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Autore: Lantheros    06/04/2013    0 recensioni
Cosa succede quando le convinzioni e le cose che si danno per scontate crollano improvvisamente?
Che accade quando un singolo incontro, bellissimo e spiacevole al tempo stesso, permetterà ad un pegaso di mettere in dubbio tutto ciò che è sempre stato?
Due entità apparentemente opposte si avvicineranno e condivideranno tutto ciò che sono, creando un legame che durerà senza limiti di tempo.
Questa è la storia di due pegasi che impararono che si può volare anche senz'ali.
Il racconto vede come protagonisti Rainbow Dash e un personaggio inventato: Icarus.
Il tema portante è "conoscere se stessi oltre le prime impressioni".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Erano da poco scoccate le due del pomeriggio quando un unicorno viola ed un pony rosa si incontrarono poco lontano dal centro cittadino. Twilight, ovviamente, fu la prima ad arrivare, puntuale come l’orologio del campanile. Pinkie Pie giunse saltellando come una palla, con qualche minuto di ritardo.

Le due si salutarono e poi si sedettero vicine, con gli occhi puntati al cielo.

“Sai qualcosa in più, di particolare?”, chiese Sparkle.

“No! Rainbow mi ha solo detto di venire qui verso le due e di attenderla dal cielo!”, rispose l’amica con un sorriso.

“Allora ne sai meno di me”, continuò l’unicorno pensieroso, “perché mi ha anche anticipato che non avrei dovuto fare domande o commenti”.

“A me non ha detto altro! A beh, sì, poi mi ha anche detto ciao!”.

“Chissà… forse un nuovo numero di evoluzioni aeree?”.

“O magari vuole farci vedere un cappello nuovo!”, ribattè Pinkie.

“Chi? Rainbow Dash?”, chiese Twilight con sguardo interdetto.

“Sì! O magari vuole mostrarci un poema che ha scritto! Non sto più nella pelle! Adoro le sorprese!”.

“Un poema, sicuro”.


Ad un certo punto, Pinkie prese ad agitarsi più del solito ed indicò un puntino nel cielo, che si faceva sempre più grande.

“Una stella cadente!”, urlò.

“Uh… non credo, in pieno giorno. Forse è… mi sembra Rainbow… ma sta spingendo qualcosa”.

Il pony rosa iniziò a trotterellare disordinatamente, in attesa che Dash si facesse più vicina.

Quando fu a poche centinaia di metri da loro, la situazione si fece chiara: il pegaso stava spingendo lentamente una strana nuvola e sopra c’era sdraiato qualcuno: un pony che non avevano mai visto.

Dopo alcuni istanti, Rainbow portò il cirro all’altezza del terreno.

“Ciao, ragazze!”, esclamò.

Le due ricambiarono e Pinkie si avvicinò con impazienza ad Icarus: “E tu chi sei??”, esclamò ad alta voce.

Il pegaso grigio, con apparente sguardo annoiato, si girò verso Dash e bofonchiò: “E queste due sarebbero quelle che volevi presentarmi?”.

“Pensavo che fossi un po’ più sveglio”, rispose Rainbow, canzonando le parole che gli aveva rivolto Icarus il giorno prima, “per cui vedrò di illuminarti: sì, sono loro”.

“Ciao! Io sono Pinkie Pie!”.

“Io sono Twilight Sparkle, piacere”.

Icarus le squadrò con supponenza e rispose: “Mi chiamo Icarus. Che sia un piacere, questo è ancora tutto da verificare”.

“Non ti ho mai visto da queste parti! Sei nuovo? Da dove arrivi? Ti piacciono le feste?”, incalzò Pinkie, come sapeva fare benissimo.

“Cos’è, hai assunto un eccesso di carboidrati o cosa? Comunque le risposte sono: non esattamente, non sono affari tuoi e no”, concluse.

“Che bella nuvola! E’ proprio bella! Perché sei su una nuvola?”.

Icarus si girò nuovamente verso Rainbow, con fare rassegnato: “Adesso ho capito: vuoi vendicarti, facendomi passare un pomeriggio d’inferno con i tuoi amici schizzati”.

“Più o meno”, rispose l’altra con un sorriso.

“Ma questa… questa non è una nuvola normale”, disse Twilight, dopo una rapida occhiata, “Questo è un cirro incantato!”.

L’attenzione di Icarus si riaccese leggermente. Twilight continuò: “Soltanto unicorni molto preparati sanno utilizzare questo tipo di incantesimi di manipolazione materiale. Occorrono una specializzazione in Preservazione Effimera e una discreta dose di catalizzatori primari per mantenere un cirro a quote così basse”.

“Nuvola!”, ripeté Pinkie, che iniziava a sentirsi esclusa dal discorso.

“Cosa sei? Una sorta di cervellona?”, chiese Icarus.

Twilight arrossì leggermente: “Beh… in effetti sì… studio parecchio e passo molto tempo nella mia bibilioteca e…”.

“Biblioteca?”, la interruppe il pegaso ad orecchie dritte.

Rainbow sorrise con malcelato compiacimento.

“Sì, possiedo una biblioteca di scritti arcani che uso per le mie ricerche magiche”.

A quelle parole, l’attenzione di Icarus esplose del tutto ma cercò immediatamente di nascondere l’entusiasmo con la tipica aria di sufficienza con cui era solito accompagnarsi.

“Anche Icarus possiede molti libri a casa sua, sai?”, disse Rainbow Dash, “Magari potreste scambiarvi qualche nozione o qualche… discussione da capoccioni come vi intendete voi, nella biblioteca di Twilight”.

“Davvero? Sarebbe interessante!”, concluse Sparkle con un sorriso.

Icarus cercò di farsi pregare ma si intuiva fin troppo bene quanto ci tenesse ad esplorare una nuova biblioteca e discutere di magia: “Mh… sì… suppongo di avere un ritaglio di tempo da dedicare a questa… cosa”.

“Aspetta aspetta aspetta!”, li interruppe Pinkie con sguardo serio, “Prima dobbiamo darti il benvenuto! Al Sugarcube Corner!”.

“Grazie, non mi interessa”, la liquidò rapidamente.

“Vero”, riprese Rainbow, “Icarus vive per i fatti suoi da molto tempo: non credo se la senta di affrontare un benvenuto”.

“Oh, sei timido?”, chiese il pony rosa.

“No, è semplicemente una cosa stupida”, rispose Icarus, leggermente irritato.

Twilight aggiunse: “Ma no, dai, i benvenuti di Pinkie sono un po’ esuberanti, forse, ma ci si diverte! E poi si discute meglio di fronte ad una teglia di muffin fumanti!”.

“Muffin?”.

“Non sai cosa sono i muffin??”, esclamò Pinkie con assoluta sorpresa, “Com’è possibile? Ma allora dobbiamo rimediare immediatamente! Scendi da lì e andiamo subito al Sugarcube Corner!”.

Rainbow stava per aggiungere qualcosa, quando vide Icarus, con zampe tremanti e sguardo deciso, issarsi in posizione eretta.

Lo osservò attentamente, mentre sembrava sul punto di scendere dal cirro, nell’istante di mettere uno zoccolo sul terreno.

“Icarus”, gli disse, “io so fino a quale altitudine riesco ad arrivare. Quindi immagino tu sappia fino a che limite puoi spingerti”.

“Non ti sarai mica fatta impressionare dalle parole di mia madre?”, chiese lui e, dopo un lungo respiro, scese lentamente dal cirro. Quando il peso del corpo si spostò alle zampe sul terreno, tremò leggermente e cadde su un ginocchio. I pony circostanti si avvicinarono per aiutarlo ma Icarus si riportò in piedi da solo, con una certa fatica.

“Visto?”, esclamò con un leggero fiatone, “Posso camminare anche qui: è solo un po’ più faticoso e devo farci l’abitudine. Non è il caso che vi scomodiate”.

“Va bene”, disse Rainbow con una lieve preoccupazione, “In ogni caso mi porto la nuvola dietro”.

“Sarà meglio! Non sono mica uno sconsiderato: non ci tengo a farmi del male a titolo gratuito!”.


    Il gruppetto decise di incamminarsi verso il Sugarcube Corner. Icarus prese a muoversi lentamente e con passo traballante, non essendo abituato alla solida terra sotto gli zoccoli e per via delle zampe compromesse. Pinkie Pie, senza rendersene conto, li distaccò a rapidi balzelli, poi si girò con sorpresa e riprese a saltellare intorno ad Icarus, durante la sua marcia.

“Perché cammini strano? Perché non voli? E perché viaggiavi su una nuvola? Anche io voglio andare in giro su una nuvola!”.

Twilight la osservò con fare preoccupato e si preparò a dire qualcosa ma Rainbow le fece cenno di tacere.

Il pegaso grigio, senza scomporsi, rispose: “Ho una malattia particolare. Le mie ossa sono fragili e si rompono facilmente”.

Pinkie si fermò un istante con lo sguardo fisso, per elaborare la frase. Poi riprese a rimbalzargli intorno: “Capito! Come il caramello rappreso! Che se non stai attento si rompe in mille pezzi!”.

“Diciamo di sì”, rispose con un sorriso, il primo veramente sincero che Dash avesse mai visto sul suo volto.

“Hai le ossa di caramello!”.

“Ho le ossa di caramello”, ripeté.

“Fantastico! Secondo me dovresti provare a farli tu i muffin, oggi, perchè… chissà come verranno bene i dolci fatti da un pony con le ossa di caramello!”.

“Non so… non ho mai fatto nulla del genere. Posso provarci, sia inteso, non mi tiro indietro di fronte a nulla”, esordì con orgoglio, “però non sono molto ferrato nei… lavori manuali.”.

“Oh non importa!”, disse Pinkie sorridendo, “Dovrai lavorare con la farina! Non c’è nulla di più soffice della farina! E poi, guarda, ti confesso che certe volte io mi monto una montagna di zucchero filato e mi ci sdraio sopra, tanto è morbido! Proprio come fai tu con la nuvola!”.

Icarus cercò di trattenere un altro sorriso.

“E poi”, concluse il pony rosa, “se tu avessi le ossa fatte di ossa… ma sono fatte di caramello, quindi non puoi non riuscirci!”.

“Però”, esclamò infine Icarus, rivolgendosi a Rainbow Dash, “forte la pazzoide rosa”.



*** ***** ***


    La giornata proseguì molto più rapidamente di quanto Icarus avesse inizialmente immaginato.

Pinkie Pie gli offrì i “pezzi da novanta” dei suoi dolci e, dopo aver insistito per svariati minuti senza demordere, riuscì a coinvolgerlo nella rispettiva preparazione culinaria. Anche Twilight e Rainbow si cimentarono nell’impresa: la prima tentò un approccio analitico ed estremamente complicato che la portò a completare la lista delle operazioni da fare quando ormai gli altri pony avevano già cotto tutto; Rainbow, invece, apportò le modifiche necessarie a rendere visivamente più cool il suo dolce… ma decisamente meno appetibile nel gusto.

Icarus accompagnò ogni istante della propria lavorazione con commenti quali: “Questa è una attività per bambine”, “Ridicolo!” e “Mi sto sporcando tutto di farina” ma, alla fine, fu piacevolmente soddisfatto del risultato.

Quando lui e Twilight presero a discutere di libri e magia, tutti capirono che era giunto il momento di spostarsi nella biblioteca dell’unicorno.

Pinkie Pie, Rainbow Dash e Spike, vedendo i due discutere e scartabellare tomi su tomi, si misero un po’ in disparte, non essendo propriamente interessati a quel tipo di attività.

“Non ho mai visto quel pegaso prima d’ora. E’ nuovo?”, chiese il piccolo drago.

“Non esattamente”, rispose Dash.

“Che barba!”, esclamò Pinkie, osservandoli mentre accumulavano libri aperti sotto alla biblioteca.

“Indovinate poi a chi tocca rimettere tutto a posto, in ordine di categoria, alfabetico e colore delle copertine?”, bofonchiò Spike con rassegnazione.

I tre rimasero in silenzio, udendo così il discorso che si stava svolgendo tra il pegaso e l’unicorno: “Exurgit Potio?”, chiese Icarus, con gli occhi sulle pagine.

“E’ un incantesimo per generare un tonico rinvigorente. Pare possa anche risanare le ferite”, rispose saccentemente Twilight.

“Funziona?”.

“Non saprei, non ho ancora avuto il tempo di sperimentare, e poi l’alchimia non è il mio forte. Però c’è una zebra, Zecora, che è molto più ferrata di me in questo campo”.

“A casa mia ho delle piante incantate catalizzatrici: le hanno messe gli unicorni per…”.

“…per generare un campo di magia condensata in uno spazio predefinito!”, continuò Twilight con entusiasmo.

“Ok, li abbiamo definitivamente persi”, concluse Spike.


*** ***** ***



    Il sole iniziava a nascondersi dietro le colline quando Icarus risalì sul cirro. Fece più fatica, questa volta, poiché, nella propria sacca, aveva posto un paio di pesanti libri presi in prestito da Twilight.

I quattro si salutarono: Icarus, ovviamente, fu quello più schivo.

“Mi raccomando”, esclamò Twilight indicando i libri, “voglio che tu li legga e che mi faccia sapere cosa ne pensi”.

“Non credo ci impiegherò molto”.

“Io voglio che torni da me! Voglio il pegaso al caramello di nuovo a cucinare da me!”, disse Pinkie, componendo salti da ferma.

Icarus scosse leggermente il capo e, dalla folta chioma, venne giù una nevicata di farina: “Ok, però la prossima volta i sacchi li apri tu”.

Ci fu un ultimo saluto, prima che Rainbow iniziasse a spingere il cirro.

In circostanze normali, sarebbero arrivati a casa in pochi minuti ma, date le fragilità della nuvola e del suo passeggero, era necessario volare con particolare attenzione.

I due rimasero in silenzio per svariati minuti, poi Icarus prese la parola: “Perché?”.

“Perché la nuvola non si spinge da sola”, rispose l’altra con ironia.

“Sai benissimo a cosa mi riferisco: perché mi hai portato qui? Voglio la verità”.

“Perché provo compassione per te, no? Non era quello che hai detto di me l’ultima volta?”.

Il pegaso grigio non disse nulla e Rainbow intuì che stava esagerando un po’ troppo col sarcasmo, così riprese il discorso con tono sincero: “Seriamente, Icarus, lo ammetto: quando sono venuta da te ieri era perché provavo una certa compassione. Poi, dopo averti ascoltato, mi sono resa conto di quanto tu avessi uno spirito orgoglioso, almeno quanto il mio. Ed io non vorrei mai essere trattata con condiscendenza”, concluse.

“Icarus uno, Rainbow Dash meno venti”, ribatté l’altro con tono superiore.

“Non mi fraintendere: malattia o meno, sei una arrogante testa di legno e, ogni tanto, vorrei buttarti giù da questa nuvola”.

“Dico io: come non darti ragione, my darling”, rispose Icarus, simulando un accento da gentilpony inglese.

“Per cui… oggi ho voluto portarti qui per due motivi: il primo è che volevo mostrarti delle persone speciali e… di come loro siano riuscite a trattarti con maggior rispetto di quanto non abbia fatto inizialmente io. Il secondo è che…”.

“Che?...”.

“…il secondo motivo: l’ho fatto per me e basta”, continuò Rainbow Dash con una certa difficoltà, “L’ho fatto perché mi sembra di imparare cose nuove stando con te”.

Icarus si voltò verso il pegaso blu e lo guardò con fare molto sorpreso. Rainbow smise di spingere il cirro ed i due si fissarono negli occhi per qualche istante. Icarus sembrò trattenere una debole risata, riportò l’attenzione in direzione della propria casa e disse: “Lo so, lo so: faccio sempre questa impressione alle puledre. Ma non ti montare la testa, dovrai metterti in fila come tutte le altre”.

Dash sorrise.

“Ora”, riprese Icarus, “ricomincia a spingere, sennò arrivo tardi per la cena. A momenti farei prima io soffiando in direzione opposta che non tu con le tue ali”.

Dash assunse un atteggiamento di sfida e accelerò improvvisamente, stando comunque attenta che il passeggero non fosse a rischio. Icarus si irrigidì di colpo, temendo di cadere davvero dalla nuvola, che iniziò a viaggiare più velocemente di quanto avesse mai fatto. Lo spavento iniziale venne a poco a poco sostituito da una strana sensazione di ebbrezza e i due giunsero rapidamente a destinazione.

“Sua signoria è soddisfatto?”, chiese Rainbow con fare accondiscendente.

Icarus era ancora irrigidito sulla nuvola, quasi come un gatto avvinghiato al bracciolo di una poltrona: “Se mi hai danneggiato il cirro, ti mando il conto degli unicorni. So dove abiti”.

Sunshine li aspettava vicina al portone e, quando vide la velocità con cui arrivarono, assunse uno sguardo preoccupato.

“Ops… Ora tua madre mi spiumerà entrambe le ali”, bisbigliò.

“A lei ci penso io”.

“Speriamo. Senti, se vuoi domani ti faccio conoscere il resto del gruppo, se ti va”, disse con entusiasmo.

Icarus si fece pensieroso: “Vediamo: domani, domani… In effetti avevo in programma di fare una maratona di due ore, seguita da evoluzioni aeree ad alta quota e, infine, di passare la serata con le mie ammiratrici”.

“Dimentichi il ballo di gran gala e la palestra”, aggiunse l’altra con tono neutrale e palpebre cadenti.

“No quelli sono dopodomani. Sì, penso che, per questa volta, potrò dedicarti un altro po’ del mio preziosissimo tempo”.

“Allora verrò domattina!”.

“Di che state parlando voi due?”, urlò Sunshine con tono severo, “Rainbow! Ti pare questa la velocità con cui trasportare Icarus?”.

“Lascia fare a me”, disse Icarus rivolgendosi a Dash. Scese dal cirro, fece qualche passo verso la madre e poi, simulando un tono preoccupato, esclamò: “Mamma! Hai visto cosa ha fatto? Mi ha spaventato a morte!”.

Ranbow Dash rimase a bocca aperta ad osservare la scena. Icarus, alle spalle della madre, si rivolse verso Rainbow con lo stesso sguardo di sfida che assunse lei poco prima della brusca accelerata.

“Tu, piccolo pegaso…”, ringhiò Dash a denti stretti.

Sunshine si avvicinò con sguardo serio.

“Uh… ecco, io…”.

La madre chiuse gli occhi, emise un lungo sospiro e poi aggiunse: “Lo so che Icarus scherza, lo conosco bene. Però, seriamente, Rainbow Dash, non puoi volare così veloce. Rischi davvero di fargli male”.

“Hai ragione, hai ragione: non avrei dovuto farlo”, ammise.

“D’accordo... com’è andata oggi?”, chiese.

“Meglio. Ma credo che potrà raccontarti tutto Icarus, se ne avrà voglia”.

“Oh… va bene”.

“Sarebbe un problema”, continuò Dash, “se domattina portassi di nuovo Icarus a Ponyville?”.

In quell’esatto istante, il cirro da cui era sceso il pegaso tremò leggermente, emise dei suoni simili ad un palloncino che si sgonfia e svanì in una bolla fumosa.

“Ah!”, esclamò il pegaso grigio ridendo, “Lo sapevo! L’hai rotta sul serio!”.

Rainbow si riprese dallo sbigottimento e sorrise imbarazzata verso la madre, che fece un altro lungo sospiro.

“Va bene”, disse infine, “ma questa volta…”.

“Bassa velocità”, continuò l’altra, “lo prometto!”.

   

Quando Dash abbandonò le nuvole ad alta quota per tornare a casa, decise all’ultimo momento di compiere una deviazione per allungare il tragitto: si sentiva leggera e decise di tuffarsi in picchiata per assaporare la vera alta velocità. Percepiva una certa gioia, dentro di sè, come se quella giornata le avesse regalato qualcosa di importante. “Forse”, pensò, “l’aria rarefatta di quelle altitudini mi sta dando alla testa”.


*** ***** ***



    Il mattino seguente Dash andò a prendere Icarus, come stabilito. Notò, con piacevole sorpresa, che il pegaso si era dato una sistemata alla chioma.

“Guardalo lì, Casanova!”, esclamò ridendo.

“E’ stata mia madre”, si affretto a precisare Icarus, spettinandosi volontariamente a viaggio inoltrato, lontano da casa.

“Non stavi male ma, in ogni caso, ho in serbo qualcosa di meglio per stamattina”.

“Qualcosa cosa?”, chiese con sospetto.

“Se te lo dicessi ora sono sicura che vorresti tornare a casa immediatamente”.

“Tanto mi basta: voglio tornare a casa immediatamente”.

“Certamente. Stasera. Ora dovrai fare un piccolo sforzo e fidarti di me”.

“Non mi fido di nessuno, figuriamoci di un pegaso con le crine multicolore”, concluse Icarus.

“Ieri ti sei fidato e non sei rimasto così deluso, mi pare”.

“L’eccezione che conferma la regola, senza contare che mi hai distrutto un cirro incantato e per poco non mi facevi cadere nel vuoto”.

“Vuoi che lo rifaccia?”, chiese Dash, portandosi in postura da volo in picchiata. Icarus si irrigidì esattamente come quella volta: “Non ti azzardare!”, strillò.

“Tranquillo, stavo scherzando”, lo rassicurò.

Dopo qualche minuto, il passeggero aggiunse con una certa timidezza: “Beh… forse puoi aumentare la velocità giusto un… poco?”.

Rainbow sorrise e prese a sbattere le ali più velocemente, non come il giorno prima, ma a sufficienza da accorgersi visibilmente della gioia di Icarus nel sentire il vento addosso.


    I due giunsero infine davanti alla Carousel Boutique.

“Un negozio da femmine?”, sbraitò Icarus, “Mi hai portato a fare shopping??”.

“Beh, ti ho portato a darti una sistemata”.

“Non esiste, stop, ferma la nuvola, torna indietro!”.

“Oh no, dai, ormai siamo arrivati. Aspetta almeno di conoscere Rarity”.

“Dico: mi hai visto? Non sono propriamente il tipo di pegaso da andarsene in giro sfoggiando abiti eleganti o pose statuarie! O non ci vedi forse bene?”, berciò.

“Facciamo un patto”, disse Rainbow, adagiando il cirro di fronte alla Boutique, “se ti dovessi pentire di questa mattinata, ti prometto che ti riporto dritto filato a casa”.

“Ah no! Troppo comodo! Tu cosa ci perdi? Niente! Facciamo così: se io mi dovessi pentire, tu non solo mi riporterai a casa ma ti tingerai completamente la chioma di rosa… e non rosa normale, rosa confetto! Ti voglio la copia spiccicata della tua amica schizzata!”.

“Pensavo fosse la ‘nostra’ amica schizzata, ormai…”, aggiunse con un certo dispiacere.

Il pegaso grigio parve rimangiarsi le ultime parole: “Mh, sì ok, non facciamo la falcata più lunga della zampa”.

La porta della Carousel Boutique si aprì e apparve Rarity: “Cos’è tutto questo chiasso? Oh, Rainbow Dash sei tu!”, esclamò sorridendo, “E vedo che hai… un amico con te”.

“Dopo stamattina ne dubito”, concluse Icarus con rassegnazione, “suvvia, togliamoci questo fastidio in fretta. Non posso credere a quello che sto per fare”.

“Ciao Rarity”, concluse Dash, con un lieve imbarazzo per la sfacciataggine di Icarus.

L’unicorno sembrò decisamente confuso, specialmente quando riuscì ad inquadrare più chiaramente Icarus una volta sceso dal cirro.

“Uh, certo… entrate pure”.

Una volta all’interno, il pegaso alzò lo sguardo e rimase effettivamente sorpreso dalla gran quantità di abiti eleganti in esposizione.

Rarity osservò per un attimo Rainbow Dash con sguardo interrogativo. Per tutta risposta, l’amica fece un cenno d’assenso ed esclamò: “Io so che sei maleducato, Icarus, però ti converrebbe presentarti”.

“Ah sì”, rispose l’altro, riprendendosi dalla visione degli abiti, “mi chiamo Icarus, sono stato introdotto qui con la forza: questa pazza mi tiene in ostaggio, quindi vorrei che tu chiamassi i soccorsi. Infine, come puoi ben notare, io non centro niente con tutto questo”, concluse, alzando lo sguardo verso gli stupendi capi appesi alle pareti.

Rarity lo ascoltò, sempre più confusa, e poi chiese: “Non centri niente con tutto questo? In che senso?”.

“Ah, eccone un’altra! Cos’è fai finta di niente?”, chiese con tono nervoso, “Fai la scenetta?”.

L’unicorno, sulle prime, parve spiazzato ma assunse immediatamente un comportamento più rilassato: “Guarda che ti vedo benissimo e ti ripeto: perché non centri con tutto questo?”.

“Per favore! Odio fare della retorica! Scusa: zampe storte, busto gracile, ali di pastafrolla… per non contare la criniera”, esclamò, soffiandosi un ciuffo di crini che gli pendeva sul muso.

Rarity sorrise, gli si avvicinò e ruotò un grosso specchio lì accanto, facendo comparire l’immagine riflessa di Icarus ai suoi stessi occhi: “Non essere melodrammatico”, aggiunse, “se c’è una cosa che ho imparato in questo mestiere è che gli unici pony inadatti a ‘tutto questo’ sono proprio coloro che si sentono inadatti”.

Icarus osservò con un certo sgomento lo specchio e abbassò lo sguardo.

“Finchè ti sentirai inadatto”, riprese Rarity, “allora è così che sarai a tutti gli effetti. Guarda Rainbow Dash, per esempio: ha lo stesso senso del fascino e della moda di un drago selvatico…”.

“Ehy!”, intervenne istintivamente l’amica, con fare stizzito.

“…però lei si sente fenomenale ed è così che appare, con o senza vestiti eleganti”.

“Certo che sono fenomenale!”, si affrettò ad aggiungere.

L’unicorno si avvicinò al pegaso grigio, comparendo insieme a lui nell’immagine riflessa: “E poi guarda, abbiamo entrambi la chioma viola! Il viola è un colore bellissimo! E hai una criniera così folta: è perfetta per essere adattata ad un taglio alla moda. Ho già in mente un paio di cose che…”.

“So che ci stai provando ma non credo tu stia riuscendo a convincermi”, la interruppe Icarus, allontanandosi dallo specchio.

“Non sto cercando di convincere nessuno. Voglio solo farti capire che, in questo mestiere, lavoro molto meglio con pony che si sentono belli dentro: solo così riesco a portare fuori quella bellezza e a mostrarla agli occhi degli altri”.

“Sei una stilista. Basi tutta la tua vita sull’apparenza, una delle cose più insulse ed effimere che esistano”.

Rarity, per nulla turbata per quelle parole, sorrise di nuovo e continuò: “Il mio desiderio di apparire è in effetti una mia debolezza ma ho imparato a più riprese quanto conti maggiormente essere e non sembrare. Ma questa è la mia passione e, se posso aiutare altri pony a sentirsi meglio, a far emergere una bellezza difficile da scorgere agli occhi di terzi… beh allora non mi tiro indietro”.

Icarus la ascoltò con attenzione, intristendosi leggermente: “Un pensiero molto nobile… ma a tutto c’è un limite”.

“Ricordi la promessa, Icarus?”, domandò Rainbow, “Un’intera mattinata qui, non di meno, non di più, e poi potrai decidere di andartene e di non rimettere più zoccolo a Ponyville”.

Il pegaso ci pensò su e, con riluttanza, rispose: “E sia: una promessa è una promessa. E tu non dimenticarti la chioma rosa!”.

“Oh finalmente!”, esclamò Rarity, “Non aspettavo altro!” e, con quelle parole, afferrò un metro tra i denti e si avvicinò al fragile busto di Icarus.


    Il pony grigio si sentì a disagio per l’intero trattamento. Rainbow Dash provò una certa compassione per lui (che cercò di scacciare immediatamente) a vederlo così sulla difensiva, come mai l’aveva visto.

Rarity prese svariate misure, appuntò alcuni dettagli su fogli sparsi e si mise rapidamente a lavorare con l’ausilio della magia. Icarus rimase affascinato ad osservare l’intera stanza prendere vita: rocchetti, stoffe, forbici e materiali da sartoria presero a volare tutt’intorno, intrecciandosi infine sotto il muso occhialuto della compositrice, che però non mostrò subito il risultato. Decise, al contrario, di dedicarsi alla capigliatura del pegaso: lo mise in mezzo a diversi specchi, studiò i crini con attenzione e poi, con molteplici attrezzi da makeup fluttuanti, iniziò a lavorare a pochi centimetri dal suo muso.

“Oh, mamma…”, esclamò Icarus, chiudendo gli occhi.

“Tranquillo, hai una chioma fantastica! Oh! Vorrei che tutti i pony avessero dei crine così!”.

“Ma che bello!”, rispose ironicamente Icarus, sentendo ciocche di capelli cadergli su tutto il collo.

Poco prima che finisse, Rarity poggiò un panno sul viso del pegaso, che iniziò a protestare, senza però potersi muovere: “Ma che stai facendo?”.

“Calmo: non voglio rovinarti la sorpresa!” e, con quelle parole, gli slacciò delicatamente la cintura che teneva strette le ali. Prese quindi a vestirlo e svestirlo ripetutamente con diversi capi che aveva preparato, accompagnandosi con frasi del tipo: “Uhm, no”, “Questo andrebbe bene, anche se” e “Oh! Ma è magnifico!”.

“Rassegnati”, rispose l’altro, “per fare un lavoro decente dovresti coprirmi con un tendone da circo”.

“Davvero?”, chiese infine Rarity, con tono estremamente soddisfatto, sollevando il panno dagli occhi del pegaso.

Icarus aprì lentamente le palpebre, osservando il proprio riflesso in uno specchio di fronte  a lui. Non disse nulla e si limitò a guardare ad occhi sgranati: la capigliatura era leggermente più corta, cosa che lo faceva apparire meno minuto, e scolpita abilmente in forma decisamente più raffinata. Un piccolo colpo di sole, bianco argento, gli scendeva delicatamente a fianco del muso.

Rarity lo aveva anche agghindato con alcuni capi di vestiario: non molti e senza farlo apparire appesantito. Aveva sostituito la vecchia borsa con una versione più moderna, elegante e comoda; sullo stacco degli zoccoli aveva posto giusto una striscia di stoffa in tinta con la chioma e, infine, inserito una sezione della coda in una strozzatura color argento, in modo che non ricadesse pesantemente al suolo, tanto era folta.

“Allora?”, chiese la stilista, togliendosi gli occhiali con la magia, “E’ di tuo gradimento?”.

“Non aspettarti complimenti”, intervenne Dash, con un sorriso di circostanza.

Icarus lanciò un’occhiata di supponenza verso il pegaso, sentendosi quasi un libro aperto.

“Oh, non importa! Il più è che, se non ti piace, tu me lo dica! Non c’è nulla di peggio per una stilista di un cliente falsamente soddisfatto!”.

Icarus sentì uno strano formicolio al petto e, con un accenno di sorriso, disse sottovoce: “Non c’è niente di peggio per un pegaso malato di qualcuno falsamente interessato a lui”.

Alzò lo sguardo verso lo specchio, si diede una rapida occhiata ed infine esclamò: “Ho visto di peggio… sì insomma… credo possa andare”.

“Credo sia il massimo che riuscirai ad ottenere, amica”, puntualizzò Dash.

Rarity, colta da una foga improvvisa, affondò la fronte contro quella di Icarus, che si ritrasse preoccupato: “Se non va bene me lo devi dire!”, urlò.

“Perfetto. Lo adoro”, disse in mezzo secondo, visibilmente spaventato.


*** ***** ***



    Icarus osservava Ponyville scorrergli sotto il muso, mentre Rainbow Dash spingeva il cirro a qualche decina di metri dal suolo: si stavano spostando verso la periferia, in direzione delle campagne.

“E’ un peccato che da quassù non possano vedere il tuo nuovo look”.

Il pegaso bofonchiò, fingendosi disinteressato alla cosa, poi aggiunse: “Questa volta a chi tocca? Quale altro pony vorrai sottoporre al mio carattere accomodante?”.

“Non uno”, rispose Dash, “ma tanti pony!”.

Icarus sbarrò lo sguardo e deglutì rumorosamente: “Tanti quanti?”.

“Oh, beh, non moltissimi, giusto un gruppetto… credo saremo almeno in sei, noi compresi”.

“Terapia di gruppo?”.

“No! Pranzo in famiglia!”.

Con quelle parole, Rainbow si inclinò, procedendo rapidamente in discesa, in direzione di una grossa cascina rossa. Durante la manovra, Icarus vide alcuni meleti scorrere sotto di sé: “Mi ricordo di queste piante”, raccontò, “si vedono molto bene da casa mia, attraverso il telescopio. Sono così tante che, da lontano, sembrano un enorme tappeto cangiante. D’estate è come una distesa di mare verde, in autunno un campo vermiglio, in inverno sembra quasi un bosco morente e in primavera…”.

Dash udì il suo tono di voce smorzarsi improvvisamente. Icarus continuò: “…in primavera, quando sono in fiore, si trasformano in un manto di nuvole che, all’orizzonte, pare confondersi con quelle vere…”.

“Antipatico, scorbutico, cuoco e ora anche poeta. Ed io che pensavo sapessi solo lamentarti”, disse Rainbow, dandogli un leggero colpo sulla spalla.

“Lo sai, vero, che mi hai fatto male?”.

“Lo sai, vero, che non mi freghi più?”.

“Touché”, concluse, con sguardo imperturbabile.


    Al termine del battibecco erano ormai giunti all’ingresso della tenuta, poco lontani dal caseggiato rosso. Un paio di pony, inizialmente intento a raccogliere mele, si avvicinò non appena li vide arrivare.

“Che mi marciscano tutte le mele se quella non è la chioma multicolore del pegaso più cool di tutta Equestria!”, urlò allegramente Applejack, “E con lei abbiamo anche un ospite!”.

Icarus avvicinò il muso ad un orecchio di Dash e bisbigliò: “Se mi mettete a lavorare nei campi si tratta di sfruttamento: ne siete consapevoli, no?”.

“Evviva! Rainbow Dash con ospiti!”, esclamò Applebloom, giungendo da un melo lì vicino.

“Ehy ragazza! Applebloom!... Big Macintosh… va bene il lavoro nei campi? ”, chiese il pegaso blu con entusiasmo.

“Eyup”.

“Tutto bene”, riprese Applejack, “stavamo giusto staccando per organizzare il pranzo!”.

Icarus scese delicatamente dal cirro e Applebloom prese ad osservarlo con occhi colmi di sorpresa. Il pegaso sentiva il suo sguardo fisso su di sè e, inizialmente, si mostrò vagamente infastidito.

“Ricordati che è una bambina”, gli sussurrò Rainbow Dash, cercando di non farsi notare dagli altri.

“Ricordati che io sono quello antipatico”, rispose lui, sempre sottovoce.

“Ehy, amico!”, proruppe la sorella maggiore, “Sei nuovo di queste parti? Non ti ho mai visto in giro e poi, uao, che schianto di nuvola!”.

Icarus si voltò per un istante verso il cirro e, con sguardo saccente, rispose: “Oh, quella? Mh, sì è una ‘Cirrus High 4000’ con incantesimo di rinnovamento di serie: la producono solo nei laboratori arcani più sofisticati”.

Applejack ascoltò le sue parole, fingendo di capirci qualcosa, e rispose con un sorriso di circostanza.

“Cooomunque”, riprese Icarus, sfoggiando platealmente il suo nuovo aspetto, “mi chiamo Icarus e sono un pegaso grigio che vive nelle elevate altitudini delle periferie di Cloudsdale, in una zona impervia dove solo i pony più preparati riuscirebbero a sopravvivere”, concluse a muso alto.

Dash lo squadrò stranita: “A-ah… ti sei dimenticato di dire che spari sfere infuocate dalle narici”.

“Ci stavo giusto arrivando, mia cara”.

Applejack sorrise: “Beh, ditemi voi se non sembri la controfigura di Rainbow Dash!”.

“Io sarei cosa? Guarda che…”, sbottò Icarus ma le sue parole vennero coperte dall’entusiasmo di Applebloom che, udendo i lontani rintocchi del campanile di Ponyville, iniziò a trotterellare verso la cascina, urlando: “Si mangia!”.

“Ah! Giusto in tempo!”, disse Applejack, invitandoli a seguirla, “E così Rainbow e il suo amico vengono a farci visita proprio verso l’ora del pranzo, eh? Non è che ve ne state approfittando?”.


I quattro, anticipati dall’esuberante sorella minore, si diressero al passo di Icarus verso un tavolo imbandito all’aperto.

“Non dovevamo essere in sei?”, chiese il pegaso grigio.

“Uh, sì, manca la vecchia nonna: Granny Smith… Non è che si è appisolata sotto qualche melo come fa di solito?”, borbottò Applejack, guardandosi attorno, “Ah, eccola che arriva!”.

Il gruppo si guardò alle spalle e vide l’anziano pony, aiutato da un bastone da passeggio, giungere da una collinetta poco distante.

“Quella vecchia sarebbe il sesto pony?”, chiese Icarus con un sorriso arrogante.

“Icarus!”, lo rimproverò Dash.

“Ah, tranquilla, Granny è sicuramente vecchia ma è ancora arzilla come una roccia! Vero, nonna?”, urlò Applejack nella sua direzione.

“Eh? Cosa?”, biascicò Granny,  “Velo o gonna? Velo ovviamente, non sei mai stata bene con la gonna!”.

Icarus rise sotto i baffi: “Oh, andiamo, ancora un po’ e dovranno rimetterla assieme con la colla!”.

“Ora stai esagerando”, insistette l’altro pegaso.

“Ma no! Dico solo la verità!”, rispose Icarus divertito, senza accorgersi che Granny Smith era arrivata alle sue spalle e si era infilata un imbuto nell’orecchio, “Quel pony è così decrepito che  a momenti mi muovo più veloce io!”.

“Come ti permetti, impiastro!”, lo sgridò Granny, roteando pericolosamente il bastone sopra la sua testa, “Porta rispetto o ti insegno l’educazione alla mia maniera!”.

Il pegaso fece qualche passo all’indietro, rischiando di inciampare: “Ehy nonna, attenta con quell’arnese!”.

“Sono nella mia fattoria e faccio quel che mi pare, giovane maleducato!”.

Gli altri, intanto, osservavano allibiti la scena.

“Vuoi prendermi a bastonate, vecchio rudere?”, la istigò.

“Puoi giurarci!”, ribatté l’altra seccata.

“Scommetto che non riesci nemmeno a sfiorarmi!” e, con quelle parole, iniziò una marcia scoordinata verso il tavolo da pranzo.

“Se ti acchiappo ti lavo la bocca con il sapone!”, berciò la nonna, prendendo ad inseguirlo a passo di lumaca.

Applebloom, che intanto non li vedeva arrivare, decise di tornare indietro e si fermò basita ad osservare i due che facevano a gara per raggiungere la tavolata: Icarus, con sguardo concentrato e massimo impegno, zoppicava e, contemporaneamente, cercava di schivare le bastonate della nonna; Granny Smith, per canto suo, lo inseguiva con giunture cigolanti quanto gli infissi di un cancello arrugginito, vibrando mazzate a casaccio. Poco distanti, Rainbow, Applejack e Big Macintosh li scrutavano con aria perplessa.

Dopo la sorpresa iniziale, Applebloom esplose in un sorriso ed iniziò a fare il tifo: “Forza nonna!”.

“Anche se in territorio ostile e circondato da nemici”, proruppe Icarus, “non mi lascerò certo intimidire per così poco!”.

“Avrai ben altro di cui preoccuparti, se ti prendo, canaglia!”.

“Fatemi un favore”, disse Rainbow Dash ai pony attorno a lei, “qualsiasi cosa succeda, non parliamo mai più di quanto stiamo vedendo”.

“Sicuro, dolcezza”.

“Eyup”.


    La famiglia e i due ospiti erano seduti attorno al grande tavolo, colmo di pietanze a base di mele. Icarus e la nonna erano collocati agli opposti e si lanciavano continuamente delle occhiate in cagnesco. Entro breve si levò il brusio delle chiacchiere e Applejack portò il primo piatto: pasticcio di mele ristretto in melassa di sidro.

Icarus osservò con apparente disprezzo la portata sotto il suo muso: “Questo sarebbe cibo?”.

Rainbow lo rimproverò con uno sguardo ammonitore e una spallata.

“Sulle prime potrà sembrare poco appetitoso”, disse la cuoca, aggiustandosi il cappello, “ma ti assicuro che il sapore è fenomenale!”.

“Cos’è?”, la interruppe Granny, “Il signor principino è troppo raffinato per il nostro pasticcio di mele??”.

Il pegaso si sentì sfidato e, con una certa riluttanza, addentò un boccone: iniziò a masticare lentamente, poi con maggior gusto ed infine deglutì rumorosamente.

“Ho mangiato di meglio… ma comunque non è così male…”.

“Visto?”, ammiccò Applejack.

“Ai miei tempi: fieno secco e pedalare!”, aggiunse la nonna.

“Non credevo che nella preistoria sapessero pedalare”, rispose Icarus senza guardarla.

Si scatenò un altro battibecco ma il pranzo proseguì grossomodo senza problemi.

Verso il dolce, il pegaso grigio notò che la piccola Applebloom continuava a fissarlo insistentemente e, dopo alcuni minuti, si innervosì: “Che hai da guardare?”.

“Sei strano”, rispose innocentemente, “Perchè cammini in quel modo? E perché hai le ali legate?”.

Icarus sembrò contenersi nel rispondere, pensò a cosa dire e, infine, le sussurrò in un orecchio: “Non voglio che si sappia in giro: in realtà… uh… sono un cacciatore di draghi… e questi sono i risultati del mio ultimo scontro”.

“Non ti credo!”, rispose seccamente l’altra.

“Mi dai del bugiardo? Allora guarda” e tirò fuori una strana gemma dalla sua sacca: la mise ai piedi del tavolo e, colpendola con uno zoccolo, la fece brillare. Si trattava di una semplice gemma incantata che il pegaso utilizzava per leggere nel buio della notte ma, agli occhi della piccola, le parve qualcosa di incredibile.

“Questa è una delle gemme che ho preso dal tesoro dell’ultimo drago che ho affrontato. Mi credi ora?”.

“Uaoo…”, esclamò Applebloom, con il riflesso della pietra preziosa negli occhi.

“Puoi tenerla, se vuoi”.

“Davvero?”.

“Ma certo”, aggiunse con spavalderia, “ne ho a bizzeffe e questa non è nemmeno delle migliori!”.

“Che bello, grazie!”.

Probabilmente quella fu la prima volta che Icarus sentì qualcuno ringraziarlo. La cosa, sulle prime, gli generò emozioni mai vissute e, subito dopo, venne pervaso da una inebriante sensazione di autocompiacimento.


    Il pasto si concluse poco dopo, con i presenti intenti a discutere del più e del meno e Applebloom indaffarata a riaccendere in continuazione il suo regalo magico.

Il pegaso grigio prese addirittura la parola, ad un certo punto, narrando alcune delle cose più incredibili che avesse mai visto con il telescopio da casa sua. Qualcuno, nella fattispecie Granny Smith, dubitava della veridicità di tali racconti ma la foga espressa da Icarus risultò così esasperata da lasciare poco spazio ai dubbi.

“E’ tutto vero?”, gli chiese infine Rainbow Dash, comunque un po’ scettica.

“Beh, tutti soffriamo un po’ della sindrome del pescatore ma ti assicuro che un fondo di verità c’è sempre”.

Ci furono ancora alcuni scambi di battute e, alla fine, gli ultimi saluti cordiali.

Prima di congedarsi, gli sguardi di Icarus e della nonna si incrociarono ancora una volta: “Se fossimo stati sulle mie nuvole ti avrei distaccata in un batter d’occhio, vecchia!”.

“Se le ciance ti facessero andare più veloce allora saresti un fulmine, mariuolo!”.

“Se mai ci rincontreremo”, concluse il pegaso, con tono solenne, prima di salire sul cirro, “sarà per la sfida finale”.


*** ***** ***



    La curiosa coppia di pegasi continuò per il tragitto che avrebbe presto concluso la giornata. Il sole non era più alto nel cielo ma ben lungi dall’invitare la sera nel pittoresco paesaggio di Equestria.

Icarus si sentiva emozionato e un po’ su di giri: non aveva mai sperimentato una compagnia così cordiale… anzi: non aveva mai sperimentato una compagnia degna di tale nome. Persino l’ammirazione di una piccola puledra, Applebloom, gli aveva donato più soddisfazione che non gli ultimi anni di isolamento sulle nuvole. Anche il suo nuovo aspetto, seppur non nascondesse i suoi evidenti difetti fisici, lo inorgogliva parecchio. Per la prima volta pensò con sincerità: “Tutto questo tempo passato ad evitare gli altri… a cercare campioni come me… quando mi bastava avvicinarmi a quei pony che avevo da sempre osservato da lontano”.

“Allora, ti stai divertendo?”, chiese Dash, riportandolo alla realtà.

“Mh… sì”.

“Davvero? Non: mh, mi sono divertito di più in altre occasioni?”.

“Certo che mi sono divertito di più in altre occasioni ma la risposta rimane comunque sì: mi sto divertendo. Adesso dove stiamo andando?”, domandò, mentre si inoltravano in un viale che conduceva vicino alla Everfree Forest, “Non vorrai mica portarmi nella foresta di Everfree?”.

“Potrei farlo… e poi abbandonarti lì”, ridacchiò l’altra.

“Credi che non sappia badare a me stesso?”.

“Sono sicura che, a parole, riusciresti a far scappare tutti gli animali feroci nel raggio di chilometri”.

“Mi sento offeso”, rispose con noncuranza.

“Come no. Comunque, stiamo andando da una mia vecchia amica”.

“Vecchia? Come quell’anziano trombone alla fattoria?”, chiese Icarus con preoccupazione.

Rainbow Dash rise: “No, vecchia nel senso che siamo praticamente coetanee. E’ un pegaso… e pensa che ha sempre avuto paura di volare”.

“Così funziona la vita”, sospirò, “ci sono pegasi che vorrebbero volare ma che non possono e pegasi che potrebbero farlo ma non vogliono”.

“Non essere così melodrammatico e inizia ad accettare gli altri per come sono”.

“Come fai tu? Ritenendoti più ‘cool’ degli altri?”.

“Esattamente!”, rispose con sarcasmo, “La differenza è che non svaluto gli altri per i loro difetti, bensì valuto me stessa per i miei pregi!”.

“Tra cui la modestia”.

“Siamo in due, Casanova”.


    Superato un piccolo fiumiciattolo, giunsero infine all’abitazione di Fluttershy. Il pegaso dalla chioma rosa stava curando scrupolosamente alcuni fiori nei dintorni e, quando li vide arrivare, sorrise timidamente.

“Ehy, Fluttershy, come va?”, proruppe Dash, colpendola con foga sulla schiena.

“Oh… ehm… ciao Rainbow Dash e… uh, ciao…”.

“…Icarus”, rispose l’altro dal cirro, senza neanche degnarla di un’occhiata, come faceva spesso.

Le due amiche si scambiarono alcuni saluti, poi Fluttershy le chiese: “E’ questo il pegaso di cui mi avevi parlato?”.

“Già: questo è il pegaso più arrogante, cocciuto e maleducato che mai troverai in tutta Ponyville!”.

“Oh, così mi fai arrossire”, rispose Icarus con sguardo solenne, “e poi hai dimenticato di dire saccente”.

“E’ un piacere, Icarus. Che bella nuvola”.

“Sì, sì, è una Cirrus High 4000, eccetera, eccetera. Sei un pegaso: dovresti già averne viste”.

“Uh, io…”, biascicò sottovoce, “non… non ho mai volato ad alte quote…”.

Icarus, che ancora si sentiva inebriato dalle nuove esperienze fatte in giornata, decise di rincarare un po’ la dose di autostima, sfociando inavvertitamente e pericolosamente nell’arroganza più totale: “Ah già, me lo ha detto Rainbow Dash: tu sei il pegaso che non vuole volare. Bella roba”. A quelle parole si aggiunse anche una vaga sensazione di fastidio, pensando alle occasioni che Fluttershy si era persa intenzionalmente: occasioni che lui invece non avrebbe mai potuto afferrare.

L’amica abbassò lo sguardo e si mise sulla difensiva: “Ecco… io…”.

“Icarus! Vedi di moderare i toni!”, lo ammonì Dash.

Il pegaso si zittì ma mantenne uno sguardo di superiorità, quindi scese dal cirro ed esclamò: “Va bene, starò zitto, non sia mai che qualcuno si metta a piangere”.

Quando Fluttershy lo vide a terra, capì la situazione dell’ospite: “Oh! Io… io non mi ero resa conto che…”.

“Resa conto di che cosa?”, esclamò l’altro con sguardo sospettoso.

“No, io non mi ero accorta che tu… insomma…”.

“Smettila di balbettare e parla, una buona volta!”.

Rainbow si accorse che l’amico si stava scaldando un po’ troppo e cercò di intervenire ma, più o meno con la stessa foga con cui l’aveva aggredita la prima volta a casa sua, iniziò ad attaccare ripetutamente la mite Fluttershy: “Cos’è? Non ti eri accorta di nulla? Invece ora immagino che le cose siano diverse, vero?”.

“Ma no, è che io…”.

“Quello sguardo”, continuò, “lo conosco bene: è lo sguardo di commiserazione di chi ha davanti a sè una povera vittima indifesa, non è vero?”.

Fluttershy cercò di rispondere ma la foga di Icarus fu così incalzante da impedirle ogni reazione. Anche Rainbow provò a dire qualcosa ma, più che per la sfuriata, rimase ammutolita ad osservare l’insensibilità che stava manifestando il pegaso.

“Se penso a tutti gli anni che ho passato anche solo a cercare di camminare, ad osservare gli altri pegasi volare spensierati nel cielo… mentre tu potevi fare entrambe le cose e non hai voluto. E mi tocca pure sentire i tuoi compatimenti per me”.

“Icarus!”, esclamò Dash con sguardo severo.

“No, non mi zittisco, perché di fronte a certe situazioni non riesco a star zitto! Perché tu, Fluttershy, sei proprio il tipo di pony che ho cercato di evitare fino ad oggi: codardo, falso e patetico!”.

Quando Rainbow vide l’amica tirarsi indietro con occhi umidi, esplose in un urlo rivolto ad Icarus: “Adesso bastaaa!!”. Il pegaso grigio percepì fin nel profondo del petto quel rimprovero colmo di rabbia e si bloccò a fissare Dash, impreparato ad una simile reazione.

“Come ti permetti?”, insistette Dash, “Chi ti credi di essere?”. Icarus non rispose.

Ci fu un istante di smarrimento per tutti, che venne rotto nuovamente da Rainbow: “Scusa Fluttershy, dopo verrò a parlarti ma ora devo fare un discorso con lui” e colpì con la testa il fianco di Icarus, senza troppi riguardi, inducendolo ad allontanarsi verso una zona più isolata. L’insistenza fu tale che, per poco, Icarus non inciampò, rischiando di farsi male sul serio.

“Ehy! Fa piano! Così mi…”.

“Taci!”, lo interruppe Dash, più rabbiosa di prima, “Vedi solo di tacere! Dico ma stai scherzando?”.

Le parole dell’amica gli annodarono lo stomaco e iniziò seriamente a pensare di aver esagerato, cercando comunque di giustificarsi: “…io …io lo conosco bene quello sguardo…”.

“Ma quale sguardo! Fluttershy è il pony più mite che conosca, non ti stava compatendo! Lei fa così con tutti!”, urlò con foga, “Qui non centra nulla la tua malattia: quella è stata una cattiveria gratuita!”.

Le zampe di Icarus tremarono leggermente e il pegaso dovette sedersi: abbassò lo sguardo e non disse più nulla.

“Non ci posso credere! Sapevo che eri fatto in un certo modo ma adesso hai davvero esagerato. Come minimo dovresti chiederle scusa per la tua scenata!”, concluse, aspettandosi una risposta. La risposta, tuttavia, non arrivò: Icarus si limitò ad incupirsi, fissando un punto vuoto sul terreno, senza dire nulla.

Rainbow Dash attese ancora qualche secondo ma, non vedendo alcun segno di collaborazione, si spazientì: “Sei incredibile. Ed io che pensavo che un po’ di gentilezza potesse farti passare qualche momento piacevole, ad entrare in quel guscio che ti eri creato nel corso degli anni. E invece…”.

“Portami a casa”, sussurrò.

“Come?”.

“Portami a casa, ho detto”.

“Sicuro che ti ci porto, e di volata”, rispose Dash, con il volto ancora adirato: avvicinò il cirro ed Icarus lo occupò subito dopo.

I due si avviarono rapidamente verso le sommità delle nuvole, a passo spedito, senza dirsi una parola o scambiarsi uno sguardo.


    Sunshine era sulla soglia del caseggiato, quando arrivarono. Stava per rimproverare nuovamente Dash per l’alta velocità quando, vedendo i loro sguardi, intuì che qualcosa era andato storto.

Il cirro approdò rapidamente verso la distesa nuvolosa e, non appena fu attraccato, Icarus smontò prontamente e si diresse verso il portone di casa, senza voltarsi.

Rainbow lo osservò per qualche istante, prima che la madre le si avvicinasse con aria preoccupata: “Oggi… non è andata bene, vero?”.

“Scusa, Sunshine… sono troppo agitata per parlarne. Non è successo nulla di così grave ma… ho bisogno di sbollentare un po’… scusa… devo andare”.

“Capisco cosa vuoi dire, Rainbow Dash”, ammise l’altra con comprensione, “va pure”.

Prima che il pegaso si allontanasse, Sunshine le rivolse un’ultima domanda: “Tornerai ancora?”.

“Non lo so. Ora come ora credo sia meglio se non ci vedremo per qualche tempo”, rispose con dispiacere, e si tuffò in picchiata, per tornare da Fluttershy.

Sentiva molte emozioni scontrarsi dentro di lei: avrebbe voluto fare ordine e cercare un appiglio ma la rabbia ancora le scorreva nelle vene, offuscandole il pensiero razionale.

“Stupido, stupidopegaso”, pensò, gettandosi a capofitto verso la Everfree Forest.
   
 
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