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Autore: Lantheros    06/04/2013    0 recensioni
Un luogo lontano e dimenticato.
Quando ancora tutto era vago e indefinito.
Esseri primordiali si affacceranno al mondo, con arcani e misteriosi progetti da compiere.
Un giovane alicorno si ritroverà gettato in un universo strano e cangiante.
Le sue paure emergeranno all'improvviso, gettandola nel panico.
Ma anche nell'oscurità più profonda si può nascondere una piacevole sorpresa.
Spiriti e strani misteri insegneranno ad un piccolo pony cosa significa andare oltre l'apparenza.
Tramite essi, arriverà ad amare la fredda pietra, a compiere un passo importante e a decidere le sorti del creato.
E quando tutto sembrerà volgere al peggio... tutto andrà bene. Se ancora non va bene... è perchè ancora non è la fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Princess Celestia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Osserva attentamente l’orizzonte. Che cosa vedi?”, le chiese la madre.

La piccola si concentrò sul paesaggio bucolico, che si intravedeva dalla finestra: “Io… vedo il cielo… le distese erbose, le colline”.

“Non c’è nient’altro, secondo te?”.

L’altra si fece pensierosa.

“Uhm… gli alberi?”, chiese con insicurezza.

“Mia cara Celine, nella vita esistono cose che si possono osservare con gli occhi… e cose sfuggevoli, in grado di ingannare i nostri sensi”.

“Mamma… non capisco”.

“Sai cosa vedo io?”, continuò la madre, con un dolce sorriso, “Vedo una terra ricca e fertile. Vedo la vita sbocciare in ogni angolo del mondo. Sento le risate, la gioia ed anche i pianti ed i turbamenti di mille entità diversificate. Anche tu dovrai imparare a percepire le possibilità come una potenziale realtà. Sarà il tuo primo passo per adempiere al tuo destino”.

“Il mio destino?”, chiese, corrugando un sopracciglio.

“Non ti preoccupare”, la rassicurò, “Presto ti sarà tutto più chiaro”.



*** ***** ***



    Ci fu un tempo, in un luogo lontano e ormai dimenticato, in cui il Mutamento ebbe inizio. Un tempo e un luogo immemori, distanti da tutto ciò che si potrebbe definire familiare.

Prima ancora che zoccolo si posasse sul terreno, prima ancora che le ali sferzassero l’aria nel cielo, prima ancora di poter udire le voci della vita, il Creato era un ribollente calderone di caos.

Le lande si stagliavano a perdita d’occhio, lasciando posto ad erbose colline e montagne così massicce da scomparire tra le nubi di bassa quota. La vegetazione, dai piccoli cespugli alle querce imponenti, dipingeva casualmente il paesaggio con trame maculate, quasi si trattasse della tela di un pittore un po’ folle.

    In mezzo all’ enorme Mutamento, si ergeva una zona di apparente stabilità: un posto sicuro, ricoperto da un curioso assembramento di enormi arbusti, dai rami sorprendentemente nodosi. Qualcuno ne aveva trasformato l’interno legnoso in un luogo in cui vivere, ricorrendo a poderose forze magiche per evitare che la pianta soffrisse e morisse. Curiose finestre asimmetriche e piccole balconate sbucavano qua e là tra il fitto fogliame.

Intorno vi era radura erbosa a perdita d’occhio, delimitata da una fitta foresta ai piedi delle montagne. Un fiume poco distante, quando il sole lo colpiva con la giusta angolazione, iniziava a scintillare, come tempestato di diamanti.

Il vento diurno scorreva dolce e tiepido sull’erba, creando moti ondosi dalle sfumature dorate. Di notte, invece, il cielo si arricchiva di stelle e satelliti luminosi dalle dimensioni più disparate, completando il quadro con i versi delle creature notturne.

Chiunque si fosse trovato in quel luogo, strano e suggestivo, avrebbe sicuramente percepito qualcosa di misterioso e arcano, come misteriosi e arcani erano gli abitanti: nessuno avrebbe saputo dire cosa fossero o da dove fossero venuti. Semplicemente, un giorno, giunsero dal cielo, ad ali spiegate e con chiome fluenti: stalloni e puledre dai manti color avorio, dalle scure tonalità dell’onice o scintillanti come smeraldi. Creature mistiche, dotate di corni magici dalle capacità strabilianti. Dèi, forse? Sarebbe stato difficile pensare il contrario.

Con i loro poteri costrinsero il caos a eclissarsi di fronte all’ordine, in quella grande radura, e fecero crescere le loro abitazioni da un giorno all’altro. Non erano molto numerosi, una dozzina appena, ma compirono in pochissimo tempo ciò che creature comuni avrebbero realizzato in mesi o forse anni.

   

Quello fu il tempo di un luogo dimenticato, in cui il Mutamento ebbe fine… solo per ripresentarsi più forte che mai, attraverso qualcosa che solo il cuore, e non l’occhio, avrebbe potuto comprendere.



*** ***** ***


    Celine distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo sul volto della madre: una splendida puledra color latte e dalla fluente chioma simile alle fronde dei salici. I due alicorni si trovavano ai piani superiori dell’abitazione arborea, dentro la stanza della piccola.

“Continuo a non capire, mamma…”, sbuffò.

“Capirai, presto capirai”, la rassicurò.

La puledrina aveva lo stesso manto di Ivory, sua madre, ma la criniera era più semplice, caratterizzata dalle tonalità del cielo e dei campi d’erba selvatica. Era anche molto giovane, con soli nove anni sulle piccole spalle.

“E poi c’è un’altra cosa”, aggiunse Celine.

“Cosa?”.

“Perché siamo dovuti andare via dal cielo e venire qui, sulla terra?”.

La madre sorrise e cercò di essere comprensiva: “So che avresti voluto rimanere tra i Lidi Celesti, piccola mia. E’ importante, però, che tu sia qui.”.

“Perché? Qui non conosco praticamente nessuno… e, effettivamente, non c’è nessuno nel raggio di chilometri”.

“Comprendo come ti senti”, continuò la puledra, passandole delicatamente una zampa sulla chioma, “E so che potrà sembrarti una cosa priva di senso”.

“Non dirmelo”, la anticipò, ruotando gli occhi verso l’alto, “Ora non posso capire ma presto sarà così, non è vero?”.

L’altra rispose con una risata innocente: “Sì, certo! Ma comunque sappi che sei qui per imparare più cose possibili su questo posto… cose che, sui Lidi Celesti, avresti solo potuto osservare”.

Celine fece un balzo sul materasso del letto, sorretto da un’impalcatura di lucida pietra runica, e appoggiò le zampe anteriori sul davanzale della finestra: “Imparare?”, sbottò, osservando la prateria sterminata, “Cosa c’è da imparare? Qui non c’è niente! Solo… erba e… piante e… altra erba!”.

Ivory sorrise di nuovo, beandosi della tenerezza per la figlia: “Come ho detto, piccola mia: alcune cose le vedi con gli occhi… altre… le vedi col cuore”.

La figlia percepì quelle parole come una vuota cantilena ma il suo entusiasmo si riaccese quando, all’improvviso, una figura scura saettò rapidamente all’esterno della finestra, accompagnata dal rumore di un battito d’ali.

“Papà è tornato!”, urlò con entusiasmo.


    Celine scese rapidamente le scale e si portò all’esterno, dove un maestoso stallone blu notte si ergeva sul terreno ad ali spiegate, appena conclusosi l’atterraggio. La sua chioma era fluida come acqua e, al suo interno, pareva balenare un cielo notturno tempestato di stelle. Gli occhi brillavano come oro fuso e, tra i denti, teneva serrata una briglia, collegata ad un paio di tiranti: questi terminavano su un grosso piedistallo fluttuante, a sostegno di un ingombrante oggetto indefinito, coperto da un telo.

“Papà!”, ripetè la piccola.

L’oscuro alicorno posò le briglie e accolse con piacere la figlia, pur mantenendo un certo distacco: “Ciao Celine. Ti sono mancato?”.

“Oh… beh, sì…”, rispose, con guance un po’ arrossate.

“Bentornato Dedalo, mio nero stallone“, lo derise giovialmente la compagna.

I due sorrisero e si sfiorarono reciprocamente la fronte, incrociando i corni.

“Cos’è quello?”, chiese la piccola, con il volto illuminato di curiosità.

Il padre abbassò il collo e si avvicinò a Celine: “E’ una sorpresa”.


    Il misterioso oggetto venne trasportato in casa e collocato al centro di una stanza adibita a laboratorio, ricolma di tomi polverosi, oggetti arcani e strane pietre luminescenti.

Dedalo strattonò il telo e lo fece cadere a terra, rivelando un semplice masso squadrato, estremamente voluminoso e simile al granito.

“Un sasso?”, berciò Celine, allibita, “Mi hai portato un… sasso?”.

“E’ quello che penso?”, chiese Ivory, osservando la pietra.

“Sì, mia cara, è il minerale incantato che cresce solo nel Mare Cinereo: il Mutamento dove prendono forma le conformazioni geologiche più interessanti”.

“Tu sei matto”, lo ammonì la puledra, “Sai quanto è pericoloso quel luogo?”.

“Tranquilla. Sai bene che sono molto prudente”.

“Che ci facciamo con questo coso?”, riprese Celine, delusa.

Il padre iniziò ad estrarre magicamente alcuni testi dalla libreria, vagliandoli uno per uno. Ad un certo punto esclamò: “Ecco qui: Animazione Effimera!”.

“Pensi possa funzionare?”, chiese la compagna.

“Non ne ho idea. Fino ad ora questi incantesimi sono stati utilizzati per animare oggetti basilari e per la durata di poche ore. Ma non vedo perché non dovremmo provare”.

“Non sarà… pericoloso?”.

Dedalo scosse il capo: “Sai bene come funziona la magia… è imprevedibile. Ma confido nelle nostre capacità. In caso di necessita”, aggiunse, “c’è sempre il contro incantesimo per distruggerlo”.

Il piccolo alicorno spostava freneticamente lo sguardo da un genitore all’altro, cercando di decifrarne le rispettive parole.

Lo stallone, dopo aver letto attentamente alcuni passi del libro, lo posò su una scansia e dichiarò: “D’accordo… proviamoci: state indietro”.

    La voce dell’incantatore cambiò immediatamente inflessione, assumendo tratti di riverbero mistico e sovrannaturale. Il corno sulla fronte prese a brillare debolmente e, dopo qualche istante, gli oggetti nella stanza iniziarono a vibrare.

Celine, leggermente intimorita, fece qualche passo indietro, urtando per sbaglio un leggio, su cui vide scorrere il calamaio, tanto erano forti le vibrazioni. L’intero edificio parve vittima di scosse di assestamento: soprammobili franarono al suolo e si udirono alcuni cocci spargersi per il pavimento.

Un gufo legnoso prese a bubolare improvvisamente, alcune sedie iniziarono a contorcersi tra scoppi di corteccia ed un libro d’ornitologia decise semplicemente di volare fuori dalla finestra, sbattendo la copertina.

La piccola ebbe paura, presto sostituita dalla meraviglia.

Un fulmine luminoso proruppe dal corno di Dedalo, investendo in pieno il masso, che si arricchì di venature multicolore, prima di esplodere sonoramente.

L’onda d’urtò scaglio frammenti e polvere ovunque, creando una fitta cortina fumosa. Gli alicorni presero a tossire insistentemente.

“Mamma! Papà!”, urlò Celine, cercando di vedere attraverso la polvere, “Dove siete? Cos’è successo?”.

Una piccola sfera di luce comparve sulla fronte della madre, illuminando meglio la stanza e permettendo alla figlia di raggiungerla con trepidazione.

“Che botto!”, esclamò lo stallone, visibilmente divertito.

“Ma cosa ridi?”, disse la madre con sguardo severo, “Guarda che disastro!”. La libreria era rovinata a terra ed il posto sembrava postumo dal passaggio di un branco di draghi.

“Questo lo sistemiamo. Guarda lì, piuttosto!”.


Di fronte alla famiglia, dove prima si ergeva il masso, c’era ora una imponente statua grigia, del tutto simile ad un pony adulto: soltanto la base delle zampe era un po’ più massiccia del normale, ed il volto incorniciato in un debole sorriso. Gli occhi erano privi di pupilla, donandogli, nel complesso, un aspetto vagamente inquietante.

“Cosa… cos’è quello?”, chiese timidamente Celine.

“Sai”, rispose la madre, “io e tuo padre avevamo pensato di darti un po’ di… compagnia, per le occasioni in cui i doveri dovessero tenerci lontani”.

“Compagnia?”.

“Sì, piccola”, riprese Dedalo, “questo è un golem: un costrutto incantato che veglierà su di te”.

Il giovane pony osservò la statua con sguardo indeciso: “Cioè… quell’affare è vivo?”.

Lo stallone iniziò a rovistare tra i libri per terra, all’apparente ricerca di qualcosa: “Vivo? No, si tratta di un semplice oggetto animato. Ma potrà comunque starti vicino se ne avrai bisogno”.

“Dici sempre che non conosci nessuno… che non hai amici da queste parti”, aggiunse Ivory.

“Dovrei diventare amica di… di una statua? E poi non mi sembra si stia muovendo”.

“Questo perché”, biascicò il padre, estraendo un piccolo portagioie dal disordine, “gli manca ancora questo”.

L’incantatore ne rivelò il contenuto: una gemma vermiglia grossa quando una mela e dal taglio a lacrima. Si avvicinò al pony di granito, identificando una insenatura sul petto, che avrebbe ospitato perfettamente il monile, e lo incastonò al suo interno. Il corno sfiorò delicatamente la base del collo della statua e, unitamente ad alcune parole, provocò un’intensa luminescenza rossa alla gemma.

Tutti fecero qualche passo indietro.

“Beh?”, esclamò la figlia.

“Uhm… non capisco”, rispose l’alicorno, riprendendo a sfogliare qualche altro libro, “Aspetta, forse ci sono. Golem: avvicinati”.

Per qualche istante non accadde nulla ma, poi, lo stallone di granito prese a muoversi verso i presenti, con passi lenti e pesanti, facendo scricchiolare il parquet e riversando la polvere che gli si era accumulata sulla groppa. Alcuni oggetti sul percorso vennero inavvertitamente sbriciolati dalla massa del costrutto.

Celine aprì la bocca dallo stupore e la madre sbottò: “Dedalo! Ha appena distrutto quel fermacarte!”.

“Oh, scusami, cara! Golem: fermati!”. Il golem si arrestò.

“Forte!”, sussurrò la piccola.

“Ah! Funziona!”, esultò il pony dal manto stellato.

“Spero ne valga la pena. Il tuo… pony di pietra ci è costato mezzo laboratorio, quasi…”.

“Beh, è stato creato per nostra figlia ma potrebbe aiutarti nelle faccende domestiche, no?”.

“Può farlo?”, si domandò la compagna, osservando il costrutto con diffidenza.

    La testa del golem si mosse lentamente verso di lei, producendo un rumore simile a pietre scricchiolanti, e parlò. Fu una sorpresa per tutti constatare come il golem non parlasse attraverso la bocca, che era solo scolpita sul muso, e quindi immutabile, ma bensì attraverso gli occhi: la voce usciva atona, inespressiva e priva di personalità, come un qualche tipo di vibrazione arcana, accompagnata da bianca luce oculare che cresceva o diminuiva d’intensità a seconda della cadenza del suono.

“Il golem eseguirà al meglio le volontà dei loro creatori”, rispose la statua.

“Oh… bene”, farfugliò l’alicorno bianco, “Tra l’altro… perché sorride?”.

Dedalo si passò uno zoccolo sotto al mento: “Il libro diceva di immaginare la forma che avrebbe dovuto avere la creazione e, pensando a nostra figlia, mi è venuta in mente la figura di un pony vagamente sorridente”.

“Sì, mi pare una buona scelta”.

Intanto, la piccola Celine si era avvicinata cautamente alla strana creatura, che aveva risposto osservandola con la testa piegata su un lato, quasi volesse mostrare una crescente curiosità.

“Ti piace?”, chiese dolcemente la madre.

“Io… io non saprei. E’ strano”.

“Golem”, dichiarò il padre con tono autoritario, “io sono Dedalo e loro sono Celine e Ivory. Siamo i tuoi creatori. Il tuo compito è servirci. Non dovrai fare altro se non questo, e occuparti della piccola. Hai capito?”.

“Il golem comprende, mio creatore”, rispose immediatamente, con intensa luce bianca.

“Ottimo. Non dovrai prestare attenzione e tantomeno non dovrai ubbidire a nessun altro a parte noi. La tua priorità è vegliare su Celine, ad ogni costo”.

“Il golem comprende ogni parola, mio creatore”.

“E…”, aggiunse la madre un po’ timidamente, “che ne diresti di dare una sistemata a questo caos?”.

Il costrutto si guardò attorno, alzò uno zoccolo e vide i resti del fu fermacarte: “Il golem… chiede perdono. Il golem provvederà a porre rimedio al meglio delle proprie capacità”.

“Oh, grazie al cielo”, sospirò Ivory.

“Visto? Sarà utile per tutti. Inoltre ho intenzione di istruirlo su concetti basilari, in modo che sia in grado di rispondere al meglio alle nostre esigenze”.

La madre posò lo sguardo sull’incuriosita Celine, intenta ad osservare il golem nei primi tentativi di ripulire la stanza: “C’è da fidarsi a lasciarli soli?”.

“Non temere. Effettuerò diagnosi periodiche per monitorare i suoi livelli entropici. Se dovessero fuoriuscire dai limiti, non esisterò a prendere provvedimenti”.

La compagna non parve completamente convinta: “E’… è solo un costrutto animato, giusto?”.

“Certo. Che altro dovrebbe essere?”.

“E’ solo forza magica, no? Come una zampa dentro la marionetta?”.

“Uh… sì più o meno. Solo forza magica, con dei limiti imposti dall’incantesimo che gli impediscono di disubbidire o danneggiare altre forme di vita”.

“Quando ero piccola”, concluse Ivory, con lo sguardo fisso sulla gemma luminosa del golem, “osservavo spesso gli spettacoli di marionette. Certe volte… mi sembravano così… vive”.  photo Mutamenti_01.jpg
   
 
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