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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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La zampa artigliata si serrò attorno al bicchiere.

Il contenitore venne portato alle labbra e vuotato in un sol colpo.

L’alcol scese lungo la gola, provocando un bruciore intenso ma dannatamente gradevole, perlomeno per chi cercava di dimenticare i propri dispiaceri.

Il draghetto riportò il bicchiere sul bancone, con un colpo secco.

“Ehy… dammene un altro…”, intimò al barista.

“E’ già il quarto”, rispose l’altro, intento a pulire alcuni boccali.

“Non dovresti servire da bere e basta?”, gli disse con arroganza.

“Come vuole”, e prese la bottiglia.

“Anzi, fai una cosa… Lascia la bottiglia qui. Me la cavo da solo”.

Spike si trovava in uno speakeasy derivante da uno scantinato. Il Sugarbooze Corner e la Carousel Maison non erano di certo gli unici luoghi “diversamente legali” che conosceva.

L’ambiente, lì, non reggeva di certo il confronto: l’arredamento era minimale e trascurato. Pochi clienti e tutti taciturni. L’orchestra era presente ma i musicisti sorseggiavano tristemente ai tavoli, con gli strumenti abbandonati e le camicie sbottonate.

Il piccoletto si riempì il bicchiere e tirò giù un altro proiettile in gola. Fece sibilare l’aria tra i denti e poi scosse il capo.

Si accasciò sul ripiano come un gelato che si squaglia al sole. Vide il proprio riflesso sulla bottiglia.

Sospirò.

“Stronza…”, farfugliò quindi, con sguardo triste.

Un pony barcollante afferrò il bordo del bancone, impedendo così una rovinosa caduta a terra.

“E-ehy… amico…”, berciò, anticipando un rutto sommesso, “Te la vuoi shcol… shcolare tutto da sholo quella bottiglia?...”.

“Smamma”, tagliò corto.

Ma lo stallone non volle demordere: “Ohh… Shuvvia… Sholo… sholo un sorsetto in compagnia, che ne dici… eh?”.

Il drago si innervosì e, anche lui decisamente alticcio, si voltò verso l’interlocutore con sguardo minaccioso: “Ascolta… In circostanze migliori ti avrei semplicemente ignorato ma… ma questa non è serata, quindi prendi i tuoi olezzi nauseabondi e togliti di mezzo”.

“Eh?...”, bofonchiò l’ubriaco, senza capire.

“Fuori dalle palle!”, ringhiò Spike, mostrandogli le zanne.

Il tizio fece un balzo all’indietro, piantando una craniata a terra.

“Idiota…”, e rabboccò nuovamente il bicchiere.


    La porta del locale si aprì e alcuni clienti fecero il loro ingresso.

Il draghetto viola nemmeno ci fece caso e continuò a far lavorare il fegato nell’ingrato compito di organo filtrante.

Osservò la bottiglia e, questa volta, oltre al suo riflesso, vide anche quello di un pony grigio, che prese immediatamente posto alla sua destra.

Ero un unicorno piuttosto magro, con una lunga criniera nera raccolta in una coda. Portava un paio di occhialini tondi che, per qualche strano motivo, riflettevano costantemente la fonte di luce più vicina, rendendo di fatto impossibile osservarne gli occhi.

Il tizio poggiò le zampe sulla superficie del tavolo e si limitò a sorridere, fissando un punto indefinito di fronte a sé.

Spike aggrottò un sopracciglio, pensando ad un altro scocciatore ma poi fece spallucce e decise di non pensarci.

Una puledra alata spostò quindi uno sgabello alle spalle dell’unicorno, vi si sedette e lo cinse sensualmente da dietro. Seppur leggermente ottenebrato dall’alcol, Spike non poté fare a meno di notare la bellezza del pegaso: il manto era della tonalità dell’ambra, la criniera blu notte e gli occhi rossi come tizzoni. Indossava un elegante vestito gitano e, su ognuna delle piume, aveva inserite delle piccole collanine penzolanti, che la facevano tintinnare leggermente ad ogni movimento. Anche lei sorrise… amabilmente.

Un terzo ed ultimo pony si palesò alla sinistra di Spike. Sulle prime pensò si trattasse di Big Macintosh, vista la stazza, ma poi lo scrutò meglio e si accorse che… che era decisamente più grosso dello stallone che conosceva: un colosso fulvo e con penetranti occhi azzurri, stretto in un lungo e pesante cappotto scuro.

Il volto era incorniciato da una barba nera e ispida, mentre sulla criniera portava un colbacco da cui risaltava una stella rossa.

Il bestione fece scricchiolare la sedia sotto la propria massa, osservò gli alcolici sul ripiano del barista e poi tuonò: “Vodka”.

Il barman rimase interdetto: “Ehm… Non… non abbiamo quella roba… Qui serviamo solo Whiskey, sidro e Scotch”.

Lo stallone rifilò un pugno terrificante sul legno, che fece tremare il bancone per tutta la sua lunghezza.

“PREKLIATIE!! Stupido paese con stupide bevande capitaliste!!”, sbottò, con forte accento sovietico.

Il piccoletto strinse i denti dallo spavento. Tutti si voltarono.

“Calmati, Isaak”, gli disse l’unicorno, senza scomporsi, “Prendi quello che c’è e fattelo bastare”.

“Nuò!”, rispose l’altro, “Quosa mi tocca fare? Abbandonare mio amato paese per venire in terra di spreco e capitalismo sfrenato! E adessuo mi tocca pure bere…”.

Lo stallone afferrò la bottiglia di Spike e la osservò con ribrezzo: “…Mi tocca pure bere capitalistico distillato di cereale??”.

“Suvvia, Isaak”, disse la puledra, ridendo, “Ridagli la bottiglia”.

Spike alzò le zampe a mezz’aria, vagamente preoccupato: “Oh… oh, non è il caso… volevo… volevo giusto smettere”.

“Il tuo alito afferma il contrario”, affermò il pony grigio.

“Ehm… sì… proprio per quello volevo smettere”.

“Barista. Ci porti un’altra bottiglia”.

Il pony barbuto mise un gomito sul bancone e si appoggiò su un fianco: “Bah. Faccio prima a comprare patate e farmi mia Vodka…”.

Il draghetto si sentiva confuso e non sono per via dell’alcol. Chi erano quei tizi? Il circo era arrivato in città?

Iniziò a squadrarli, in particolare il tizio con gli occhiali e poi… notò un dettaglio che gli fece raggelare il sangue nelle vene: il marchio del Governo Celeste sul fianco.

Deglutì.

“Ehm…”, farfugliò, sistemandosi la coppola sulla testa, “Io… io adesso dovrei andare”.

L’altro lo bloccò con uno zoccolo sulla spalla, impedendogli di abbandonare la postazione. Gli allungò un bicchiere.

“Oh, ma perché mai? Non vuoi fartela una bevuta con noi?”.

“Nuò che non vuole! Perché qui alcol fa schifo!”, si intromise Isaak.

L’ex aiutante strinse i denti: “Ehm… Una… una bevuta? M-ma certo… una bevuta non si rifiuta mai…”.

Il pegaso gli lanciò un’occhiata conturbante: “Bravo soldatino…”.

Tutti (tranne lo stallone fulvo) riempirono i bicchieri e li vuotarono altrettanto rapidamente.

    Ci furono alcuni attimi di silenzio e poi, sentendosi ormai con le spalle al muro, Spike decise di farla finita.

“Che volete?...”.

Il pony occhialuto, sempre imperscrutabile, si puntellò il mento con uno zoccolo: “Niente di che. Solo parlare”.

“Quelli come voi prima fanno parlare le pistole…”.

“Oohhh. Quanti pregiudizi. Non tutti sono così. Noi siamo molto più civili”.

Isaak ruttò.

“Più o meno…”, si corresse.

“Insomma, che volete? Farmi la pelle?...”.

“No, amorino”, si intromise la puledra con sguardo preoccupato, “Perché dovremmo fare una cosa così orribile?”.

L’unicorno estrasse un giornale da una piccola sacca a tracolla e lo mise sotto al muso del drago.

“Ti dice niente?”.

“Sono tre giorni che sono rinchiuso nei bar a sfondarmi il fegato. O forse sono quattro? Ho perso il conto…”.

“Allora leggi”.

L’altro sospirò e controllò la prima pagina. I suoi occhi si spalancarono e iniziò ad agitarsi sempre di più.

Era il Ponymood Daily: una grossa foto ritraeva i suoi vecchi amici mentre penzolavano dalla forca.

Si portò gli artigli alla bocca, soffermandosi poi sull’espressione priva di vita di Rarity.

“C-cosa… oh…oh per San Pietro…”.

“Tranquillo, tranquillo… I tuoi amici stanno bene. C’è stata un po’ di confusione alle stamperie. Prima hanno dato la notizia della loro morte e poi pare ci sia stata una smentita. Di fatto… pare che siano fuggiti da Counterlot… e che il Governo Celeste avesse le zampe invischiate in affari alquanto loschi”.

“S-sono vivi?”, chiese titubante.

“Sì, carino”, rispose il pegaso, “Vivi e più o meno vegeti”.

“M-ma…”.

L’unicorno scosse il capo: “Ma dove ho la testa? Non ci siamo nemmeno presentati: mi chiamo HeavyRain”, e gli allungò una zampa.

La puledra lo afferrò per il collo e gli stampò il rossetto su una guancia: “Vesna”.

“Isaak Petrenko Dimitri Vaskovich”.

“Ma tu puoi chiamarlo Stella Rossa”, lo derise il pony color dell’ambra.

“Uuhhh… p-piacere…”, balbettò Spike.

“Ma torniamo a noi”, riprese Rain, improvvisamente serio, “Mi risulta che tu conosca bene questa puledra”, gli disse, indicando l’immagine di Rarity nella foto.

L’altro parve innervosirsi: “Ehy… a che gioco stai giocando?...”.

“Rarity, giusto? Proprietaria delle Carousel Maison, stilista e puledra di gran classe”.

Spike prese il giornale e lo stracciò in due: “Senti, amico, non so che cosa tu voglia da me… ma questa pagliacciata non mi piace…”.

Il barista prese le distanze.

“Ohh!”, disse Vesna, “Mi sa che abbiamo proprio toccato il tasto giusto…”.

“Che vuoi dire??”.

L’unicorno si spinse gli occhialini contro il muso: “Tranquillo… Guarda che non vogliamo fare nulla al tuo amore. Anzi, non sappiamo nemmeno dove si trovi. Quello che a noi interessa è un’altra cosa…”.

“Non mi interessano le vostre proposte malate. Siete solo dei macellai. Me ne vado”.

I tre non lo fermarono ma, prima che il piccoletto varcasse la soglia, HeavyRain disse un’ultima cosa: “Nemmeno se questa cosa riguardasse la salute della tua puledra?”.

L’altro si bloccò, dandogli le spalle: “Hai appena detto che lei non vi interessa…”.

“Infatti. Ma ci interessa qualcuno che è… molto vicino a lei”.

Vesna assunse un’espressione lasciva e strinse leggermente gli occhi: “Mai sentito parlare del Segugio di Counterlot?”.

Spike si girò.

“Ci risulta”, continuò il pegaso, “che Grey Hound abbia abbandonato la causa di giustiziere per unirsi a dei presunti criminali. Di loro non ci importa nulla: lasciamo questi affari a sottoposti molto meno importanti di noi. Ma Hound… beh… lui è un pezzo grosso… e mi chiedo se questo si riferisca solo al suo corno…”, aggiunse.

“Vesna… pensi sempre ad una cosa soltanto”, lo ammonì Rain.

Il drago viola tornò lentamente da loro: “E perché siete venuti da me?...”.

Vasko annusò uno dei loro bicchieri e il fastidio sul volto si intensificò.

Rain si mise comodo sullo sgabello: “Perché sappiamo che sei l’aiutante del dottor barbiere. E che il dottor barbiere conosce Rarity. E che Rarity ha… beh, ha una relazione con Hound”.

Quelle parole gli riportarono al petto un passato doloroso: “Non sono più il suo aiutante”.

“Ma lo sei stato…”.

“…Sì”.

“E, da quanto ne so, tieni molto a quella puledra”.

“Voi sapete un po’ troppe cose…”.

“Ho le mie fonti. Ma non divaghiamo: a noi interessa Grey Hound, il traditore”.

Spike prese un sigaro e fece per accenderlo ma l’unicorno lo anticipò con una piccola magia: “Così è molto meglio. La magia non lascia retrogusti al sigaro”.

“Ed io che centro?”, ribatté l’altro, aspirando il fumo, “Ho chiuso con loro”.

“Può essere. Ma c’è una cosa che mi piacerebbe farti notare…”.

“Cosa?”.

Il corno si illuminò, sollevando una delle pagine strappate e mettendo in risalto il presunto cadavere della puledra bianca: “Questo non è successo… ma potrebbe accadere…”.

Spike si irrigidì.

“Rarity sta con uno dei ricercati più ambiti in tutta Equestria. Pur di seguirlo ha partecipato ad un attacco sovversivo nei confronti del Governo Celeste. Risulta suo complice nell’assassinio di Celestia…”.

“Cos… Celestia è…??”, sbottò incredulo.

“…Ora è una fuggiasca con parecchi morti sulle spalle, insieme ad un buffone che crede di essere nel Far West. Credimi, amico… è solo questione di tempo”.

Il poveretto si risedette al bancone, cercando di fare chiarezza nella propria mente.

HeavyRain gli poggiò uno zoccolo sulla spalla: “Sei stato tutta una vita a corteggiare quella bella puledra… e poi arriva lo stallone che vi ha dato la caccia da sempre e… e le mette le zampe addosso”.

Spike si chiese come facesse a sapere tutte quelle cose, fin nei minimi dettagli.

“Credimi, drago, so fin troppo bene come vanno queste cose. Lui non la merita”.

L’interlocutore annuì tristemente: “Sì… sì, lo so… lui… lui non la merita… affatto…”.

“E lei, pur di stare con il suo presunto amato, sta mettendo a rischio la propria vita e quella dei tuoi amici. Perché? La conosci la storia di Hound, vero? Ovunque passi lui escono fuori solo morti e disperazione. Quel pony attira solo calamità”.

“M-ma… Rarity…”.

“Rarity è una puledra d’alta classe. Non dovrebbe stare con un alcolizzato, assassino e per giunta ricercato. Non credi?”, lo esortò maliziosamente.

“Beh… Non che io possa darle chissà cosa…”.

Vesna parve trasalire: spalancò le ali e fece tintinnare i suoi bei monili. Si chiuse quindi le guance tra le zampe: “Scherzi?? Sei così carino e dolcino! Sei gentile, ti impegni e sei sempre stato fedele! Ora bevi per dimenticare… ma è normale, povero piccolo draghetto!”.

Era la prima volta che qualcuno gli rivolgeva qualche tipo di complimento. “Sei gentile… ti impegni… sei sempre stato fedele”, pensò.

“E poi”, continuò il pegaso, “Scommetto che tu sapresti come renderla felice!”.

“Oh sì”, ammise, “Vorrei poter fare tanto per lei… ma… ma purtroppo non navigo nell’oro e…”.

HeavyRain sorrise: “Ma questo non è un problema…”.

Isaak infilò la zampa sotto il pesante cappotto e buttò sul bancone una sacca, che produsse un rumore inconfondibile.

“Prendi tuoi sporchi Bit capitalisti! Non vuoglio più vederli!”.

Spike aprì lentamente il contenitore e vide un piccolo tesoro: monete… e anche qualche pietra preziosa qua e là.

Gli avventori intuirono che lì stava per verificarsi un affare alquanto losco e il locale prese a svuotarsi rapidamente.

“La Guardia Celeste ricambia sempre i favori”, gli sussurrò Vesna nell’orecchio.

Il draghetto parve combattuto. Infilò un artiglio nella sacca e diede una rimestata. I suoi sensi fremettero e l’unicorno cercò di battere il ferro finché era caldo: “A noi non importa nulla della tua puledra o dei tuoi ex compagni. Vogliamo solo arrivare ad Hound. E crediamo che tu potresti aiutarci in questa impresa. Anche perché, di questo passo, Grey morirà… e ci scommetto quello che vuoi che porterà Rarity con sé nella tomba”.

Lo stallone sovietico si grattò il petto: “Bah. Da mie parti, donna prende te per coda e tira in casa. Poi si fa tanto neporiadok e dasvidania“.

“Stai tranquillo”, rincarò Vesna, “Aiutaci solo a trovare Hound. Poi avrai una piccola fortuna in denaro e Rarity, senza più quel pericolo ambulante tra gli zoccoli, capirà quanto tu sia davvero il drago giusto per lei”.

Spike sospirò: “Non sono scemo. So che cercate solo di convincermi e di usarmi per trovare Hound”.

HeavyRain alzò le spalle: “Mi sembra ovvio. Non siamo benefattori. Ma ripaghiamo i debiti, te l’ho detto. Tu aiuti noi a trovare il traditore di Counterlot, noi lo togliamo di mezzo e avrai un’altra sacca piena di soldi, come quella. E… cosa più importante… Rarity sarà salva. E sarà tua”.

    Un orologio a muro iniziò a scandire i minuti che passavano, nel completo silenzio.

“Allora”, disse infine il pony grigio, porgendogli una zampa, “Abbiamo un accordo?”.

Spike divenne improvvisamente serio: “Devi… dovete promettermi!!... Che… che non torcerete un solo crine a Rarity, intesi??”.

“Non ci interessa la stilista, tantomeno i suoi amici. Vogliamo solo lo stallone”.

Il draghetto mosse l’artiglio verso lo zoccolo ma lo ritrasse un’ultima volta: “Se… se le fate qualcosa… vi ammazzo tutti…”.

“D’accordo”, rispose sorridendo.

E strinsero il patto.


    “Bene”, concluse HeavyRain, “Direi che possiamo andarcene, allora”.

“A… andate via?”, chiese l’altro, stupito.

“Sì. Abbiamo la tua collaborazione, no? Vuoi venire con noi?”.

“Come se mi fidassi…”.

“Oh, non sei obbligato. Era solo per metterci subito sulle tracce del ricercato. Fai come credi e, fossi in te, capirei benissimo la tua sfiducia in noi”, e si congedarono.

“Oh! Per la Madre Patria!!”, tuonò il colosso, stiracchiandosi, “Finalmente andiamo via da questo tugurio consumistico!”.

I tre abbandonarono la sala. Spike rimase ad osservarli per alcuni istanti.

“E-ehy!! Aspettatemi!”.

Il trio era all’esterno, nella fredda notte di Ponymood. Le strade erano leggermente umide e riflettevano debolmente le luci di lampioni e vetture.

“Bravo ciccino”, lo apostrofò Vesna, “Vedo che non puoi stare lontano dal mio fascino”.

“Su, muoviamoci. Abbiamo un criminale da acciuffare”, tagliò corto Rain.

Attraversarono la strada.

Isaak fu però più lento e una Delage inchiodò a pochi metri dal bestione.

Una selva di insulti e rumori di clacson lo investirono a mitraglia.

“Cos’è non ci vedi??”, urlò il guidatore dal finestrino.

Il pony non si scompose. Si girò e lo fulminò con gli occhi azzurri, quasi glaciali.

Mise quindi le zampe sotto il cappotto ed estrasse due imponenti attrezzi: una falce ed un martello.

“Maledetto mezzo di traspuorto capitalista!! In mia Madre Patria: bicicletta, muli e calci in culo!!”.

Sollevò il martello e lo abbatté con violenza inaudita sul cofano del veicolo, che si accartocciò come fosse di stagnola. Il semiasse si spezzò in più punti e le ruote anteriori schizzarono via come missili. Un nuvolone nero invase la cabina di guida.

Isaak rimise gli oggetti al loro posto e si allontanò con disinvoltura.

Il guidatore, con la chioma strinata all’indietro, lo osservò senza dire nulla.

Tossì una nuvoletta di fumo.


*** ***** ***


    Una lunghissima Pierce Arrow nera sfrecciò a folle velocità sulla strada immersa nella vegetazione.

Era notte fonda e non c’era nemmeno una luce, fatta eccezione per i fari. Ma, dopotutto, era già tanto trovare l’asfalto sotto gli pneumatici, da quelle parti.

Una voce fastidiosa cantilenava sulle note della radio, che trasmetteva Charley My Boy di Eddie Ponytor:

“The refrain is four lines of which the first two are, Charley my boy! Oh, Charley my boooy!!”.

Discord continuò a canticchiare, battendo ritmicamente le falangi sul volante.

Applejack, nel posto accanto, lo osservò interdetta.

L’altro prese ad ondeggiare come se nessuno lo stesse guardando: “You thrill me, you chill me, with shivers of joooy!!”.

Twilight si sporse dal sedile posteriore, il corno si illuminò e la radio si spense.

L’autista continuò, come se non si fosse accorto dell’assenza della musica.

La puledra viola si tappò le orecchie.

“Discord”, disse il pony col borsalino, “Ci andrà ancora molto?”.

La creatura allungò una zampa verso il mento di lei e, con volto amabile, dichiarò: “And when we dance, I read in your glance, whole pages and ages of love and romaaance!!”.

La passeggera gli mollò un ceffone.

“No, siamo quasi arrivati”, le rispose quindi, improvvisamente ricomposto.

Il veicolo fece ancora un paio di svolte e poi la vegetazione si diradò all’improvviso. Una luna enorme e sinistra si palesò sullo sfondo della collina, non molto lontana, incorniciando un grosso edificio in cemento.

Sfrecciando lungo la strada incrociarono un’insegna al neon, che riportava “Moon Institute” con caratteri eleganti.

Sparkle osservò la scritta e poi domandò: “Quindi… la sorella di Celestia è stata rinchiusa qui?”.

“Già!”, rispose Discord, “E’ stata isolata al Moon”.

“Ma… perché?”.

“Boh. E chi lo sa? Questioni famigliari, desumo”.

“Perché mai un alicorno dovrebbe chiudere la sorella in un istituto di cura mentale?”, chiese Applejack pensierosa.

La creatura draconica alzò le folte sopracciglia: “Mhh… Vi fate troppe domande”.

    Il mezzo percorse gli ultimi metri a si fermò dinnanzi ad una cancellata in ferro scuro.

Un vecchietto si palesò da una guardiola accanto.

“Chi siete? Che volete a quest’ora di notte?”, chiese sospettoso, coprendosi gli occhi dalla luce abbagliante dei fari.

Il finestrino della Arrow si abbassò lentamente, assieme al rumore cigolante della manetta.

Quando Discord mise fuori il muso, l’altro parve trasalire leggermente: “Oh!... oh, siete voi… Prego, vi apro il cancello”. E così fece.

La creatura serpentiforme fece rombare il motore truccato ed entrò, mentre la ghiaia del cortile scricchiolava sotto le ruote.

Applejack prese a passarsi lo stecchino tra le labbra, come suo solito: “Curioso. Qui curano i pazzi. E sembra ti conoscano”.

Il collega spense il mezzo e tirò il freno a mano: “Ti assicuro che le due cose non sono minimamente collegate, mia cara!”, rispose imbronciato.

Scesero ed osservarono l’edificio: era imponente e anche molto inquietante.

Il cemento era inscurito dal tempo e ricoperto di umidità e chiazze di muffa. Si potevano scorgere delle deboli luci filtrare attraverso le sbarre di presunte celle e del filo spinato sulle mura assicurava che eventuali fuggiaschi trovassero tutt’altro che vita facile.

Ai quattro angoli della zona, delimitando il perimetro squadrato, si ergevano piccole torri sormontate da grossi cristalli verdi, appena luminosi.

“Generatori antimagia…”, commentò Twilight.

“Oh… sì”, riprese Discord, “Qui dentro ci sono molti personaggi… come dire? Potenzialmente esplosivi!”.

“Tanto basta per fermare un alicorno?”, chiese Applejack.

Sparkle ci pensò un attimo: “Non saprei… Ammetto che gli alicorni rappresentano un grosso mistero, per me”.

    I tre si portarono all’ingresso e bussarono per mezzo di un pesante batacchio in ghisa. I colpi rimbombarono pesanti.

Si aprì uno spioncino: “Chi siete?”.

“Visitatori”, dichiarò Discord.

“Mi prendete per il culo? E’ notte fonda. Andatevene”, e richiuse il pertugio.

Il draconequus, tuttavia, non si fece scoraggiare e ribussò.

Lo spioncino si apri di nuovo: “Vi ho detto che…”.

Una copiosa mazzetta venne infilata nella fessura.

Ci fu un attimo di pausa e poi scattarono alcune serrature. La porta si aprì lentamente.

Un pony con divisa bianca e cartellino al petto (con taschino ora gonfio di soldi) li scrutò attentamente.

“Mh. Visitatori, eh? Non ho mai visto dei visitatori così… disponibili per un giretto notturno al Moon Institue”.

“Che vuole farci?”, ironizzò l’altro, con sguardo di sufficienza, “Soffriamo di insonnia cronica”.

“Va bene… ma fate in fretta… qualsiasi affare abbiate qui, sistematelo e poi andatevene”.

“Non si preoccupi”, ed entrarono.

Il trio iniziò a percorrere i contorti corridoi dell’istituto, con Discord in testa.

Il luogo, all’interno, era ancora peggio di quanto lasciasse intendere dall’esterno. La zona era buia, fredda e silenziosa. Qualche timido neon illuminava appena mura e pavimenti.

Non c’era quasi nessuno, fatta eccezione per qualche funzionario che li osservava con sospetto.

Le celle erano sigillate da spesse porte di metallo. In lontananza risuonava il pianto di qualche disgraziato e una timida luce lunare proiettava ovunque le ombre delle inferiate.

Twilight rabbrividì: “Questo posto è peggio delle segrete di Counterlot…”.

Scesero diverse rampe di scale, giungendo infine d’innanzi ad una porta blindata, con due tizi davanti.

Una piccola luce dentro una grata era l’unica fonte luminosa nei dintorni.

Le puledre percepirono un’aura sovrannaturale aleggiare un po’ ovunque.

I guardiani erano due unicorni e portavano una pistola nella fondina. Gli abiti erano palesemente incantati.

“E adesso?”, domandò Applejack.

Discord estrasse un’altra mazzetta e gliela sventolò sotto il naso. La coppia, tuttavia, non fece una piega.

Cambiò quindi tattica. Diede loro le spalle e fece cadere il denaro a terra, facendo poi finta di andarsene via fischiettando.

Nessuna reazione.

La puledra viola lo osservò con perplessità.

“Oh… Al diavolo!”, sbottò la creatura. Dopo una rapida occhiata attorno a sé, allungò le zampe e i due si tramutarono rispettivamente in un vaso di nasturzi e un idrante. Le divise rimasero inalterate, a coprire grottescamente i due oggetti.

“Meglio se ci sbrighiamo”, suggerì, “Quando verranno a dar loro il cambio, potrebbero non essere contenti di trovare un ornamento floreale e un orinatoio per cani, al posto dei colleghi”.

“Sei diplomatico, vedo…”, commentò Applejack.

Il pony arancione si avvicinò alle divise e prese un mazzo di chiavi.

La porta presentava serrature multiple, così dovette impegnarsi più del previsto ma, alla fine, anche l’ultimo meccanismo si aprì, con uno scatto metallico. La spalancarono lentamente.


    La debole luce alle loro spalle illuminò la stanza scura.

Twilight aguzzò lo sguardo e poi accese una luce magica dal corno.

Le puledre fecero quasi un balzo all’indietro.

Su pareti, pavimento e persino sul soffitto erano presenti incisioni d’ogni sorta, apparentemente prive di senso. Nonostante non avessero significato, creavano un’atmosfera assolutamente inquietante ed irreale. Ma più di tutto… fu l’occupante che le fece sudar freddo.

Sul soffitto, seduta come se la gravità fosse invertita, si trovava un pony dal manto blu, racchiuso in una camicia di forza. Un alicorno, per l’esattezza.

L’indumento era tempestato da piccoli monili verdi luminosi: dei sigilli magici.

La chioma della puledra ricordava una notte stellata e fluiva nell’aria come se fosse sott’acqua.

Sul lungo corno in fronte, erano state agganciate delle morse di uno strano materiale runico.

La sorella di Celestia aveva gli occhi chiusi e continuava ad oscillare ripetutamente la testa avanti e indietro, canticchiando una nenia strana e misteriosa.

“Q-quella è… la…”, balbettò Twilight.

Discord mise le zampe dietro la schiena e la osservò compiaciuto: “Sì, mie care. Abbiamo d’innanzi… Luna… la sorella di Celestia”.

Quando udì le parole del draconequus, l’alicorno dischiuse lentamente le palpebre e ruotò le pupille verso di lui.

Le zampe si staccarono dal soffitto ed il pony fluttuò dolcemente a terra, ripristinando la posizione corretta.

Puntò quindi lo sguardo in una zona indefinita delle pareti, come se avesse sentito parlare qualcuno ma non riuscisse ad identificarlo.

“Quella voce…”, sussurrò, “Quella voce… mi… ricorda qualcosa…”.

L’altro sorrise: “Ciao Luna”.

Lei lo guardò, come se fosse la prima creatura vivente che vedeva dopo anni… e forse era proprio così.

“Mi ricordo la tua voce… Chi sei?”, domandò innocentemente.

Discord assunse un’espressione di follia: “Non ti ricordi?? Ma non ha senso!… Beh… in fondo… Che divertimento ci sarebbe se tutto avesse senso??.

Lo sguardo della puledra si accese improvvisamente: “D-Discord….”.

“Già”.

“O forse… sei solo una delle mie allucinazioni? Sai… qui tutti mi dicono che i pony con cui parlo non esistono… Ma io sono convinta che si sbaglino. Joaquin non può essere un’allucinazione. Vero Joaquin?”.

Lo spirito lanciò uno sguardo imbarazzato verso le due colleghe e, con un sorriso a denti stretti, disse sottovoce: “Mi sa che l’isolamento l’ha un po’… incasinata?”.

“E’ più fuori di un balcone, ecco cos’è…”, concluse Applejack, sputando lo stecchino.

“Via. Andiamocene. Abbiamo solo perso tempo”, concluse, voltandosi di scatto.

“No no! Aspetta!”, la fermò Discord, “Non hai idea di…”.

“Ma guardala!”, sbottò il pony dalla chioma dorata, “Sembra sotto psicofarmaci!”.

La bestia caprina si fece ancora più imbarazzata: “Uuhhhmm… beh… ecco… più o meno…”.

“Cosa? Ma ti va di scherzare? Cioè… guarda!!”, e le passò uno zoccolo davanti al muso.

Luna sorrise come un’ebete e sbavò leggermente.

“Senti, abbiamo già te e Pinkie. Non ho bisogno di un’altra cerebrolesa in squadra”.

L’amico parve agitarsi: “Ma! Ma!... Aspetta, dammi almeno un’occasione per… per…”.

“Per cosa?...”, sbuffò.

“Tu… tu aspetta! Dammi un attimo…”.

La puledra mise le zampe conserte, poco convinta.

Discord si girò verso l’alicorno e si schiarì la voce, col pugno davanti alle labbra.

“Ciao Luna!”, le disse trepidante, con le zampe sulle ginocchia, quasi stesse parlando ad un cagnolino, “Come stai??”.

“Bene”, rispose, con volto assente.

“Ottimo! Scommetto che sei stufa di rimanere rinchiusa qui da sola, vero?”.

“Oh… oh no… qui c’è Joaquin con me. Mi tiene tanta compagnia. Però è un po’ maleducato e ogni tanto mi tocca il sedere”.

Discord si girò verso Applejack, alzò l’indice e sfoderò un falsissimo sorriso a mille denti: “Dammi ancora un minuto”.

“Senti, Luna”, riprese, “Ti ricordi… chi ti ha rinchiusa qui?”.

L’altra ciondolò un po’, pensierosa.

“Uhmmm… Non mi ricordo bene”, rispose, “Forse…”.

Lo sguardo della puledra assunse improvvisamente un barlume di buonsenso.

“Forse… forse è stata…”.

L’interlocutore cercò di aiutarla nel recupero mnemonico: “Manto bianco, criniera vaporosa, attitudine al comando e al massacro indiscriminato dei nemici del Governo?... Ti dice nulla?”.

“Il parroco di paese?”.

Twilight trasalì, riportando alla mente il primo incontro con lui: “Lo sapevo!! Anche tu sei stato rinchiuso in questo posto!!”.

Discord mise le zampe sui fianchi, imbronciato: “N-non è vero! I-io… Oh, senti”, tagliò corto, voltandosi nuovamente verso il pony blu, “E’ stata Celestia. Ricordi? Celestia. Tua sorella”.

“Celestia?”.

“Sì. Tua sorella Celestia ti ha spedita al Moon”.

“Mia sorella… mia… sorella…”, ripetè.

“Discord, basta!”, intervenne Applejack, “Andiamocene prima di fare altri casini!”.

L’altro sospirò sconsolato: “Uff… e va bene…”.

“Celestia…”, sussurrò nuovamente Luna, “…Quella stronza…”.

Tutti drizzarono le orecchie.

“Forse ci siamo”, commentò Discord.

Gli occhi della ricoverata brillarono di luce bianca: “Celestia… Celestia. Lurida… lurida puttana”.

“Vedo che ti sta tornando la memoria!”.

Luna cercò di scagliarsi contro lo spirito ma i sigilli magici rilasciarono una insopportabile scarica di dolore nel suo corpo. La puledra urlò e poi, con ritrovata foga e una voce sovrannaturale, ruggì: “MALEDETTA SGUALDRINA!! TI FARO’ PENTIRE DI AVERMI RINCHIUSA IN QUESTO BUCO SCHIFOSO!!”.

“Oh! Splendido! Splendido!”, canticchiò Discord, battendo le zampe tra loro.

Twilight si ritrasse, un po’ intimorita.

TU!! LURIDA SERPE BARBUTA!! CHE DIAVOLO CI FAI QUI?!”.

“Oh… niente di particolare… siamo solo venuti a farti una visita di cortesia…”.

“Celestia… maledetta…”, continuò a ripetere, calmandosi leggermente.

“Odi ancora molto tua sorella?”, le chiese.

“Le strapperei i bulbi oculari con il mio corno, se solo l’avessi qui di fronte!!”, dichiarò, con occhi sempre più bianchi e accecanti.

“Oh… capisco”, ammise, grattandosi la testa, “Ma… vedi…”.


“Ehy, voi!!”, urlò improvvisamente una guardia.

Tutti si girarono. Quattro funzionari si trovavano in cima alle scalinate, esterrefatti.

Ci misero poco a capire cosa stesse succedendo e tirarono fuori le armi dalle fondine.

“Vai a dare l’allarme!!”, urlò uno di loro al collega. L’altro galoppò via di gran lena, sparendo dalla loro vista.

“Merda”, berciò Applejack, estraendo un revolver.

“Ok! Piano B!!”, disse Discord e protese le zampe di fronte a sé.

I pony aprirono il fuoco ed i proiettili in arrivo si tramutarono in pesciolini rossi.

Le puledre, eccetto Luna, che non si scompose, presero copertura nella stanza.

Applejack iniziò a scambiare piombo con gli assalitori, anche loro al riparo dietro alcune sporgenze di cemento.

“Discord! Maledizione a te! Ora come cazzo ne usciamo??”, gli inveì.

La creatura girò la testa verso di loro, mantenendo contemporaneamente viva la barriera (arricchendo di fauna acquatica il pavimento, ad ogni colpo intercettato): “Twilight!! Butta giù la parete!”.

“Cosa??”, chiese incredula.

“Tira giù quella maledetta parete, ascoltami!!”.

“O-ok”, e prese a concentrare potere magico sul corno, con immane sforzo, “M-ma qui… è difficile… ci sono… vincoli… magici…”.

“Lo so, sennò avrei già tramutato tutti in tuberi o cose simili, che ti credi??”.

“Discord!”, ripeté la puledra arancione, ricaricando il tamburo, “Ma che diavolo vuoi fare?”.

“Ascolta, Luna!!”, urlò l’altro, in direzione dell’alicorno, “Celestia, tua sorella, è morta!! Chrysalis l’ha fatta fuori! Mi hai sentito??”.

L’altra non disse nulla.

“Luna! Celestia è stata assassinata! Tua sorella è concime per le orchidee!”.

“Mia sorella… è… morta?”, domandò con voce atona.

“Sì!”.

Ci fu un momento di stallo e poi arrivarono i rinforzi. Un unicorno, nel gruppo, scagliò un globo magico che si infranse sonoramente contro la barriera dello spirito, che strinse i denti dalla fatica: l’interdizione magica iniziava a farsi sentire.

Sparkle, intanto, era sormontata da una sfera luminosa grossa quanto un pallone da calcio. Sentì di non riuscire più a trattenersi e diresse il colpo verso la parete interna della cella… L’incantesimo, tuttavia, fu troppo debole e riuscì a incidere profonde crepe nel muro, senza però abbatterlo.

Luna, con lo stupore di tutti, si strinse su se stessa.

Chiuse gli occhi… e alcune lacrime caddero sul pavimento.

“D-Discord…”, farfugliò, “Dimmi… dimmi che non è vero…”.

“Oh, sì! Tua sorella è morta e stramorta! Morta stecchita! Se l’avessero uccisa due volte non sarebbe sembrata così morta come lo è sembrato a me!”.

“Celestia è… mia… sorella… mia sorella…”.

“Non so che cosa hai mente, pazzo che non sei altro”, lo apostrofò Applejack, “Mai qui la situazione sta per sfuggirci di zampa”.

Le guardie stavano ormai tempestando i tre con una pioggia di piombo e incantesimi: più di mezzo Moon Institute era accorso a dar manforte.

Luna strizzò gli occhi e il fiato le divenne sempre più corto. Andò in iperventilazione e prese a guardarsi attorno con nervosismo, come se un’agitazione incontenibile premesse per uscirle con violenza.

Un piccolo frammento di muro danneggiato si staccò e un timido raggio lunare filtrò dal buco, finendo sulla puledra.

La stanza iniziò a vibrare. Altri pezzi di parete crollarono a terra, aumentando la quantità di luce riflessa.

Tutti si fermarono, improvvisamente preoccupati per quanto stava succedendo.

Il tremolio passò quindi al corridoio… poi al soffitto… finchè l’intero istituto non fu preda di deboli scossoni.

Alcuni calcinacci caddero a terra e i lampadari oscillarono visibilmente.

I presenti osservarono perplessi l’alicorno, che iniziò a muoversi verso le guardie con bianchi occhi lacrimanti; il muso scolpito in una smorfia di rabbia.

“Oh, per Celestia!”, urlò uno dei funzionari.

GIA’! CELESTIA!!”, tuonò Luna, con mille voci.


Il muro alle sue spalle crollò del tutto.

Il satellite comparve in tutta la sua maestosità, investendola con la propria sorgente.

Le lacrime della prigioniera divennero rosso sangue.

Una luce vermiglia si diffuse dal suo corno e i sigilli esplosero, lanciando schegge luminose in ogni direzione.

Gli altri atterrirono e i più coraggiosi aprirono il fuoco.

Discord e le puledre fecero ben attenzione a stare dietro di lei, opportunamente al riparo.

Il piombo la attraversò in più punti ma l’effetto fu quello di sparare ad un cadavere…

La camicia si strappò e le ali oscure della puledra furente si spiegarono con possanza.

I pony iniziarono ad abbandonare le loro posizioni.

DOVE PENSATE DI ANDARE, CANI??”, ruggì Luna.

Diede un poderoso colpo d’ali e si catapultò in un istante in cima alle scale, voltando poi l’angolo.

I tre amici sentirono alcune urla di terrore, unitamente a spari e rumore di ossa che si spezzano.

Salirono frettolosamente le scale, cercando una scappatoia per fuggire e, per farlo, dovettero passare in mezzo all’inferno che avevano appena scatenato.

Luna era in mezzo alla sala principale che anticipava la sua cella: un grosso androne a più piani da cui si scorgevano le celle dei vari detenuti.

La puledra volava di bersaglio in bersaglio, rapida come una scheggia e assolutamente furibonda.

I poveri disgraziati urlavano, correvano e cercavano di difendersi come potevano, in preda alla disperazione più totale.

Uno di loro venne sollevato e lanciato contro il muro, crepandolo in più punti. Una coppia venne investita da un raggio rovente, che li dissolse in una pozza di liquido nero; altri furono meno fortunati e subirono gli effetti nefasti degni di una vendetta biblica.

Spari, grida e botti si diffusero ovunque.

Applejack, Twilight e Discord di osservarono tra loro, atterriti.

“Per Celes…”, stette per dire Applejack ma Sparkle le tappò prontamente la bocca.

“Shh!!”.

“S-scusa… hai ragione… Che… che cosa abbiamo fatto?...”, chiese preoccupata. Un pony le volò sopra la criniera, scardinando una porta dietro di loro con il proprio peso.

“Oh beh…”, rispose il collega, “Due cose potremmo aver fatto… Trovato il più potente alleato in Equestria… oppure aver firmato la nostra condanna a morte”.

Un globo di luce accecante prese a formarsi attorno all’alicorno.

“Suggerirei di correre”, buttò lì l’unicorno viola.


    Il Moon Institute, visto dall’esterno, non aveva niente di strano.

Tutto era tranquillo: i grilli frinivano e i gufi bubbolavano. Un tenue venticello notturno mosse la vegetazione.

La porta d’ingresso si spalancò e due puledre, assieme ad una curiosa bestia affusolata, corsero via in tutta fretta.

Un’esplosione magica deflagrò nella struttura, lanciando una colonna di luce verso il cielo e generando un tuono terrificante.

I tre caddero a terra, investiti dall’onda d’urto. Un pezzo di muro volò via come se fosse un giornale in una tempesta, sfiorandoli di pochi metri.

Calcinacci, pietre e polvere presero quindi a cadere caoticamente nei dintorni, in una singolare pioggia geologica.

Applejack sollevò lentamente lo sguardo, con la zampa ben salda sul cappello. Il trio si voltò e venne illuminato dalle fiamme arcane che divoravano l’intero edificio, ormai del tutto simile ad un residuo post-apocalittico.

Passarono alcuni secondi, in cui i gangster non fecero altro che osservare ipnotizzati quella portentosa manifestazione di distruzione. Si misero comodamente a sedere sulla ghiaia.

“Discord?”, chiese Applejack, senza schiodare gli occhi dalle fiamme.

“Sì?”, fece l’altro, anch’egli assorto dallo spettacolo pirotecnico.

“Scusa se ho dubitato delle tue parole”.

“Oh, tranquilla. Succede spesso”.

Una folata d’aria anticipò l’arrivo di Luna, che scese dal cielo come un angelo decaduto.

I suoi occhi erano luminosi come non mai e le guance rigate da apparente sangue rappreso.

Lo spirito caprino cercò di non perdere la calma.

“Oh!... Ehm… Luna!! Vedo… vedo che ti sei ripr…”.

La puledra lo afferrò con violenza per la barbetta e portò il muso contro al suo.

CELESTIA E’ MORTA?? IO TI STRAPPO IL CUORE E LO GETTO AI MAIALI!!”.

“A-a-aspetta!”, farfugliò, “E’… è stata Chrysalis!! Te l’ho detto!”.

L’altra lo buttò a terra: “CHRYSALIS?? AVRO’ LA SUA TESTA… O QUALSIASI ALTRA PARTE DEL CORPO CHE NE PROVOCHI UNA MORTE PREMATURA” e si allontanò.

“Ehy! Dove vai?”, la riprese Discord, “Ti farà fuori!”.

LA SCHIACCERO’ COME STERCO SOTTO UNO ZOCCOLO!!”.

“Ehmmm. No”, commentò, unendo le zampe con indici e pollici protesi, “Ti sei forse dimenticata cosa succede a chi uccide un alicorno?”.

Luna si fermò.

Il suo liberatore sorrise: “Questo significa che Chrisalys ha il proprio potere… più quello della povera Celestia… che già era un gradino sopra di te”.

Un raggio di morte e distruzione si formò sulla punta del corno blu.

“Cioè…”, affrettò a correggersi, “Da un punto di vista prettamente teorico”.

Il raggio svanì.

“Questo significa che lei possiede tutte le capacità per tenerti testa… e probabilmente anche per ucciderti”.

Il pony magico stette in silenzio e poi i suoi occhi tornarono normali. Si girò verso i tre, apparentemente più calma.

“Ecco perché mi hai liberata”.

“Certo. Mica l’ho fatto perché sono pazzo!... Cioè… in realtà sì… insomma avrei anche potuto farlo se… Ma non è questo il punto!”.

“E qual è… il punto?”, domandò scettica.

“Io sono discretamente potente… ma non quanto te o Chrysalis. Eee… diciamo che ho i miei interessi nel toglierla di mezzo”.

“Ti ascolto”.

“Non voglio scendere in tediosi ed inutili dettagli… ma sappi che ho un conto in sospeso con lei. Insomma, ho i miei buoni motivi per volerla morta… ed ora ne hai uno anche tu, mi sembra”.

Luna si avvicinò con fare minaccioso. I suoi occhi riguadagnarono intensità arcana e si avvicinarono a pochi centimetri da quelli dello spirito: “Se scopro che mi hai mentito… su qualsiasi cosa… sei morto”.

“L’ho messo in conto, sì… quindi non ho intenzione di mentirti…”.

“Sarà meglio per te…”, e, con quelle parole, diede un poderoso colpo d’ali, sollevandosi in cielo.

La sagoma della puledra si stagliò contro la superficie butterata della luna e, subito dopo, svanì nel nulla.


    Ogni cosa tornò silenziosa, fatta eccezione per il crepitio delle fiamme.

Tutto era finito.

“Ah!!”, esordì Discord, in direzione di Applejack, estremamente orgoglioso di sé, “Hai visto?? Puledra di poca fede!”.

L’amica estrasse uno stuzzicadenti ed iniziò immediatamente a giochicchiarci con i denti: “Ben fatto, genio. Ora però come ci torniamo a casa?”.

“Eh? Con la macchina, no?”.

“Quale macchina?”.

Lo spirito cercò il veicolo e vide una frittata di lamiere sotto qualche tonnellata di macerie.

Un ruggito straziante si diffuse per tutte le colline.


*** ***** ***


    Dash poggiò il carrello della 1911 sul bancone e prese a pulire la canna smontata, tramite un piccolo scovolino.

Il tavolo da bar della Carousel Boutique era ricoperto da un telo un po’ imbrattato, su cui poggiavano ordinatamente i pezzi di svariate armi da fuoco. Il pegaso le stava scrupolosamente controllando, pulendo ed oliando. Era un’attività che faceva spesso, le piaceva molto.

Lo speakeasy era stato momentaneamente chiuso dalla proprietaria. Non era certo il momento ideale per i bagordi.

La stanza, quindi, era buia e vuota, fatta eccezione per Rainbow, Fluttershy, Octavia e Pinkie. Le prime tre erano al bancone, mentre il pony rosa si trovava dall’altro lato, sorridente, intenta a sistemare bicchieri e bottiglie.

Soltanto due luci della camera erano accese, proiettando coni luminosi sopra ai presenti.

Rarity, invece, era nella propria camera privata, poco lontano. Hound si trovava sul suo elegante letto di seta, ancora privo di sensi. La puledra non lo aveva mollato un solo istante.

Dash fece l’occhiolino attraverso i fori di un tamburo, stringendo un cacciavite tra i denti: “…Credi a me, amica mia, è quasi meglio della Guerra Equestre”.

“Oh… sì”, sussurrò il pegaso paglierino.

“C’è molta più azione e almeno il doppio dei bersagli a cui sparare”.

“Anche il doppio delle possibilità di morire”, commentò Octavia, giocando col coltello a serramanico.

“E questo rende la cosa molto più interessante”.

“Per la prima volta sono d’accordo con te, chioma omosessuale”.

“Cosa??”, berciò, sputando il cacciavite.

“Il tuo temperamento, Rainbow Dash…”, disse l’altra, “Non puoi farti ribollire il sangue ad ogni minimo insulto”.

L’amica sbuffò imbronciata e riprese a controllare le armi.

“Sapete dove andavano Applejack e Twilight?”, chiese Fluttershy.

“Sono andati col boss a… verificare una cosa”, rispose la musicista.

“In poche parole stanno cercando la sorella schizzata di Celestia”, spiegò il pony blu.

“Come se non avessimo abbastanza malati di mente”, aggiunse l’altra, gettando un sorriso ammiccante verso Pinkie. La puledra dagli occhi azzurri, tuttavia, si limitò a sorridere e basta.

Lo sguardo di Octavia si assottigliò leggermente.

“La sorella di Celestia?”, aggiunse il pegaso paglierino, “Ma… perché proprio lei?”.

Rainbow afferrò una carabina e aprì l’otturatore, controllando l’interno: “Ah boh! Applejack e la cervellona si occupano di queste cose. Io mi preoccupo di mirare e sparare”.

Il pony grigio, intanto, sembrava colto da pensieri indecifrabili.

Si girò verso l’amica rosa, poggiando un gomito al bancone: “Ehy, Pinkie. Preparami un Manehattan, hai voglia?”.

“Uuhh… certo arriva subito!”, rispose.

La barista cercò le bottiglie, le aprì, versò i contenuti nello shaker, miscelò e servì.

Il pegaso celeste, intanto, si accese una sigaretta: “Non so cosa stiano cercando… ma finchè ci sarà piombo da sparare… io non mi tiro indietro”.

La puledra dagli occhi viola prese il bicchiere e lo agitò controluce. Lo annusò e poi bevve un sorso, facendo schioccare diverse volte le guance.

Poggiò quindi il contenitore sul tavolo e riprese a giocare col coltello.

“Diamine!”, disse Dash, “Questo percussore è praticamente da cambiare! Non mi stupirei se…”.

In quell’esatto istante, Octavia si voltò di scatto verso Pinkie, lanciandole il coltello, che le si conficcò dritto in fronte.

Il pony cadde a terra.

Fluttershy si portò le zampe al muso, assolutamente spiazzata.

Il pegaso dalla chioma arcobaleno, invece, puntò prontamente un revolver verso il volto della violoncellista.

“Che. Cazzo. Hai. Fatto?”, le domandò, pronta a premere il grilletto.

L’altra non si scompose e si poggiò di schiena sullo spigolo, puntellandosi con entrambi i gomiti: “Quella non è Pinkie”.

La puledra alata buttò un occhio oltre il grosso tavolo in legno, senza smettere di tenere sotto tiro la presunta amica. Il pony rosa era riverso a terra, con la lama nel cranio e decisamente priva di vita.

“A me sembra la schizoide. Ora dammi un buon motivo affinché non ti piazzi una supposta in fronte”.

“Punto primo”, rispose lapidariamente, “Pinkie sa preparare i cocktail alla perfezione. Quel Manehattan era mediocre ed ha usato del Whiskey comune, non quello canadese. Punto secondo: Pinkie può schivare un proiettile ed ora non riesce manco a scansare un coltello?”.

I due pegasi si guardarono tra loro, con aria interrogativa.

Uno strano rumore, simile all’acqua che bolle, iniziò a diffondersi dove si trovava il cadavere. Le tre si sporsero: il manto rosa si era quasi sciolto e, al posto della puledra, si palesò il corpo di un pony nero, privo di criniera e con vitrei occhi azzurri.

“Visto? Quella non era Pinkie”.

“Per Celestia…”, esordì Dash, facendosi scappare la sigaretta dalle labbra, “Che… che cos’è quella roba?...”.

“Oddio che schifo!!”, commentò Fluttershy, coprendosi gli occhi.

“Boh”, rispose Octavia, “Uno scherzo di Chrysalis?”.

“Scherzo? Cazzo, quella era uguale e identica a Pinkie!”.

“Solo per te che sei stupida e inetta”.

“Ehy! Lurida str…”.

“Temperamento, Dash… Temperamento…”.

“Ma… ma dov’è la vera Pinkie?”, chiese il pegaso dalla chioma rosa, preoccupata.

    In quell’istante, la porta d’ingresso si spalancò.

Rainbow puntò istintivamente l’arma.

Pinkie fece il suo ingresso, reggendo una grossa cassa di sidro tra le zampe, senza vedere bene dove andava.

“Cavolini! Questa roba pesa!”, disse.

“Sarà quella vera?”, chiese Dash ad Octavia.

L’altra sorrise maliziosamente: “C’è solo un modo per scoprirlo…”.

L’amica ricambiò il sorriso e prese la mira. Premette il grilletto.

Il pony rosa, tuttavia, si abbassò di colpo per posare la cassa ed il proiettile si piantò nel muro.

Quando tirò su la testa e vide il foro, disse: “Oh! Tò, guarda! Una parete attorno ad un buco!”.

“Sì. E’ Pinkie”, concluse Rainbow, abbassando l’arma.

“Sì! Sono Pinkie!”, le fece eco saltellando... senza capire cosa fosse successo.

Rarity sopraggiunse dalla propria camera, visibilmente agitata e con una piccola monocolpo in uno zoccolo: “Ehy… Che è successo?... Ho… ho sentito uno sparo…”.

“Vieni a dare un’occhiata”, la informò il pony grigio.

Tutte e cinque osservarono il corpo del mutaforma.

“Eeeew! Che è quella schifezza??”, berciò l’unicorno, facendosi scudo con una zampa.

L’amica riprese possesso del coltello: “Una spia di Chrysalis, desumo”.

“Ma è… terribile!”.

“Lo so. Non siamo al sicuro”.

“No, intendo… è orribile da vedere! Dash, cara? Potresti portare via questo mostro ributtante e gettarlo… che so? Nel fiume?”.

L’asso del volo si accese un’altra sigaretta: “Quando c’è da fare il lavoro peggiore chiami sempre me, eh?”.

“Questa faccenda, però, è preoccupante”, aggiunse Octavia, “Se Chrysalis è in grado di creare delle copie perfette di ognuna di noi… Come facciamo a sapere chi è quella vera e chi invece un’imitazione?”.

“Oh, ridicolo, dolcezza”, affermò la puledra dalla chioma viola, “Nessun pony riuscirebbe ad eguagliarmi in quanto a bellezza e leggiadria!”.

“E modestia…”.

“Ehy! Cos’è questo?”, squittì ad un certo punto Pinkie, osservando qualcosa nella cassa che aveva appena riposto a terra.

Le altre si avvicinarono e la puledra rosa afferrò una busta di carta: “Non mi ero accorta che ci fosse una lettera d’amore per me!”.

Rarity la sollevò magicamente e la aprì.

“E’… un messaggio… C’è un indirizzo… E… e la scritta -segugio-”.

“Un indirizzo?”, domandò Fluttershy.

“Sì… e… fammi vedere se c’è dell’altro…”.

La puledra controllò meglio il contenuto.

Fece quindi un balzo all’indietro, con le zampe sulle labbra.

La busta cadde sul pavimento e, dal suo interno, uscì una manciata di scaglie viola macchiate di rosso.
   
 
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