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Autore: Hikari93    06/04/2013    1 recensioni
Jonouchi si sentiva bene.
Aveva fatto un bellissimo sogno, legato a un cosciotto succulento di carne di Drago Bianco Occhi Blu. Solo questo gli faceva presupporre che avrebbe vissuto una piacevolissima giornata, piena di avvenimenti piacevoli, che lui avrebbe accolto piacevolmente.
Un estremo piacere, per la sua persona.
Se non che.
«Ehi, e tu chi saresti?»
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Katsuya Jonouchi presenta:
La (s)tranquillità di una giornata (s)monotona

 

 
 





 

Jonouchi si sentiva bene.
Aveva fatto un bellissimo sogno, legato a un cosciotto succulento di carne di Drago Bianco Occhi Blu. Solo questo gli faceva presupporre che avrebbe vissuto una piacevolissima giornata, piena di avvenimenti piacevoli, che lui avrebbe accolto piacevolmente.
Un estremo piacere, per la sua persona.
 
Se non che.
 
«Ehi, e tu chi saresti?»
Il barbecue allestito proprio davanti alla KaibaCorp sparì d’improvviso, come che fosse avvolto dallo stesso grigiore del fumo proveniente dall’animale che stava cuocendo, e Jonouchi balzò a sedere, sbandato.
. Tecnicamente era sveglio anche prima che la voce – riconosciuta in un secondo momento, dopo aver rimpianto il delizioso profumino della carne del sogno, essersi strofinato gli occhi, aver sbadigliato, essersi grattato la nuca, aver sbadigliato ancora e aver adocchiato la figura di Honda –  lo chiamasse, tuttavia si era concesso la libertà di sognare a occhi aperti – anche se erano chiusi… insomma, in senso figurato –, in modo da riproporre la gustosa sensazione di vittoria contro un Seto che implorava – ma sempre con dignità, eh! – pietà affinché risparmiassero almeno un pezzettino del suo cucciolotto. E, coinvolto fin nel profondo dall’evento, Jonouchi si era allontanato dalla realtà, dunque, era saltato su come una molla.
«Ascoltami bene» riprese Honda, che sembrava persino più fuori del solito, «perché ti sei intrufolato in casa mia? Vai via di tua spontanea volontà o chiamo la polizia?»
«Ci siamo fatti un bicchierino di troppo, ieri?» domandò – notando con profondo disgusto quanto la sua accusa assomigliasse a una possibile insinuazione mossa dall’egregio Kaiba. «Sei tu che mi hai invitato a rimanere» gli fece notare.
«Lo ricorderei, se l’avessi fatto. Ma non lo ricordo.»
E quindi non l’ho fatto, concluse mentalmente Jonouchi.
«Dai, smettila di fare l’idiota» aggiunse, tirandogli contro il cuscino, con poca forza – erano pur sempre solo le undici, per la miseria! E, piuttosto, perché Honda non l’aveva lasciato a poltrire fino alle tre di pomeriggio?
Glielo chiese a voce alta.
«Dunque non solo hai dormito qui, in casa mia, ti permetti anche di contestare!? Fuori di qui.»
«Amico, prova a sederti» gli propose, or ora più preoccupato dell’espressione innaturalmente seria del suo interlocutore. «O in alternativa… dov’è che c’hai l’elenco telefonico? Chiamo…»
«Dovresti uscire.»
Il viso dipinto di scetticismo di Jonouchi non fu abbastanza per convincere Honda a ritrattare il suo strano punto di vista di quella mattina.
Ha dormito male, per caso?
Ipotizzò – giusto per darsi una spiegazione logica – che Honda fosse ancora sonnambulo, e i sonnambuli non andavano disturbati mentre sonnambulavano, si disse.
«Posso vestirmi, almeno?»
«Prendi la tua roba e sparisci.»
«Ma…»
«Fuori!»
Chiaro.
 
 
 
 
 
Forse la giornata non era così piacevole come si era piacevolmente aspettato, tuttavia quello era solo l’inizio, e quando Honda avrebbe smesso di vagare nel suo mondo di sogni e si fosse destato, allora sarebbe stato come ricominciare daccapo.
Certo che era stato difficoltoso muoversi per Domino senza provocare risate e sorrisetti, dato che indossava il pigiama, vagava come un disperato e la città, ciliegina sulla torta, pullulava di tizi – ma nessuno aveva da fare alle undici di mattina di Domenica? A quanto pareva no.
Raggiungere il primo cespuglio sufficientemente cespuglioso fu la Salvezza, e Jonouchi riuscì a cambiarsi alla meno peggio – la casa di Yugi distava troppo per arrivarci in quelle condizioni, e non si sarebbe mai presentato da Seto col pigiama; giusto per ricevere qualche altro sfottò.
Tuttavia, il caso di Honda era particolarmente grave – cioè! Avrebbe potuto ammazzarsi persino col coltello di plastica, tanto che stava male! –, per cui telefonare a…
«Yugi! Ehi, Yugi!»
Visto? Visto?
L’aveva detto lui che quella giornata gli voleva bene e si svolgeva dal punto giusto! Guarda caso, la persona di cui aveva un vitale bisogno era Yugi, e chi aveva trovato lui, che portava le buste della spesa? Yugi, ovvio.
Il ragazzino si girò intorno, con aria spaesata, come se non avesse riconosciuto la voce di chi l’aveva chiamato. E come si faceva? Era impossibile dimenticare la sua voce, pensò, orgoglioso.
«Meno male chi ti ho trovato!» Jonouchi, dando poca importanza alla sorpresa letta sul volto dell’amico, attraversò di filato la strada e gli si parò davanti. «Ascolta. Partendo dal presupposto che sei tu quello che ha sempre la soluzione a tutto, volevo dirti ch-»
«Scusami, ci conosciamo?»
Eh?
Non aveva neanche potuto esporgli il problema che già se ne era presentato un altro! Adesso aveva ben due problemi.
«Come se ci conosciamo? Certo che ci conosciamo!»
Yugi parve rifletterci su; lo squadrò. «Non mi sembri Taro, il mio amico delle Hawaii» commentò.
«Hai un amico alle Hawaii? No, va bene, me lo dirai un’altra volta. E comunque non sono Taro o chi diavolo è, sono Jonouchi!» esclamò.
Si afferrò persino il mento, girando e rigirando il volto per fargli capire, ma nulla, buio; gli occhioni di Yugi brillavano per la meraviglia. Poi gli sorrise, e Jonouchi quasi sperò.
«Piacere, Jonouchi Katsuya, io sono Yugi Muto.»
 
 
 
 
 
Alla fine era andato via, quasi spaventato. Che ci fosse una maledizione, sotto? Ormai cominciava seriamente a temerlo.
Lanciò un’occhiata spontanea al museo, e rabbrividì, sudore freddo gli inumidiva la fronte.
Questi sono i segni, Jonouchi. Ascoltati, così capirai. E rassegnati, soprattutto. Sei maledetto.
No, forse c’era un modo per verificare la situazione e trarne le conclusioni: telefonare a Shizuka.
Yugi e Honda erano suoi amici fidati, tuttavia – magari per distrazione loro, chi poteva saperlo; non per forza doveva trattarsi di una maledizione, provò a rincuorarsi – l’unica che non avrebbe mai potuto abbandonarlo o dimenticarlo era sua sorella.
Sorridente, pigiò la cornetta verde e si mise in attesa.
Quando lei gli rispose, non la fece nemmeno parlare, che la interruppe: «Shikuza? Sono Jonouchi.»
«Chi?»
Mai. MAI la voce di sua sorella gli era parsa così… così sgradevolmente brutta e orribile da sentire.
Si fece coraggio, respirò.
Meglio riprovare.
«Jonouchi, tuo fratello» spiegò meglio.
«Signore, mi scusi, probabilmente ha sbagliato numero. Mio fratello è in casa.»
«COSA?»
Ma cosa… cosa diamine stava succedendo? Si era sdoppiato, forse?
O, diamine… non pensava che le mummie potessero essere così meschine e soprattutto potenti, talmente tanto da ritoccare persino la mente della sua amata sorellina!
E adesso?
«Signore? E’ ancora in linea? Chi cerca? Posso aiutarla?»
Premette il rosso, dando fine alla telefonata.
Accasciatosi su se stesso, si rese conto che aveva solamente un’ultimissima opzione. Se anche quella falliva, allora era maledetto.
Se la sentiva già nelle ossa quell’aura oscura… magari cancellare la sua presenza dai ricordi di chi gli voleva bene era il primo atto, così che, rimasto solo e preso dallo sconforto, avrebbe potuto agire in qualunque modo. Sperava anche che fosse l’ultimo, di atto, in sincerità, però…
Basta. Calmiamoci.  
 
 
 
 
 
La sua intuizione si basava su un semplice ragionamento, uno di quelli così logici che più di così non si può: cancellare la sua esistenza dalla mente di chi lo riteneva disturbante e rompiscatole non era una maledizione. Anzi. Piuttosto, rassomigliava a una benedizione.
Dunque, un certo tizio non avrebbe dovuto essersi dimenticato di lui, in teoria.
Mamma e com’era genialeH!
Il castello Kaiba gli apparve davanti in un battibaleno – in realtà il castello era ovunque, lo si vedeva anche dall’altra parte del mondo, secondo Jonouchi – in tutta la sua maestosa grandiosità.
«La prova del nove» mormorò. «Forse è per questo che stanotte ho sognato di mangiare Drago Bianco grigliato» osservò a voce alta.
Le mummie avranno voluto aiutarmi?
E mentre questo quesito lo accompagnava, suonò al megacitofono due volte di fila – come faceva sempre sia per fargli uno stupido dispetto che per annunciarsi in un modo tutto suo – e il faccino amabile di Seto Kaiba apparve.
«Niente venditori ambulanti, qui» disse Seto, rivolgendo gli occhi al pigiama che Jonouchi aveva ancora tra le mani. Solo che Jonouchi non capiva se Seto lo avesse riconosciuto o meno: il suo tono sembrava così… quotidiano, kaibesco. Finché lo stesso Kaiba non aggiunse, monotono: «Quindi, mi pare chiaro che lei è pregato di sparire.»
Jonouchi spalancò gli occhi, avvilito: non c’erano più speranze, nemmeno mezza! Seto gli si era rivolto in terza persona, era tutto finito! E l’aveva pregato.
L’apocalisse!
«Ma… ma non ti ricordi di me?» tentò comunque, supplice.
Gli occhi del Presidente si assottigliarono – come sempre, fin qui nulla di strano – e il suo viso assunse un’espressione da superiore – normalissimamente.
«Mai visto» replicò, poi spense.
Era la fine, si ripeté.
 
 
 
 
Aveva provato a tornarsene a casa – tanto per posare il pigiama, tanto quanto per riposare – ma le chiavi non erano entrate nella toppa. Ci aveva provato più volte, ma niente. Alla fine, se n’era uscito persino un tizio, un vecchietto che non aveva mai visto, che aveva ben pensato di ammaccargli la testa a colpi di bastonate soltanto perché voleva riappropriarsi di casa sua. Aveva tentato di spiegargli che quell’abitazione gli apparteneva, però i risultati non c’era stati.
Le mummie si stavano portando via tutto.
 
 
 
 
 
Si era poggiato contro la panchina.
Non aveva soldi, a casa non c’era potuto tornare, era sera e  soprattutto stava morendo di fame! Voleva il cosciotto di Drago Bianco che aveva sognato. Anzi, andava bene qualsiasi cosa. Chi l’aveva detto che si poteva rimanere in vita per alcuni giorni senza mangiare? L’ultima volta che aveva assaporato la succulentosità delle cibarie era stato a casa di Honda, per lo spuntino delle tre di notte.
Ed erano le nove.
Tra poco sarebbe… sarebbe morto.
 
Se non che. Parte seconda.
 
«Al mio tre.»
Una voce alle sue spalle, che non sentì – si stava disperando, le orecchie erano già troppo occupate a sentire i suoi stessi lamenti, nonché i brontolii dello stomaco!
Un urlo – il suo – quando due mani si poggiarono sugli occhi, seguito da grida di soccorso e ingiurie contro le mummie.
«Patetico» commentò una voce fuori campo – no, Seto, ma si era capito, nevvero?
«Calmati, Jonouchi, siamo solo noi» ridacchiò Yugi.
Jonouchi si voltò: c’erano tutti.
«Ma… la maledizione?» Li squadrò uno a uno. «Mi aveva colpito una maledizione» chiarì, davanti alle loro facce sorprese – più quella disgustata di Seto, ma forse per lui la maledizione era perenne e lo sarebbe sempre stata. «Voi non vi ricordavate di me» cominciò a spiegare, alzandosi in piedi sulla panchina. «Honda mi ha sbattuto fuori casa, Yugi e Shizuka non mi hanno riconosciuto, un vecchiaccio si era impossessato di casa mia – e quando lo disse il nonno di Yugi simulò un colpo di tosse – e Seto… nah, lui tutto sommato mi ha trattato come sempre. Non mi credete?» domandò, di fronte ai loro risolini.
«Jonouchi, era solo uno scherzo» gli rivelò Yugi, mentre Honda, ridendo, gli colpiva la spalla.
«Sei stato tu stesso a dire che non saresti mai cascato in uno scherzo, e noi ti abbiamo messo alla prova» aggiunse quest’ultimo, sornione. «Scusami, potresti ripetermi chi era l’Intelligenza sopraffina che mai si sarebbe fatta incastrare? E dire che, avendotelo detto ieri sera, era pure facile da intuire» commentò.
Jonouchi rimase senza parole – aveva fatto una gran, bella figura. Con stile.
Fissò Seto, in cerca di chissà quale conforto. «Partecipavi anche tu?» gli chiese.
«Non ho dovuto fare nulla di diverso dal solito» commentò soltanto il Presidente, mantenendo lo stesso la sua aria da saccente burbero, e Jonouchi si trovò costretto a concordare.
«E il vecchio?» domandò ancora.
«E’ un amico del nonno» ammiccò Yugi. «Per il cambio della serratura ci ha aiutati Seto.»
Beh. Nulla era impossibile per la KaibaCorp.
«Ah… un’ultima cosa.» Jonouchi tirò su il labbro, ghignando sinistro, gesto accompagnato dalla sinfonia del brontolio dello stomaco. «Chi è stato ad avere quest’idea fenomenale?»
«Non guardare me!» si giustificò Honda. «Può sembrarti strano, ma non c’entro nulla.»
 
Atem, intanto, rintanato all’interno del Puzzle a spettegolare con Shadi, sorrideva soddisfatto.

 
 
































 
 
 

Pensavo fosse più corta, francamente! Ò____Ò
Non mi aspettavo che uscisse così. Però, al tempo stesso – per i miei tempi luuuunghi e le introspezioni infinite – mi pare scarna. XD
Boh, questa è. U.U
L’idea non è mia, ATTENZIONE! Da ragazzina – mi sto trattando come una vecchia D: - leggevo Topolino a morire. In una storia fanno uno scherzo simile a Topolino, e io ho voluto metterci Jonouchi. U_U”
Qualche precisazione:
-Shizuka e Jonouchi vivono in case diverse;
-PER ME Seto e Jonouchi se la intendono, ma voi vedetela come vi pare (tanto nelle mie fic la Puppyshipping è onnipresente. Dire Hikari è dire Puppyshipping(?));
-La storia è situata nel contesto di Yugioh!, anche se non so esattamente dire quando. Però non penso di dover mettere avvisi come What If? o altro. OOC non ce lo metto per ora (non credo di aver combinato chissà che grande disastro XD), ma se ci vuole, me lo dite e lo metto. U__U
 
Niente.
 
Alla prossima! UwU
*sperando che non sia tra mille anni*


   
 
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