Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Applejack scrutò l’esterno della tenuta Apple, attraverso la finestra del salotto. Il sole illuminava i suoi meleti, piantati e cresciuti con anni di fatiche.

Gli sgherri di Discord pattugliavano attentamente la zona, pronti ad intervenire al minimo segno di pericolo.

Uno di loro era chino su un piccolo appezzamento di fiori, intento a stendere del filo spinato a mo’ di recinzione. Granny Smith gli rifilò una dolorosa legnata sui quarti posteriore, tramite il bastone da passeggio. L’altro emise un verso tutt’altro che mascolino.

“Attento a dove metti le zampacce! Non mi rovinare i gerani!”, gli intimò la vecchia.

La puledra arancione chiuse le tende, assicurandosi che solo i presenti potessero assistere a quanto stavano per fare.

C’erano tutti, fatta eccezione per Grey Hound, attualmente collocato su una branda nello scantinato. Nonostante fossero passati giorni, lo stallone ancora non aveva recuperato i sensi.

“Allora, signori”, disse il pony col borsalino, voltandosi verso di loro, “Direi che possiamo cominciare”.

I pony, inclusi Discord e Big Macintosh (che possedeva un recupero fisico evidentemente strabiliante), erano seduti attorno ad un grosso tavolo in legno massiccio. Solamente Dash se ne stava leggermente in disparte, comodamente stravaccata su un divano vicino al caminetto spento.

“Sii! Iniziamo!”, esultò Pinkie.

Rarity abbassò lo sguardo, rassegnata: “Prima… prima il mio segugio… e… e poi… il mio ciccino…”.

Twilight, anch’essa dispiaciuta, le passò una zampa sulla groppa.

“Arriveremo anche a quello”, la rassicurò Applejack, “Ma ora c’è una faccenda importante di cui dobbiamo parlare”.

Fluttershy fluttuò leggermente sul tavolo e vi distese una enorme cartina di Ponymood e delle campagne limitrofe. Sul documento erano segnati a penna alcuni luoghi e percorsi stradali.

La puledra arancione cominciò il discorso: “Abbiamo unito le informazioni di Discord con quanto sapevamo già. Questa è una presunta traccia degli spostamenti dei tirapiedi di Chrysalis, nonché la locazione dei suoi presunti QG”.

Rainbow allungò il muso: “Beh. Non male. Praticamente facevi prima a segnare i posti ancora sicuri…”.

“E’ questo il punto”, continuò, “Chrysalis si sta muovendo rapidamente e il fatto che i suoi trasformisti siano a piede libero… non ci aiuta affatto”.

Octavia fece scrocchiare le ossa del collo: “Dobbiamo stare attenti… Non c’è un modo sicuro per distinguere una copia dall’originale. Sembra abbiano accesso a molte informazioni riservate, quindi potrebbero anche comportarsi di conseguenza… Il vantaggio è che non possiedono le nostre precise conoscenze mnemoniche”.

“Eh?”, esordì il pony rosa, alzando un sopracciglio.

Discord si avvicinò alla puledra dagli occhi azzurri, con sguardo languido. La passò un artiglio sotto al musetto e poi affermò: “Mia cara… in sostanza ci sono delle spie tra noi. Spie non facili da smascherare”.

L’altra sorrise: “Oh! Dov’è il problema?? Uccidi la spia e il problema se ne va via!”.

“Ma come fai a capire qual è quella vera e quale la copia, scema?”, l’ammonì Dash.

“Boh! Prima l’accoltello e poi vediamo!”.

“Ahh”, sospirò Discord, unendo le zampe su una guancia, “Dove sia stata fino ad oggi, anima mia?...”.

Macintosh batté una zampa sul tavolo: “Basta scherzi. Questa è una cosa seria”.

“Esatto”, aggiunse la sorella, “I luoghi più sicuri di cui disponiamo sono la tenuta Apple e il rifugio di Discord. Ora come ora dobbiamo preoccuparci di tenere le grinfie di Chrysalis lontane da noi e, contemporaneamente, prepararci ad affrontare una volta per tutte la mutaforma”.

“Dimmi, AJ”, chiese il pegaso blu, con supponenza, “Abbiamo mandato a picco i FlimFlam… Ma l’ultima impresa non è stata proprio un successo. Ed ora Chrysalis è incazzata nera e farà di tutto per farci fuori. Se non siamo riusciti a spuntarla con l’esercito dell’ultima volta… come pensi che potremo fare, adesso?”.

L’amica sciolse il nodo della cravatta: “L’unico vantaggio che abbiamo… è che quasi tutta Equestria ora sa che il Governo Celeste è stato miseramente gabbato. I criminali di cui andava cianciando sono scappati. Le sue guardie sono morte. E il documento su Grey Hound getterà fango a sufficienza da tenere Chrysalis impegnata a non perdere definitivamente la faccia”.

“Oh! Il mio povero pulcino!”, piagnucolò Rarity, “E poi quell’orrido mutaforma nel mio locale… Se ancora ci penso… te ne sei liberata, vero RD?”.

L’altra sorrise beffardamente e puntò il muso in direzione del camino.

Sopra le braci spente era stato affisso un trofeo da muro con la testa della creature nera, immortalata in un’espressione ridicola.

La puledra bianca trattenne un conato di vomito.

“Scusa. Colpa mia”, ammise Octavia, “L’ho convinta a non gettarlo nel fiume e a farne un oggetto d’arredo. Pinkie ha pensato al resto”.

“E’ stato divertente!”, trillò la barista.

Fluttershy già tremava: “E… e quindi cosa facciamo, ora?...”.

Discord fece un grattino sulla criniera di Pinkie e poi prese la parola: “Beh, se conosco bene Chrysalis… non tarderà a colpirci. E colpirci duro. Ma ora, come già detto, sarà impegnata a salvare la faccia, il che ci regala un po’ di tempo prezioso”.

“Ergo?”, domandò Dash.

“Erguindi”, rispose il draconequus, “Dobbiamo agire subito e fare il possibile per prepararci allo scontro finale”.

“S-s-scontro finale?...”, balbettò il pony paglierino.

“Sì”, affermò Applejack con decisione, “La morte di Chrysalis. E la caduta definitiva del Governo Celeste”.

    Sparkle sospirò e mise la lettera sul tavolo, insieme alle scaglie viola.

“E… questo?...”, chiese titubante.

“Il problema”, disse Rainbow Dash (che un po’ di tattica ne capiva), “E’ che non possiamo incentrarci su una questione alla volta. Non ne abbiamo il tempo. Significa che dovremo sistemare tutti i problemi in una botta sola… e contemporaneamente prepararci ad affrontare la mutastronza”.

L’unicorno bianco scosse il capo: “Non so se è una buona idea…”.

“Dividerci è un azzardo”, continuò Applejack, “Ma è l’unica possibilità che abbiamo. Dovremo agire contemporaneamente e tenere un occhio sulle manovre di Chrysalis”.

“Hai un piano?”, chiese Twilight.

“Sì. Ascoltatemi attentamente”.

Tutti si concentrarono (eccetto Discord che rimase ad osservare Pinkie, affascinato).

“Per prima cosa… dobbiamo trovare degli alleati. La sorella di Celestia è stata una scelta apparentemente azzeccata ma è presto per dirlo, viste le condizioni in cui versa la sua mente”.

“Abbiamo sempre i vecchi alleati”, suggerì Dash, “Intendo… i miei aviatori… i fighetti di Rarity e tutta la manica di bifolchi della tua famiglia”.

“Grazie, RD”, rispose infastidita, “Sì, abbiamo i miei… bifolchi… e tutti gli altri. Ma non basteranno di certo”.

“Quindi?”.

“Quindi… Fluttershy ha avuto un’idea…”.

I presenti si voltarono verso di lei.

“Oh… Sì… io… cioè… più che un’idea… è stato… un pensierino… una cosuccia… non è che io… volessi… insomma…”. Il pegaso si ritrasse fino a nascondersi dietro un divano.

“Epparla!!”, ruggì l’amica dalla chioma arcobaleno.

L’altra scattò come una molla: “Oh, sì… ecco, quando stavo nella Neverfree Forest ho potuto sincerarmi di qualcosa di… strano…”.

“Strano?”, domandò Twilight.

“Sì… una… una presenza inspiegabile…”.

“Ah, siamo a posto”, la derise Dash, “Cos’è? Dobbiamo andare alla ricerca di presunti alleati seguendo le sensazioni di un pegaso giallo?”.

La creatura caprina si lisciò la barba: “Ohh… la Neverfree Forest è un posto molto singolare. Racchiude segreti che potrebbero… sorprenderti”.

“Bah!”.

“Tranquilla, RD”, riprese la puledra dalla criniera dorata, “Non voglio che andiamo allo sbaraglio. La verità è che la lettera che ci è arrivata è un chiaro segnale che stanno cercando Hound. Non so perché lo vogliano… ma la verità è questa. Dunque: dobbiamo nasconderlo. E la Neverfree Forest è il luogo perfetto… magari la catapecchia di Fluttershy”.

“Cosa??”, sbottò Rarity, “Vorreste nascondere il mio pucci pucci in una latrina ammuffita nella palude??”.

“Non è poi così ammuffita…”, la corresse Fluttershy, con un filo di voce.

“Sì”, rispose Applejack, “E’ un buco di culo. Sarà difficile che riescano a trovarlo, lì”.

La puledra alata vide il proprio morale cadere sotto il pavimento.

“Lo porteremo lì”, concluse infine, “E intanto ci assicureremo che non sussista realmente qualcosa degno di attenzione”.

“Mah. A me sembra una scemenza”, puntualizzò Rainbow.

“Seconda cosa: Spike…”.

“Mhh… Non so, AJ”, borbottò Discord, “Quella lettera mi sa taaanto di trappola. Sicura che il nano valga tanto?”.

“E sicuro che i tuoi connotati valgono tanto??”, lo minacciò Twilight, facendo tremare il tavolo con la magia.

L’altro alzò le zampe sopra le spalle: “Ehy, ehy!! Ok! Come non detto!”.

Applejack osservò l’amica viola: “Sì. Abbiamo iniziato insieme e… finiremo insieme. Non importa se Spike ha voluto andarsene. E’ uno della famiglia. E… nella famiglia… nessuno viene abbandonato”.

“Ben detto, sorellina”, commentò Mac, orgoglioso.

“Quindi cercheremo di scoprire cosa è successo a Spike… E… l’ultima cosa: qualcuno dovrà rimanere alla tenuta per dirigere i sottoposti e assicurarsi che Chrysalis non tenti incursioni”.

L’asso del volo ci pensò un attimo e poi dichiarò: “Sì… dividerci non è il massimo ma non abbiamo scelta. Secondo me può andare. Rimane solo da capire come ripartirsi i vari compiti”.

Octavia, intanto, si era avvicinata alla custodia del proprio violoncello, poggiata contro il muro, ed eliminò una macchia impercettibile: “Secondo me… tu e Fluttershy potreste andare nella palude. Lei conosce il posto e volate entrambe. Così non dovreste avere grossi problemi”.

Applejack fece scorrere più volte lo stuzzicadenti da un angolo all’altro delle labbra: “Anche io vorrei venire con voi… per vedere se davvero c’è qualcosa. Ma non me la sento di abbandonare la tenuta”.

La violoncellista tornò al tavolo e le mise una zampa sulla spalla: “Stai tranquilla. Rimango io. Dopotutto devo dirigere i miei sgherri”.

L’amica non parve del tutto convinta ma anche Big Mac la rassicurò: “Secondo me è una buona idea. Io e lei rimarremo a controllare la situazione e tu potrai occuparti degli affari importanti”.

“Io e te soli, eh, stallone?”, lo stuzzicò il pony grigio.

“Sì”, le rispose, “Ti ricordo che mi devi un boccale di sidro”.

“Allora io mi recherò all’indirizzo che c’è sulla lettera”, affermò Twilight.

L’unicorno bianco prese parola con foga: “Verrò anch’io!! Voglio sapere che diavolo vogliono dal mio chihuahua dell’amore… nonché sapere che è successo a Spikino…”.

Discord, intanto, si era disteso pancia sul divano, con il mento sorretto dalle zampe e i gomiti puntellati a supporto. Oscillava le gambe come una scolaretta innamorata e fissava intensamente la puledra rosa, la quale vagava con la mente in chissà quali scenari fantasiosi.

“E voi due?...”, buttò lì  Dash, riportandoli alla realtà.

“Io farò i cupcakes!”, rispose l’amica

“Oh!... I-io”, farfugliò Discord, “Io ho alcune faccende da sistemare nel mio antro malefico… e poi devo ancora stabilire alcune cose con Luna. Ci vorrà un po’ di tempo”.

“Pinkie potrebbe venire con noi”, suggerì Rarity, “Lei ha quella sorta di… sesto senso… magari potrebbe tornare utile”.

“E non dimentichiamo il suo modo di fare i cupcakes”, aggiunse la puledra viola.

“Sìì!! Dolcetto o scherzetto??”.

“Ogni minuto senza te sarà come un’eternità senza aria”, farfugliò lo spirito.

“Ok. Quindi siamo a posto?”, chiese infine Applejack, osservando tutti negli occhi. Gli altri annuirono.

“Allora muoviamo le chiappe. Ognuno pensi a come gestire ciò che deve fare e, mi raccomando, mi servite vivi e il piombo nuoce gravemente alla salute”.

Dash si mise sull’attenti. Pinkie la imitò in malo modo e Rarity si controllò allo specchio, dandosi giusto una ritoccatina al rossetto.

Applejack fece rientrare la nonna e strinse i parenti, uno ad uno, inclusa la piccola Applebloom. Prese quindi la Dodge, fece salire i pegasi e imboccò lo sterrato per la foresta.

Twilight avviò la propria Chandler. Rarity  prese posto, schifata come suo solito. Pinkie, invece, si mise sul sedile posteriore canticchiando come una bambinetta.

Lo spirito barbuto cercò di incastrarsi in un furgoncino dei gelati (l’unico mezzo di fortuna che riuscì a reperire, dopo la dipartita della sua bellissima Pierce Arrow) e si allontanò lentamente, accompagnato da uno squillante carillon.

Octavia e la famiglia Apple rimasero quindi nel salotto, osservando i veicoli allontanarsi.

Granny Smith lanciò un’occhiataccia alla musicista: “Shappi che non mi fido di te, occhi viola! I tuoi idioti mi hanno quashi polverizzato i gerani, l’ultima volta!”.

L’anziana le mollò una bastonata e la puledra la schivò senza sforzo: “Stia tranquilla”.

Nella manovra, urtò di schiena il robusto petto di Macintosh.

“Vedi di non fare la furba… altrimenti ti prendo e ti piego in posizioni che nemmeno immagini”, disse lui.

Octavia sorrise e se ne andò sculettando: “Non tentarmi, stallone…”.

Solo in quel momento Mac si rese conto dell’ambiguità delle proprie parole. Arrossì leggermente e cercò di schiarirsi la voce.

“Brutto zozzone!!”, berciò Granny, colpendolo su una zampa, “Vai da un’altra parte a fare le tue maialate!”.


*** ***** ***


    Ora si trattava di aspettare.

Aspettare che qualcuno dei compagni tornasse, possibilmente con buone notizie e non rinchiuso in una bara (o in una ventiquattrore).

Octavia diede le ultime disposizioni ai propri seguaci, salendo poi al piano di sopra con Macintosh.

Lo stallone si assicurò che Applebloom fosse al sicuro nella propria cameretta, sotto lo sguardo vigile della nonna, e poi entrò nello studio con la musicista. Aprì le tende, in modo da avere una chiara visuale della zona circostante: gli agenti di Discord controllavano attentamente i dintorni. Provò una strana sensazione quando vide gli stessi tizi che l’ultima volta avevano messo a ferro e fuoco l’abitazione… ora intenti a proteggerla scrupolosamente. Non era granché convinto ma non aveva altra scelta. Doveva fidarsi.

Sulla scrivania era appoggiato un logoro Tommygun, circondato da alcuni caricatori a tamburo e scatole di proiettili.

La puledra passò una zampa sul metallo dell’arma.

“Questo arnese ha visto molte battaglie…”.

“…Eyup”, rispose l’altro, senza darle particolare attenzione.

“L’otturatore è consumato. La bocca di testa sembra sia stata usata per piantare i chiodi. E mi stupisco che le parti in legno non abbiano le termiti…”.

Mac scrutò i meleti all’esterno e, dopo una breve pausa, disse: “E’ stata la prima”.

“In che senso? La prima arma, intendi?”.

“Sì. La prima arma che ebbi. Ci tengo molto”.

“Capisco”, continuò l’artista, sorridendo, “Anche io ho i miei… monili… a cui sono affezionata. E’ stato un regalo?”.

“Eyup. Un regalo che ho strappato dalle fredde zampe del tizio che cercò di farmi la pelle”.

“Oh. Un regalo guadagnato con i propri sforzi, quindi?”.

Il pony dai crine arancioni annuì.

I due rimasero a lungo in silenzio, con lo stallone alla costante ricerca di possibili minacce esterne.

“Tranquillo”, lo rassicurò la presunta alleata, “Se dovessero vedere qualcosa di strano ci avvertirebbero subito”.

“Scusa se nutro ancora i miei dubbi. I tuoi ultimi leccazoccoli mi hanno quasi incendiato casa, ammazzato le mie sorelle e piantato cinque colpi in corpo”.

Il pony grigio si avvicinò lentamente: “Bene. Questo significa che sanno  il fatto loro”.

Big Macintosh la fulminò con lo sguardo.

“Suvvia. Era per dire. Erano stati inviati da Crhysalis con l’inganno. Sai… la storia dei mutaforma e tutto il resto…”.

L’espressione del padrone di casa rimase seria e l’attenzione tornò al paesaggio oltre il vetro.

Il volto della puledra si fece scaltro. Inclinò leggermente il cappello su un lato e poi sfiorò il petto di Mac con una zampa.

“E così… ti sei beccato cinque pillole in corpo, eh?...”.

L’altro osservò lo zoccolo muoversi languidamente attorno alla cravatta.

“Eyup. Un intero tamburo di .357”.

“Ma pensa…”.


    Nel cortile, intanto, la ronda si assicurava che nulla sfuggisse al proprio sguardo.

Quattro sgherri, con lunghi trenchcoat e l’immancabile borsalino, proteggevano l’uscio dell’abitazione.

Un quinto compagno, in occhiali scuri, si avvicinò lentamente, accendendosi poi una sigaretta.

“Certo che… fare la guardia a questi bifolchi…”, si lamentò uno dei quattro.

“Questi sono gli ordini”, rispose un amico.

“Lo so”.

“Col capo non si discute”.

“Beh… sempre meglio di quello che ci ha ordinato di fare l’ultima volta… ti ricordi?”.

“Già... Sparate a tutti gli spazzini che vedete!...”.

Si levò qualche risata.

Il pony con la sigaretta li ascoltò assorto, poi buttò la cicca a terra e la schiacciò, ruotando leggermente la zampa: “Ogni tanto mi chiedo perché lo facciamo…”.

“Per i soldi, mi pare ovvio”.

“Ah. Davvero?”, chiese, alzando il muso verso l’interlocutore. Il riflesso dell’amico comparve nelle sue lenti scure.

“Oh sì! Per i soldi questo e altro. Spazzini o non spazzini”, rincarò.

L’altro sorrise amaramente: “Secondo me i postini sono più pericolosi”.

“Uh… postini?”.

Si tolse gli occhiali. I bulbi oculari erano blu elettrico, privi di pupilla e assolutamente innaturali.

“Sì”, continuò, “I postini recapitano messaggi pericolosi. Per esempio… un messaggio da parte di Crhysalis”.

Il mutaforma aprì la giacca, rivelando un cinturone farcito di granate militari… e prive di spoletta.


    Il botto dell’esplosione fece trasalire Octavia e Mac, che si buttarono ai lati della finestra, cercando di capire cosa fosse successo, senza esporsi troppo. Per loro fu qualcosa di inaspettato. Per altri… il segnale d’inizio.

“Che cazzo è stato??”, tuonò lo stallone.

“Non lo so…”.

Alcuni spari iniziarono a risuonare da diverse direzioni.

I due non capirono e gettarono un occhio con cautela, per cercare di farsi almeno un’idea.

Poi, qualcosa fece corrugare la fronte alla violoncellista: uno dei suoi uomini aveva appena freddato alle spalle un collega, con un colpo diretto in fronte.

“Merda…”, sussurrò la puledra.

Scene analoghe si ripeterono a più riprese ed il panico iniziò a diffondersi rapidamente tra i sottoposti, che non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.

Il pony dagli occhi viola scosse la testa: “Sono stata una stupida… Ho commesso lo stesso errore di Chrysalis… ho sottovalutato il mio avversario…”.

Mac, pur non essendo un genio, non ci mise molto a fare due più due: “L’ingresso… l’esplosione proveniva dall’ingresso!”.

“Stupida… sono stata una stupida e una sprovveduta…”.

Il volto della gangster si fece adirato: non sopportava essere gabbata in quel modo.

“Quella stronza aveva piazzato delle contromisure prima ancora che decidessimo di fregarla… Stupida… Stupida! Stupida!!”, biascicò, colpendosi più volte la fronte con uno zoccolo.

“Piantala!”, intervenne il compagno, afferrando il Thompson e armandolo con un caricatore, “Se ti piacciono gli insulti, dopo te ne darò quanti ne vuoi. Ora prendi un’arma e datti da fare”.

Lo stallone spalancò la porta con una zampata e corse verso la camera della sorella.

“Mac!”, strillò la puledrina preoccupata, non appena lo vide entrare, “Mac! Che sta succedendo?? Stanno di nuovo cercando di entrare in casa??”.

Granny la abbracciò, cercando di tranquillizzarla.

“Tranquilla, piccola”, la rassicurò il fratello, sfondando il vetro con il calcio dell’arma, “Stai con la nonna e tutto andrà bene”.

La vecchia infilò uno zoccolo sotto il dondolo e tirò fuori la fida lupara.

“Shì, tesorino. Shtai con nonnina”, le disse, con un dolcissimo sorriso (e infilando un paio di cartucce nelle canne).

    La rabbia della violoncellista, intanto, crebbe. Aprì delicatamente la finestra dello studio, in completo silenzio, allungando appena una zampa, senza che nessuno la notasse.

Inquadrò una delle spie di Chysalis.

Strinse i denti. Come un fulmine, sfoderò una Luger, bucò il cranio del nemico e tornò in copertura.

Gli assalitori aprirono il fuoco a casaccio, senza capire chi avesse sparato.

“Luridi vigliacchi schifosi”, sibilò, “Vi insegno io ad ingannarmi e far secchi i miei uomini a tradimento…”.

Fece partire un secondo colpo. Un altro infiltrato cadde a terra.

Per le campagne circostanti, intanto, prese a diffondersi una caotica sparatoria. Gli alleati di Discord si trovavano in una precaria situazione, cercando di distinguere gli amici dai nemici. La tattica della mutaforma era semplice... ma terribilmente efficace: lasciare che gli avversari perdessero il controllo ed iniziassero a non fidarsi più di nessuno. Perché sprecare le proprie munizioni quando il fuoco amico poteva risolvere buona parte del problema?

E così alcuni gangster si trovarono ad aprire il fuoco su compagni che imploravano pietà, solo per ritrovarsi morti stecchiti qualora avessero cercato di prestar loro soccorso. Dal lato opposto, furono molti a cadere sotto i colpi di qualcuno che, fino al giorno prima, li aveva semplicemente chiamati “compagni”.

“Chrysalis! Lurida cagna!”, continuò ad inveire Octavia, da una finestra ormai tempestata di proiettili. Vuotò l’ultimo caricatore, senza mancare un solo bersaglio. Poi udì qualcosa infrangersi, al piano di sotto.

La casa era grande e, con i difensori nel caos più totale, fu piuttosto semplice per i trasformisti di Chrysalis riuscire ad approcciarsi alle finestre, quasi indisturbati.

Nella stanza accanto, Mac teneva a bada i nemici per mezzo del proprio mitragliatore di fiducia, riparandosi giusto per evitare il contrattacco avversario.

Applebloom si tappò lo orecchie:” Aahhh!! Ma perché vengono sempre tutti a far casino qui da noi?!”.

La porta della cameretta si spalancò e il pony grigio piombò ansimante: lo stallone e la nonna le puntarono istintivamente le armi addosso.

“Mac!”, urlò l’altra, “Ho sentito una finestra rompersi! Credo che stiano salendo da sotto!”.

“Dannazione…”, farfugliò preoccupato, abbassando la mira.

Una seconda Octavia fece improvvisamente capolino, bloccandosi interdetta quando vide il proprio sosia.

“Eh??”, berciò Granny, aguzzando lo sguardo, “Oh casso… E non ho manco bevuto…”.

Le due puledre si osservarono, come se ci fosse uno specchio in mezzo.

Applebloom spalancò la bocca.

Il pony rosso corrugò le sopracciglia: “Perfetto”.

“Ehy, Mac, vedi di non farti ingannare da una brutta copia”, disse una, con sguardo lapidario.

“Appunto”, riprese l’altra, “Premi quel grilletto e toglila di mezzo”.

L’amico sembrò vagamente confuso. Fece poi spallucce e si preparò a sparare: “Per quel che mi frega faccio prima a raddoppiare la vincita…”.

Una Ocatvia si mise una zampa sul petto: “Mac… Davvero non mi riconosci? Guarda in fondo al tuo cuore…”.

Una raffica di proiettili la gettò a terra in un baleno.

La puledra sopravvissuta non si scompose: “Vedo che ti è rimasto ancora un po’ di sale in zucca. Comunque… stanno davvero arrivando dal piano di sotto”.

Alcuni colpi giunsero dall’esterno, sforacchiarono le tende della stanza e si piantarono nel soffitto.

“Le mie tendine!!”, piagnucolò la piccola.

Lo stallone pensò rapidamente: “Nonna, tu rimani qui e copri questo lato del cortile. Octavia, tu prendi il mio mitra e…”.

“Ho un’idea migliore”, lo interruppe, con sguardo deciso, “Tu vai nello studio a coprire l’altro lato. Io mi reco di sotto”.

“Sicura?”, chiese, cambiando caricatore.

“Sì. Non mi piacciono gli arnesi troppo rumorosi. E poi me la cavo meglio sulla corta distanza”, ammise, iniziando a scrocchiarsi le giunture.

“Va bene, non c’è tempo da perdere. Porca miseria…”, concluse iracondo, “Ci ha dato a malapena il tempo di riorganizzarci…”.

“Dopo oggi faremo capire che…. avrebbe fatto meglio anche lei a concedersi più tempo per riorganizzarsi…”.


*** ***** ***


    La pancia del rospo si gonfiò, accompagnata dal gracidio di altri batraci sparsi per la palude.

Uno zoccolo arancione si posò a pochi centimetri dall’animale, inducendolo a tuffarsi nell’acqua putrida.

Applejack si osservò la zampa, con volto inespressivo, e poi riprese a marciare tra i liquami.

“Seriamente”, disse a Fluttershy, “Ti piaceva vivere in questo ricettacolo di colera?”.

“Oh…”, sussurrò il timido pony, “Non è che… mi piacesse in senso stretto… però… Ecco avevo bisogno di un po’ di pace e isolamento dal mondo”.

“Visto, AJ?”, ridacchiò Dash, “La logica non fa una piega. Vuoi stare alla larga dagli altri? Vatti a nascondere in un buco puzzolente e abitato da rettili schifosi”.

Il pony col borsalino avanzava a fatica, con la melma alle ginocchia. La coppia di pegasi, invece, fluttuava dolcemente a mezzo metro dal liquido. Nonostante le ali tenessero gli zoccoli all’asciutto, la vegetazione creava un’opprimente gabbia di liane, rampicanti e mucillaggini oleose… non meglio identificate. Odori sulfurei e di putrefazione, unitamente ad una nebbiolina sinistra, creavano un ambiente a dir poco inospitale. Le fronde delle piante erano così fitte da lasciar filtrare appena qualche spiraglio di luce.

Ma tutto era comunque scuro, cupo e decisamente adatto per nasconderci qualcuno.

Fluttershy scosse la testa: “No, Rainbow. I rospi sono anfibi, non rettili”.

“Fanno schifo comunque”, tagliò corto. Alcuni rami marci e penzolanti le finirono inavvertitamente in faccia. La puledra reagì d’istinto, dimenandosi e gettando schizzi fetenti un po’ ovunque.

“RD!!”, berciò Applejack, cercando di ripararsi, “Eccheccazzo, contavo di non mandare anche il cappello in lavanderia!”.

“Che posto di m…”.

L’amica dagli occhi azzurri si affrettò a precisare qualcosa, vagamente felice: “Oh! Non siate così negative! Qui c’è il puro contatto con le nostri origini bucoliche! Respirate le esalazioni più naturali che esistano in Equestria!”.

Tirò una snasata a pieni polmoni, nel preciso istante in cui la carogna di un ratto emerse dalle pozze limitrofe, accompagnata da qualche bolla gorgogliante.

Tossì ripetutamente.

“E’ un’idiozia, AJ, te l’avevo detto!”, sbottò Rainbow, “Non sappiamo nemmeno dove stiamo andando… chi stiamo cercando… Troviamo solo… melma… e rettili… e altra melma e…”.

Fluttershy cercò di riprendersi e la interruppe: “Uh… anfibi…”.

Il pony blu provò l’irrefrenabile impulso di torcerle il collo.

Tentò quindi di calmarsi: “AJ, ti prego, torniamo indietro e usciamo di qui…”.

La compagna si fermò e scrutò la zona, con lo stecchino in bocca ormai ridotto ad un pezzetto di legno informe: “Ehy, Flutter… Hai una mezza idea di dove andare?”.

“Oh, sì… La direzione è questa”.

“Cos’è? Hai una bussola installata nel cranio?”, la schernì Dash.

“No, è che… qui la vegetazione cambia, man mano che ci muoviamo. Anche la fauna è diversa. Osservate attentamente…”.

Le due aguzzarono lo sguardo e, nei meandri oscuri della palude, scorsero un gran numero di animali singolari: libellule decisamente più grosse del normale, serpenti acquatici (sì, questa volta dei rettili) e altre bestioline troppo difficili da identificare.

Il pegaso dagli occhi rosa alzò le sopracciglia: “Tutto qui?? Ci stiamo affidando a mostriciattoli di palude per trovare qualcuno con cui sconfiggere una mutaforma con il potere di un alicorno?...”.

“RD, tappati quel cesso per un attimo e seguiamo il canarino giallo ancora per un po’. Vediamo almeno dove ci porterà”.

L’amica sospirò rassegnata.

Proseguirono.


    E la palude si fece sempre più oscura, sinistra e intricata.

Dopo parecchi minuti, anche Applejack si stava decisamente stufando di quella situazione.

Poi, proprio quando fu sul punto di abbandonare la ricerca, notò una debole luce tra la vegetazione.

“Mhh… Una luce nel cuore di un posto simile?...”, bisbigliò.

Dash, come suo solito, rimase scettica.

Fluttershy, invece, buttò giù un bolo di saliva. Non sembrava particolarmente a proprio agio, nonostante i suoi discorsi sulla natura e tutto il resto.

Il trio si avvicinò con circospezione, scorgendo quindi una capanna fatiscente, edificata in una zona apparentemente asciutta del luogo.

La costruzione era minimale e sembrava costruita con rozze assi di legno, fango e sterpaglie.

La zona circostante era piuttosto spoglia ma adornata con oggetti curiosi ed inquietanti: bastoni “abbelliti” con piume luride, strani frutti secchi penzolanti, vasetti di vetro ricolmi di lucciole e, non per ultimo, un teschio equino appoggiato su una piccola roccia, quasi fosse un altare.

“Ma chi diavolo ci vive, qui?...”, farfugliò Rainbow, inarcando una narice.

“In effetti”, rispose la puledra arancione, “Ammetto che sono interdetta pure io… Suggerirei di preparaci per ogni evenienza”. Estrasse un revolver e le altre seguirono l’esempio.

La gangster si avvicinò con cautela alla capanna, cercando di non fare rumore.

Si riparò dietro la parete e constatò come non ci fosse una porta, bensì un fitto groviglio di liane secche attaccato allo stipite superiore.

Mosse una zampa, spostandone di lato una manciata.

L’interno era costellato di puntini luminosi: candele.

“D’accordo”, suggerì infine, “Avrei preferito sfondare l’uscio con una botta secca… ma direi che dovremo usare le buone maniere”.

Prese un lungo respiro ed entrò. Le amiche fecero altrettanto.

    L’interno era ancora più assurdo di quanto si aspettassero. Vi erano strambe chincaglierie d’ogni sorta: ciondoli, zucche dalle forme impossibili, ossa, spaventose maschere in legno e, su una mensola, tre teste di pony rinsecchite.

Le puledre manifestarono un’espressione a metà tra lo stupito e lo schifato.

In fondo alla stanza era visibile una lunga tenda di seta viola, che penzolava dal soffitto a mo’ di separé. Il materiale, tuttavia, era in pessime condizioni: vecchio, sgualcito e pieno di buchi. Creava un effetto di decadenza e abbandono.

Alcuni rivoli di denso fumo grigio si innalzavano lentamente oltre il riparo, diffondendo un odore speziato e nauseabondo.

Le tre si osservarono fra loro, non sapendo bene come reagire.

Passarono diversi secondi e poi il pegaso dalla chioma arcobaleno perse la pazienza: afferrò un lembo del velluto e spostò rapidamente la tenda di lato.

Un’acre esalazione di foschia odorosa la investì in pieno, facendola retrocedere con le zampe al muso, quasi le avessero rifilato una zoccolata.

Applejack puntò l’arma, per sicurezza.

Il fumo era così denso da impedirle di vedere con chiarezza ma, a poco a poco, si diradò.


    In un angolino, seduta in una posizione al limite del contorsionismo, una inquietante zebra misteriosa si infilò tra le labbra la canna di un narghilè dall’aspetto esotico.

L’equino era ricoperto di piercing, tatuaggi incomprensibili e cicatrici. Li osservava con occhi astuti, parzialmente occultata dalla penombra.

Espulse un po’ di combusto dalle narici: l’esalazione si spanse in aria, virando inspiegabilmente più volte di colore, prima di disperdersi e svanire.

La zebra sorrise maliziosamente.

Rainbow Dash iniziò a tossire, come se avesse degli aghi infilati in gola.

“Per Celestia!!”, rantolò, “M-ma… che cos’è?... Copertone affumicato?...”.

Applejack incrociò gli occhi della padrona di casa e… qualcosa la obbligò a sostenerne lo sguardo.

La stanza attorno a lei parve farsi buia… i bulbi oculari dell’altra divennero sottili… quasi luminosi… le pareti si strinsero attorno al suo volto striato… La testa della puledra oscillò, come se un improvviso attacco di sonno l’avesse colta in un istante.

I colpi di tosse dell’amica la riportarono immediatamente alla realtà.

Fluttershy osservò terrorizzata l’arredo e fece qualche passo indietro.

“Allora?...”, domandò l’asso del volo, “Che facciamo?...”.

Applejack si sentiva confusa… e la zebra continuava a scrutarla, quasi divertita.

Decise quindi di parlare.

“Scusi per l’intrusione”.

L’altra rimase in silenzio e si limitò ad aspirare la miscela. Soffiò di nuovo il fumo (questa volta tutte si tennero a debita distanza) e poi, accompagnata da un accento irriconoscibile, dichiarò: “Nessuna intrusione di sorta. Se non ti avessi voluta qui… saresti già morta”.

“Ehy!”, ruggì Dash, “Vedi di abbassare la cresta…”.

La fumatrice sorrise.

La gangster intuiva che qualcosa di strano stava accadendo… in quel preciso istante.

“Mi… mi chiamo Applejack. Tu sei?...”.

Una piccola risata precedette la risposta dell’interlocutrice: “Di nomi ne ho molti, troppi per dirteli ora. Ma tu puoi chiamarmi semplicemente… Zecora”.

L’aggressività del pegaso ebbe la meglio, come sempre: “Ma come parli? Mi sa che quella roba che spipacchi ti ha incenerito i neuroni…”.

“Avverto grande coraggio e spavalderia… ma anche una buona dose di idiozia…”, commentò.

L’altra fu sul punto di freddarla con una pallottola ma poi si ricordò l’ultimo discorsetto che aveva avuto con Octavia e cercò di sbollire i suoi irosi istinti.

Zecora chiuse le palpebre e divenne seria. Alzò una zampa a mezz’aria: “Sento tuttavia una presenza aleggiare. Rubini viola, manto grigio… l’influenza di qualcuno a cui piace suonare…”.

Riaprì gli occhi e lanciò un ghigno. Il pegaso impietrì.

Applejack mise l’arma nella fondina ascellare, molto lentamente: “Ok… questa faccenda sta assumendo dei tratti decisamente insoliti”.

“Come fai a stupirti?”, cantilenò la zebra, “Baffi bruciati, zeppelin in fiamme e serpenti barbuti. Altre prodezze vuoi attribuirti?”.

Dash sudò freddo: “C-come fai a sapere tutte queste cose??”.

Zecora afferrò qualcosa dietro di sé e poi buttò un numero del Daily sul pavimento: “Carta stampata. Sono solo informata”.

Il pony dagli occhi verdi sembrò apprezzare la situazione: “Quindi sai chi siamo… e…”.

“In realtà non vi ho mai visti o conosciuti. Ma il destino vi ha condotti da me, con tempismo che spacca i minuti”.

“Insomma non sei sorpresa di vederci”.

La puledra zebrata tornò silenziosa. Osservò le tre con attenzione, soffermandosi nuovamente su Applejack.

Dash si avvicinò alla chioma dell’amica: “Secondo me non caviamo fuori niente di buono…”, le sussurrò.

“Dimmi, Zecora”, riprese il pony arancione, “Pensi dunque che ci siamo incontrate per un motivo?”.

    La zebra posò il bocchino, lasciando che il braciere consumasse da solo il proprio contenuto.

Sì alzò lentamente, riarticolando le giunture in posizione normale, quasi fosse una marionetta di legno, e si mise in piedi. Fluttershy strinse i denti.

La padrona di casa iniziò quindi a muoversi tra le presenti, analizzandole scrupolosamente da orecchie a zoccolo. Quando fu d’innanzi alla gangster, decise di parlare di nuovo: “Percepisco un grave turbamento. Qualcosa di angosciante ti perseguita… che ti porterà al cambiamento”.

Il pegaso blu riprese la parola: “Ascolta, cosa voodoo, avremmo un po’ di fretta ed ho l’impressione che tu sia sotto l’effetto di qualche sostanza allucinogena. Non abbiamo tempo da perdere con… nenie strampalate, discorsi misteriosi o…”.

“Il tempo è contro di voi, lo riconosco. Eppure siete venute a cercare qualcuno, in questo posto…”.

“Sì”, rispose Applejack, “Stiamo… stiamo cercando dei possibili alleati”.

L’espressione dell’altra si fece curiosa: “Cerchi altre spalle con cui condividere il tuo fardello? Mia cara… dovrai farlo da sola e non sarà bello”.

“Cosa intendi dire?”.

Un sorriso sardonico le si formò sul muso. Afferrò al volo un grosso insetto di palude che gironzolava nei dintorni. Si avvicinò ad una ciotola in legno: schiacciò l’animale, facendone fuoriuscire un liquido giallastro.

Fluttershy cercò di intervenire ma l’aspetto della zebra la inquietava al punto da farla desistere completamente. L’altra aggiunse alcune polveri da un piccolo barattolo, un po’ di liquido di un’ampolla e infine, sfregando le cavigliere anteriori con un colpo secco, innescò una scintilla.

Il contenitore si infiammò, generando una surreale luce bluastra.

“Ti trascini una grande sofferenza nel petto, o puledra dallo stecco tra i denti. I tuoi zoccoli son macchiati di sangue… nonostante i tuoi buoni intenti”.

Il pony la ascoltò, assorta.

“Nulla volevi eppure molto hai ottenuto. Sei giunta fin qui e solo tu l’hai voluto. Ti sei costruita un ponte di morti, per cercare di scrollarti il peso che porti. Potresti fermarti… eppure non vuoi. Prosegui nel cammino e chiedi aiuto a noi”.

Zecora si avvicinò ad Applejack e, per la prima volta senza rima e con un tono spaventosamente minaccioso, le sussurrò: “Puoi proseguire solo aggiungendo altri cadaveri… ma… fino a che punto vuoi spingere questo sacrificio?...”.

“Finchè sarà necessario”, dichiarò solennemente, sputando lo stuzzicadenti.

“Sei brava a parlare! Ma il sacrificio si dimostra col sangue, e non col ciarlare!”.

“Appunto. Voglio fatti. Per questo chiedo aiuto. Devo togliere di mezzo qualcuno di molto potente…”.

La fiamma si intensificò e la voce di Zecora si fece imponente, in modo inspiegabile: “AH! Aiuto desideri e aiuto avrai, se è ciò che richiedi… ma davvero sei pronta sacrificare tutto ciò che possiedi?...”.

La puledra col borsalino divenne nervosa: rovesciò la ciotola a terra, spandendo fiamme blu un po’ ovunque. L’intera stanza di colorò di tonalità celesti e i pegasi ammutolirono.

Si tolse il cappello e fissò la zebra negli occhi: “Non me ne frega niente dei sacrifici. Chrysalis deve morire. Voglio vederla ai miei zoccoli, esanime… senza vita. Non mi importa quanti sgherri ci vorranno, quanti soldi dovrò investire, quanto piombo dovrò dispensare… Posso anche dare la mia vita pur di toglierla di mezzo e salvare la mia tenuta…”.

Le zampe di Zecora la cinsero rapidamente per il collo: “DAVVERO??”, urlò, con un ghigno terribile.

Dash si sentì raggelare il sangue nelle vene e agì d’impulso: puntò il revolver e premette il grilletto… ma non avvenne nulla. Il cane colpì a vuoto. Il pony alato fissò incredula l’arma.

Le parole della zebra uscirono spaventosamente sovrannaturali: “Sacrificherai tutto?... Anche… la tua… ANIMA?...”.

Applejack percepì una morsa chiuderle il petto, qualcosa di assolutamente inspiegabile, e allontanò da sé la puledra striata, con uno spintone.

Le fiamme si affievolirono… e tutto parve tornare alla normalità.

“AJ”, biascicò Fluttershy, sull’orlo di una crisi di nervi, “A-andiamocene, ti prego!”.

L’altra si sistemò la cravatta: “Cos’è? Sei stata tu a portarci da questa strega. E ora vuoi scappare? Dimmi, Zecora… Anche tu sei brava con parole e accattivanti discorsi in rima… ma… alla fine cosa intendi fare? Io ho bisogno di alleati. Non di poeti con gli anelli al naso”.

“Dare per avere”, rispose la zebra, “Tieni questo a mente e tutto potrai ottenere…”.

“Mi pare giusto. Che cosa vuoi?”.

“Oh, non voglio favori immediati. Se avrai bisogno… i miei interventi saranno scontati. Percepisco una grande ambizione… ma dimmi… a cosa è rivolta la tua attenzione?”.

“Te l’ho detto. Chysalis. Una… una mutaforma con i poteri di un alicorno. E… e Counterlot. Tutta la città fortezza”.

Gli occhi di Zecora brillarono di piacere: “Oohhh… Quanti cadaveri per continuare il tuo ponte! Di ancora molto sangue porterai l’onte!”.

L’atmosfera ripiombò nel surreale.

“Un futuro spaventoso ti si para d’innanzi. Dovrai fare una scelta e non potrai lasciare avanzi. Scorgo… una grossa sfera rossa nel cielo… Una Luna bramosa langue. Una Luna… DI SANGUE”.

Quando la frase terminò, le fiamme delle candele parvero sul punto di estinguersi… poi riacquistarono vitalità.

La gangster cercò di non farsi intimorire: “Te l’ho detto. Non mi importa cosa dovrò fare… Mi basterà togliere di mezzo quella stronza. Allora… mi aiuterai o no?”.

Zecora parve pensarci ma sembrava avesse già la risposta pronta: “Avrai ciò che ti serve… ma stai attenta… il sacrificio di cui parlo è insidioso come una serpe”.

“Mi sta bene”, concluse con decisione, rimettendosi il cappello in testa, “Ora andiamo. Abbiamo perso fin troppo tempo”.

Le amiche acconsentirono volentieri e abbandonarono la capanna con grande sollievo.

    Applejack scostò le liane all’ingresso, udendo un’ultima frase di Zecora, poco prima di andarsene definitivamente.

“Ricorda le mie parole, anche se ti trafiggeranno il cuore come una lamina. Per ciò che vuoi fare, in un modo o nell’altro, perderai comunque la tua… anima…”.

Il pony gettò un’occhiata alle proprie spalle: la zebra era tornata a fumare. Un’oscurità opprimente la circondava. Solamente gli occhi risaltavano nel buio… quasi fossero quelli di un gatto.


*** ***** ***


    Octavia scese silenziosamente le scale.

Gli zoccoli volarono letteralmente sugli scalini, senza produrre il benché minimo rumore.

La musicista si appostò ad un lato della porta che conduceva al salotto, ovvero la camera che chiunque avrebbe dovuto attraversare, passando dall’ingresso.

Si sporse appena, riuscendo effettivamente ad identificare quattro mutaforma intenti a controllare i dintorni del salotto. Tornò in copertura, senza che la notassero.

Cercò di formulare un piano. La porta esterna, nonostante l’esplosione, aveva retto. Questo li costringeva a passare dalle finestre. La custodia del suo violoncello era ancora dove l’aveva lasciata, intatta. Se l’avessero rovinata… avrebbe scatenato la sua ira, lo sapeva bene. Si massaggiò delicatamente il mento, guardandosi attorno per farsi venire un’idea.

Notò quindi un oggetto nel corridoio, che non le sarebbe servito a nulla… ma a cui non seppe resistere.

Una grossa radio a valvole.

Si avvicinò all’apparecchio. Lo osservò intensamente.

“No”, disse a se stessa, “Non è questo il momento”. Si girò e fece per allontanarsi.

Le zampe si fermarono. Il volto tornò sull’oggetto.

    Gli invasori, intanto, proseguirono nella ricerca.

“Visto niente di interessante?”, chiese uno dei presenti.

“No. Solo alcune piantine della città, stoviglie e un violino”.

“Quello è un violoncello, idiota”.

“Oh, scusa, non sapevo fossi un compositore!”.

Una raffica di colpi dal piano di sopra attirò la loro attenzione.

“Smettetela”, li riprese un terzo, “Ai piani superiori stanno vomitando fuoco sui nostri. Andiamo a far tacere quella mitragliatrice!”.

Un’improvvisa voce gracchiante fece capolino da una stanza limitrofa. I tizi si buttarono in copertura, puntando le armi.

“…Ecco che la palla passa rapidamente al portiere che…”.

Un brusio precedette il cambio di frequenza.

“…Ed ora le notizie del giorno: pare che gli ufficiali di Counterlot abbiano rilasciato una dichiarazione secondo cui…”.

I mutaforma si guardarono tra loro, perplessi.

Iniziarono quindi ad avvicinarsi al corridoio, si misero in posizione ed aprirono la porta.

Octavia era vicino alla radio e continuava a cercare un qualche tipo di frequenza a lei congeniale.

“Ehy!”, disse un nemico, “Guardate! E’ lei!”.

“La tipa di cui ci ha informato Chrysalis! La traditrice!”.

“Sì… grigia e con una chiave di violino sul culo”.

L’altra si girò, visibilmente seccata: “Fate silenzio…”.

Un mutaforma rise di gusto: “Troppo facile!”.

“Come sarebbe a dire?”, chiese la puledra, continuando a far ruotare le manopole.

“Ricordatevi: il capo la vuole viva!... Ma non ha detto che la vuole in buono stato!”.

Tutti sorrisero maliziosamente.

Poi, finalmente, trovò una stazione apprezzabile.

“…Trasmettiamo ora… Dies Irae… del noto compositore Hoofgang Ponadeus Mozart, 1791…”, annunciò una voce pacata.

Il pony dalla criniera scura unì gli zoccoli tra loro e poi si voltò verso i quattro, con un ‘espressione di assoluta superiorità: “…Viva?... Quindi non volete usare armi da fuoco?... Avevate ragione… troppo facile…”.

“Addosso!!”, berciò il più temerario.

La sinfonia partì.


    Le note infilzarono la mente di Octavia come una lancia divina.

La puledra chiuse gli occhi e la melodia si diffuse rapidamente anche al resto del corpo.

Lei adorava suonare. Era il suo sogno. Lo era stato da sempre.

Quando scoprì di avere talento per gli strumenti, gli archi ed il violoncello in primis, ne fu entusiasta.

Capì fin da subito di essere una suonatrice eccezionale. Forse… era semplicemente predisposta per la cosa.

Lo spartito era solo un pezzo di carta. Ciò che lei riusciva a fare era trasmettere la melodia direttamente all’ascoltatore… lo strumento era solo un mezzo, una parte di lei con cui codificare quell’insieme inspiegabile di note e sinfonie; qualcosa che percepiva nell’anima e che poteva riordinare grazie ad una mente incredibilmente analitica.

La stessa mente che la fece avvicinare al mondo della malavita, quando si rese conto che l’analisi accurata di ogni cosa, unitamente ad una disciplina impeccabile, erano la chiave per avere successo anche nelle situazioni meno artistiche. Che poi… tutto poteva essere trasformato in arte.

E quello ne fu l’esempio lampante: unire l’utile al dilettevole. La musica alla danza. La melodia delle note ai lamenti delle vittime. Era il momento in cui corpo e melodia si fondevano per creare un connubio bellissimo… e letale. Così, solo seguendo le note. Così, finché tutto non tornava silenzioso.

    Il coro proruppe imperioso, immediatamente accompagnato dalle percussioni, l’organo, gli ottoni e… gli archi.

Le palpebre di Octavia si aprirono lentamente. Sorrise appena.


DIES IRAE, DIES ILLA


Il pony scattò come una molla sul primo avversario, colpendolo con le zampe posteriori e gettandolo a terra. Con una rapida capriola frontale si catapultò al centro del salotto. Gli altri caddero preda dello sbigottimento.


SOLVET SAECLUM IN FAVILLA


Chiuse gli occhi. Assaporò ogni nota.

Il tizio si rialzò e i quattro la circondarono, assalendola simultaneamente.


TESTE DAVID CUM SIBYLLA


Due zampe vennero intercettate e usate come supporto per sollevarsi un metro da terra.

La puledra atterrò alle spalle di un mutaforma, con lo zoccolo tra le sue grinfie. Un colpo secco lo fratturò in più punti. Si levò un urlo agghiacciante.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Un collega estrasse un coltello e menò un fendente. Octavia si inclinò senza sforzo: la lama le sfiorò quasi il muso.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


Due rinforzi, attirati dal baccano, giunsero dalle finestre, questa volta a pistole spianate.

La mente analitica dell’artista non si fece sfuggire nulla: due avversari disarmati, uno armato di coltello, due con armi da fuoco. Uno incapacitato.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


La zampa passò rapidamente sulla schiena del mutaforma con il pugnale: il corpo di lei ruotò attorno all’avversario, facendo volteggiare criniera e coda a mezz’aria.

Partirono dei colpi, che vennero intercettati dal malcapitato, usato a mo’ di scudo.

Quando la manovra terminò, il conteggio totale di bersagli operativi era sceso di nuovo a quattro.

Il coltello del cadavere si trovava ora nelle zampe di Octavia.


DIES IRAE, DIES ILLA


“Fatela fuoriii!!”.

Ed ecco due zampe intente ad afferrarla, immediatamente bloccate e costrette in una morsa di sottomissione.

Il rumore di uno sparo alle spalle.

Angolazione individuata. Si mosse di conseguenza.

Il piombo si incastrò nel parquet.


SOLVET SAECLUM IN FAVILLA


Sferrò un calcio basso, gettando a terra il secondo tizio disarmato.

Risalì come una girandola, imprimendo forza all’oggetto affilato che teneva serrato nello zoccolo e scaraventandolo poi verso un terzo sventurato.

Il metallo si conficcò nella spalla. Un altro urlo.

La pistola cadde a terra.


TESTE DAVID CUM SIBYLLA


La seconda pistola prese a tempestarla una, due, tre volte.

Si gettò dietro una grossa poltrona, quasi danzando.

I colpi fecero esplodere dei cuscini, sollevando una bufera di piume bianche.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Octavia si rialzò. Sapeva che c’era ancora un colpo nel tamburo.

Diede un calcio ad una sedia, che scivolò dritta tra le caviglie del tiratore, ribaltandolo dolorosamente sul pavimento.

Qualcuno la agguantò da dietro, cingendole il collo.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


Una gomitata al petto lo piegò in due.

L’avversario armato appena steso premette il grilletto un’ultima volta, con zampa tremante.

Un balzo all’indietro e il proiettile le sibilò accanto alle orecchie. Il cappello volò in aria, confondendosi tra le piume.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Il corpo tornò in posizione eretta, con un lieve sorriso di compiacimento.

Il copricapo le cadde su una zampa e venne quindi risistemato sulla criniera.

I tre la osservarono spaventati.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Octavia non fece nulla, apparentemente rapita dalla musica.

I nemici cercarono dolorosamente di ricomporsi, avendo però timore ad avvicinarsi a lei.


DIES IRAE, DIES ALLA


Uno si impanicò e cercò di fuggire.

Una botta alla schiena lo fece crollare al suolo.

La puledra era sopra di lui, assolutamente felicitante.

“Dove credi di andare?”, sibilò.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Il poveretto venne trascinato verso di lei, urlante.

I compagni lo osservarono terrorizzati e poi tentarono il tutto per tutto.

Si trasformarono in Octavia.

Il collo del compagno subì una brusca torsione.


DIES IRAE, DIES ILLA


La coppia si avventò su di lei, iniziando a tempestarla di mosse parzialmente simili a quelle del sicario.

L’altra si difese come una macchina, impeccabilmente, senza nemmeno versare una goccia di sudore.

I due la circondarono ai lati, incapaci di penetrare una difesa composta da zampate rapide e fluenti.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS

QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


L’originale passò quindi al contrattacco: sferrò una zoccolata al gozzo di una copia, che si limitò a mettersi in ginocchio e sputare bava.

L’altra venne usata come puntello per compiere un’ampia rotazione a mezz’aria.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


La manovra si concluse con la zampa posteriore sulla testa del mutaforma incapacitato, piegandola in malo modo sulla spalla.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Octavia si rimise in posizione rilassata, alzando lentamente lo sguardo da terra e assicurandosi che il cappello fosse in posizione corretta. I suoi occhi si dischiusero lentamente, incrociando quelli del superstite. Il sopravvissuto se la fece letteralmente sotto, riprendendo le sembianze originali.

Digrignò i denti dal terrore e prese a tremare come una foglia.



CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Le zampe della puledra lo abbracciarono lungo le spalle.

I rispettivi musi si fecero vicini.

Sorrise amabilmente, assaporando la paura in ogni cellula del suo corpo.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


“E’ stato divertente, no?”.

Il coro si placò, lasciando spazio agli ultimi secondi di archi, tamburi e l’organo maestoso.

“Ora… vattene”, concluse, “Torna dai tuoi amichetti… da Chrysalis… e fai loro sapere che qui non si scherza”.

Gli diede ancora qualche tenero buffetto.

La melodia finì e l’abbraccio, sul collo dell’invasore, si sciolse.

Cadde a terra, annaspando carponi verso l’uscita, con le lacrime agli occhi.

Octavia lo osservò sorridendo.


    Quando il fuggiasco mise una zampa sulla maniglia… un boato improvviso si diffuse dalla porta, frantumandola in mille pezzi.

Il mutaforma fece un volo di parecchi metri, passando vicino al pony dagli occhi viola e finendo infine contro una parete, da cui si staccò un paio di quadri.

Un enorme martello scuro aveva appena abbattuto lo stesso legno che aveva resistito ad una cintura di granate.

Uno stallone barbuto ed imponente fece la propria comparsa. Indossava un colbacco ed un lungo cappotto scuro.

I suoi azzurri occhi glaciali scrutarono l’ambiente, soffermandosi quindi sulla radio in fondo al corridoio.

“Oh…”, bofonchiò Octavia senza scomporsi troppo, “E te chi ti ha invitato?”.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Lantheros