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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Equestria 1920.
Il Governo Celeste ha imposto il proibizionismo sulla vendita di alcolici e bandito l'uso della magia.
I produttori di alcolici si trovano quindi col sedere per terra. Coloro che decidono di sottostare al decreto... sprofondano.
Chi vuole restare a galla... ha solo un'opzione. Contrabbando.
E una puledra dalla chioma dorata si troverà in una difficile situazione. Quando le sue vendite crolleranno improvvisamente... usciranno fuori trame e intrighi che renderano l'uso della forza maggiore l'unica soluzione possibile.
La fiction si svolge in un luogo "distorto" della classica Equestria.
Il tono è noir, con un preponderante lato pulp. Non mancheranno inseguimenti, sparatorie e qualche parolaccia (niente di eccessivo). Non vedrete di sicuro il Barone Rosso, ma state sicuri che i pegasi armati di gatling reggeranno il confronto.
Applejack svolge un ruolo da protagonista dominante ma a lei si affiancheranno tutte le sue amiche, formando un gruppo "vecchio stampo" tipico dei fumetti d'epoca, decisamente pulp.
Genere: Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Applejack, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aveva ormai perso la nozione del tempo, quando qualcuno decise finalmente di sciogliere il nodo e liberargli la testa dal sacco di iuta.

Il pony si ritrovò in una stanza scura, legato saldamente ad una sedia.

Di fronte a lui, altri quattro pony ed un drago viola lo scrutavano con attenzione. Si guardò attorno con preoccupazione, cercando di mantenere la calma, con scarso successo.

“Chi… chi siete?”, balbettò.

Big Macintosh lo colpì violentemente.

“Non fai tu le domande, qui”, rispose Applejack.

Twilight si fece avanti con foga, scuotendolo per il colletto. L’unicorno indossava ancora il camice da macellaio ma si era liberata dei guanti di gomma: “Parla, bastardo! Siete stati voi?”.

“Di cosa stai parlando?”, chiese impietrito.

“Di questo!”, urlò l’altra, schiaffandogli la pagina di un quotidiano sul muso, “Ti dice niente?”.

Il pony mise a fuoco l’immagine e vide le foto della bottega e del Sugarbooze in fiamme, in un ampio articolo di testata.

“Cosa? Che centro io?”.

“Amico”, intervenne Spike, con rinnovato sguardo di noia, “più la fai difficile… e più ti farai male”.

“Io non so nulla!”.

Big Macintosh gli diede un’altra ripassata e, alla fine, Applejack gli sollevò il muso, livido di botte: “Ascolta… sappiamo che lavori per i fratelli”. A quelle parole, il pony sudò freddo. L’altra continuò: “Vogliamo solo sapere se centrate qualcosa in questa faccenda. Sii ragionevole. Rispondi e potrai andartene sulle tue zampe”.

Il prigioniero scrutò nuovamente i loschi sguardi dei rapitori e si fece forza per resistere: “Io… io non posso dire nulla… o mi faranno fuori”.

“Ha più paura di loro che di noi, AJ”, riprese il fratello, “E finché sarà così allora non credo riusciremo a scucirgli nulla”.

Applejack si tirò indietro ed ebbe un rapido scambio di battute con un pony nell’oscurità.

“Se non ha paura di noi…”, rispose la sorella con tono solenne, “…allora gli daremo un buon motivo per averne”.

    Un fastidioso rumore di ruote cigolanti precedette un piccolo carrello di metallo, sospinto fuori dall’ombra: su di esso era collocato un panno sporco, a coprire qualche attrezzo non meglio identificato.

Pinkie Pie lo aveva dolcemente mosso dinnanzi al preoccupato ospite. La sua chioma era di nuovo riccioluta e vaporosa… ma lo sguardo trasudava insanità mentale da far accapponare la pelle.

Il pony, incapace di muovere o dimenarsi, deglutì rumorosamente.

Applejack lo ammonì un’ultima volta: “Sei sicuro che il tuo silenzio valga tanto?”.

L’altro sembrò sul punto di cedere ma, con un ultimo sforzo di volontà, assunse un’espressone di diniego.

“Come vuoi”, concluse, facendo un cenno a Pinkie.


Il pony rosa sollevò il telo, mettendo in mostra un rudimentale (e logoro) arsenale di coltelli, lame e inusuali oggetti da cucina.

“Che ne dici di preparare dei cupcakes??”, esordì, sollevando una coppia di coltelli e gettando un’occhiata omicida al prigioniero.

Il malcapitato prese ad agitarsi inutilmente, man mano che il filo dell’arma si avvicinava al suo viso.

Quando percepì la pungente sensazione del metallo sul mento, crollò: “Confesso! Confesso! Vi dirò tutto!”.

Twilight abbassò la zampa dell’amica rosa, visibilmente delusa dalla rapidità con cui l’altro aveva ceduto.

“Allora parla! Che mi dici della bottega e del Sugabooze Corner?”, incalzò Applejack, battendo uno zoccolo sul carrello.

“Sono stati loro! I fratelli! FlimFlam! Ci hanno ordinato di informare la Guardia Celeste! Gli abbiamo anche fornito i registri con le vendite illegali dell’unicorno!”.

Twilight si innervosì: “Cosa? Perché avrebbero dovuto farlo? Eravamo in affari!”.

“I fratelli hanno costruito un loro laboratorio personale!”, biascicò il prigioniero con affanno, “Dopo che gli hai venduto il composto, l’hanno analizzato e replicato! Così non sei diventata altro che uno scomodo concorrente per i loro piani!”.

L’unicorno macinò quelle parole e, alla fine, si allontanò pensieroso.

“E cosa mi dici del mio locale, eh??”, lo minacciò Pinkie con la lama.

“Aah!”, urlò l’altro, “Il… il Sugarbooze Corner?? Sono stati loro! Anche lì! Hanno dato ordine di incendiare il posto!”.

“Perché proprio il Sugarbooze?”, chiese Applejack.

“E’ tutto collegato! Sapevano che l’unicorno trattava il sidro della Tenuta Apple, che lo girava poi sottobanco al Sugarbooze! Fatto fuori il locale della cervellona ed eliminato lo speakeasy a cui vendeva, la famiglia Apple sarebbe affondata e il sidro dei fratelli avrebbe ottenuto un consenso monopolizzato!”, si affrettò a concludere.

“Ora i conti tornano…”, sussurrò Macintosh.

“Non ci posso credere…”, disse a se stessa la sorella, “Tutto questo solo per farci fuori?”.

“Loro… loro vogliono azzerare la concorrenza, in modo da lanciare il prodotto senza rischi!”.

“Cosa intendi con ‘lanciare il prodotto’?”, chiese Twilight.

“Vogliono presentare un nuovo sidro come alcolico di punta! Non gli interessano i poveracci che vogliono solo sbronzarsi! Tra due giorni terranno un ricevimento di classe, in cui annunceranno tutto quanto!”.

“Impossibile”, rispose l’unicorno, “una cosa del genere attirerebbe l’attenzione dell’intera Guardia Celeste!”.

L’interlocutore parve sul punto di cucirsi nuovamente la bocca ma Pinkie lo fece desistere, arrotando i coltelli come in una macelleria.

“Nessuno potrà accorgersene!”, si affrettò a riprendere, “Perché vogliono tenere il ricevimento nel cielo!”.

“Nel cielo?”, sbottò Spike, incredulo.

“Sì! Nel cielo! Su uno zeppelin! Inviteranno tutti i riccastri di Ponymood!”.

“Questa poi!”, rispose il drago.


    Il gruppo allentò momentaneamente la presa e si radunò per fare il punto della situazione.

“Non ci posso credere… saranno pure una coppia di bastardi ma… bisogna ammettere che hanno pensato quasi a tutto…”, ammise Sparkle.

“Hai detto bene: quasi”, rispose Applejack con un sorriso beffardo.

“Io dico di fargliela pagare… vogliono farci sistematicamente fuori… non possiamo stare zitti a muso basso”, disse Spike, battendo i pugni tra di loro.

“Eyup”.

“Sì ma sono troppi… e poi è praticamente impossibile trovarli… far fuori gli scagnozzi ed i pesci piccoli non ci servirà a nulla”, riprese l’unicorno.

Applejack affilò il sorriso: “Non sappiamo dove sono… ma sappiamo dove trovarli fra due giorni!”.

“Non mi sembra una cosa semplice…”.

“Tranquilla”, la rassicurò l’amica, “andiamo a parlarne fuori, con calma…”.

    I presenti si accodarono davanti ad una porta ed iniziarono ad uscire.

“Ehy…”, esclamò Pinkie Pie, ancora con i coltelli tra le zampe e visibilmente delusa, “Pensavo avremmo preparato i cupcakes...”.

Applejack gettò uno sguardo disinteressato verso il prigioniero: “Bah, fa pure”.

Il pony sulla sedia strinse i denti dal terrore.

“Evviva!”, esultò Pinkie, “Ma nessuno vuole rimanere?”.

Spike, che era l’ultimo della coda, si fermò per un istante. Si sfilò il gilet che si era appena messo addosso, si mise comodo e prese ad accendersi un sigaro: “Massì… non ho mai visto preparare i cupcakes…”.

“Hai sentito?”, disse il pony rosa al malcapitato, con il riflesso dei coltelli negli occhi, “Abbiamo un pubblico… vedi di non farmi fare brutta figura!”.  



*** ***** ***



    Era mattina inoltrata ed il sole splendeva alto nel cielo. Il gruppetto si trovava in un campo di mele della tenuta Apple, attorno ad un tavolo su cui spiccavano caraffe di sidro.

“Dunque, cos’hai in mente, Applejack?”, chiese Twilight, asciugandosi il muso con una zampa.

“Come hai detto, non ci conviene far fuori i pesci piccoli. Dobbiamo puntare alla gola”.

“Mi hanno bruciato il locale! Facciamo fuori quegli infami!”, berciò Pinkie, dopo essersi pulita il viso con un fazzoletto macchiato di rosso.

Sparkle si massaggiò il mento: “Non vorrai mica attaccare uno zeppelin colmo di sicari?”.

“Più o meno…”.

“Non vedo come potremmo…”.

    In lontananza si udì un ronzio, simile al volo di un calabrone.

“Credo che parte della soluzione ai nostri problemi stia arrivando”, ammise Applejack compiaciuta.

I presenti alzarono gli occhi al cielo: un pegaso blu stava giungendo a volo spedito, in direzione del campo di mele. Quando fu sufficientemente vicino, prese a planare raso terra ed aprì un paio di borse laterali, da cui fuoriuscì una polvere giallastra. Il pegaso la sparse rapidamente per tutto il meleto, creando una scia che si volatilizzò lentamente. Iniziò quindi a cabrare, salendo di quota e procedendo ad alcune spettacolari evoluzioni aeree. Decise infine, dopo una piroetta, di atterrare a fianco del tavolo.

Rainbow Dash si picchiettò la giacca da aviatore, eliminando un po’ di polvere gialla, e spostò gli occhialoni da pilota sulla fronte, proprio sotto il ciuffo arcobaleno.

“Ma tu sei…”, esclamò incredulo Spike.

“…Rainbow Dash!”, continuò Twilight, “L’asso dei cieli della Guerra Equestre!”.

“Signori”, rispose Dash con orgoglio.

“Tu conosci Rainbow Dash?”, biascicò il drago, rivolgendosi ad Applejack.

“Certo”, ammise, “in effetti è da parecchio che la pago per disinfestarmi i meleti”.

“Da quando la guerra è finita”, disse il pegaso, afferrando un boccale di sidro dal tavolo, “ho dovuto arrangiarmi. Non avendo mai fatto altro che volare in vita mia… mi è sembrato un compromesso accettabile”.

“E’… è… fenomenale”, rispose Spike, “Ma… cosa centra Rainbow Dash con questa faccenda?”.

Applejack, tra un sorso e l’altro, aggiornò il pegaso sulla situazione.

“Brutta faccenda…”, decretò alla fine l’amica.

“Già… i fratelli stanno giocando davvero pesante. E non possiamo lasciare che facciano i loro porci comodi”.

“Porci e pure comodi, pensa te!”, esordì Pinkie Pie.

Dash posò il boccale: “Capisco il vostro disappunto, gente, ma… una fottuta famiglia di gangster? Non è un po’ troppo?”.

“Non pensavo ti facessi intimorire per una cosa del genere”, la stuzzicò Applejack.

“Non fraintendermi, AJ. Però ne ho viste di battaglie… e se non avete un piano… è peggio che volar di notte in una pineta”.

“Il piano c’è… solo che mi serve il tuo supporto… per lo zeppelin”.

Gli occhi di Rainbow si accesero di interesse. Applejack continuò: “E’ probabile che avranno una scorta aerea… e pensavo che tu, con la tua esperienza, potessi… insomma… darci una zampa”.

Il pegaso si fece pensieroso: “Non mi avevi parlato di uno zeppelin…”.

“Ho lasciato il meglio per ultimo”, sorrise ammiccando.

“E’ da un sacco di tempo che non faccio questo genere di cose…”, rispose l’altra con sguardo nostalgico, “Non so più da quant’è che non… impugno una sputapiombo”.

“Sputapiombo?”, sussurrò Pinkie a Twilight.

“Intende dire che è da un pezzo che non impugna un’arma”, rispose l’unicorno, aggiornando la mente del pony rosa.

“Non ti preoccupare, RD. Ai ferri del mestiere provvederò io!”, la rassicurò.

Dash ci pensò ancora qualche istante e, alla fine, le due amiche si colpirono vicendevolmente gli zoccoli: “Sono dentro, ragazzi!”, esultò, “Però prima… dovremmo fare una visita ad un certo pony…”.



*** ***** ***



    I cinque si fecero strada su piccole assi di legno marcescenti, poste precariamente tra alcune zolle di terra: tutti tranne Rainbow Dash, che fluttuava ad una spanna dalla melma.

“Cos’è questo schifo?”, lamentò il drago.

“Chi stiamo cercando nella palude?”, chiese Applejack con curiosità.

Rainbow Dash si incupì leggermente: “Voglio… contattare una vecchia conoscenza”.

“Chi??”, esclamò Pinkie impaziente.

“E’ una… compagna di battaglie”.

“E perché vive in una palude? Le piace forse l’aria umida? Le zanzare? La puzza?”, incalzò il pony rosa.

“Si è isolata dopo la guerra… ci sono stati alcuni… problemi”.

Twilight utilizzò la magia come sparti-fango: “Che genere di problemi? E perché la vuoi contattare?”.

“E’ una storia lunga… triste… comunque lei era la migliore, dopo la sottoscritta ovviamente, e potrebbe darci una zampa”.

“Se lo dici tu…”, concluse Spike, schifandosi per ciò che aveva appena calpestato.


    Una vecchia casa in rovina apparve dietro ad alcuni salici. Le pareti erano di legno ammuffito, con pannelli scheggiati o mancanti. Alcune finestre erano rotte ed aleggiava ovunque una stantia aria di abbandono.

Spike si grattò la testa sotto la coppola: “La tua amica abita in questo cesso?”.

Dash si preoccupò: “Non credevo si fosse lasciata andare fino a questo punto…”.

Spalancarono la porta, che si aprì con un cigolio sinistro, rivelando un salotto nella penombra, divorato dall’umidità e  dai rampicanti selvatici.

Il gruppo iniziò ad ispezionare le stanze, finché Rainbow, giunta in quella che un tempo era una cucina presentabile, esclamò: “Fluttershy!”.

L’amica era seduta ad un tavolino, con lo sguardo fisso nel vuoto, un bicchiere nello zoccolo e svariate bottiglie sparse per il pavimento. Sulla parete, insieme alle mensole, spiccava un paio di occhiali da aviatore appesi al muro. Una pesante e logora Fokker-Leimberger era poggiata contro il frigorifero, mangiato dalla ruggine.

La stanza si riempì con i visitatori e il pegaso continuò a fissare un punto indefinito davanti a se.

“Fluttershy… sono io… Rainbow Dash”, disse, ponendole uno zoccolo sulla spalla. L’altra non reagì.

Spike prese ad ispezionare la stanza, soffermandosi in particolar modo su una vecchia fotografia. Questa ritraeva Fluttershy, in tempi migliori, con un altro pegaso: dallo sfondo si intuiva che era stata scattata all’accademia di volo.

“Metti giù quella foto”, lo ammonì la padrona di casa.

“Fluttershy…”, sussurrò Dash, “Devi lasciarti il passato alle spalle”.

L’altra, per tutta risposta, vuotò il bicchiere. Rainbow cercò di allontanarla dal tavolo, senza risultati.

“Devi smetterla… è una vecchia storia che…” ma non riuscì a finire la frase poiché la compagna la afferrò per il colletto della giacca, intimandole: “Derpy non è una ‘vecchia storia’…”.

“Derpy?”, chiese Applejack.

Dash si liberò dalla presa e sospirò: “Derpy Hooves… era una aviatrice della nostra squadra…”.

Lo sguardo di Fluttershy si incupì ulteriormente.

“Non era esattamente un pilota provetto”, continuò il pegaso blu, “ma… quando la guerra incalzò, dovettero mandare ogni ala disponibile ad affrontare il nemico”.

“Lei non era pronta, lo sapevano benissimo”, rispose l’altra.

“Andiamo, Fluttershy! Quanti piloti inesperti sono morti per salvare la nostra patria?”.

“La fai facile, tu… Avevi già mesi di combattimento alle spalle… mentre Derpy è stata scagliata in mezzo ad uno scontro selvaggio, senza alcuna remora”.

“Ha combattuto per ciò in cui credeva! E’ stata abbattuta fronteggiando coraggiosamente il nemico!”.

Fluttershy si spazientì e rovesciò il tavolino di lato, rompendo alcune bottiglie: “No!”, urlò, “Derpy è morta sotto il mio comando! Cercando di salvarmi la vita, lo sai bene!”.

I presenti si scambiarono sguardi imbarazzati.

“Non è una scusa per gettare via la propria vita come stai facendo tu! Isolata in una palude, ad ammazzarti con alcol vecchio di dieci anni!”.

“Faccio quello che mi pare”, concluse l’altra, abbassando lo sguardo.

Dash si irritò: “Se davvero tenessi a Derpy e al suo sacrificio, non getteresti alle ortiche il suo gesto, come stai invece facendo ora!”.

L’amica trattenne un fremito di rabbia e poi la liquidò rapidamente: “Tu non sai come mi sento… ora fuori di qui. Tutti. Andatevene”.

“Fa come ti pare!”, rispose Dash, battendo uno zoccolo sulla parete incrostata, “Rimani qui e crepa, se ci tieni tanto!”.



*** ***** ***



La sera era alle porte ed i lampioni di Ponymood iniziarono timidamente ad accendersi.

“Mi spiace per la tua amica, Rainbow”, la consolò Applejack.

“Lascia stare… ho voluto tentare un’ultima volta. Ma credo non ci sia molto da fare”.

“Quindi è entrata in depressione quando ha perso un cadetto in battaglia?”, chiese Twilight.

“Diciamo di sì… Derpy non era molto adatta a quel tipo di attività. Detto tra noi”, confessò, “non riusciva nemmeno a sparare dritto. Però si è sacrificata con onore per il proprio capitano. Questo le rende merito”.

“Davvero un peccato…”, mugugnò Pinkie.

“Ma lasciamo stare, ormai è acqua passata. Ditemi, piuttosto: come pensate di affrontare i FlimFlam Brothers? Almeno che non abbiate un esercito, la vedo dura…”.

“Non ho intenzione di attaccarli frontalmente”, rispose Applejack con sguardo di sfida, “e per questo ho bisogno di una zampa da qualcuno che è in stretto contatto con l’alta società”.


    I compagni giunsero di fronte ad un grosso caseggiato in legno, dallo stile vagamente gotico.

“La Carousel Maison?”, chiese Spike stupito.

“Cos’è? La frequenti spesso?”, lo derise Dash, con uno spintone.

“No, no.. è che… ecco, io…”.

“Cosa pensi di trovare lì dentro, AJ?”, chiese il fratello.

“Non ne sono sicura… ma vediamo se il mio istinto ci vede giusto”.

Il pony si avvicinò al grosso portone legnoso e bussò tramite i batacchi in ferro scuro.

Dopo alcuni istanti, l’ingresso si spalancò e Madame Rarity fece la sua comparsa: indossava un elegante completo da salone con gonna, da cui prorompeva però un conturbante zoccolo con calza a rete. L’unicorno era truccato sapientemente e sfoggiava con orgoglio una voluminosa capigliatura, ad incoronare labbra carnose ricoperte di rossetto: allontanò con disinvoltura un lungo bocchino in argento e soffiò alcuni riccioli fumosi. Spike spalancò le fauci.

“Applejack, ragazza mia, che piacere vederti”, esclamò, con voce parzialmente coperta dalle note allegre di un pianoforte, provenienti dall’interno, “Oh! E vedo che hai degli ospiti!”.

Il drago cercò di nascondersi dietro a Twilight.

“Spike!”, continuò l’altra, “Sei di nuovo venuto a trovarmi! Vuoi il solito tavolo?”.

“Uuh… io… ecco…”.

“Ciao Rarity. Come va?”, chiese Applejack con un sorriso.

“Non c’è male, non c’è male, mia cara. La città si nasconde dietro una facciata di perbenismo e moralisti incalliti… ma, sotto sotto, sai meglio di me come stanno realmente le cose”, rispose, accompagnando le proprie parole con ampi gesti dello zoccolo. “A cosa devo la vostra visita? Sarete mica le accompagnatrici di questo splendido stallone?”.

“Nope”.

“Siamo qui per parlare… di cose importanti”, concluse, cercando di sott’intendere le sue reali intenzioni. Rarity lesse tra le righe: “Oh! Capisco, capisco! Bene, allora, seguitemi!”.

Spike passò davanti a tutti e, intravedendo di sfuggita un can-can nel salone, si congedò rapidamente: “Uh, sì, voi andate pure a parlare, io… io torno subito”.


    L’unicorno li condusse all’interno, svoltando diversi corridoi sapientemente arredati: durante il tragitto incrociarono diversi insospettabili abitanti della città, abbindolati da qualche pizzo di troppo.

“Non dovevo aprire uno speakeasy”, sentenziò Pinkie Pie.

Giunsero in una grossa stanza in cui erano presenti diversi scaffali ricolmi di stoffe pregiate e abiti incompleti. Rarity li fece entrare e, chiudendo a chiave la porta, chiese: “Allora, signori. Di cosa volevate parlarmi?”.

Applejack sospirò: “Conosci Pinkie e Twilight, giusto?”.

“Oh! Ma certo, ragazza! Un pony di classe come me non può esimersi dal ricordare la… ehm… dottoressa barbiere e la… uhm… inserviente del locale più… elegante dell’intero isolato”, rispose, nascondendo un malcelato imbarazzo. L’unicorno viola le lanciò un’occhiata di insofferenza: “Allora forse saprai che non possiamo più esercitare, ultimamente…”.

“Ah, ora ricordo, carissima… ho letto la notizia su tutti i giornali! Quale assurda, beffarda e terribile tragedia!”.

“E’ questo il punto”, riprese Applejack, “Fonti… sicure ci hanno assicurato che c’è un mandante dietro tutto questo…”.

“Chi, mia cara?”, chiese con ingestibile curiosità.

“I FlimFlam Brothers”.

“I due fratelli hanno distrutto i vostri locali?”, chiese con stupore.

“Sì. E hanno intenzione di mandare a picco l’attività di famiglia”.

Rarity si mostrò visibilmente turbata: “Fare questo alla mia cara amica Applejack… quale malvagità… quale… ignominia… quale… che stronzi!”, tagliò corto, lasciandosi cadere il bocchino.

“Già… stanno esagerando”, rispose Rainbow Dash.

L’unicorno si passò la chioma tra le zampe, cercando di ricomporsi: “Sono meravigliata. Allibita. Scioccata! Ma in cosa posso esservi utile, in questa faccenda?”.

Applejack la mise al corrente dei propri pensieri: “Ascolta, Rarity: i fratelli sono bersagli troppo potenti per dei semplici pony come noi. Ma tu frequenti i più prestigiosi salotti di tutta Ponymood!”.

“…sì, è vero”, sentenziò l’altra con orgoglio.

“Quindi sei a contatto con il loro mondo! Sei un pony di classe e scommetto che non avresti problemi ad avvicinarti ai fratelli”.

“Dici il vero più di quanto tu creda: ho già avuto modo di conoscere Flim e Flam… bigotti, pomposi e arroganti, devo dire. Ma nessuno resiste al fascino di Madame Rarity!”.

“Questo è grandioso! Potresti aiutarci a colpirli dove fa più male!”, esultò l’amica.

“Volentieri, tesoro… ma non vedo come”.

“Per esempio: sappiamo che domani terranno un’importante serata su un… velivolo molto particolare…”.

“Ti riferisci alla nottata sullo zeppelin, cara?”, chiese pensierosa.

“Come hai fatto ad indovinare?”.

“Ma è ovvio, bellezza: perché ho ricevuto l’invito giorni fa! Nessuna serata di classe è degna di tal nome senza Madame Rarity!”.

“Ah!”, gioì il pony, “Lo sapevo! Ti hanno invitata! Saresti un’infiltrata insospettabile!”.

L’unicorno prese a massaggiarsi il mento con gusto: “Ragazza mia, la tua idea mi intriga assai! Quelle serate sono sempre così… noiose, ordinarie… una rottura…”.

“Allora puoi star sicura che potrai divertirti alla grande, questa volta!”.

“Interessante, interessante… come posso aiutarvi??”.

   

Il gruppo fece cerchio serrato ed Applejack buttò qualche idea: “L’ideale sarebbe che riuscissimo ad imbucarci all’evento, senza destar sospetti. Puoi riuscirci, Rarity?”.

“Pff…”, rispose l’amica, “Una cosa da nulla! Mi basterà fare un paio di occhioni dolci al pony giusto ed i vostri nomi compariranno direttamente sulla lista degli invitati! Certo… evitate di vestirvi da caproni, per non dare nell’occhio…”.

Big Macintosh si fece pensieroso: “L’idea è fattibile… ma come pensiamo di intervenire?”.

“Giusto”, aggiunse Dash, “io non ho problemi ad entrare come ospite d’onore… ma non posso di certo portare un cannone con me!”.

Rarity lanciò una risata: “Penso di potervi aiutare anche in questo! Caso vuole che io mi occupi anche dell’arredamento dell’intero ricevimento!”.

“Quindi?”, chiese Twilight, con sguardo indagatore.

“Guardate qui!”. Con quelle parole, l’unicorno bianco sollevò le stoffe ed i vestiti, rivelando in realtà un intero arsenale occultato di armi.

Gli sguardi dei presenti si illuminarono di meraviglia. I fratelli si rifecero gli occhi su un intero stock di Thompson a caricatore circolare, mentre Dash sollevò un Browning e ne fece scattare l’otturatore: “Ora si che ragioniamo!”. Pinkie sfoderò una coppia di affilati coltelli, lunghi quasi mezzo metro, e i suoi occhi si riempirono nuovamente di follia. Twilight, per canto suo, si limitò a sorridere compiaciuta di fronte ad una cassa di esplosivi.

“Vedo che ho colto nel segno”, disse infine Rarity.

“Come pensi di portarle là dentro?”, chiese lo stallone, controllando la canna di un revolver.

“Quando sarà il momento, controllate sotto i banconi”, rispose ammiccando.

“Penso che ci siamo”, sentenziò Applejack con serietà, “possiamo finalmente farla pagare a quei bastardi dei fratelli!”.

“Così la prossima volta ci penseranno due volte prima di mettersi contro di noi”, rispose Twilight, legando assieme alcuni candelotti.

“Tolti di mezzo quei due”, concluse il pony, aggiustandosi la tesa del cappello, “staremo tutti meglio”.
   
 
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