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Autore: Lantheros    06/04/2013    2 recensioni
Equestria 1920.
Il Governo Celeste ha imposto il proibizionismo sulla vendita di alcolici e bandito l'uso della magia.
I produttori di alcolici si trovano quindi col sedere per terra. Coloro che decidono di sottostare al decreto... sprofondano.
Chi vuole restare a galla... ha solo un'opzione. Contrabbando.
E una puledra dalla chioma dorata si troverà in una difficile situazione. Quando le sue vendite crolleranno improvvisamente... usciranno fuori trame e intrighi che renderano l'uso della forza maggiore l'unica soluzione possibile.
La fiction si svolge in un luogo "distorto" della classica Equestria.
Il tono è noir, con un preponderante lato pulp. Non mancheranno inseguimenti, sparatorie e qualche parolaccia (niente di eccessivo). Non vedrete di sicuro il Barone Rosso, ma state sicuri che i pegasi armati di gatling reggeranno il confronto.
Applejack svolge un ruolo da protagonista dominante ma a lei si affiancheranno tutte le sue amiche, formando un gruppo "vecchio stampo" tipico dei fumetti d'epoca, decisamente pulp.
Genere: Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Applejack, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Applejack infilò le chiavi nella serratura dell’ingresso di casa, con l’intento di entrare, ma poi si fermò per un istante.

“AJ?”, chiese il fratello.

Lo sguardo del pony si incupì: “Questa faccenda ci sta rovinando tutti… come possiamo competere con i FlimFlam Brothers?”.

“E’ tardi. Siamo stanchi. Domani penseremo a qualcosa”.

La sorella si voltò verso di lui e aggiunse: “Ho seriamente paura per le sorti della nostra famiglia…”.

“Lo so. Anche io sono preoccupato”.

“Il Decreto ci ha buttati col culo per terra e, proprio quando le cose riprendevano per il meglio… quei due bastardi ci soffiano il mercato”, continuò con rabbia.

“E’ inutile stare qui a lamentarsi, AJ”.

“Lo so… però…”.


Un fruscio nell’erba lontana attirò l’attenzione dei due. Qualcuno, nell’oscurità, si stava dirigendo verso di loro. La nonna, sempre nella sua postazione sulla seggiola, tirò fuori un fucile a canne mozze da sotto lo scialle e, con voce sdentata, esclamò: “Hai tre scecondi per dirmi chi scei e coscia vuoi, altrimenti ridipingo le pareti del fienile con le tue scervella!”.

La sagoma in penombra si avvicinò con cautela, rilevandosi Spike, il drago viola, con le zampe rivolte verso il cielo ed un fiatone esasperato.

“Sono io! Sono io, Spike! Non sparate, per San Pietro!”.

“Spike?”, chiese Applejack con sorpresa.

Big Macintosh fece cenno alla nonna di abbassare il fucile.

“Che ci fai qui?”.

Il drago si fermò qualche secondo, con le mani sulle ginocchia, per riprendere fiato e poi rispose: “C’è… c’è stato un casino alla bottega!”.

“Che genere di casino?”, chiese l’altra con sospetto.

“La Guardia Celeste! Un manipolo di agenti, capeggiato da un tizio con un mandato, ha fatto irruzione nello scantinato!”, biascicò con agitazione, “Twilight li sta trattenendo… io ero fuori a fumarmi un sigaro e così non mi hanno visto… non sapevo cosa fare e sono corso a cercarvi!”

Applejack si incupì: “E perché dovrebbe fregarcene qualcosa? In fondo non solo affari??”, sbottò.

“AJ…”, l’ammoni il fratello.

Il pony osservò il volto preoccupato di Spike, si guardò attorno, tirò le chiavi della macchina al drago e concluse: “…Al diavolo. Mac, vieni con me. Tu, Spike, metti in moto”

I fratelli entrarono frettolosamente in casa ed estrassero una coppia di Colt calibro 38 da un cassettone, inserendo rapidamente le pallottole nel tamburo.

“Prendi qualche scatola di munizioni, non si sa mai”, disse Applejack.

“Vorrai mica scatenare una sparatoria?”.

“Assolutamente no ma la prudenza non è mai troppa”. Il fratello annuì.


    La coppia uscì di casa e salì sulla Dodge lì vicino: Spike era al volante, visibilmente agitato.

“Andiamo alla bottega, Spike”.

“Farò un giro largo, in modo da non dare nell’occhio”, dichiarò il drago, premendo sull’acceleratore.

“Ce ne sono così tanti?”, chiese Macintosh.

“Almeno una dozzina”.

“E noi cosa possiamo fare?”, ribatté lo stallone.

La macchina uscì dalla campagna e prese a saettare per le strade periferiche di Ponymood.

Il drago cercò di formulare un piano e poi rispose: “Forse… potreste entrare dal retro. C’è una botola nascosta in un viale, che usiamo di solito per… uh… sbarazzarci degli esperimenti… riusciti male”.

“Quello, oppure tanto vale bussare e chiedere una visita di cortesia”, ironizzò Applejack.


    Il veicolo entrò nel quartiere della bottega, rallentando sensibilmente. Spike posteggiò in una strada non illuminata e spense motore e fari.

Da lontano, erano visibili l’edificio ed un pugno di macchine della Guardia: due agenti picchettavano l’ingresso con attenzione.

“Tu aspetta qui”, disse Applejack, rivolgendosi al guidatore, “e non dare nell’occhio. Quando ci vedi tornare, metti in moto e preparati a sgommare verso la tenuta Apple”.

Spike annuì, accendendosi un sigaro con zampe tremanti.

I fratelli scesero cautamente dall’auto e controllarono un’ultima volta il tamburo delle pistole, chiudendolo infine con uno scatto metallico. Proseguirono con attenzione attraverso i viottoli che conoscevano come le loro tasche, sicuri di non essere visti.

Giunsero infine al retrobottega e, dopo aver cercato un po’, localizzarono una botola semiaperta, nascosta da una siepe incolta. Scesero cautamente una rampa di scale e si fermarono di fronte ad una porta, da cui proveniva il vociare di alcuni pony.

I fratelli sollevarono le pistole, pronti a far fuoco, ed Applejack spinse dolcemente la porta, osservando la scena dalla fessura: Twilight era poco più in là, con le spalle rivolte verso di lei, intenta a discutere con un agente in impermeabile. Tutt’intorno, la Guardia Celeste ispezionava e metteva a soqquadro l’intero laboratorio dell’unicorno.

L’intrusa affinò l’udito, cercando di decifrare il dialogo.


“Ce n’è abbastanza per sbatterti al fresco a vita, mia cara”, sentenziò Hound con fierezza.

Twilight inscenò una faccia da poker e farfugliò: “Io… io non so di cosa stia parlando, agente… qui ci sono solo i miei… ingredienti per i tonici rinvigorenti e…”.

“Alcol buongusto, signore, e del sidro dall’odore strano in quest’altro contenitore”, dichiarò una Guardia. Hound sorrise compiaciuto.

Twilight prese a sudare freddo. Il suo corno si illuminò debolmente e poi dichiarò: “Oh no, quello è solo un… aroma per della soda speciale”.

La sagoma di Grey Hound venne percorsa da alcune onde luminose, simili ad increspature nell’acqua: “Bene! Utilizzo non autorizzato di magia illusoria! Pensavi che il più grande segugio di tutta Counterlot potesse farsi infinocchiare da un unicorno da quattro soldi? Stai solo peggiorando la tua situazione…”.

Sparkle vide svanire ogni speranza. Abbassò lo sguardo e, con rassegnazione, si girò e sussurrò: “D’accordo agente… mi segua…”.

Per una frazione di secondo, l’unicorno riconobbe Applejack dietro alla porta sul retro ed il suo viso si riaccese: si assicurò che Hound non se ne fosse accorto ed improvvisò una scenetta per raccogliere un po’ di tempo.

“Uh… signor agente?”, chiese, senza voltarsi, “Se dovessi collaborare otterrei uno sconto della pena?”.

Grey si impettì: “Non lo so, ragazza. Io prendo la feccia come te, poi sarà il Tribunale Celeste a stabilire la fine che farai. Sicuramente la collaborazione è meglio della resistenza, comunque”.

“Capisco… allora vorrei consegnarle spontaneamente della merce compromettente”, concluse, chinandosi su una cassa ai piedi di un massiccio bancone in legno.

L’unicorno prese a frugare nel contenuto ed Hound, spazientito, tagliò corto: “Basta farmi perdere tempo. Non c’è nulla che tu possa fare ormai per salvarti la pelle, ragazza”.

Twilight si abbassò lentamente gli occhiali da saldatore sul muso: “C’è sempre la possibilità di salvarsi”.

“Ah!”, la derise l’agente, “E come potresti salvarti? Grazie al tuo famoso ‘potere dell’amicizia’?”.

“No”, rispose l’unicorno, voltandosi con una granata militare nello zoccolo, “grazie al potere del trinitrotoluene”.

Il pony lasciò cadere l’ordigno che, in una scena al rallentatore, rimbalzò pesantemente sul pavimento ai piedi dell’agente: la spoletta saltò via e tutti i presenti ammutolirono. Hound assunse un’espressione scocciata: “dannazione”.


Twilight fece appena in tempo a gettarsi oltre al bancone, prima che un’esplosione colossale investisse gli occupanti.

Dall’esterno, il rinculo sonoro fu così massiccio che le vetrate esplosero ed un fungo fumoso venne rigettato violentemente dal comignolo.

Colpi di tosse e lamenti si diffusero per tutto il laboratorio. Quando il fumo si diradò, comparve la figura di Grey Hound, completamente illesa, come se l’esplosione non lo avesse minimamente scalfito. Una luce sovrannaturale illuminava il suo corno, sotto al cappello.

“Ora!”, urlò Applejack, spalancando la porta.

I fratelli entrarono ed iniziarono a riversare piombo nella stanza, addosso agli agenti ancora storditi. Hound si buttò dietro un riparo ed estrasse una pistola da sotto l’impermeabile. I suoi colleghi cercarono qualcosa dietro cui nascondersi e, a loro volta, presero a rispondere con armi da fuoco, colpo su colpo.

L’intero seminterrato si saturò di rumore di spari, schegge di legno volanti e impatti metallici del piombo sugli alambicchi. Alcuni contenitori in vetro si ruppero, riversando il contenuto da tutte le parti.

Twilight prese un fucile da caccia, che teneva sotto il bancone, e lo vuotò completamente sparando alla libanese.

“Fuori di qui!”, esclamò Macintosh, dopo aver ricaricato il tamburo.

I tre presero a ripiegare, coprendosi a vicenda durante la fuga, percorrendo il passaggio sul retro.

Il caos si placò per qualche istante e Hound sbraitò: “Inseguiteli, maledizione!”.


    I pony si riversarono nei viottoli, galoppando come se avessero il diavolo alle calcagna, in direzione dell’auto.

Spike li stava aspettando, picchiettando nervosamente le dita sul volante: accese la macchina e fece rombare il motore.

“Vai! Vai!”, urlò Applejack, quando furono tutti sopra.

La macchina acquistò velocità e i due agenti all’ingresso della bottega salirono rapidamente su una volante, mettendosi al loro inseguimento.

“Cos’è stato quel botto?”, chiese il drago preoccupato.

“Taci e guida!”, berciò Twilight, rimettendo gli occhiali sulla fronte e rivelando una mascherina ancor più in contrasto di prima.

Si udirono alcuni spari ed il lunotto posteriore esplose.

Spike abbassò istintivamente la testa e prese ad imprecare come un forsennato.

“Mantieni la calma, ragazzo!”, esordì Macintosh, passando il proprio revolver all’unicorno viola.

Applejack e Sparkle si sporsero dai finestrini posteriori e presero a ricambiare il favore.

    Le macchine iniziarono a sfrecciare tra i lampioni delle strade, sterzando, schivando passanti terrorizzati e sbriciolando piccole siepi di mezzeria.

L’autista della Dodge prese a mischiare preghiere e bestemmie.

“Sono scarica!”, dichiarò Applejack.

“Io pure”, rispose l’altra, indirizzando gli ultimi colpi sugli inseguitori.

La volante accelerò bruscamente, portandosi di fianco ai fuggiaschi.

“Arrestate il mezzo e arrendetevi!”, urlò il passeggero, puntando un’arma dal finestrino.

“Nope”, rispose l’imponente stallone, aprendo violentemente la portiera, che li investì come una cannonata. La volante sbandò per alcuni metri, si rimise sulla scia della Dodge e riprese a sparare.

Sparkle indossò nuovamente gli occhiali e urlò: “Ora mi sono stufata…”. L’unicorno si sporse così tanto dall’abitacolo che l’amica dovette trattenerla per il camice: la sua fronte si illuminò di luce accecante ed emise una spettacolare bolla traslucida verso gli inseguitori.

La macchina della Guardia Celeste si infranse contro la sfera magica, come se fosse fatta di granito: l’anteriore si accartocciò completamente e l’impatto fu così violento da sollevare il culo dell’auto per aria. Il mezzo volteggiò alcune volte, a parecchi metri da terra, prima di ricadere rumorosamente sull’asfalto.

“Uooh…”, esclamò Spike meravigliato, con gli occhi inchiodati sullo specchietto retrovisore, “quand’è che avresti imparato quella roba??”.



*** ***** ***


Il gruppetto guidò ancora per alcuni isolati e, quando fu sicuro di non essere pedinato, accostò al lato di una strada deserta.

I passeggeri scesero a terra, eccetto Spike che fece cadere pesantemente il capo sul volante, sospirando.

Twilight era visibilmente turbata e prese a camminare ossessivamente su e giù per l’asfalto.

“Maledetti… maledetti… bastardi figli di…”.

“Si può sapere cosa ci facevano tutti quegli agenti da te?”, chiese Applejack con foga.

“Vorrei saperlo anche io, cosa credi?”, ribatté l’altra, “Avevano un mandato! Com’è possibile?”.

Big Macintosh ascoltò lo scambio di battute in silenzio e poi esordì: “Solo chi è a conoscenza della tua attività avrebbe potuto passare una soffiata…”.

“Lo so! Merda! Qualcuno ci ha venduti, Spike!”.

“Chi potrebbe averlo fatto?”, chiese il drago, accorgendosi di aver terminato i sigari.

I quattro si fecero pensierosi e nessuno riuscì ad avanzare un’ipotesi.

Applejack ruppe il silenzio: “Fra poche ore sarà l’alba… non è sicuro restare in città”.

Sparkle si incupì: “La mia bottega è praticamente distrutta… e poi brulicherà di agenti… non so dove andare”.

La compagna di fuga si sforzò di risponderle: “Puoi… puoi sempre venire da me, giusto finché le acque non si saranno calmate”.

L’unicorno la guardò con sorpresa: “Io… io non so se…”.

“Andiamo, Twilight!”, intervenne Spike, “Piantala con questa storia degli affari… Eravate amiche e non mi sembra il caso di fare i pignoli in un momento simile…”.

Sparkle manifestò un certo disagio: “…va bene. Sempre se non è un disturbo”.

Applejack sorrise: “Certo che no… finchè non mi fai saltare in aria la tenuta…”.


    Bic Macintosh strizzò gli occhi verso un punto lontano della città: “Cos’è quello?”, si chiese.

I presenti si voltarono e videro un bagliore rossastro tra alcuni distanti edifici cittadini.

“Sembrerebbe…”, buttò lì Spike.

“…fuoco …un incendio”, continuò Twilight.

“Sbaglio o quello… è più o meno dove si trova il Sugarbooze Corner?”, sussurrò Applejack, sperando di sbagliarsi, “Forse dovremmo controllare…”.

“E’ troppo rischioso!”, rispose il drago.

Ci fu un po’ di titubanza generale ma, alla fine, il pony di terra dichiarò: “Avviciniamoci con l’auto, senza dare nell’occhio. Se vediamo qualche agente: dietro front e chiudiamo la faccenda”.

“Non sono convinto”, ripeté Spike.

“Se Pinkie è nei guai… dobbiamo almeno dare un’occhiata…”.


    I riflessi dell’incendio percorrevano finestrini e carrozzeria della Dodge nera, mentre si avvicinava a passo d’uomo verso il locale. I passeggeri osservarono la scena con stupore: l’intero Sugarbooze Corner era uno scheletro scuro ingoiato dalle fiamme, che donavano al quartiere un inquietante colore vermiglio.

I pompieri si muovevano freneticamente con gli idranti, cercando di contenere il disastro, mentre alcuni curiosi avevano fatto cerchio, a debita distanza, per osservare lo spettacolo.

Spike abbassò lo sguardo e riconobbe la figura di Pinkie Pie, seduta davanti all’edificio ormai condannato, con il volto illuminato dal fuoco. Il drago strinse i denti dalla paura: la criniera del pony rosa era completamente liscia, come se fosse stata passata alla piastra, ed i suoi occhi puntavano in direzioni improbabili, come quelli di un camaleonte. Le pupille erano ristrette al massimo ed un sorriso terrificante incorniciava l’intero volto.

La macchina si fermò ed i pony si avvicinarono con circospezione all’amica: nessun agente in vista.

“Pinkie?”, chiese Applejack con titubanza. L’altra non mosse un muscolo, immortalata nell’inquietante sorriso.

“Ehy, Pinkie”, tentò Twilight.

Ci fu una lunga pausa. Spike si guardò attorno, un po’ spazientito, e sbottò: “Yo! Pinkie! Ci sei?”.

Il pony si voltò di scatto ed il drago fece un balzo all’indietro.

“Sììì?”, chiese con vocetta stridula.

“Uh… ehm…”, farfugliò il drago, “Va… va tutto bene?”.

“Che è successo al locale? Chi è stato?”, chiese Applejack.

“Oh! Il locale! Hai visto che belle le nuove luminarie??”, rispose con follia.

“Uuh… certo, dolcezza… bellissime… e… chi le avrebbe installate?”.

Pinkie, molto lentamente, tirò fuori la fiaschetta e la vuotò completamente, in un sol sorso. Ebbe l’ennesimo tic, afferrò l’amica per i risvolti del gessato e inchiodò lo sguardo al suo.

“Non so chi sia stato”, ringhiò a denti stretti, “ma se lo prendo ti assicuro che la morte gli sembrerà una scampagnata nei boschi”.

“Ehm… certo, dolcezza…”.

Il pony rosa si ricompose all’improvviso: lo sguardo si fece triste e si mise a piangere, senza ulteriori esternazioni di pazzia.

Twilight le passò una zampa attorno alla groppa: “So cosa vuol dire perdere il proprio locale…”.

Il gruppetto si scambiò sguardi interrogatori e, alla fine, Big Macintosh sentenziò: “Questa è… guerra”.

   
 
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