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Autore: Chambertin    05/04/2013    5 recensioni
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«Desmond, per piacere, almeno ascolta quello che abbiamo da dirti!»
«Ho detto no.» il ragazzo stava già per chiudere la porta anche se gli altri due cercavano ancora di parlare.
«Ti capiamo, ma-»
«Ecco, allora se mi capite giratevi e tornatevene da dove siete venuti!»
Il ragazzo inglese prese fuori dalla tasca una chiavetta USB bianca, Desmond aggrottò la fronte non capendo – o non volendo capire – cosa fosse, poi con un movimento di dita, l’altro, fece girare l’oggetto sul quale spiccava un simbolo triangolare interamente nero e il nome di quella società che sarebbe dovuta sparire dalla faccia della terra, per il bene di tutti.

[Questa fic fa parte della serie Assassin's Creed Genderswap © No al PLAGIO]
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Desmond Miles, Nuovo personaggio, Rebecca Crane, Shaun Hastings
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: Genderswap'
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ricordo 0.2 serenità tanto agognata.

 
Come vorrebbe dirgli quello che provava. Ma come poteva farlo?
La luce affievolita della luna filtrava attraverso la finestra aperta e illuminava i profili dei due. Lei, seduta, col cuscino dietro la schiena e lui dormiva bellamente, con quel gatto obeso che avevano trovato un anno prima in Brasile.
Le lenzuola si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro, mentre lei lo guardava, incantata dalla sua bellezza, dalla sua dolcezza. E ogni notte si chiedeva se dopo tutto, non fosse stato il caso di ufficializzare il loro amore, ma sapeva fin troppo bene che a Desmond non piacevano quei discorsi, diceva che “fantasticava troppo”, ma l’amava più di ogni altra cosa, e allora di cos’aveva paura?
Sospirò nella notte, e sembrò fare più rumore di quanto si potesse aspettare, perché si portò una mano davanti alla bocca, spalancando gli occhi temendo che quello avesse potuto svegliare uno dei due e quando questo non accadde il cuore cominciò a rallentare il suo passo.
Poco dopo arrivò ad una conclusione semplice, ma efficace, alle le sue domande: Desmond era un uomo.
Sconsolata si rese conto che arrivava sempre a quella conclusione, e non capiva se era un bene o un male, perché sembrava più un tentativo di autoconvinzione piuttosto che una motivazione valida.
Si accoccolò fra le braccia del ragazzo, che rantolò qualcosa, mentre il gatto si spostò a fatica verso i piedi del letto, per poi sdraiarsi a pancia in su.
Prima di addormentarsi, si ricordò di aver dimenticato, per la terza notte consecutiva, di prendere le pillole per dormire, e questo non era certamente un bene.
 
 
Erano le undici passate, e se Desmond continuava a russare a bocca aperta insieme a Fatkin – nome uscito dall’unione di Fatty Pumpkin – Elena invece armeggiava con pentole e mestoli in cucina per preparare quel delizioso pranzo della Domenica che le veniva chiesto da mesi ormai.
Desmond le diceva «Tesoro, hai origini italiane, perché una Domenica di queste non mi prepari qualcosa di tipico?» e lei puntualmente rispondeva con un «Lo farò» e un sorriso dolcissimo. Ma aveva rimandato fin troppo quel giorno.
Con una mano cambiava le pagine sull’I-Pad della ricetta del Gateau di patate mentre con l’altra reggeva la teglia che avrebbe messo nel forno.
Il profumo del pasticcio di maccheroni – chissà perché lo chiamavano così, poi – saliva fino al piano di sopra, ma a parte il gatto, Desmond sembrava non voler scendere.
Elena appoggiò lo strofinaccio con il quale si era asciugata le mani sul tavolo e si tolse le ciabatte prima di salire al piano di sopra. Un’abitudine che aveva da quando era piccola, perché nella sua vecchia casa le scale erano in legno e suo padre la rimproverava sempre dicendole «Sai quanto costano? Vedi di portare rispetto oltre alle persone anche per gli oggetti!» uomo burbero, certo, ma con tanto amore da dare.
Era così leggera che quando camminava sembrava non sfiorare il pavimento e i capelli biondi legati alti le ricadevano in morbide onde dispettose dietro le orecchie.
L’unica luce che proveniva dall’esterno, si intrufolava nella stanza dalle fessure delle imposte blu scuro, creando sul muro opposto strisce chiare alternate da altre scure; alcune di queste andavano ad illuminare anche la figura che dormiva sotto il lenzuolo bianco, delineandone un profilo tonico e ben curato.
Elena si avvicinò al letto, salendoci sopra con le ginocchia.
“Fortuna che non scricchiola…” pensò sorridendo.
Cominciò ad accarezzargli i capelli, delicatamente, passando da dietro l’orecchio fino alla nuca, rubandogli un sorriso e un leggero rantolo.
«Amore, ti ho fatto una sorpresa…» gli sussurrò lei, quasi aveva paura di confonderlo con un tono troppo alto.
Desmond si girò verso di lei, stiracchiandosi neanche fosse stato un bambino, guardandola con un occhio solo, perché la luce gli arrivava addosso.
«Davvero? Sono curioso di scoprire cos’è allora!» lui si avvicinò ancora di più per baciarla, dicendole un «Ti amo» a fior di labbra.
Come dar torto ai loro amici? Dicevano che erano la coppia perfetta, così dolci l’un l’altro, così innamorati! Ogni volta che ce n’era la possibilità Desmond la portava fuori a cena, o Elena tornava a casa prima da lavoro per coccolarlo un po’.
«Wow! L’hai fatto tutto da sola?» esclamò Desmond alla vista del pranzo sul tavolo. Tovaglia bianca, tovagliolini di seta - «attento a non sporcarli troppo, altrimenti l’unto non va via» aveva detto Elena – bicchieri da vino e da acqua e posate di ogni forma e dimensione. Desmond si chiedeva ancora dove le avesse trovate tutte quelle cose!
Non si sedettero uno di fronte all’altro come solitamente si fa ad un pranzo romantico, anzi si misero vicini, per potersi stuzzicare a vicenda con quei piccoli dispetti che si fanno di solito i fidanzati.
«Elena, è stupendo, è delizioso! Davvero! Sublime!» il prosciutto, l’uovo, il pomodoro, la mozzarella, e il loro dolce incontro creava un vortice di sapore incontenibile.
Elena cominciò a ridere, prima trattenuta, poi sempre più forte, ma sempre con quella delicatezza che la caratterizzava così bene.
Il resto della giornata lo passarono così, a ridere, a scherzare, guardarono un film e fecero un giro al mercato.
Niente di più, niente di meno.
 
«Tesoro, posso farti una domanda?» chiese Elena cercando la chiave giusta nel mazzo, alla luce del lampioncino sopra la porta.
«Dimmi tutto» rispose lui mentre le teneva sette sporte di shopping – e meno male che era moderato! – cercando di rimanere in equilibrio.
Lei sembrava indecisa se parlare o no, quasi aveva timore. Ma in fondo sapeva già la risposta, come sempre.
«Sai, mi chiedevo se un giorno, potrei incontrare i tuoi genitori…» Elena non lo guardava, lo sentì appoggiare i vestiti sul tavolo, e poi un rumore di pelle stropicciata, segnale che interpretò come un “deve essersi seduto sul divano.”
Infatti era lì, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e una mano sulla fronte, gli occhi chiusi, pensieroso. Scuoteva la testa, poi alzò lo sguardo su di lei, che ancora rimaneva di spalle, e si massacrava il lembo della camicetta rosa pesca, per tensione che si era venuta a creare.
«Elena…»
«Io… sì, lo so… tutto a suo tempo, è che ci tenevo a chiedertelo...»
«…ancora una volta, direi» finì la frase l’altro, grattandosi il mento leggermente barbuto, fino ad arrivare alla cicatrice sul labbro destro.
Rimasero in silenzio, gli unici suoni provenivano dal traffico. Dopo una giornata passata così bene, perché, si chiedeva Desmond, perché doveva rovinare tutto con una semplice domanda del cazzo?
«Perché ci tieni così tanto?» chiese infine, meravigliandosi da solo per quanto risultasse più pacato, di quanto si aspettasse.
«Mah, stiamo insieme da tre anni, tu hai conosciuto i miei, sei riuscito ad integrarti alla perfezione della mia cerchia di amici… E riflettendoci io non conosco né i tuoi parenti, né tanto meno i tuoi amici… mi chiedevo se ti vergognassi di me…» le guance lentigginose si colorirono di rosso, e gli occhi azzurri guizzavano da un punto imprecisato sul pavimento a quelli di Desmond, e di nuovo quando si incrociavano tornava a fissare le piastrelle chiare.
«Mi dispiace…»
Chi lo disse? Lo dissero entrambi, contemporaneamente.
Desmond si alzò dal divano e le andò incontro, abbracciandola, stringendola a sé, tenendola a sé, quasi avesse paura di vederla svanire da un momento all’altro.
«Lo so che ci tieni, ma ora non posso farteli conoscere…» gli accarezzò il viso diafano, asciugandole una lacrima col pollice «Ehi… per inciso, io non mi vergogno affatto di te, voglio che questo sia ben chiaro. Ti amo, sei una persona fantastica, e non potevo trovare di meglio, Elena, non dimenticarlo mai.» cominciò ad accarezzarle i capelli, facendo tanti piccoli boccoli sulle dita; si poggiò con la fronte sulla sua e le sorrise radioso, come per volerne rubare uno anche a lei – cosa che effettivamente accadde – poi si baciarono.
Ci si chiede ancora come fanno gli innamorati a cambiare umore così velocemente, da felici a depressi, ad arrabbiati col mondo, per tornare a sorridersi come prima, se non di più. Forse avevano ragione quelli che dicevano che le discussioni fortificano un rapporto. Forse non c’è una spiegazione logica, solo sono innamorati.
«Non dimenticarti le pillole stasera»

  ~~

Aaah! Che tortura! Che stanchezza, credo che scrivere questi prii capitoli sarà un disastro totale, per la miseria! Non riesco a concentrarmi e
scrivere un capitolo in un giorno, e se anche a scuola mi vengono idee e le appunto su un quaderno poi quando le rileggo a casa mi fanno cagare! D:
Beh... Anyway, mi piace vedere un Desmond che ha superato - ma ne siamo sicuri? - i suoi traumi, e mi piace tantissimo vederlo felice, finalmente :)

Salute e pace e che la Luce Divina ci guidi sempre!

AH! Elena non si legge con la pronuncia italiana ma si legge ELÉNA! :D 

~

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