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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Cosa succede quando le convinzioni e le cose che si danno per scontate crollano improvvisamente?
Che accade quando un singolo incontro, bellissimo e spiacevole al tempo stesso, permetterà ad un pegaso di mettere in dubbio tutto ciò che è sempre stato?
Due entità apparentemente opposte si avvicineranno e condivideranno tutto ciò che sono, creando un legame che durerà senza limiti di tempo.
Questa è la storia di due pegasi che impararono che si può volare anche senz'ali.
Il racconto vede come protagonisti Rainbow Dash e un personaggio inventato: Icarus.
Il tema portante è "conoscere se stessi oltre le prime impressioni".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Gli stati d’animo sanno condizionare fortemente quello che ognuno sente dentro di sè e Rainbow Dash percepì una brutta sensazione di delusione, quando si svegliò il mattino seguente.

Riportò la memoria alla sfuriata di Icarus, al suo discorso furibondo e a quella scintilla di compiacimento che gli aveva letto negli occhi quando Fluttershy era ammutolita. Focalizzandosi sull’episodio, non aveva dubbi: Icarus si era comportato in modo sbagliato, senza scusanti.

In un secondo momento, le venne in mente il discorso della madre: “Da quando era piccolo ha sempre dovuto vivere lontano dai suoi simili”, aveva detto, “Le poche volte che ha avuto dei contatti con loro, lo hanno ferito e, da quando la malattia è peggiorata, non ha avuto altra scelta se non rinchiudersi quassù tra le nuvole”. Ripensò quindi ai suoi modi di fare tutt’altro che accomodanti, al piacere che aveva provato a cucinare con Pinkie Pie, discutere con Twilight, al disagio quasi commovente nella boutique di Rarity e, infine, l’aver sperimentato davvero, per la prima volta, l’accettazione da parte di un gruppo di amici.

“Certo che…”, disse a se stessa, “così tante emozioni che non aveva mai assaporato fino in fondo… possono anche averlo trascinato e si sarà sentito sulla cresta dell’onda… per la prima volta in vita sua”.

Ci pensò ancora un attimo: “Però quello che ha detto a Fluttershy… avrebbe perlomeno potuto chiederle scusa”. Comparve nella sua mente l’immagine di Icarus con lo sguardo basso, mentre si buscava il rimprovero: “Alla fine sembrava dispiaciuto… davvero dispiaciuto…”.

“Ora come ora non importa”, tagliò corto, “è meglio che non ci pensi per un po’”.

    In effetti, Dash non aveva fatto altro che interessarsi ad Icarus, negli ultimi due giorni, dimenticandosi completamente di eventuali impegni: fece un rapido controllo delle cose da fare e notò che, per l’indomani, era in previsione un acquazzone come non se ne vedevano da anni. Erano sorte delle complicazioni e i pegasi avevano optato per restituire buona parte della pioggia in un’unica nottata di tempesta: per il pomeriggio occorreva stendere un enorme manto di nubi nere, cariche di pioggia e pronte ad esplodere dopo il tramonto.

Senza perdere ulteriore tempo, spiccò il volo verso Cloudsdale, per unirsi alla squadra che si sarebbe occupata della tempesta. Durante il tragitto, le venne anche in mente che, fra un paio di giorni, avrebbe partecipato ad un’altra gara. “Nulla di troppo serio”, pensò, “ma me ne stavo dimenticando e non mi sono allenata minimamente…”. Provò infine ad allontanare i pensieri, cercando semplicemente di concentrarsi sull’imminente lavoro da compiere.


*** ***** ***



    Era definitivamente notte quando il pegaso rincasò, sfinito dalla mole di lavoro svolto per assicurare un manto nuvoloso così esteso. In lontananza si udivano i primi rimbombi, sintomo che la tempesta stava lentamente prendendo vita. Alcune chiazze di nuvole violacee, illuminate da fulmini ancora distanti, comparivano ad intermittenza, per un attimi fugaci, nella scura massa nebulosa.

Osservò il fenomeno per alcuni istanti, dalla finestra, prima di decidersi a coricarsi: ci sarebbe stato parecchio baccano di lì a poco ma era abituata al rumore dei tuoni e, a quelle altitudini, sarebbero comunque stati un po’ smorzati.

“E domani vedremo che fare”, concluse, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi con scarsa difficoltà.


    Qualcosa la fece destare mollemente dal riposo: qualcuno l’aveva scossa delicatamente nel proprio giaciglio. Aprì lentamente gli occhi e bofonchiò frasi sconnesse: si guardò intorno e vide che era ancora buio. Un lampo improvviso illuminò a giorno l’intera stanza, rivelando Icarus seduto accanto a lei, con un leggero fiatone. Rainbow sobbalzò e cadde dal letto.

“Ma! Ma! Che diavolo…?”, blaterò, sfregandosi la schiena.

Icarus prese ad agitarsi ed aggiunse: “Scusa, scusa, Rainbow! Non volevo spaventarti!”.

“Ma cosa ci fai qui?”, chiese con perplessità.

Il pegaso grigio, sempre in costante agitazione, guardò dalla finestra e cercò di comporre un discorso: “Ecco, io…”.

“Dov’è tua madre?”.

“…Lei è rimasta a casa”.

“Come a casa? Come hai fatto ad arrivare qui?”.

“E me lo chiedi? Oggi avete praticamente steso un enorme tappeto nero tra me e le vostre abitazioni. Mi è bastata una spinta con la Cirrus per attraccare sulle nubi sottostanti e poi ho proseguito sulle mie zampe”.

“Cosa? Tua madre non sa che sei qui?”.

“Secondo te?”, gli chiese con un sorriso.

“Tu sei matto. Ora ti riporto immediatamente a casa”.

L’inatteso ospite si preoccupò visibilmente e si piazzò davanti a Rainbow, nel tentativo di fermarla: “Aspetta Rainbow, prima ascoltami!”.

“Non c’è niente da ascoltare: non dovresti essere qui, punto e basta”.

“No, per favore, ascoltami, ho un enorme favore da chiederti”.

“Arrivi da me nel cuore della notte, ingannando tua madre, e ti aspetti pure che ti faccia dei favori?”, chiese stizzita.

Icarus assunse un’espressione di estrema sincerità, sollevò uno zoccolo tremante e lo posò sulla spalla di Dash: “Rainbow… non farti pregare, è una cosa che non mi piace, lo sai. Ti chiedo solo di ascoltarmi”.

Il pegaso blu si sentì combattuto ed iniziò a muovere gli occhi in diverse direzioni, nell’inconscia speranza di trovare qualcosa da dire.

“Sentiamo”, decretò infine. Icarus sorrise.

“Senti, lo so che è un favore davvero grande e… quindi non mi aspetto che tu acconsenta così su due piedi però… ecco vedi, io vorrei che tu mi portassi a cavalcare la tempesta…”.

“Cosa?”, berciò Rainbow stranita.

“Voglio fare quello che i pegasi definiscono ‘Cavalcare la Tempesta’! Ho sentito che è una delle esperienze di volo più fantastiche che si possano provare!”.

“Non esiste!”, si affrettò l’altra a concludere, “Ti sei bevuto il cervello se pensi che porterò te in mezzo a quel caos là fuori!”.

“Hai mai cavalcato una tempesta, prima d’ora?”, chiese Icarus con tono speranzoso.

“Io… sì, qualche volta, ma…”.

“Perfetto! Allora fallo ancora una volta! Fallo per me!”.

“No, Icarus, è troppo pericoloso, c’è il rischio che tu ti faccia male sul serio. Persino i pegasi esperti sono restii a cavalcare le tempeste”.

“Ma loro non sono te! Loro non sono… noi. Non sono dei campioni come noi, Rainbow!”.

L’altra abbassò lo sguardo: “…No, Icarus, questa volta è troppo. Non posso farlo, mi spiace”.

Icarus si sedette e cercò di mettere da parte, con estrema fatica, ogni forma d’orgoglio: “Ascolta, Dash, io… io non voglio andarmene da questo mondo come un pegaso che non ha mai volato. Ci ho provato una volta, sai? Quando ero piccolo. Mi sono tuffato da un nembo sottile ed ho spiegato le ali… sono rimasto col gesso per quasi un anno ed il risultato lo vedi sulle mie zampe storte e sulle mie ali bloccate”.

Dash sentì qualcosa scavarle nel petto.

Gli occhi di lui si inumidirono: “Mi tufferei ogni giorno, ogni istante pur di riprovare quei pochi secondi di emozione nel vuoto ma rischierei di farmi ben di peggio ormai, quindi non posso... non senza di te”, concluse, guardandola intensamente.

“Non farmi questo, Icarus”, rispose l’altra con voce un po’ tremante.

“Una sola volta. Io e te. A cavalcare la tempesta. Poi mi chiuderò per sempre sulle nuvole più alte di Equestria, se vorrai, e non ci vedremo mai più. Non negarmi questo ultimo desiderio, ti prego”.

Rainbow rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.

“Visto?”, disse Icarus, passandosi uno zoccolo sotto gli occhi umidi, “Sei riuscita a farti pregare”.

I due pegasi rimasero immersi al buio e al silenzio, rotti dagli sporadici interventi dei lampi e dei tuoni.

“Io… va bene”, dichiarò infine Dash, tutt’altro che convinta.

“Davvero? Fantastico!”, esultò l’altro, inscenando l’equivalente di un balzo da fermo, per quanto potesse riuscirci.

“Però stiamo facendo la cosa sbagliata…”.


    Subito fuori casa, Icarus osservava le nubi sottostanti, mentre Rainbow cercava di mettere assieme un piccolo cumulo di nubi nere, plasmandolo ad ovale.

“Dovrei metterti sopra e riportarti a casa, altro che cavalcare la tempesta”.

Un forte vento agitava violentemente la chioma viola del pegaso, mentre si beava dei rumori assordanti e dei giochi di luce-ombra dei fulmini, ormai sempre più vicini.

“Questo però non è un cirro”, concluse Dash a lavoro ultimato, “Sei sicuro che possa andare?”.

Icarus lo osservò: “Andrà benissimo. Le nuvole di tempesta sono un po’ instabili ma molto vaporose… anche se umidicce. Non sarà un problema”.

“Ho un brutto presentimento”.

“Stai tranquilla”, la rassicurò, donandole un mezzo sorriso, “dopotutto ci sei tu con me, no?”.

    Icarus salì sul suo nuovo trasporto, cercando di accomodarsi al meglio, mentre Dash si collocò dietro di esso, coprendone un’intera estremità con il corpo, in modo da avere la miglior presa possibile.

I due guardarono con titubanza l’enorme distesa di nubi, tuoni e lampi che si stagliava sotto di loro.

“Sei ancora così sicuro?”, borbottò Dash.

“La verità è che non sono mai stato sicuro di niente… fino ad ora”.

Al termine di quelle parole, Dash caricò un balzo ma Icarus la interruppe all’ultimo momento: “Ancora un’ultima cosa”. Girò il muso e, con un colpo di denti, slacciò la cinghia attorno alle ali, liberandole.

“Ora vedi di non strafare”, lo ammonì l’altra.

“Tranquilla, non voglio sbriciolarmi le ali… Sono troppo malandate affinchè riesca ad aprirle... voglio solo sentire la sensazione dell’aria sulle piume… voglio che sia come un vero volo”.

Con quell’ultima frase e una forte indecisione da superare, Rainbow si lanciò nel vuoto.


    La discesa fu rapida. Rapidissima. Dash non spiegò minimamente le ali, lasciando che il duo precipitasse in discesa libera a velocità sempre maggiori.

Icarus sentì lo stomaco sollevarsi e percepì una scarica di adrenalina in tutto il corpo. La paura gli disse di ancorarsi il più possibile alla nuvola sotto le sue zampe ma, dati i suoi problemi, non riuscì a combinare granchè.

Mentre scendevano, Rainbow notò che Icarus era visibilmente spaventato e, per evitare che le cose potessero sfuggire di mano, si portò in avanti con il corpo, schiacciando leggermente il pegaso contro la nuvola e portando la testa di lato, accanto alla sua, guancia contro guancia.

Icarus sentì il calore sulla schiena e sul collo. Percepì la presenza di Rainbow Dash accanto alla sua e si calmò, lasciando che l’emozione prendesse il posto della paura.

Il manto nuvoloso era sempre più vicino e, quando venne infranto, Icarus chiuse istintivamente gli occhi. Quando li riaprì, dovette spalancare la bocca dalla meraviglia: le correnti di aria calda e fredda avevano creato, all’interno delle nubi, un enorme tunnel scuro e nebuloso, ribollente di tuoni, lampi e luci. Dash spiegò le ali e prese a percorrerlo rapidamente in tutta la sua lunghezza.

I fulmini balenavano letteralmente a fianco dei due, generando botti spettacolari simili a fuochi d’artificio, mentre l’intera massa nerastra del tunnel si contorceva costantemente, in preda alla tempesta che stava per raggiungere il suo culmine.

Il pilota prese a cabrare , spostandosi progressivamente a quote sempre maggiori: bucarono nuovamente il tunnel e superarono una serie infinita di altre nuvole, collocate a casaccio attorno al cuore della tempesta, giungendo infine al di sopra di essa.

Icarus non riusciva più a conciliare l’eccitazione con lo stupore: sotto di loro, il manto continuava a render spettacolo di luci e suoni mentre, sopra le loro teste, una luna maestosa illuminava magicamente l’orizzonte. Il pegaso si fece sfuggire un verso di stupore.

“Sei pronto a vedere come si cavalca davvero una tempesta?”, chiese Dash con un sorriso, premendo leggermente la guancia contro la sua.

“Fai quello che ti pare”, rispose l’altro, con gli occhi umidi, “basta che non ti fermi proprio ora”.

Rainbow ed Icarus si rituffarono in picchiata, più forte di prima. Ripercorsero lo stesso tragitto, fino a rientrare nel tunnel: saettarono tra le scariche elettriche, i suoni assordanti e le singolari composizioni che la tempesta scolpiva caoticamente nella distesa nebulosa.

Tanto durò la discesa libera che i due si ritrovarono al disotto del temporale ed un violento acquazzone li gettò improvvisamente nel bagnato. A quella raggelante sensazione, Icarus prese a ridere come un matto, in preda alla gioia e all’ebbrezza: ringraziò la pioggia, non solo per l’inebriante emozione, ma anche perché, in quel modo, Rainbow non avrebbe visto le sue lacrime di gioia. Anche lei si fece contagiare: riallineò la traiettoria e prese a sferzare la pioggia con una risata disinibita.

Viste dal basso, le loro immagini scure comparivano sporadicamente, in contrasto con le nubi soprastanti illuminate dai fulmini, a testimonianza di due pegasi un po’ matti, in mezzo alla pioggia e all’euforia.

Decisero quindi di rientrare nel tunnel e di assaporare un’ultima evoluzione. Fu un attimo.


Un fulmine comparve improvvisamente a pochi metri dai due, generando un’onda d’urto talmente violenta da sbaragliare Rainbow Dash, che perse la presa sulla nuvola. Il pegaso blu ruzzolò svariate volte in aria, prima di riuscire a ristabilirsi e capire cosa stesse succedendo. Atterrita e in preda al panico, prese a guardarsi ossessivamente attorno, alla ricerca di Icarus. Un lampo su una nube lontana ne illuminò la silhouette scura: stava precipitando al suolo.

Senza neanche pensarci, si tuffò a capofitto verso di lui, sbattendo freneticamente le ali per raggiungerlo più in fretta possibile. Nonostante l’agitazione, fu abbastanza lucida da riuscire a strappare la piccola estremità di una nuvola, durante la discesa.

Mancavano poche decine di metri dal suolo e la pioggia batteva forte quando Dash investì Icarus con la nuvola, tentando il tutto per tutto pur di salvarlo. Cercò di ristabilire la quota ma era giunta con troppa velocità e lo schianto fu inevitabile: poco prima di toccare il suolo, riuscì ancora a girarsi sulla schiena, subendo gran parte del colpo. Icarus e la nuvola, tuttavia, le sfuggirono di nuovo dalle zampe e i due rovinarono sul terreno bagnato, in mezzo ad una pineta.


*** ***** ***



    Dash, in preda alla preoccupazione, si riprese quasi subito: si rimise in piedi ma percepì una fitta lancinante alla groppa, per via della caduta. Si guardò nervosamente attorno, chiedendosi dove potesse essere Icarus. La pioggia continuava a cadere incessante, sospinta dal vento impetuoso della tempesta in atto. Urlò più volte il suo nome e poi lo vide, durante il brevissimo lampo di un fulmine, adagiato a terra, non molto distante da lei. Si precipitò a raggiungerlo, temendo per il peggio.

Il pegaso era disteso su un lato e, in mezzo al temporale, era molto difficile comprenderne la situazione.

Rainbow provò a spronarlo con una zampa: Icarus spalancò gli occhi e inspirò di colpo.

“Icarus! Icarus, stai bene?”, chiese preoccupata, con la voce parzialmente sovrastata dalla pioggia scrosciante.

“Io… uh…”, balbettò l’altro.

“Come ti senti?”.

Icarus prese un attimo per ristabilirsi e, quando cercò di tirarsi su, franò emettendo un’esclamazione di dolore: la sua ala destra era piegata verso il basso.

“L’ala… che dolore…”, bisbigliò a denti stretti.

“Stai fermo, non ti muovere”, lo esortò Dash, che iniziò nuovamente a farsi prendere dal panico.

Icarus cercò di nascondere le sue smorfie di dolore con un sorriso: “Calmati, amica mia, va tutto bene… credo sia solo una… uh… lussazione”. Provò a muovere delicatamente l’ala ma la procedura gli restituì un’altra insopportabile fitta.

“No”, dichiarò ad occhi chiusi, “mi sa che è proprio rotta”.

“E’ stata una cosa stupida ed io, due volte stupida, ho acconsentito a tutto!”.

“Rainbow…”.

“Lo sapevo che non avrei dovuto… lo sapevo che avrei fatto meglio a riportarti subito a casa… lo sapevo che…”.

“Taci per un attimo e ascoltami!”, la interruppe l’altro, “Questa è stata la cosa più… bella, più giusta, più… più viva che io abbia mai fatto. Anche ora, questo dolore insopportabile mi fa sentire vivo, vivo come non mai…”.

Rainbow Dash cercò di calmarsi e prese ad ascoltare Icarus, che continuò: “Non avere dubbi: mi hai regalato le emozioni più fantastiche che io abbia vissuto in tutta la mia vita… e che probabilmente non proverò mai più. Cavalcare una tempesta è… davvero bellissimo”.

Icarus deglutì rumorosamente e, con esitazione, aggiunse: “Ma ancor più bello è… è stato cavalcare la tempesta con te accanto”.

I due si osservarono per qualche istante, riconoscendosi chiaramente solo alla luce dei lampi.

Ad un certo punto, Rainbow parve calmarsi del tutto e, con voce un po’ emozionata, rispose: “Va bene, Icarus... effettivamente è stato… molto bello. Ora però hai un’ala ferita e stiamo parlando sotto la pioggia battente. Dobbiamo andarcene”.

I due si guardarono attorno, cercando di capire dove fossero finiti: impresa assai ardua durante una tempesta notturna.

“Credo”, buttò lì Dash, “che siamo alla periferia della Everfree Forest… anzi, ne sono sicura: lo vedi quel sentiero? Basterà seguirlo per tornare a Ponyville e da lì vedremo di darti una sistemata”.

“Sei sicura?”.

“Uh… credo, cioè… sì”, balbettò.

“Forse hai ragione… non è lo stesso sentiero che abbiamo seguito… ieri pomeriggio?”, chiese lui, riportando a se un po’ del dolore di quell’episodio.

“Sì, credo sia quello”.

Il pegaso ferito pensò per alcuni istanti e poi richiamò l’attenzione di Dash: “Ascolta… vorrei chiederti un altro favore…”.

“Basta con i voli!”, rispose istintivamente.

“Sì, sono d’accordo”, annui, “infatti volevo chiederti un’altra cosa… se quel sentiero porta a Ponyville… vuol dire che percorrendolo al contrario giungeremmo da… Fluttershy, giusto?”.

“Dove vuoi arrivare?”, chiese sospettosa.

“Potresti… potresti portarmi da lei?”.

“Icarus… sta piovendo a dirotto, sei ferito, tua madre ti starà cercando… e quando scoprirà cosa ho fatto mi ucciderà sul serio! Non possiamo rimanere”.

“A lei ci penso io e questa volta non scherzo… però prima vorrei andare da Fluttershy”.

Rainbow intuì le intenzioni del pegaso ma pensò anche che fosse davvero troppo prolungare quella notte così ricca di imprevisti. Ancora una volta, l’apparente buonsenso ebbe il peggio: “Va bene, Icaurs… però poi te ne torni filato a casa, non c’è Fluttershy o tempesta che tenga”.

“Promesso… e, questa volta, vorrei che mi aiutassi a rialzarmi”.

Dash cercò di spingerlo da un fianco: Icarus si portò in posizione eretta con molta fatica e qualche manifestazione di dolore.

“Io non sono sicura che ti convenga camminare fin là…”.

“Mi conosco. Ce la posso fare ma, dopo, avrò bisogno sicuramente di un passaggio” e prese a zoppicare verso il sentiero.


    Ci vollero parecchi minuti prima che la sagoma dell’abitazione apparisse ai loro occhi, in lontananza. Superarono un piccolo ponte sul fiumiciattolo, quasi raddoppiato di volume, e giunsero finalmente all’uscio, dove bussarono. Una flebile luce comparve dietro le finestre e, poco dopo, la timida figura di Fluttershy sbucò dalla porta.

“Rainbow Dash?”, esclamò stupita, vedendo i due bagnati fradici, “E… Icarus?”.

“Ciao, Fluttershy”, rispose l’amica con un sorriso imbarazzato, “Ti spiace se entriamo?”.

Li fece accomodare con premura, intuendo che qualcosa era andato storto.

“Siete completamente zuppi. Aspettate che vado a prendere qualcosa!” e tornò con un paio di asciugamani. Icarus rimase con lo sguardo basso per tutto il tempo, a fissare il pavimento, illuminato solo da qualche flebile candela. Quando vide l’asciugamano, chiese cortesemente: “Scusate… ho qualche difficoltà a… insomma… muovere le zampe come fate voi… e sto gocciolando per terra, non vorrei che…”.

“Oh! E’ vero, scusa!”, rispose istintivamente Fluttershy, coprendolo delicatamente con il panno. Icarus la fissò e il timido pegaso pensò di aver di nuovo detto qualcosa di sbagliato: “Cioè… scusami nel senso di… non che io possa pensare che tu… ecco…”.

Icarus percepì dentro di sè una crescente sensazione di dispiacere: ripensò al modo con cui l’aveva trattata ieri e al modo con cui lei stava ora trattando lui. Scosse debolmente il capo, facendo scivolare l’asciugamano sulle spalle, poi si avvicinò a Fluttershy: chiuse gli occhi e appoggiò delicatamente la fronte sul suo petto.

“Non pretendo di essere perdonato per ciò che ti ho detto”, sussurrò, “ma vorrei comunque chiederti scusa”.

Il viso del timido pegaso passò da un’espressione meravigliata ad una di felicità. Cercò istintivamente di abbracciarlo ma Icarus si ritrasse poco prima, colto da un imbarazzo per lui ingestibile: “Ecco… io…”, balbettò.

“Non c’è problema, Icarus”, lo rassicurò Fluttershy con un dolcissimo sorriso, “è tutto a posto”.


*** ***** ***



    Le urla di Sunshine si sarebbero potute udire fino a Ponyville, probabilmente, e Rainbow Dash prese a strizzare gli occhi ad ogni acuto proveniente dalla sua gola (e ve n’erano parecchi).

“Sei completamente fuori di senno?”, sbraitava, “Ti rendi conto di quello che sarebbe potuto accadere??”.

Icarus, intanto, era coricato lì vicino, con l’ala bendata, e ascoltava con rassegnazione la sfuriata che Dash stava subendo.

Si trovavano tutti e tre nella stanza del pegaso grigio e la madre era letteralmente furibonda. In qualche momento cercò di intervenire a favore dell’amica ma Sunshine lo ammoniva prontamente: “Taci tu! Con te faremo i conti dopo! Scappare così…”.

“Perché ultimamente mi dicono tutti di tacere?”, si chiese sottovoce.

“E tu, Rainbow, non posso credere che tu abbia fatto una cosa così stupida! Guarda! Guarda la sua ala! E sarebbe potuta andare molto peggio!”.

“Io… io non ho scusanti”, ammise con rammarico.

“E’ tutto quello che hai da dire? Non ho scusanti?”, incalzò.

“Mamma”, riprese Icarus, “puoi urlare anche per tutto il pomeriggio ma resta il fatto che, potendo tornare indietro, lo rifarei,  anche a costo di spezzarmi tutte le ossa”.

“Perfetto! Così ora dovrò stare attenta che tu non fugga di nuovo di soppiatto per convincerla a gettarti in qualche altra tempesta vagante!”.

Il figlio si rattristò: “Sai benissimo che non sarà così”.

“Sì… è vero”, rispose Sunshine, dopo una pausa che la calmò leggermente.

“Cosa vorrebbe dire?”, chiese Dash sottovoce.

“E’ una notizia che ci è giunta stamattina”, rispose l’altra, dimenticandosi momentaneamente dell’accaduto, “una notizia molto importante per Icarus… pare che… che a Baltimare un’equipe di medici e unicorni abbia trovato una possibile soluzione per il suo problema”.

“Davvero?”, esclamò il pegaso blu, accendendosi di felicità.

“Sì”, rispose Icarus con una certa rabbia, “e questo vuol dire che dovrò partire direttamente domani…”.

L’improvvisa gioia di Rainbow calò leggermente, udendo quelle parole, ma era indubbiamente la miglior notizia che potesse ricevere e capì che era anche una delle poche possibilità che avrebbe mai ricevuto: “Mi spiace per la partenza inattesa, però… questa è una grande notizia! Hai finalmente la possibilità di rimetterti in sesto! E’ grandioso!”.

“Lo so, è vero”, continuò Icarus con scarso entusiasmo, “però non è una cura sicura… dovranno tenermi in osservazione, fare delle prove. Non è detto che guarisca… e ci hanno fatto sapere che… che il metodo non è esente da rischi”.

Sunshine ascoltò il figlio, con un velo di melanconia: “Non sono molto entusiasta ma… se questa è l’unica possibilità per mio figlio di… di potersi permettere un futuro ad ali spiegate, allora…”.

“Sai che è così, mamma. Preferisco rischiare e fallire, piuttosto che starmene tutta la vita accoccolato su un cirro, con le ali bloccate da una cintura”.

“Lo so…”, ammise lei con labbra tremanti, “è che… se le cose dovessero… andare per il verso sbagliato…”.

“Ridicolo!”, berciò lui, quasi con la stessa arroganza di un tempo, “Hai visto cos’ho fatto? Ho cavalcato la tempesta! Sono il pegaso incapace di volare che ha cavalcato la tempesta! Ho viaggiato tra i lampi e mille tuoni! Sono precipitato verso il suolo e sono ancora qui, più felice che mai!”.

Sunshine, udendo quello che aveva affrontato il figlio, parve sul punto di svenire.

“Così non mi aiuti, Icarus!”, esclamò Dash.

“Ma è la verità!”, insistette, “Posso affrontare questo e ben altro!”.

“Ho bisogno di sedermi”, sussurrò la madre, prendendosi un attimo di tregua.

“Sai, Rainbow Dash”, disse infine, “il mio lato di madre vorrebbe staccarti le piume una ad una”. L’altra si nascose dietro l’ennesimo imbarazzo.

“Come puledra, tuttavia, ho visto la gioia di Icarus… non ricordo in tutta la sua vita una felicità più grande di quanto stia provando ora… ed è effettivamente merito tuo”, concluse sorridendo.

“Quindi le mie piume sono salve?...”.

“Per ora… ma se mi farai di nuovo prendere uno spavento simile… le piume saranno le ultime cose che ti rimarranno”, proferì con sguardo severo. Dash deglutì e la madre uscì dalla stanza per i preparativi di domani, lasciandoli soli.

“Me la sono vista brutta… e sono stanca morta… vorrei solo coricarmi e dormire”, sospirò Rainbow.

“Ti lascio andare, tranquilla. Te ne ho fatte passare di tutti i colori”.

“Avere a che fare con te è un impegno a tempo pieno”.

“Lo so, lo so… è difficile stare lontani da un pegaso affascinante come me”.

Le palpebre di Rainbow calarono improvvisamente: il pegaso blu ondeggiò per un istante e poi si riprese: “Uh… ascolta… non mi reggo sulle zampe, io…”.

“Vai pure, non c’è problema. Tuttavia…”.

“Cosa?”, domandò con uno sbadiglio.

“Se più tardi… dopo che ti sei ripostata, diciamo stanotte: se avessi voglia di fare un salto da me… prima della partenza di domani… mi farebbe… piacere”, farfugliò in modo sconnesso.

“Stanotte?”, chiese.

“Visto che domani dovrò partire… cioè non mi fraintendere: io odio gli addii melensi ma… volevo solo… insomma… un’ultima notte con i due campioni di Equestria insieme”, concluse con imbarazzo.

Dash sorrise: “Va bene, Casanova! Sai bene che non so resistere ad un pegaso affascinante come te”.


*** ***** ***



    L’aria era fresca e la notte perfetta: adagiati sulle nuvole sotto casa, i due pegasi osservavano un cielo stellato stupendo e terso come non mai, come accade solitamente nelle ore successive ad un grosso temporale.

Dash era sdraiata di schiena, con le zampe unite al petto e il muso sollevato in direzione delle costellazioni. Icarus si trovava accanto a lei e, a causa dell’ala, dovette coricarsi di lato, cosa che non gli impedì tuttavia di rilassarsi e bearsi dello spettacolo sopra di loro.

L’aria era fresca e inebriante. Tutt’intorno vi era la calma più assoluta, fatta eccezione per il solito sibilare gentile del vento d’alta quota.

“E’ una scemenza, vero?”, chiese Icarus, rompendo il silenzio.

“Cosa?”.

“Sì insomma… le stelle, il cielo… starsene qui imbambolati a guardare un telo nero farcito di puntini”.

“Non è vero: è molto bello”.

“Conoscendoti credo che preferiresti attività ben più movimentate”.

“Stai commettendo i miei stessi sbagli, Icarus. Una volta, per esempio, ritenevo la lettura una cosa stupida, adatta solo ai cervelloni. Poi mi sono ricreduta. Mi ci è voluta qualche settimana di degenza e una fasciatura alle ali per capirlo… ma alla fine l’ho capito… Così come ero certa delle mie convinzioni… che ho imparato a mettere in dubbio stando con te…”.

“La certezza dona molta sicurezza”, rispose l’altro pensieroso, “ma effettivamente chiude le porte e non lascia aperta alcuna possibilità. Credo tu abbia ragione, anche se mi sto ancora chiedendo cosa tu possa aver imparato stando con me… a parte ad avere pazienza, intendo”.

Dash lo guardò con sincerità: “Prima… correvo… correvo sempre. Pensavo che non ci fosse nulla che valesse la pena fare se non con velocità e la stima degli altri. Ho sempre visto scorrere il paesaggio sotto di me ad una velocità tale che… quando mi sono finalmente fermata ad osservarlo con attenzione, mi sono resa conto della bellezza che mi stavo perdendo”. Riportò gli occhi al cielo, sentendo un po’ di commozione crescere dentro di sè, e continuò: “Invece mi sarebbe bastato rallentare… per scoprire che esistono pony in grado di volare anche senza ali”.

Icarus apprezzò molto le sue parole.

“Tanto più voliamo veloci”, rispose il pegaso grigio, “tanto più ci allontaniamo da coloro che non possono volare. Sai, Rainbow… anche io credo di aver imparato qualcosa”.

“Sono tutta orecchie”.

“Io… io non rinnego me stesso: quando vieni trattato in un certo modo, fin da piccolo, cresci con delle idee difficili da cambiare, ne sono consapevole. E, credimi, non è che non abbia mai provato a comportarmi diversamente…”.

“Non credo tu debba cambiare, Icarus…”.

“Lo so… con il tempo ho imparato a non basarmi sulle opinioni degli altri e a farmi forza. Ho dovuto combattere per cose che altri pony facevano ogni giorno senza nemmeno porsi il problema… Sono orgoglioso di me stesso… anche se… in quest’ultimo periodo ho anche avuto occasione di vergognarmi di certi miei comportamenti”.

Dash riportò alla memoria qualcosa che aveva visto tempo fa su un libro: “Sai… una volta ho letto da qualche parte su un libro, ma non chiedermi quale perché non me lo ricordo, che non può esserci miglioramento senza prima provare un po’ di sofferenza”.

“Quello che ho imparato io”, aggiunse Icarus, “è che la serenità non è qualcosa che dipende solo dalla situazione. Cioè non è molto difficile essere felici in una situazione felice… ben diverso è riuscire ad essere felici sempre”.

“A meno che tu non voglia diventare un maestro spirituale”, ripose Dash con una risata, “dubito che riuscirai mai ad ottenere un simile risultato! E’ qualcosa che non riesco nemmeno a concepire!”.

“Già… pura utopia, vero?”.

“Non lo so… pensaci un attimo: una settimana fa credo tu ritenessi utopico finire a cucinare muffin con un cuoco un po’ matto… o in una boutique di bellezza, oppure al tavolo con altri pony o… a cavalcare una tempesta”.

“…O a parlare sotto le stelle insieme a te”.


    I due ripresero ad osservare il cielo in silenzio, solcato saltuariamente da qualche solitaria stella cadente. Icarus, con lo sguardo perso in mezzo al mare nero,  venne colto da un leggero disagio.

“Ti ricordi quello che ho detto stamattina? Che potrei affrontare questo e ben altro?”, chiese con voce strozzata e gli occhi umidi.

“Sì… sì mi ricordo”, rispose l’altra, intuendo che qualcosa non andava.

“Ecco… la verità è che… la mia situazione, la mia malattia… non sta certo migliorando. Ho già infranto i pronostici più ottimisti arrivando fino ad oggi…”. Dash si voltò verso l’amico e, udendo le sue parole, percepì l’aria nei polmoni venirle meno.

“E anche la cura che mi attende”, continuò, “è dall’esito incerto. Ora sono qui ad osservare il cielo, come ho già fatto in passato, e mi sto chiedendo se… se questa non sarà l’ultima volta che potrò vedere le stelle… se potrò ancora udire il sibilare del vento tra le nuvole… se arriverà ancora un altro cielo stellato…”.

Rainbow sentì un profondo dolore al petto. Continuò ad osservare Icarus, che iniziava a mostrare qualche accenno di lacrima, e tentò di dire qualcosa. Sapeva bene, tuttavia, che qualsiasi parola di consolazione sarebbe stata sprecata con lui, quindi decise di non parlare: si girò su un fianco, gli passò entrambe le zampe attorno alla vita e lo strinse delicatamente a se, cercando di non fargli male. Spalancò infine un’ala, con cui coprì quella ferita del giovane pegaso.

Icarus le affondò il muso nel petto e, con voce rotta, sussurrò: “Ho paura, Rainbow Dash…”.

I due si strinsero con forza, dimenticandosi per un istante delle ossa di caramello.

“Vorrei tanto poter dire qualcosa…”, aggiunse Dash con commozione, “qualsiasi cosa di magico, in grado di farti sentire meglio… ma l’unica cosa che so… è che quello che stiamo provando ora è la testimonianza più palese della vita e della voglia di vivere che abbiamo. Mi piacerebbe davvero tanto che questo istante potesse durare per sempre”.


*** ***** ***



    Il pegaso grigio si affacciò dalla carrozza del treno alla stazione, mostrando un sorriso come raramente si era visto sul suo volto. La locomotiva era immobile ma, dai fischi e gli sbuffi che emetteva, si intuì che si sarebbe presto messa in moto.

Sotto di lui, le amiche che aveva da poco conosciuto gli porsero i migliori auguri.

“Spero che ti piaccia”, esclamò Twilight con trepidazione, “è l’enciclopedia più completa che sono riuscita a trovare in tutta Canterlot!”.

“E’ stupenda”, rispose Icarus, voltandosi all’interno dell’ampia cabina. In ordine vide: quattro libri impilati uno sull’altro, torte di mele, un vaso con splendidi fiori, un nuovo completo da indossare e, per ultimo, un enorme cumulo di zucchero filato rosa.

“Grazie a tutte per i regali. Anche la… uh… montagna di…”.

“E’ come ti avevo detto!”, esclamò Pinkie con un balzello, “E’ soffice come la tua nuvola! E in più è… rosa! Funziona anche da cibo di emergenza!”.

“Grazie”, ripetè il pegaso con sincerità.

Al gruppo mancava soltanto Rainbow Dash. In realtà non era assente: si trovava appollaiata su una nuvola isolata, molto distante. Stava osservando la scena con gli occhi lucidi, pensando che, se fosse andata da lui prima, si sarebbe commossa al punto da scoppiare a piangere. Decise dunque di optare per un’entrata all’ultimo minuto, onde limitare gli addii strappalacrime: si tuffò in picchiata e, in brevissimo tempo, planò verso il gruppo di pony.

“Scusate il ritardo!”, esclamò, simulando un fiatone, “Arrivo appena adesso dagli allenamenti per la gara di domani!”.

Icarus sorrise, non credendo nemmeno a una parola di ciò che aveva detto.

“Allora, Casanova”, riprese l’amica, “sei pronto per partire?”.

“In verità avrei preferito rimanere qui con voi, ora che vi ho conosciuto. Però… questa è una cosa che non può aspettare”.

“Già, è la cosa giusta… ah, senti”, disse con un certo imbarazzo, “io non ti ho portato alcun regalo d’addio… non… non sono molto ferrata in questo genere di cose”.

“Non ti preoccupare”, la tranquillizzò, “mi hai già regalato più di quanto potessi fare”.

“Sì, però…”. Il fischio della locomotiva li interruppe bruscamente e si sarebbe messa in moto da un momento all’altro.

“Dai, Rainbow”, rispose Icarus, “sappiamo entrambi che non ci piacciono gli addii melensi…”.

“E poi… non è detto che questo sia un addio”.

“Lo spero con tutta l’anima. E, se dovessi averne la possibilità, promettimi… anzi promettetemi tutte che verrete a trovarmi”.

Il gruppo acconsentì con entusiasmo. Solo Dash non esultava, continuando ad osservare l’amico con vaga tristezza.

    L’intera colonna di carrozze ebbe un sussultò ed il treno cominciò lentamente a muoversi. I pony ripresero a salutarlo calorosamente, vedendolo allontanarsi progressivamente verso la propria destinazione.

Rainbow non disse nulla e si limitò a guardare, mentre la velocità della locomotiva continuava ad aumentare.

Quando il treno fu poco distante dalla stazione, Twilight sussurrò: “Spero davvero che possano aiutarlo. Se lo merita”.

“A me piace così com’è… con le ossa di caramello”, rispose Pinkie Pie con tono smorzato.

Dash si sentì improvvisamente spaesata, come persa nel vuoto, e iniziò a guardarsi attorno, colta da un’improvvisa agitazione. Alla fine, non riuscì più a trattenersi: spiccò un balzo e raggiunse in volo la carrozza che trasportava il pegaso. Le amiche osservarono la scena con stupore.

“Icarus!”, urlò, cercando di prevalere sul rumore del treno in accelerazione.

L’amico si affacciò nuovamente e, passandosi uno zoccolo sotto gli occhi, esclamò: “Che stai facendo?? Avevo detto niente addii melensi!”. Il treno prese velocità e Rainbow iniziò a perdere lentamente terreno.

“Icarus, ascolta!”, continuò lei ad alta voce, “Domani! Domani, quando l’orologio segnerà due rintocchi spaccati!...”.

“Cosa accadrà domani??”.

“Qualsiasi cosa succeda, ai due rintocchi, alza gli occhi verso il cielo, in direzione di Ponyville! Hai sentito??”.

Icarus le rispose ma era troppo lontano affinché potesse udirlo chiaramente, subito prima di rallentare ed atterrare, col fiato in gola.

“Domani”, ripetè Dash sottovoce, “domani ai due rintocchi…”.
   
 
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