con il bordo del lenzuolo.

< Puoi promettermi una cosa? > Mi fissò, colma di speranza.

< Credo di sì. > Risposi.

< Promettimi che ti prenderai cura di lui, di lui e del bambino, qualsiasi cosa succeda tra di voi. Puoi farlo? > Scrutando i suoi occhi, verdi come quelli di Bentley, capii che era ancora innamorata di Robert, anche se tentava di nasconderlo e che, nonostante tutto, non ero gelosa di lei, o arrabbiata. La capivo, perché, sebbene in maniera diversa, eravamo simili. 

< Certo, te lo prometto. > Sorrisi, cercando di tranquillizzarla.

Mi alzai, pronta ad andare.

< Robert non ha voluto dirmi come avete deciso di chiamarlo. Posso sperare di essere più fortunata con te? > La sua voce mi sorprese a due passi dalla porta, sorridente come poco prima.

< Bentley. > Risposi. In fondo, lo meritava. Aveva messo da parte i suoi sentimenti per permettere a Robert di essere felice.

Annuì, salutandomi con la mano, come una bambina.

Robert si era seduto su una delle sedie di plastica che ci avevano visto protagonisti della nostra riconciliazione, appena qualche giorno prima, e quando alzò lo sguardo su di me, sorrisi, affrettando il passo per raggiungerlo.

< Tutto bene? > Mi domandò.

< Sì, tutto bene. > Confermai, lasciandomi stringere tra le sue braccia.

< Sei ancora sicura di volere che i tuoi genitori e i miei partecipino al tuo Saggio? > Mi chiese, rifiutandosi di lasciarmi andare.

< Perché non dovrei? > Quasi risi contro la sua camicia azzurra.

< Dovremmo almeno avvisarli che conosceranno il loro primo nipote... > Ponderò.

Prevedevo già una lunghissima chiacchierata con mia madre.

Sospirai rassegnata.

< Temo dovranno farci l'abitudine. > Risposi alla fine.

< Perché? Hai intenzione di cominciare a procreare nell'immediato? > Mi rivolse un'occhiata maliziosa alla quale, come di consueto, arrossii, tirandogli un pizzicotto sul braccio come rimprovero.

< Sei osceno! Siamo in un ospedale! > Borbottai, guardandomi intorno per assicurarmi che nessuno l'avesse sentito.

< Santarellina dei miei stivali... > Mi prese in giro, sollevandomi appena alla sua altezza per baciarmi con trasporto, prima di sospingermi verso l'ascensore.

< Sei scorretto, non vale. > Incrociai le braccia al petto, fintamente arrabbiata.

< In amore e in guerra, tutto è lecito. > Mi scompigliò i capelli, l'aria da saggio dipinta sul viso.

Ricambiai con una linguaccia, sistemandomi la treccia.

< A proposito, prima che me ne dimentichi, devo parlarti di una cosa... > Cominciò, afferrandomi una mano e facendo intrecciare le nostre dita.

< Cosa? > Domandai, curiosa.

< Ho fissato un appuntamento con un'agenzia per vedere una casa. > Lo disse così, semplicemente, come se mi avesse annunciato che avremmo pranzato al McDonald's, piuttosto che al Burger King.

Sgranai gli occhi, presa alla sprovvista.

< Una... c-casa? > Mi venne quasi da ridere per quanto assurda potesse essere la sua affermazione.

< Sì, una casa. Quando Bentley verrà dimesso dall'ospedale, non potremo certo continuare a vivere in una stanza d'albergo, no? Avrà bisogno di una sua stanza, delle sue cose e di certo non potremmo prenderci cura di lui, rimanendo separati. Pensavo che la soluzione migliore fosse vivere insieme. > Spiegò con calma.

Certo, non aveva tutti i torti e, se dovevo essere del tutto sincera, ci avevo pensato anch'io.

< E pensavi di trasferirti qui, a New York? Definitivamente? > Non che mi sembrasse così strano, ma credevo avrebbe quantomeno atteso il parere dei suoi genitori.

< Sì, perché, qualche problema? > Camminammo affiancati, in cerca di un taxi libero, fermandone uno che per poco non ci investì.

< No, non fraintendermi, solo che pensavo volessi parlarne con i tuoi, prima. > Chiarii.

< Io ho già deciso e non saranno le loro opinioni a farmi cambiare idea. > Mi sorrise, sicuro, circondandomi le spalle con un braccio, avvicinandomi a sé per baciarmi i capelli.

< D'accordo. > Accettai. < Ma non mi porterai a vedere una villa per ricconi, vero? > Non che non mi piacessero le mega-ville dei VIP, con giardino, piscina personale, sauna, ma non facevano per me, erano esageratamente esagerate e a me sarebbe bastato un appartamento normale.

< Non ti fidi di me, per caso? > Mi osservò, fintamente triste e deluso.

< No, per niente. > Lo presi in giro, accoccolandomi contro di lui.

< Beh, sono sicuro che ti piacerà. > Rispose.

Il taxi si fermò di fronte ad una delle zone residenziali più chic di New York, ed io alzai gli occhi al cielo, osservandolo truce.

< Che c'è? > Mi domandò con fare fintamente innocente. < Non è una villa. > Continuò.

< Sì, ma è una delle zone più esclusive di tutta la città. > Borbottai.

< Fidati di me, ti prego e non fare quella faccia. > Mi strinse a sé, ma io non ricambiai l'abbraccio, ancora indispettita.

Insomma, non che non mi facesse piacere il suo interessamento, o la sua volontà di avere a nostra disposizione un intero appartamento, magari già ben arredato e con una delle viste più invidiate dall'intero popolo newyorkese, ma non era il mio mondo, quello e non volevo dovermi far andare bene un appartamento solo perché la gente avrebbe così capito che ero la fidanzata di un attore famoso.

< D'accordo, d'accordo, proverò a fare uno sforzo. > Ribadii, seguendolo.

Ovviamente, l'atrio del palazzo, in stile coloniale, assomigliava moltissimo alla hall di un albergo a cinque stelle, con i lampadari di cristallo, tappeti ovunque e piante rigogliose e ben curate.

Il portiere salutò Robert con un cenno, mentre ci dirigevamo verso l'ascensore dorato.

Quinto piano e la situazione non era migliorata: arredi costosi, moquette perfetta e un filare di luci che percorrevano l'intero corridoio che conduceva ai vari appartamenti.

< Pronta? > Mi chiese con un sorriso prima di far scattare definitivamente la serratura.

Annuii, davvero curiosa.

Spalancai gli occhi quando la porta si aprì, rivelando un ingresso semplice, ma di buon gusto, dai colori pastello che mi diedero subito una sensazione di tranquillità e familiarità.

Più avanti, il salotto, caratterizzato dalla classica parete di vetro di cui dovevano essere dotati tutti gli appartamenti di quell'edificio. L'arredamento era accogliente e dai colori caldi, come se ci avesse già vissuto qualcuno ed era semplicemente perfetto.

Mi meravigliai della libreria già piena di libri e di alcune cornici che mi ritraevano con la mia famiglia, già disposte su alcune mensole.

< Cosa ci fanno le mie fotografie qui? > Aggrottai le sopracciglia, perplessa.

< Oh, quelle. Beh, doveva essere una sorpresa... mi sono permesso di trasferire tutte le tue cose qui, così potremmo venire ad abitarci già da subito... > Arrossì, come colto in flagrante, la mano che corse a spettinargli i capelli.

Rimasi imbambolata per qualche minuto, incredula.

< Oh. > Riuscii solo a pronunciare, tornando con lo sguardo alla fotografia.

< Sono stato troppo precipitoso? > Si avvicinò di qualche passo, le mani nelle tasche dei jeans, in evidente imbarazzo.

< No! No... cioè, sì, ma non mi dispiace, dico davvero... hai fatto bene, così, almeno non dovrò preoccuparmi di svuotare la mia stanza al residence... > Sorrisi, cercando di tranquillizzarlo.

Non era un dramma, anzi, aveva avuto più coraggio di me; io, probabilmente, conoscendomi, mi sarei riempita la testa di dubbi e domande prima di decidermi per quell'appartamento, o per qualsiasi altro.

< Mi dispiace aver scelto anche per te, solo che volevo che fosse una sorpresa, una sorta di regalo... > Mi raggiunse alle spalle, circondandomi la vita con le braccia, posando il mento sulla mia spalla.

< Regalo?!? Per cosa? > Nessuno mi aveva mai regalato una cosa così costosa come un appartamento.

< Per la tua decisione, per la tua forza di voler provare, nonostante tutto. > Spiegò.

< Non c'era bisogno di regalarmi un appartamento, Robert. Sarebbe bastato anche un ti amo. > Lo presi in giro, ridendo appena.

< Lo so, ma credevo che meritassi di più. > Mi baciò una guancia, facendomi arrossire, come al solito.

< Grazie, è bellissimo qui e... sì, beh, sono ancora un po' arrabbiata, ma potrei perdonarti... > Mi allontanai dalla sua stretta, sorridendo furba.

< Farò qualsiasi cosa, davvero. > Rispose immediatamente, afferrandomi le mani. < Anche perché non hai ancora visto il resto... > Continuò, guardandomi colpevole.

< Resto? Quale resto? > Aggrottai le sopracciglia, studiandolo.

Per tutta risposta, mi costrinse a seguirlo su per una rampa di scale di legno scuro, fino al piano superiore, lì dove dovevano essere sistemate le camere da letto e i servizi. In realtà, era diverso da come me l'ero immaginato: era tutto molto semplice, pochi quadri appesi alle pareti color indaco, un fine parquet come pavimento... nulla a che vedere con l'ingresso o il salotto. Era tutto meno eclatante e, per questo, decisamente nelle mie corde.

Robert mi condusse di fronte ad una porta verniciata di celeste, sulla quale campeggiavano lettere di legno, a formare il nome di Bentley. 

Sulle prime, mi chiesi se fosse davvero quello il resto di cui parlava; insomma, se aveva acquistato l'appartamento, era anche perché Bentley potesse avere i suoi spazi, perciò, un'intera cameretta tutta per lui mi sembrava il minimo.

Tuttavia, quello che vidi una volta abbassata la maniglia, non me lo sarei mai immaginata: il parquet chiaro era ricoperto di peluche, di tutte le dimensioni; c'era un cavallo a dondolo vicino alla finestra; una culla vicino all'immenso armadio blu, che mi chiesi quando Bentley avrebbe mai finito di riempirlo; un piccolo divanetto sul quale erano sparsi altri giocattoli, tra cui diversi sonagli e numerosi libri di fiabe; una sedia a dondolo di legno e, proprio accanto alla porta d'ingresso, un fasciatoio.

< Hai comprato tutte queste cose? > Volsi lo sguardo a destra e a manca, chiedendomi come avesse fatto, in soli tre giorni, ad occuparsi di tutto.

< In realtà, sono tutti regali: dei genitori di Kristen, in primis, dei miei amici, dei miei genitori... > Elencò, scompigliandosi i capelli.

< I tuoi genitori sanno già tutto? > Strabuzzai gli occhi. Avevo perso il conto di quante volte dovevo averlo fatto in quella mezz'ora.

< Sì, beh, ho dovuto confessare... > Si scusò con una smorfia.

All'appello mancavano soltanto mia madre e mio padre e, se pensavo che, di lì a qualche giorno, avrebbero preso un aereo insieme, per raggiungerci a New York in occasione del mio saggio, mi sentivo davvero nei guai. Clare avrebbe tirato fuori l'argomento e se mia madre non ne avesse avuto ancora notizia, non ve l'avrebbe mai perdonato.

< Potresti parlarci tu con mia madre... > Piagnucolai, raggiungendolo sulla soglia della camera, la voglia di sbattere la testa contro il muro, fino a dimenticare il mio nome.

< Potrei, ma dovresti farlo tu. > Sorrise, accarezzandomi i capelli. < Ti va di vedere la nostra camera? > Mi trascinò di fronte ad una stanza dalla porta già aperta.

Aveva il soffitto spiovente, come se fosse stato un attico, tanto che avevo paura di non riuscire ad entrarci, tanto sembrava piccola, vista da fuori. Era semplice ed essenziale: il letto era privo di struttura di sostegno e il materasso era stato semplicemente adagiato sul parquet, tanto che ne occupava metà stanza. Avrebbero potuto dormirci cinque persone, in un letto del genere. C'era una cabina armadio di media grandezza con tutti i miei vestiti già in ordine e un piccolo tavolino per la toeletta e il trucco. Era come se ogni stanza risalisse ad un'epoca differente.

< Cosa te ne pare? > Mi domandò, sprofondando sul materasso morbido.

< E' bellissima. > Mi liberai del cappotto, poggiandolo sulla sedia di fronte al tavolino e mi guardai intorno ancora un po', prima di raggiungerlo e di cadere in ginocchio accanto a lui, che si sollevò, aggrappandosi ai miei fianchi e mi baciò la bocca con urgenza, attirandomi a sé.

Mi aggrappai alle sue spalle, fino a che non mi ritrovai schiacciata dal suo peso, le labbra un centimetro dalle mie.

Le sue mani corsero a sistemarmi le ciocche di capelli ribelli sulla fronte e il suo indice a delineare il profilo del mio naso, delle labbra e del mento.

< Sei ancora arrabbiata con me? > Mi sorrise, solleticandomi una guancia con il respiro.

Annuii, artigliando una mano tra i suoi capelli morbidi e profumati.

< Come posso farti cambiare idea? > Mi scrutò attentamente negli occhi, come in cerca di un indizio, fin quando io non cominciai a spogliarlo del cappotto, slacciandone i bottoni.

< Vuoi inaugurare la casa? > Scherzò, annusandomi.

< In realtà, solo la camera da letto, ma se sei così pretenzioso... > Ammiccai, finendo per ridere anch'io.

< Le tradizioni vanno rispettate. > Mormorò, aiutandomi a disfarmi della felpa.

 

No one is as lucky as us

Were not at the end but oh we already won

No one is as lucky as us.

Where The Lines Overlap-Paramore

   
 
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