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Autore: _marty    05/04/2013    7 recensioni
Charlotte si porta dietro qualche cicatrice, tiene un paio di sogni tra le mani e prova ad amare, forse più forte degli altri, forse più intensamente. E' una di quelle ragazze che puoi trovare ovunque, per strada ad aspettare un treno, seduta in un bar a bere un caffè o forse in una panchina troppo intenta a leggere, troppo presa da ciò che sta facendo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bittersweet memories'
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Capitolo 6.


 

Charlotte non era sempre stata così, diffidente, sulle sue, così che se la tirava. Quando era piccola aveva visto tanti film in tv, mandavano spesso in onda quello con Linsday Lohan bambina, che veniva spedita in campeggio e lì scopriva di avere una gemella, o quello con le sorelle Olsen che ne combinavano di tutti i colori. Aveva sempre guardato quei film con gli occhi lucidi, con tanta emozione ma la cosa che puntualmente le interessava sapere era se alla fine del film le due bambine oltre ad essere sorelle rimanevano amiche, amiche per sempre. Charlotte pensava che l’amicizia fosse al di sopra di un rapporto di sangue, si poteva essere imparentati,non per forza amici, ma se lo si era, niente poteva mettersi in mezzo; sostanzialmente, credeva nell’amicizia e al detto chi trova un amico, trova un tesoro. Il problema è che questa concezione della vita l’aveva portata a fidarsi sempre di chi aveva intorno, a credere che le parole delle persone fossero sincere e che chiunque potesse essere suo amico, non riusciva a capire che c’erano diversi livelli di amicizia e che non sempre ciò che dai, ritorna indietro. Aveva trovato tanti amici ma nessuno di loro era un tesoro, nessuno di loro era così prezioso come quei film americani facevano credere; erano tutti pronti a farti del male, a ridere se ti succedeva qualcosa di male, a spingere un coltello nella ferita piuttosto che toglierlo; tutto ciò non era iniziato durante la sua adolescenza, al liceo, quando le ragazze sono cattive per cognizione di causa, era iniziato prima, alle scuole elementari.



22 Novembre. Charlotte, otto anni.


Si trovava lì ormai da mezz’ora, la ricreazione era già finita ed era sicura che  nessuno sarebbe venuto a salvarla. Charlotte da quando aveva quattro anni soffriva di attacchi di panico, all’inizio erano rari ma poi erano andati via via intensificandosi. Veniva colta da un misto di tensione e paura che si trasformava in terrore, puro terrore; nessuno era riuscito a capire il perché, il medico aveva solo detto qualcosa, in un linguaggio fin troppo specifico e le aveva detto di comprare un inalatore. Lo portava sempre nella tasca destra del grembiule che era solita mettere a scuola e lo usava quando ne aveva un bisogno impellente. Ormai riusciva a capire quando un attacco si stava presentando e proprio in quell’esatto momento, stava iniziando: stava respirando a fatica. Il dottore, in quella occasione, le aveva detto anche qualcos’altro.
Charlotte, se hai una delle crisi e non riuscissi a prendere l’inalatore fai dei piccoli respiri, uno dopo l’altro e riuscirai a respirare, almeno fino ad arrivare all’inalatore.
L’attacco era in agguato, l’ansia la strava travolgendo, la tensione riusciva a percepirla dentro le sue vene ma non sarebbe riuscita a raggiungere l’inalatore. Uno dei suoi compagni di classe, non aveva visto chi nello specifico, aveva preso l’oggetto metallico e lo aveva gettato nel wc. Charlotte aveva cercato di prenderlo sporcandosi di quell’acqua putrida ma proprio quando stava per afferrarlo, avevano tirato la catenella e l’inalatore insieme al resto era stato risucchiato dal condotto del water.
La bambina aveva iniziato a spingere tutti per uscire da lì, per uscire da quel bagno grande pochi metri quadrati, per cercare di respirare qualcosa di diverso rispetto all’odore delle sue mani luride, la cui puzza si espandeva alle  sue narici e si agganciava ai suoi polmoni. Non riuscì a fare niente, le forze insieme al suo istinto di sopravvivenza la stavano a poco a poco abbandonando, lasciandola lì, aldilà di quell’anta di legno, chiusa dal peso degli altri bambini. L’unica cosa che riusciva a chiedere era un perché, che non faceva altro che non avere nessuna risposta.
 La campanella che segnava l’inizio della nuova ora stava suonando ma il compito di chiuderla definitivamente lì spettava a una sola persona, l’ultima al mondo che avrebbe potuto immaginare: Lucy.
“Scusami Charlotte, ma se non faccio così mi escluderanno dal gruppo.”
Le aveva detto quella frase prima di mettere una sedia dietro alla serratura della porta, le stava spezzando il cuore, dilaniandolo in ogni modo possibile e Charlotte aveva pensato che era la cosa più ingiusta da fare a lei; ma che forse c’era un motivo per quell’azione, che forse aveva fatto qualcosa per meritarselo. Lucy era la sua migliore amica, la sua compagna di banco, fino al pomeriggio prima avevano preso un gelato insieme dopo scuola e ora tutto non aveva senso. Si soffermò a pensare a come poteva uscire da lì, l’ora successiva era quella di ginnastica ed era così dispersiva che spesso lei era rimasta seduta in una panchina e nessuno se ne era accorto. Il fiatò le mancò, si sentì soffocare e quella tensione, quell’ansia di prima, stava cominciando a diventare terrore.


Piccoli respiri. Piccoli respiri.


"Ce la puoi fare, Charlotte." Si ripeteva quelle frasi fatte ormai da tanto tempo, troppo tempo, fece in modo che la sua schiena aderisse perfettamente alle mattonelle fredde del bagno e si lasciò scivolare.


Piccoli respiri. Piccoli respiri. Charlotte ce la puoi fare.


In un mese era già la terza volta ma a sua madre non aveva detto niente. Fino a ora era stata in silenzio perché non voleva perdere Lucy, era la prima volta che si univa a loro. Aveva preferito loro a lei, aveva preferito non essere presa in giro, non essere presa di mira, aveva preferito schierarsi contro di lei piuttosto che contro di loro. Charlotte non era stata scelta, lei non valeva la pena di essere scelta, di essere aiutata. Lei non valeva niente perché se la sua migliore amica non l’aveva scelta, nessuno l’avrebbe mai scelta.


Piccoli respiri. Piccoli respiri. Charlotte ce la puoi fare. Solo se vuoi.


Ma voleva? Era stanca.
Non riusciva più a sostenere quell’inferno e aveva solo otto anni, avrebbe continuato a vivere la sua vita legata ad un aggeggio infernale ed era sicura che avrebbe incontrato sempre bambini così. Guardava un punto fisso di fronte a lei ormai da troppo tempo, la testa le era diventa pesante, la vista a poco a poco si stava annebbiando. Non era la prima volta che provava quella sensazione. Sarebbe svenuta da un momento all’altro, lo sapeva, scivolò alla sua destra, vicino alla porta.


Per lei non c’era modo di salvarsi, non c’era modo di essere salvata.


Sentì dei passi andare nella sua direzione, sempre più veloci, sempre più vicini, sentì togliere la sedia, aprire la porta e venirle vicino. Stava sognando ne era sicura, sentiva degli strattoni, qualcuno che chiamava il suo nome. Charlotte mi senti? Qualcuno le stava dando dei colpetti in faccia con la mano ma lei non sentiva niente. Chiamate un ambulanza. Aprì gli occhi per un attimo, guardò distrattamente la figura che aveva davanti ma non ci riusciva, non riusciva a rimanere lucida. Esitò un attimo e poi crollò a terra, del tutto.


Forse era stata salvata.


Aprì gli occhi all’ospedale, sua madre e suo padre erano lì. Sorrise appena perché vide le loro facce preoccupate, sua madre le venne vicino.
“Sappiamo tutto, domani cambierai scuola.”
“Scusa Charlotte, scusami. Scusaci.”
“Perché? Perché a me?”
Sua madre iniziò a piangere, le tenne la testa tra le mani e la guardò dritta negli occhi.
“Tu sei speciale, più degli altri” disse singhiozzando – “E loro non si sforzano di capire, non capiranno mai.”
La strinse forte a se ma Charlotte continuava a non capire, i supereroi venivano venerati perché erano speciali, perché avevano quella cosa in più, se lei era così speciale, perché non la avrebbero mai capita? Perché lei no?



Forse, col tempo, si sarebbe salvata.








spazio autrice
Quando l'ho scritto l'ho trovato molto pesante come capitolo e ho deciso di renderlo conciso ma breve, cercando di pesare le parole quanto più possibile per renderlo piacevole, anche se di piacevole c'è ben poco.  Questo insieme ad altri due o tre capitoli riguarda il passato della nostra protagonista e vi darà modo di capirla meglio, già con questo si aprono tanti scenari, scrivendo il capitolo ho avuto sempre in mente questa frase, su tumblr si vedono set di gif a ripetizione ma ce la vedo molto con Charlotte e quello che ha passato.
The loneliest people can be the kindest. The saddest people sometimes smile the brightest. The most damaged people are filled with wisdom. All because they do not wish the pain they've endured on another soul. 
Solitamente le persone che portano tante cose dentro sono come Charlotte ma vedremo tra un paio di capitoli, nel prossimo flashback, cosa è successo dopo l'ospedale e dopo questo evento così traumatico ma soprattutto come la bambina è riuscita a superare questa situazione. 
Non vedevo l'ora di farvi sapere di più su Charlotte e la sua infanzia e spero che adesso via siano molte cose più chiare. Spero davvero che il capitolo sia di vostro gradimento, non mi rimane che ringraziarvi per la lettura, per le persone che seguono la storia e soprattutto le ragazze che sono qui a commentare ogni singolo capitolo. Non avete la minima idea di quanto io sia grata a voi che spendete due parole per dire cosa pensate della storia. Vi ricordo come sempre che ho un gruppo in cui vado pubblicando aggiornamenti, foto e copertine varie, potete benissimo richiedere l'iscrizione e io sarò felice di accettarvi. Grazie ancora   ♥ 


Ringrazio _eterea_  che sta betando la storia. 

   
 
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