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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Twilight era alla guida della Chandler, che avanzava lentamente per le strade di Ponymood.

Dovettero sistemare alcune questioni (tra cui l’improvvisa idea di Rarity di cambiarsi d’abito, cosa che portò via quasi mezza giornata) e così si mossero quando il sole stava già calando. Non fu tuttavia una mossa lasciata al caso: con l’imbrunire, la città diventava più pericolosa e questo significava meno gente in giro e meno problemi in caso di azioni illegali.

L’unicorno viola era piuttosto nervoso e la ferita alla spalla le bruciava ancora terribilmente.

Anche l’amica bianca non aveva spiccicato una parola: si limitò a guardarsi nello specchietto retrovisore, controllando che il nuovo completo coloniale le calzasse a pennello.

Pinkie, al contrario, non stava ferma un secondo, sballottandosi sul sedile posteriore.

“Siamo arrivate??”, domandò entusiasta.

“No”, rispose seccamente Sparkle.

“E adesso??”.

“No”.

“Ora?”.

Rarity si girò verso di lei e fece sbattere le lunga ciglia al mascara.

“Dolcezza”, le disse docilmente, “Quando saremo arrivate, te lo diremo, ok?”.

“Uhh… Ok!”.

“Quindi puoi anche stare tranquilla”.

“Ok!”.

“E in silenzio”.

“Ok!”.

“Da subito…”.

“Ok!”.

Il pony rosa sorrise e l’altra la scrutò con rassegnazione. Riportò lo sguardo al paesaggio cittadino.

“Siamo arrivate??”.

Le due puledre davanti ebbero entrambe un tic nervoso all’occhio.

“Twilight, cara, mi ricordi per quale motivo ci stiamo portando appresso la mia… simpatica barista?”.

“Per questo…”, e, con un rapido gesto, gettò un coltello dietro di sé, diretto verso Pinkie.

La passeggera si spostò di lato, improvvisamente attratta da qualcosa che aveva visto in strada, e la lama si conficcò nell’imbottitura del sedile.

“Grazie, cara”, concluse Rarity, risollevata.

Proseguirono ancora qualche minuto, imboccando una strada che conduceva per le campagne dal lato opposto della tenuta Apple.

La puledra dagli occhi azzurri osservò sommessamente gli alberi scorrere lungo il ciglio stradale, unitamente ad un bel tramonto sullo sfondo, proprio dietro alle montagne.

“Cosa… cosa pensi che troveremo?...”, domandò all’autista, visibilmente titubante.

“Non lo so”, rispose Twilight, che sembrava pericolosamente seria, quella sera.

L’amica parve agitarsi leggermente: “Pensi che… pensi che… Spikino?...”.

“Ti ho detto che non lo so. Una volta là, vedremo che fare”.

Pinkie Pie mise la testa tra le due: “Cosa andiamo a fare??”.

“A cercare… a scoprire cos’è successo a Spike”, rispose Rarity, triste.

“Uhh! Capisco! Beh, nella lettera d’amore a me indirizzata c’erano le sue scaglie. Forse lo hanno pelato come si fa con i pesci, prima di sfilettarli!”.

Sparkle digrignò i denti e premette sull’acceleratore: “Se è così, l’ultima cosa che desidereranno è mangiare il pesce di venerdì…”.

“Suvvia, cara”, continuò l’unicorno bianco, “Il pesce è un alimento per chi se lo può permettere, non scendiamo a simili definizioni qualunquiste…”.

“Io preferisco i cupcakes! Ma non ci ho mai messo il pesce dentro…”, disse, passandosi uno zoccolo sotto al mento, “Dovrò sicuramente provare!”.


    Il sole continuò a calare inesorabilmente, finché scomparve all’orizzonte, lasciando appena un tenue bagliore rossastro che sfumava verso il blu della notte.

I fari presero a fendere l’asfalto, che lasciò ben presto posto ad uno sterrato.

“Conosci il luogo?”, chiese Rarity, preoccupata dal terreno polveroso.

“Sì”, rispose l’autista, “Ci stiamo recando in una zona che conosco molto bene”.

“Oh. E come mai, mia cara?”.

“Questo lato della periferia brulica di zoticoni e…”.

“Beh, dolcezza, anche il lato della tenuta Apple è pieno di bifolchi ignoranti, perlopiù tutti imparentati con Applejack”.

“Sì ma qui sono di un’altra pasta. Sono più bifolchi, più ignoranti e almeno due volte più incazzosi rispetto alla famigliola di AJ”.

“Sembri conoscerli bene…”.

Pinkie iniziò a cantilenare una canzoncina per pony dell’asilo.

“Sì, li conosco abbastanza bene”, continuò Sparkle.

“Per quale motivo?”, chiese l’altra, continuando ad osservare annoiata il paesaggio notturno.

“Una volta lavoravo per loro”.

“Ah… Tu… lavoravi per i bifolchi?”.

“Non mi fraintendere. Le loro mansioni da mezzadria e le copulazioni interparentali sono robe che non mi riguardavano. Semplicemente: possedevano un sacco di distillerie illegali. E io ero agli albori e avevo bisogno di soldi”.

“Cosa facevi?”.

“Le solite cose, no?”, commentò con sufficienza, “Preparavo intrugli alcolici, qualche esplosivo per abbattere la concorrenza e soluzioni di acido cloridrico sei molare per far sparire i corpi”.

Rarity non si scompose e fece spallucce: “Ah, capisco. Quello che fai di solito, insomma?”.

“Sì. Poi, vabbè, ogni tanto una vacca partoriva e bisognava occuparsi del travaglio e del vitello”.

Il pony rosa si intromise per un istante: “Io una volta ho messo un barattolo di cavallette in un distillatore per provare a fare il Grasshopper!… Però non è riuscito molto bene…”. Riprese a canticchiare.

La macchina proseguì lungo le colline: visti da lontano, i fari sparivano e ricomparivano sporadicamente lungo i tornanti, parzialmente occultati dalla vegetazione.

“E poi che hai fatto?”, chiese la stilista.

“Rimasi finché non ebbi abbastanza soldi per aprire la mia attività. Me ne andai. Certo… portai con me un po’ delle loro cose. Senza chiedere il permesso”.

“Delle... cose…?”.

“Sì: due pinte di alcol buongusto, qualche sputa piombo e… staccai anche le valvole di controllo di alcuni distillatori. Si udì il botto fino a Manehattan, presumo”.

“Ti è sempre piaciuto far esplodere le cose, eh?”, chiese con sarcasmo.

“Puoi dirlo!”, rispose, con un sorriso maligno, “E da allora è un po’ guerra aperta”.

“C’era da aspettarselo”.

“Infatti non siamo più stati in buoni rapporti”.

“Ed è lì che siamo diretti?”.

“L’indirizzo rimanda ad un campo di mais non molto lontano dal fiume. Forse c’è un caseggiato nei dintorni. Il problema è che qui girano con una doppietta e hanno tutti il grilletto facile: prima ti forano e poi grugniscono”.


    L’auto proseguì, finché i fari illuminarono un fittissimo campo di granturco al ciglio della strada.

Si arrestò.

Le tre scrutarono l’esterno, con la vibrazione del motore a fare da padrone.

“Uhm… non mi piace”, dichiarò l’autista, con un’espressione poco convinta.

“Neanche a me”, le diede corda Rarity.

“Brbrbrbrbrrb!!”, fece Pinkie, imitando i sussulti del motore.

Twilight girò il chiavino e spense mezzo e luminarie.

Calò il silenzio più assoluto.

I loro occhi si abituarono presto all’oscurità, potendo scorgere il cielo, parzialmente nuvoloso e illuminato da una luna spettrale. Alberi ed arbusti neri come la pece si stagliavano verso una volta quasi violacea, mentre una leggera nebbiolina (in realtà il risultato di erba fermentata che spandeva vapori) aleggiava nei dintorni, donando una parvenza sinistra ad ogni angolo e anfratto.

“Qualcosa non va”, disse Sparkle sottovoce.

“Che intendi?”, domandò Rarity, irrequieta.

“Senti qualcosa?”.

“Uh… no”.

“Appunto. Dove sono i grilli? Siamo in aperta campagna. Dovrebbe sentirsi un brusio decisamente udibile”.

“Ma che ne so io di grilli, cavallette e brusii, scusa??”, sbottò stizzita.

“Io! Io lo so!!”, strillò Pinkie, alzando una zampa, “Metti le cavallette nel distillatore e fai un Gr… Oh… Però non viene…”.

“Shhh!”, sibilò l’unicorno viola, “Taci, schizoide! Sento odore di trappola…”.

Rarity si voltò schifata: “Io invece sento altri tipi di odori provenire da quel campo di… di roba coltivata…”.

“Che facciamo??”, chiese Pinkie, trepidante.

Il proprietario della Chandler ci pensò su: “Non possiamo rimanere qui in eterno. O scendiamo ce ne andiamo”.

“Io non me ne vado senza aver prima saputo cos’è successo al mio Spikuccio taralluccio! E poi voglio anche capire che diavolo vogliono dal mio orsetto dell’amore”.

“Di Hound non me ne frega niente ma anche io voglio sapere cos’è successo a Spike”.

“E allora… scendiamo…”.

“Non mi fido…”.

“E… e che si fa, allora?”.

Un’illuminazione mentale le folgorò all’unisono e uno sguardo d’intesa si dipinse sui rispettivi volti.

Le puledre si girarono all’indietro, inquadrando Pinkie, intenta a dondolare la testa sui lati, preda delle proprie canzoncine.

“Ehm… Pinkieee?”, la richiamò Twilight.

“Sììì??”.

“Pinkie, dolcezza”, incalzò Rarity, “Ci faresti un grosso favore?”.

“Ma certo!”, rispose con gioia.

La puledra bianca aprì il finestrino di qualche centimetro e gettò un rossetto dalla borsetta.

“Mi è caduto il rossetto fuori e ne ho teeeeerribilmente bisogno per le mie labbra!”.

“Oh. Capisco!”.

“Saresti così gentile da uscire, cercarlo e riportarmelo, carissima?”.

L’altra sorrise di nuovo e si portò una zampa alla fronte: “Okie dokie!!”.

Aprì la portiera, la richiuse e scomparve nell’oscurità.

Le due scrutarono il buio dall’abitacolo.

“Ho fatto la cosa giusta?”, chiese la passeggera, voltandosi verso l’amica.

Sparkle si mise comoda: “Nel peggiore dei casi non torna e non dovremo più pagare una barista sbrocca”.

“No intendo… quel rossetto era di marca… Se non lo trovasse o non tornasse indietro come potr…”.

Un tonfo sordo si abbatté sul finestrino e la coppia quasi morì d’infarto.

Pinkie era appiccicata al vetro, premendo con tutta la faccia: “Raaaarity!!”, berciò, “Non ci vedo niente!! E’ buio!”.

“PORCA CELESTIA, PINKIE!!”, ruggì Sparkle, con una mano sul petto e il fiatone, “Che cazzo ti salta in mente, sei scema??”.

“Non lo so! Però me lo chiedono in molti!”.

“Al diavolo!”, concluse l’unicorno viola, “Se ci affidiamo a lei siamo fottute a prescindere”.

E scese, con Rarity che la seguì nell’impresa subito dopo.

“Eewww!!”, farfugliò il pony dagli occhi turchesi, quando le zampe toccarono l’erba bagnata, “Che schifooo!”.

“EHY!!”, urlò Sparkle, facendo conchetta attorno al muso, “LURIDI FIGLI DI PUTTANA!! CI SIETE??”.

“Ma che fai, sei diventata più cretina di questa qui, ora??”, l’aggredì l’amica, cercando di contenerla.

“Mi sono rotta! Se vogliono tenderci una trappola, che lo facciano qui ed ora!”.

“Ma che stai dicendo??”.

“Ho mezzo quintale di esplosivo nel bagagliaio, se provano a fare scherzi li mando dov’è finita Celestia!”.

“Cosa??”, sbottò incredula, “Mi hai fatto viaggiare con chili di esplosivo sotto il culo??”.

“Si chiama misura preventiva, mia cara!”.

“No, si chiama demenza precoce e istinto suicida!”.

Gli animi presero a scaldarsi.

“Cosa vuoi saperne, tu”, continuò Sparkle, “Che non fai altro che maneggiare seta, bigiotteria e al massimo ti buchi con una spilla da balia??”.

Rarity corrugò lo sguardo: “Beh, meglio maneggiare sete pregiate che infilare le zampe nella vulva di una vacca in travaglio, caro dottor barbiere!!”.

“Il parto di un vitello richiede abilità e conoscenze che un pomposo stilista di città non avrà nemmeno se lo iscrivono ad un corso accelerato per cerebrolesi!”.

“Lavati le zampe dall’odore di vacca spanata, la prossima volta che entri nel mio locale, allora!”.

Lo zoccolo viola colpì il petto dell’unicorno bianco.

“Mocciosa viziata!”.

Rarity affondò il muso contro quello dell’altra e i corni si incrociarono.

“Levatrice di vacche e porci!”.

“Puttanella da cabaret!!”.

La stilista sgranò gli occhi e proruppe in un verso di assoluto spiazzamento: “Come… come ti permetti??”.

Pinkie, decisamente felice nel vedere le amiche così intime, prese a canticchiare e saltellare attorno alle due… finchè non si udì uno scatto e una luce abbagliante le investì.

La coppia smise di litigare, proteggendosi gli occhi con le zampe (la puledra rosa, invece, continuò a saltellare incurante).


    Erano i fari di un’auto parcheggiata accanto al granturco.

Di fronte ad essi, appena distinguibile per via dell’improvviso accecamento, si poteva scorgere la silhouette scura di un pony. Il tizio era seduto su qualcosa, presumibilmente una cassa o un barile.

“Oh! Signore mie!”, disse, interpretando una scenetta, “Suvvia, non litigate per così poco!”.

Sparkle continuò a proteggersi il muso dai fari e il suo corno si illuminò istintivamente di magia.

Rarity estrasse la pistola dalla borsa firmata.

Pinkie saltellò e canticchiò.

“Ehy!!”, urlò Twilight, “Chi diavolo sei?? Fatti vedere!”.

Gli occhi delle puledre si abituarono rapidamente al contrasto di luce e un unicorno grigio, dalla chioma raccolta in una coda, apparve dinnanzi a loro.

Il suo sguardo era occultato da un paio di occhialini illuminati dal riflesso dei fari e il muso scolpito in un mezzo sorrisetto strafottente.

Heavy Rain spinse con delicatezza la montatura verso il volto.

“Speravo veniste prima dell’imbrunire”, dichiarò con tranquillità.

“Dimmi chi sei o faccio saltare in aria ogni cosa nel raggio di trenta metri!”.

Rarity parve infastidita: “Oh, guarda che lo fa davvero…”.

L’unicorno alzò leggermente le zampe: “Tranquille, mie care, non c’è nessun motivo per agitarsi tanto. Siamo qui solo per parlare”.

“Le chiacchiere stanno a zero”, concluse la puledra dagli occhi viola, intensificando la magia.

La stilista armò il cane.

Pinkie cambiò canzoncina.

Rain sorrise e allungò una zampa verso il cruscotto del mezzo, un’elegante Mercedes Benz SSK, nera come la notte, e le luci calarono di intensità, permettendo a tutti di vedere con minor sforzo.

In quel momento, Rarity riconobbe il marchio celeste sul fianco dello stallone.

“TU!!”, ruggì, “Riconosco quel simbolo! Tu sei un leccazzocoli del Governo!”.

“Un motivo in più per non ascoltarti e toglierti subito di mezzo”, continuò Twilight.

“Oh? Questo?”, domandò Heavy, scrutando perplesso il proprio posteriore, “Questo simbolo è solo una formalità. Un riconoscimento. Come il cartellino di un medico: ha senso solo se chi lo porta è capace ad usare il bisturi”.

Sparkle iniziò ad innervosirsi: “Senti… Non me ne frega nulla di chi tu sia e di cosa tu voglia parlare. Dicci dov’è Spike”.

“E cosa volete dal mio funghetto amoroso!”.

L’altro rafforzò il sorriso: “Mhh… vedo che la tizia arancione non è venuta. Questo rallenterà un po’ le cose. Ma noto con piacere che la stupenda proprietaria della Carousel Maison è tra noi”.

Rarity corrugò leggermente la fronte.

L’interlocutore continuò: “Lasci che le dica che foto e descrizioni non rendono minimamente l’idea della sua bellezza, eleganza e portamento”.

La puledra non sapeva resistere ai complimenti e sfoderò uno sguardo da femme fatale: “Oh, suvvia… Lei è un adulatore…”.

“No, dico sul serio… I suoi occhi turchesi sono splendidamente incorniciati dalle lunga ciglia dai riflessi cobalto. Il manto d’avorio pare liscio e delicato come seta… E la sua chioma ricorda un mazzo di fiori color malva imbrunito, come quelli che nascono presso i torrenti di montagna…”.

Il pony bianco si stava letteralmente sciogliendo di fronte a quella mole di complimenti quando, d’un tratto, una risata femminile riecheggiò nell’ambiente.

Le due trasalirono (Pinkie manco ci fece caso) e osservarono i dintorni dell’aperta campagna.

Si udì un’altra risata, questa volta proveniente da una direzione differente e un rapido fruscio, accompagnato da uno spostamento d’aria, saettò sopra le loro teste.

“Che cazzo è??”, sbottò Twilight, pronta a disintegrare l’unicorno grigio con un incantesimo.

Qualcosa prese a fendere l’aria attorno a loro ma era troppo buio per riconoscerlo… finché un sibilo acuto, identico ad una lama che si sposta nel vento, non si mosse raso terra, proprio tra i presenti.

Pinkie inciampò casualmente, schivandolo.

Vesna apparve davanti a loro, di schiena: aveva appena compiuto un atterraggio a folle velocità, facendo sibilare le ali ad una spanna dalle loro orecchie. Il pegaso ambrato era vestito con i canonici abiti gitani e le ali erano spalancate: su ogni singola piuma era collocata una tagliente lama scintillante.

La puledra ripiegò le ali, producendo centinaia di tintinnii metallici, e si girò verso le tre, ammiccando con arroganti occhi rubino.

Rarity si accorse di come un piccolo ciuffo dei sue crine fosse caduto a terra, reciso dai piccoli coltelli del pony volante.

“L-la mia criniera!!”, strillò terrorizzata, “LA MIA SPLENDIDA CRINIERA!!”.

Vesna si girò verso Rain e si mosse languidamente verso di lui, sculettando in modo provocante. Le ali continuarono a produrre un rumore analogo ad un sacchetto di monete che veniva agitato.

“Caro…”, gli disse, passandogli uno zoccolo sulla guancia, “Se ti vedo di nuovo flirtare con una lurida puledra d’alto borgo… ti taglio le p…”.

“PULEDRA D’ALTRO BORGO??”, riprese l’altra con energia, “VIANI A DIRMELO QUI E VEDI COME TI CACCIO QUELLE PIUME UNA AD UNA SU PER IL…”.

L’unicorno dalla chioma nera strinse i denti, in visibile imbarazzo: “Ehm… Signore, vi prego, state calme…”.

“Avrà le sue -cose-…”, commentò il pegaso, gettandole un’espressione di sfida, con occhi affilati.

Rarity le puntò l’arma contro.

“Vesna! Ti prego! Sto cercando di intrattenere un dialogo civile”.

La puledra cacciò fuori la lingua e gliela passò per tutta la guancia: “Quello io lo chiamo fare il cascamorto”.

“Vesna… lo sai che c’è una sola puledra importante, nel mondo, per me”.

“Farai meglio a ricordartelo, caro. Io non mi faccio troppi problemi a darci un taglio netto. Se capisci a cosa mi riferisco…”.

Lo stallone le diede un bacio veloce sulle labbra: “Sei stata cristallina, mon amour”.

Sparkle divenne schifata: “Se volete ammazzarci a suon di sdolcinerie e stronzate da romanzo rosa, ci state riuscendo in pieno”.

Vesna si sedette sulle cosce dell’amante e si rivolse al dottore: “Non fare la voce grossa, veterinario. Avrei potuto reciderti il collo in un istante, piuttosto che fare l’entrata ad effetto”.

Pinkie sbucò fuori all’improvviso, sbracciandosi gioiosa: “Me però non mi hai colpita!!”.

Quelle parole sembrarono sgradite alle orecchie del pegaso: “Oh. Tu devi essere quella fuori di testa”, disse.

“Mi chiamo Pinkie Pie!!”.

“Mi hanno detto che tu saresti la responsabile del macello avvenuto in caserma a Counterlot. Ora che ti vedo mi sto chiedendo come tu abbia fatto”.

“Come ho fatto?”, si domandò interdetta, “Così!!”, e, con un gesto rapidissimo, scagliò un coltello verso il pony alato. Vesna sgranò gli occhi, contrasse le labbra e si gettò a terra, schivando per un soffio la lama, che si conficcò nel legno di un albero, fino al manico. Rain aveva il capo all’indietro: anche lui si era visto passare un oggetto tagliente ad un centimetro dal muso.

Il pegaso si rialzò, furibondo, con la criniera arruffata e il muso adirato: “Piccola stronzetta rosa! Come ti permetti??”.

“Uuhhh… mi hai chiesto come ho fatto!”, rispose innocentemente.

“Ora ti recido la carotide!!”, e le balzò addosso, spalancando le ali acuminate verso di lei.

“Sìì! Party!!”, e venne investita dall’altra. Rotolarono nell’oscurità, accompagnate dal clangore di lame e coltelli che si colpiscono tra loro.

L’imbarazzo di Heavy crebbe: “Vogliate perdonare questo… increscioso incidente… Vesna è un po’ troppo… passionale, certe volte…”.

Sparkle alzò le spalle: “Non è un problema. Lasciamole divertire”.

“Ti ammazzo, puttana!!”, udirono alle loro spalle. Alcune lame scintillarono contro un coltello.

“Sììì! Un’altra compagna di coltello-che-bello!!”, fece Pinkie, entusiasta.

Il volto dell’agente governativo divenne  improvvisamente serio: “Ok, basta con le pagliacciate. Veniamo a noi”.

“Non aspettavo altro”, rispose Rarity, prendendo la mira, “Dov’è Spike?”.

“Il vostro amico sta bene”.

L’unicorno viola prese minacciosamente la parola: “Da quello che abbiamo trovato nella lettera non sembrerebbe proprio…”.

“Oh, quello? Erano solo un po’ di scaglie morte e del sangue di pesce. Per essere sicuri che qualcuno sarebbe venuto”.

“Visto??”, domandò Pinkie in lontananza, in mezzo ad un combattimento furibondo, “Te l’avevo detto che era pesce!!”.

“Bene”, rispose Sparkle, “Siamo venute. Ora dicci dov’è il drago”.

“Il drago non è qui. Anzi, sinceramente non so dove sia di preciso. Mica lo abbiamo rapito”.

“Stronzate”, berciò Rarity.

“Madame! Questo linguaggio non si addice proprio alle sue labbra carnose e leggiadre!... Anche se le puledre affascinanti e sboccate mi hanno sempre attratto da morire…”.

“RAIN!!”, ruggì Vesna, in parziale difficoltà contro l’avversario, “Quando ho finito con lei, rimpiangerai di essere nato maschio!!”.

“Piantala con questa farsa”, lo minacciò l’unicorno viola.

“Ve lo ripeto: Spike non è qui e sta bene. Anzi, benissimo. Credo sia andato in centro a godersi un po’ la bella vita”.

“Bella vita?”, domandò la puledra bianca.

“Sì. Lo avete sempre tenuto segregato in una cantina fetente, in mezzo ad alambicchi pericolosi e uno stipendio da fame. Penso che ora si stia rifacendo del tempo perso”.

Gli occhi dello stallone puntarono dritti a quelli della stilista: “…E delle puledre che non si è potuto portare a letto”.

L’altra sembrò non capire.

“Ve l’ho detto: Spike era solo la scusa per farvi venire qui. Quello che ci interessa, in realtà, è…”.

“Grey?...”, buttò lì il pony armato.

“Esatto, madame. Grey Hound, il traditore di Counterlot”.

“Traditore?? Casomai siete stati VOI a tradirlo!”.

“Non ha importanza. Ci interessa il segugio, nient’altro”.

“E perché? Cosa volete da lui?”.

Pinkie e Vesna capitombolarono in mezzo agli interlocutori e poi ripresero a combattere lontano.

“Hound ha causato parecchi disagi al Governo Celeste e il documento sulla prassi da forzatura che è stato pubblicato potrà essere smentito solo da Grey stesso”.

“Ehy”, intervenne la puledra viola, “Avete una mutaforma, usatela per mentire alla stampa, no? Che vi costa?”.

Rain sorrise e non disse nulla: evidentemente c’era qualcosa che non voleva rivelare.

“Non scenderemo mai a patti con i governativi!”, ribadì Rarity.

Heavy scese improvvisamente dalla cassa e si mosse verso le due, che si prepararono ad un contrattacco.

Lo stallone, con il volto sempre occultato dagli occhialini luminosi, si portò a meno di mezzo metro dalla coppia.

“Non avete capito”, disse loro con spaventosa tranquillità, “Il mio non è un consiglio da buoni amici. E’ solo questione di tempo prima che Chrysalis e i suoi agenti vi trovino. Prima che prendano le vostre sembianze. Prima che si intrufolino nelle vostre vite, nelle vostre… famiglie… prima che possano farvi perdere TUTTO ciò a cui tenete, prima ancora di togliervi la vita”.

“Che ci provino!!”, ruggì Sparkle.

“Vuoi davvero che ci provino, Twilight Sparkle? Sorella di Shining Armor, capo della sicurezza pubblica, attualmente collocato presso il dipartimento di Manehatt…”.

Il volto dell’interlocutrice si arricchì di rabbia furiosa: “PROVA A TOCCARE MIO FRATELO E TI AMMAZZO!!”, gli sbraitò, con tutto il fiato che aveva, assolutamente fuori di sé.

Heavy rispose con l’ennesimo sorriso strafottente: “Tuo fratello non è nel mirino. Ma potrà diventarlo presto, se vi rifiuterete di collaborare”.

“Anche se ti consegnassimo il mio batuffolo, sono sicura che non manterrete fede ad una sola parola di quello che dite!”.

“Au contraire, ma chère. Chrysalis ha sempre bisogno di pony capaci e in gamba. Come me. Come voi. Prima di lavorare per lei, io combattevo Chrysalis. Lei ha visto in me potenzialità decisamente elevate ed ora… beh, eccomi qui. E voi non siete da meno: avete affondato i FlimFlam Brothers, contrastato centinaia di gangster armati e… siete praticamente riusciti a penetrare nel cuore della Città Fortezza. Qualcosa che nessuno aveva mai fatto”.

“Ricapitolando”, disse la puledra dagli occhi viola, “Volete che vi consegniamo Hound e, in cambio, ci darete un… lavoro presso il vostro amato Governo?”.

Rarity si rivolse all’amica e scosse il capo: “Non ascoltarlo, Twilight!”.

“Quello che vi propongo è uno scambio: il segugio di Counterlot in cambio di un posto assicurato tra i migliori agenti di Chrysalis. Oltre che… insomma, le solite cose: sesso, soldi, droga e… uh… Noccioline? Io adoro le noccioline…”.

Sparkle divenne pensierosa e la luce sul corno si spense: “Mhh… Fammi capire bene… Tu e il tuo Governo di corrotti mi avete rotto le palle da una vita con i vostri decreti del cazzo, mi avete sguinzagliato contro la Guardie, distrutto il locale, avete rovinato la vita ad uno stallone che, lo ammetto, seppur stronzo lo trovo comunque molto sfortunato… Avete cercato di mettervi in affari con la malavita, ucciso un sacco di innocenti in nome di un ideale fasullo, assassinato un alicorno e provato a far ricadere la colpa su chi non centrava. Ed ora che vi accorgete di avere l’acqua al culo provate a salvare la baracca offrendoci un accordo…”.

Rain corrugò le sopracciglia.

“Sai che ti dico, buffone?”, concluse la puledra, “Che se siete scesi così in basso, dal cercare un accordo piuttosto che un confronto… è perché… avete una paura fottuta di noi. Perché, come hai detto, abbiamo abbattuto gangster pericolosi e quasi sovvertito un governo centenario. E ora ve la state facendo sotto”.

    Una debole risata proruppe dalle labbra dell’unicorno grigio, crescendo poi in modo incontenibile, fino a quasi levargli il fiato.

Le due si osservarono perplesse.

“Oh mamma…”, biascicò, asciugandosi una lacrima, “Voi credete davvero a tutto quello che avete detto? Pensate DAVVERO che vogliamo offrirvi questo accordo perché abbiamo paura di voi?”.

“Beh… io…”, balbettò Sparkle.

Il muso di Heavy divenne serissimo e un’onda d’urto colossale partì dal suo corno.

Le puledre, incluse Vesna e Pinkie, vennero sbalzate a terra: i finestrini della Chandler esplosero e le chiome degli alberi vennero spazzate all’indietro, come se un boato li avesse investiti.

La coppia cercò di riprendersi e vide Heavy Rain, assolutamente imperturbabile, nella stessa posizione di prima: le osservava in modo inespressivo, illuminato dai fari dietro di lui e con gli occhiali che parevano gli occhi luminosi di un mostro.

“Io sto solo eseguendo gli ordini”, disse con tono lapidario, “E gli ordini mi impongono di parlarvi e di non uccidervi. Questa è l’unica ragione per cui siete ancora vive e non un liquido rossastro spalmato sulle cortecce degli alberi”.

Twilight, che un po’ di magia ne capiva, deglutì terrorizzata.

“Ve lo chiedo un’ultima volta. Volete gentilmente consegnarci o dirci dove si trova il Segugio di Counterlot?”.

“Mai!!”, urlò Rarity.

Sparkle, tuttavia, fu molto più titubante a rispondere e si limitò a scuotere timidamente il capo, intimorita dall’avversario.

L’aura di potere attorno all’unicorno parve assopirsi all’improvviso, unitamente ad un ritrovato sorriso di Rain: “Capisco! Beh, si chiama libero arbitrio, no? Ero scettico anche io ma ho comunque voluto chiedervelo!”.

Le due ammutolirono.

Heavy si girò verso la propria compagna: “Vesna! Smettila di giocare! Ce ne andiamo!”.

Il pegaso quasi non lo sentì, assolutamente coinvolto nella mischia con la barista.

Le due continuavano a danzare tra loro: la puledra color dell’ambra roteava su se stessa come un derviscio, sfruttando le ali taglienti come se fossero un mantello di lame liquide. Un vero spettacolo.

Ma anche l’altra non era da meno, destreggiandosi in evoluzioni sconclusionate ma assolutamente efficaci.

La gitana prese a ridere di follia finché decise di concludere lo scontro: vide uno spiraglio nella difesa del pony rosa e la attaccò con entrambe le ali, provando ad affettarla in due.

Pinkie, tuttavia, seguì come al solito l’istinto e balzò in aria, poggiando poi le zampe posteriori sulle ali protese. Con uno zoccolo anteriore puntò la lama verso la fronte del pegaso.

Vesna rimase sbalordita: alzò gli occhi verso di lei… e vide qualcosa che le causò una strana sensazione.

Pinkie era eretta su di lei, con la luna spettrale ad incorniciarla: la sua criniera era liscia e gli occhi trasudavano spaventosa follia. Sorrideva a denti stretti.

Un’emozione indescrivibile pervase il petto del pony dagli occhi di fiamma.

Un calore… un’attrazione irresistibile…

“Sei… sei stupenda”, bisbigliò, come ammaliata.

“Vesna!”, ripeté il compagno, riportandola alla realtà.

La puledra abbassò le ali e Pinkie cadde a terra.

“Ahio! Ehy! Che fai? Te ne vai??”, domandò sconsolata.

L’altra le diede le spalle, nascondendo un certo dispiacere. Si fermò per un istante e poi si diresse verso la Mercedes, prendendo posto come passeggero.

L’unicorno si mise alla guida, intensificò i fari e accese il mezzo.

“Scusate per avervi fatto perdere tempo”, disse Heavy con un sorriso accomodante, “Vi assicuro che non accadrà più”.

E sgommò via.


    Le tre si riunirono e stettero ad osservare la macchina, finché le luci dei fari non scomparvero oltre un avvallamento.

“Ah!”, sbottò Rarity, “Guarda te che cafone! Venire qui e dirci cosa dobbiamo fare con il mio barboncino dell’amore!”.

Sparkle rimase in silenzio. Qualcosa la infastidiva dall’interno, come se percepisse di aver commesso un grave errore.

“Uffa!”, disse Pinkie, “Proprio ora che ci stavamo divertendo tanto!”.

La stilista si accorse che qualcosa, nell’amica, non andava affatto.

“Ehm… Twilight? Va… va tutto bene?”.

“Sì…”, rispose mollemente.

“Mhh… A me non sembra. Sei triste perché non abbiamo trovato Spike?”.

“Anche… Però… C’è una cosa…”.

“Cosa?”.

“Quel… quell’unicorno…”.

“Ah! Che cafone!”, mentì, riportando alla mente i complimenti che le aveva rivolto.

“Quel tizio…”, continuò, “Ha… ha un grande potere”.

“Ah! Amica mia! Non è nulla, se confrontato a ciò che abbiamo affrontato e superato tutte assieme, fino ad oggi!”.

“Forse… forse hai ragione…”, ammise, ancora un po’ scettica.

Il pony rosa, intanto, si era avvicinato al campo di granturco, incuriosita, mettendo il muso al di là dei lunghi gambi delle piante.

“Uuhhh! Qui c’è stato un party!!”, disse trepidante.

Le amiche la raggiunsero e superarono anch’esse il muro di mais.

I loro volti si bloccarono in un’espressione indescrivibile.

Il campo di grano era quasi del tutto bruciato. La luna illuminava appena il terreno, su cui erano disseminati decine e decine di corpi privi di vita: contadini e bifolchi armati di forconi e doppiette. Il caseggiato in lontananza era ridotto ad un cumulo di assi bruciati e un vago odore di barbeque si mischiava a quello del letame usato per la concimazione.

Alcuni corpi erano trivellati di proiettili, altri inceneriti e altri ancora ricoperti da profondi tagli.

Rarity sembrò perdere di sicurezza e trattenne un conato di vomito.

Le paure di Twilight vennero rafforzate da tale visione: “Non lo so, Rarity… Spero davvero che sia stata la scelta giusta…”.


    Ormai lontani, intanto, i due agenti governativi si dirigevano verso la Città Fortezza.

Il pegaso era appoggiato tristemente ad un bracciolo, con la chioma mossa all’indietro dal vento.

“Vesna. Di solito non sei così taciturna”, disse Rain.

“Mh? Oh, non è niente”, minimizzò, cercando di non pensare a come si era concluso lo scontro.

“Non me la conti giusta”.

“Sto pensando a come tagliarti quell’affare che hai tra le gambe, per aver flirtato ripetutamente con quella troietta di città”, mentì.

“Dai, cara. Lo sai che per me esisti solo tu”.

La puledra gli lanciò un’occhiata lasciva: “Mhh… ho l’adrenalina a mille… Stasera ho bisogno di sfogarmi…”.

“Ancora? Abbiamo fatto fuori qualche dozzina di contadini armati e tu hai giocato con quella tizia rosa. Non ti è bastato?”.

“No”, ammise, “Non mi hai lasciato finire lo scontro…”.

“Gli ordini sono ordini”.

“Ora voglio sfogarmi in altro modo”, dichiarò sensualmente.

Gli passò una zampa sul fianco.

“Vesna…”.

Con un rapido gesto, gli sfilò il portafogli da una piccola sacca con cintura.

“Ehy!”, sbottò l’altro.

Il pony dagli occhi rossi rise come una scolaretta: “Voglio andare ad ubriacarmi in qualche speakeasy!”.

“Con i miei soldi?”.

“Oh, non fare il taccagno. Guarda piuttosto cos’ho qui…”.

Il pegaso si passò lo zoccolo sotto il vestito e tirò fuori una manciata di crine viola.

Heavy li osservò con la coda dell’occhio, senza schiodare l’attenzione dalla strada.

“Mhh… Ma brava…”.

“Presi quando sono planata a terra. L’ho fatto solo per quello che sai. Se ti becco a fare porcate feticiste, tipo annusarli o costruirci una bambola, questa volta ti giuro che rimarrai evirato sul serio”.

“Tranquilla, cara. Servirà per una cosa soltanto. La fidanzata di quel pagliaccio ci condurrà dritti a lui. La magia non è un’opinione”.


*** ***** ***


    Isaak si mosse lentamente verso la radio a valvole, passando incurante d’innanzi ad Octavia.

La musicista mise le zampe conserte e lo guardò con aria di sufficienza.

“Prego. Fa pure come se fossi a casa tua, bestione…”, gli disse.

L’altro si avvicinò all’apparecchio e prese a smanettare sui controlli, ignorando totalmente la presenza del pony grigio.

La puledra mantenne la calma: “Ehy. La buona educazione non è d’obbligo in mezzo ad un assalto armato ma… se non te ne fossi accorto stavo ascoltando della buona musica e…”.

“Nuò”.

“Cosa?”, domandò irritata.

“Nuò. Niente buona musica. Io ora cerca stazione di trasmissione RPR”.

“RPR?...”.

“Dà. Radio Piazza Rossa”.

Il pony dagli occhi viola rise, cercando di celare la propria frustrazione. Chiuse lepalpebre e gesticolò appena con gli zoccoli: “Ok, senti: ti do dieci secondi per abbassare le tue zampacce dalla radio, girarti ed andartene”.

Lo stallone continuò ad ignorarla, concentrato nel cambiare le varie stazioni.

Fuori, intanto, si udivano altri spari: la battaglia stava andando avanti.

La mente analitica della gangster conteggiò dieci secondi esatti, quindi prese una coppia di coltelli dal bancone della cucina.

“Tempo scaduto”.

Il pony fece una rapida capriola in avanti e, ad evoluzione completata, serrò le lame sul collo del tizio sovietico.

Diede un colpo di reni e si riportò dal punto di partenza.

E qualcosa, in lei, vacillò.

    Si sarebbe aspettata di vederlo accasciarsi a terra.

Perché non poteva aver sbagliato punto: proprio tra la terza e la quarta vertebra cervicale, come sapeva fare ormai alla perfezione. Un colpo del genere avrebbe ammazzato chiunque all’istante.

Ma il pony era ancora lì. Ancora intento a muovere i pomelli. E con due lame conficcate nel collo.

Ci pensò un attimo: in effetti aveva percepito una notevole resistenza al momento dell’affondo, come se stesse cercando di pugnalare un ciocco di legno… e quel collo era spaventosamente massiccio e muscoloso.

Isaak nemmeno si voltò: sollevò uno zoccolo ed estrasse le lame come se fossero stuzzicadenti, senza fare una piega. Le armi tintinnarono sul parquet, spandendo appena qualche goccia di sangue.

Octavia rimase perplessa. Afferrò un altro coltello e si massaggiò il mento, assorta in qualche ragionamento.

“Ehy…”, disse ad un certo punto, “Ehy! Parlo con te! Puoi girarti un attimo, per favore?”.

“Quosa vuoi?”, esclamò il pony fulvo, puntando gli occhi glaciali su di lei.

La puledra lanciò il coltello, che impattò di punta contro la fronte del colosso, rimbalzando via e lasciandogli appena un forellino. La lama, sull’osso, produsse un suono simile a due pietre che si scontrano.

“Amico… di cosa sei fatto?”, domandò pensierosa.

L’altro si girò nuovamente verso la radio: “Ossatura pesante. Ora smettila di dare fastidio, zanzara fatidiuosa”.

“Zanzara?...”.

Non le piaceva granché quel nomignolo e, questa volta, afferrò un attizzatoio dal caminetto.

Lo puntellò lungo il braccio, come se fosse un giavellotto, e lo scagliò contro l’avversario, conficcandoglielo nella schiena.

Isaak sbuffò. Estrasse l’arma con una certa fatica (era così grosso che quasi non riusciva ad arrivare alla schiena) e fece scrocchiare le ossa del collo.

“Ora buasta. Mi hai stanquato”.

Octavia si mise in postura di combattimento: “Finalmente mi degni di un po’ d’attenzione…”.

Ma la spavalderia della musicista vacillò improvvisamente: il pony sovietico infilò le zampe sotto il cappottone ed estrasse due enormi attrezzi da lavoro, incrociandoli davanti a sé.

L’altra capì che quel bestione o era un esperto oppure un matto. O entrambe le cose…

“Teraz môžete rozdrviť, komára!!”, ruggì Isaak, caricando il martello verso di lei.

Octavia vide mezzo quintale di ghisa saettarle contro. Aspettò il momento giusto e si gettò di lato.

L’arma fece tremare il pavimento e formò un buco nel legno.

Compì una rapida giravolta e lo tempestò con due zoccolate alle giunture… senza sortire alcun effetto.

Isaak si voltò verso di lei, con terrificanti occhi di ghiaccio. Incrociò di nuovo gli oggetti, quasi fosse l’usanza di creare un simbolo da lui amato.

La puledra iniziò a dubitare dell’esito del combattimento.

Si gettò all’indietro, caricando un altro balzo, e gli volò addosso, generando una raffica di colpi sul muso. Lo stallone incassò senza nemmeno provare a schivarli.

La musicista tornò sul parquet, lo osservò esterrefatta e si prodigò infine in un attacco tipicamente bandito dalle discipline marziali: gli rifilò un calcio a livello dei genitali.

Il colpo impattò duramente e Octavia si sentì, per la prima volta in vita sua, completamente inefficace.

“Io ha palle di acciaio!!”, ruggì Isaak, preparando un altro colpo di martello.

Questa volta, completamente inebetita da un simile nemico, non riuscì a schivare l’attacco.

L’utensile la investì in pieno, facendola volare per tutto il salotto: il corpo grigio sfondò un armadio e parte dell’arredamento si infranse e cadde a terra.

La gangster si raggomitolò su se stessa, dolorante. Si strinse il petto e sputò bava acida. Tossì per svariati secondi.

Il tizio barbuto scrocchiò qualche altra giuntura e prese a marciare inesorabilmente verso l’avversario, pronto a sbriciolarla sotto i propri colpi.

La sventurata cercò di riprendersi, con enorme fatica. Riuscì appena ad alzare gli occhi e inquadrare il martello sollevato.

“Zomrieť, kapitalistickej umelca!”.

La puledra chiuse gli occhi.

E un treno alla carica arrivò per salvarla.


    Bic Macintosh giunse galoppando e schiantò una zampa dritta contro il volto di Isaak, che a momenti non perse l’equilibrio.

Allo stallone rosso sembrò di aver preso a pugni un blocco di granito.

Fece sventolare lo zoccolo a mezz’aria, dolorante, e gettò uno sguardo verso la violoncellista, apparentemente priva di sensi.

Il pony fulvo, invece, puntò gli occhi glaciali verso il nuovo arrivato, con un rivolo di sangue che sgorgò da una narice.

Bic Mac sorrise amaramente: un colpo del genere avrebbe sfracassato il cranio di chiunque (come succedeva di solito) ma… evidentemente… quello era fatto di un’altra pasta.

“Tu intromesso in mia prevedenia”, gli disse solennemente.

I due bestioni si misero uno d’innanzi all’altro. Macintosh era grosso ma Isaak lo superava di almeno due spanne in altezza e ancor più in corporatura.

Il proprietario della tenuta non aveva mai incontrato qualcuno più grosso di lui, fino a quel giorno.

“Entri in casa mia e pensi di fare tutto quello che ti pare, stronzo sovietico?”, gli intimò.

“In mia Madre Patria, non esiste concetto di proprietà privuata”.

“Ma qui non siamo nella tua Madre Patria. Qui siamo in casa mia. Nella tenuta Apple. E, finché sarà così, dovrai sottostare a quello che ti dico”. Fece scrocchiare la zampe tra loro.

I due si avvicinarono pericolosamente: “Io no accetta ordini da borghese proprietario terrierio”.

“E’ un vero peccato…”, e gli rifilò una testata apocalittica.

Ma l’effetto non fu quello desiderato.

Il pony con le lentiggini sentì come una campana risuonargli nella testa e fece qualche passo all’indietro, rintronato.

Isaak sollevò il martello: “Mio turno!”.

Il corpo di Bic Macintosh sfondò una finestra e volò dritto nel cortine, trascinando e travolgendo tutto l’arredo che trovò lungo il tragitto.

Si alzò dolorosamente da terra, facendo cadere detriti e cocci di vetro che gli erano finiti addosso.

L’avversario ampliò il buco che si era appena formato, spaccando parte della parete residua, manco lavorasse per un’impressa di demolizioni.

Il primogenito della famiglia si rese conto che non avrebbe avuto grosse chances a zampe nude e la sua attenzione venne attirata dal capanno degli attrezzi. Isaak si limitò a camminare verso di lui e così ebbe tutto il tempo per entrare nel ripostiglio esterno e armarsi con ciò che trovò.

Emerse brandeggiando un forcone in una zampa e un’accetta nell’altra.

Quando il nemico lo vide, esclamò: “Bravuo! Usare oggetti di lavoro e fatica ti rende onuore!”.

“Sta zitto. Ho lavorato nei campi da quando ero un puledrino di pochi anni”.

“Ah!”, ammise Isaak, facendo volteggiare falce e martello e avvicinandosi sempre di più, “Si vede che tuo è corpo di chi è cresciuto in campi! Ma non puoi nulla contro kosák a kladivo”.

“Nella mia tenuta…”, ruggì Macintosh, preparando il forcone, “Si parla cristiano!!”.

L’arma si mosse verso il colosso e venne intercettata dalla falce, quindi deviata verso il terreno. Il pony fulvo usò l’altra zampa per aggredirlo a suon di martello. L’incavo dell’ascia colpì il manico del maglio.

I due iniziarono quindi una terrificante prova di resistenza: le armi erano incastrate tra loro e i muscoli fremevano e tremavano. Bic Mac pensò di non farcela ma strinse i denti e il suo muso si appiccicò a quello barbuto dell’invasore.

“Lotti con coruaggio. Ma è tutto inutile”.

“Cosa vuole saperne uno che picchia puledre, di coraggio?”, lo istigò lo stallone rosso, iniziando a sudare per davvero.

“In mia Madre Patria puledre sono grosse come bue e due volte più pelose”.

“Peccato che io non sia una puledra, allora”.

I due ebbero un sussulto e si separarono all’improvviso.

Isaak incrociò nuovamente le armi.

Big Mac decise di non pensare e i due si fronteggiarono in una pericolosa zuffa a suon di utensili da manovalanza.

Attorno alla tenuta erano visibili diversi cadaveri: alcuni erano agenti di Discord, altri mutaforma di Chrysalis. Poco lontano, utilizzando i meleti a mo’ di copertura, i superstiti continuavano a darsi battaglia con le armi da fuoco.

All’interno della casa, dopo parecchi minuti, Octavia riprese finalmente i sensi.

Alzò lo sguardo, vedendo tutto doppio e sfocato.

“C-che… che cazzo è stato?...”, balbettò, senza fiato in corpo, “M… mi ha colpito un anticarro?...”.

Cercò di rimettersi su quattro zampe ma il dolore al petto la costrinse ulteriormente a terra.

“Merda… Mi sa che ho… qualche costola incrinata…”.

La sua attenzione venne quindi attirata da due figure che passarono rapidamente davanti ad un enorme foro nel muro.

“M-Macintosh?”.

La vista era ancora confusa: si concentrò e mise a fuoco le immagini.

E ciò che vide non le piacque per niente.

Di fronte a lei, sul parquet non molto lontano, la custodia del suo violoncello era aperta in due.

La musicista avvertì un tuffo al cuore. Ignorò completamente il dolore e si trascinò gattoni verso il suo strumento, con affanno crescente. Buttò di lato il contenitore, portandosi poi le zampe al muso.

Il violoncello era in mille pezzi. Il volo di Mac attraverso la finestra era bastato a disintegrare anche quello.

La puledra allungò gli zoccoli tremanti verso i resti legnosi.

Il suo volto di dipinse di pura sofferenza e dolore: qualcosa che non rese minimamente l’idea di cosa stesse provando in realtà dentro di sé.

“N-no…”, farfugliò, con voce strozzata.

Scostò alcune schegge, rivelando un grosso pezzo di legno lavorato, proprio quello con l’elegante scritta ‘Octavia’ su di esso.

“No…”.

Le lacrime solcarono le sue guance. Si buttò sui resti, contraendo i muscoli facciali in una smorfia dettata dal pianto.

“No… no…”.

    La falce si incastrò nel tridente del forcone e il martello venne portato indietro, preparandosi all’attacco successivo. Tanto bastò a Big Mac per decidere di giocarsi il tutto per tutto.

Abbatté l’accetta contro il quarto posteriore del nemico, con tutta la forza che aveva. La lama si conficcò nel muscolo, generando alcuni schizzi di sangue.

“Questo dovrà sentirlo per forza!”, pensò.

Ma non sembrò affatto…

Isaak abbassò il maglio sull’asta del forcone, spezzandolo e liberando la zampa con la falce.

Lo stallone rosso rimase sbigottito e il pony barbuto ne approfittò per gettarlo a terra con una poderosa spallata. Estrasse quindi l’accetta e la buttò lontano.

Mac cadde di schiena e cercò subito di rialzarsi… ma la mole del sovietico glielo impedì: mise una zampa posteriore sul petto del mezzadro. L’altro sentì i polmoni schiacciarsi all’inverosimile e, in meno di un istante, si ritrovò in apnea.

Cercò di divincolarsi, colpendolo addirittura sulla ferita alla zampa… ma Isaak non si mosse di un millimetro.

“Complimuenti di nuovo. Ti batti con onuore. Ma devi sapere che, in mia Madre Patria, sono stato allevato nella steppa ghiacciata e messo subito a lavuorare. Di giorno nei campi congelati, di notte nelle fonderie con mio padre. Freddo, caldo. Freddo, caldo. Penso che tutto quello mi abbia davvuero temprato”.

Big Macintosh cercò di inveirgli contro ma non aveva più un filo d’aria in corpo.

Stella Rossa decise che era il momento di concludere: sollevò il martellone e mirò dritto al volto dell’avversario.

“Dasvidania…”, gli disse.

    Un urlo disperato fece capolino e Octavia gli piombo addosso come una furia, saltandogli sulla schiena. Tra le zampe teneva le corde del violoncello, intrecciate tra loro: le fece rapidamente passare attorno al collo del colosso e poi distese completamente i muscoli, puntellandosi sulla sua schiena massiccia tramite le zampe posteriori. Cercò, insomma, di garrottarlo con tutta la forza che aveva. Ed era sufficientemente sconvolta da provare anche la cosa più pericolosa.

Isaak oscillò all’indietro: “S-stupida… femmina!”, berciò, senza riuscire a scollarsela di dosso.

“IL MIO VIOLONCELLO!! IL MIO VIOLONCELLO, FIGLIO DI PUTTANA!!”.

“Spinavý komár! Dole!”.

Lo stallone cominciò a dimenarsi, mentre Octavia strinse corde e denti, piangente e totalmente rabbiosa.

La cavalcatura improvvisata fece alcune giravolte e caricò infine verso parete della casa, schiacciando la puledra tra la sua mole e i mattoni.

L’altra non cedette. Una linea di sangue le uscì dalla gengive.

Strinse al massimo la presa, costringendo Isaak in una cieca marcia all’indietro.

“Tua cordicella è inutile, fena!!”.

“CORDICELLA UN CAZZO!!”.

Il pony dagli occhi viola lo condusse esattamente dove voleva: lo stallone urtò inavvertitamente il bordo in pietra del pozzo. Sgranò gli occhi… e perse l’equilibrio.

Octavia rilasciò la presa e si tuffò di lato, un attimo prima che Isaak precipitasse nel foro, di schiena, lanciando improperi in lingua natia. Un tonfo nell’acqua annunciò la fine della caduta.

“Fena!! Ze ho zastaviť??”, berciò, facendo risuonare la propria voce.

“Ora ti faccio tacere io, schifoso bastardo!!”, replicò la gangster.

Si guardò attorno, notando quindi qualcosa di metallico sotto la giacca di un sicario defunto. Andò rapidamente a recuperare l’oggetto e fece ritorno al pozzo. Sollevò la zampa. Una spoletta volò via… e la granata venne lanciata nell’imboccatura.

L’ordigno atterrò dritto sul capo del pony.

“Gettuarmi sassi addosso non vi salv… Oh… ma questuo…”.

Octavia si affacciò giusto un istante: “Dasvidania, stronzo!!”.

“…Hovno...”, concluse Isaak, con voce atona.

La granata deflagrò, spedendo spruzzi d’acqua fino ad un paio di metri dall’orlo.

I goccioloni ricaddero pesantemente al suolo, come una pioggia.

La musicista si scostò. Aveva il fiatone ed era visibilmente provata.

Si mise le zampe tra i crine, chiuse gli occhi e proruppe in un urlo disperato e straziante verso il cielo.

Un urlo che riecheggiò quasi ovunque.

    Macintosh sopraggiunse poco dopo.

“O-Octavia?? Stai bene?”, domandò preoccupato.

L’amica si strinse nelle spalle e prese a ciondolare avanti e indietro, ricominciando a piangere.

Lo stallone non seppe come reagire.

“Cosa… cos’è successo? Stai bene? Sei… sei ferita?”.

“Il… il mio violoncello…”, farfugliò tra i singhiozzi.

“Il… il tuo violoncello?”, domandò, prima di rendersi conto di cosa fosse realmente successo.

Per un istante, entrambi pensarono che fosse tutto finito.

Ma… certe cose sono dure a morire.

    Dal pozzo provennero dei rumori metallici.

I due si voltarono sconcertati.

Il tintinnare divenne sempre più vicino e udibile, come una piccozza che si abbatteva ritmicamente sulla roccia.

“N… non può essere…”, disse la puledra, scuotendo il capo.

La lama del falcetto comparve dal foro, agganciandosi all’estremità della pietra.

E Isaak parve resuscitare dalla tomba.

Contemporaneamente, la radio lontana, ancora accesa, iniziò a trasmettere il coro di Vdol’ po Piterskoy.

Il pony barbuto emerse al rallentatore, accompagnato dal coro russo. Dapprima comparve il colbacco con la stella rossa, appena bruciacchiato… poi i suoi occhi terrificanti, simili a sfere di ghiaccio. Rivoli di sangue scendevano copiosi dalla fronte. L’acqua gocciolava dal cappello, dalla barba e dal corpo intero.

Octavia si bloccò, provando un terrore eguagliato solo dal primo incontro che ebbe con Pinkie. Anche Macintosh non riuscì a trattenere un’espressione di paura.

“Quello non è un pony”, ammise sottovoce, “Quello è un fottuto carro semovente…”.

Le zampe posteriori del nemico si posarono sul terreno, con un tonfo sordo.

Isaak incrociò le armi, riassumendo quella postura da battaglia che poteva solo significare altri guai. Lo sguardo era imperturbabile: lo sguardo di qualcuno che sapeva davvero il fatto suo.

Ma… forse era stato troppo anche per lui.

Le ginocchia gli tremarono e si trovò piegato in due sull’erba.

Botte, coltelli, un’accetta… e infine una granata… Forse, per quel pomeriggio, potevano bastare.

Il pony rialzò lo sguardo verso i due, trasmettendo rabbia e odio crescenti… ma anche un certo desiderio di evitare lo scontro, almeno per il momento.

Si issò dolorosamente sulle proprie zampe, rinfoderò le armi e poi, aspirando ettolitri d’aria, tuonò: “TOVARISH!! Ritirata strategiqua!!”, e si allontanò al galoppo (strategica… perché annunciare una fuga non era decisamente degno di un sovietico della Madre Patria).

I sottoposti superstiti videro il loro capo darsela a zampe levate e non tardarono ad imitarne l’esempio, sganciandosi dagli sporadici scontri a fuoco ancora in atto.

Ci furono quindi gli ultimi spari di pistola lontani e, dopo ancora qualche minuto… tutto era finito. Questa volta per davvero.


    Mac scosse il capo, cercando di riprendersi da quanto aveva visto: una sorta di macchina della morte sovietica. Roba da far accapponare il pelo.

Octavia, intanto, era seduta a terra, preda dei singulti di un pianto appena superato. Il volto, tuttavia, era ancora bloccato nella propria struggente sofferenza.

Lo stallone controllò che non ci fosse nessuno nei paraggi e si avvicinò quindi all’amica.

“Uh… Lo… lo so che te l’ho già chiesto ma… S-stai bene?”.

L’altra non disse o fece nulla.

Lo stallone si girò verso il buco nel muro: “Uhm… I-io… mi… mi dispiace… credo di averlo travolto quando Maciste mi ha colpito col martello…”.

La musicista chiuse le palpebre e alcuni goccioloni sgorgarono dai bordi. Il mento colava sangue.

I due rimasero in silenzio.

Il pony rosso cercò di spingersi in un universo sociale che aveva sempre tenuto lontano e si sedette accanto a lei.

Buttò il muso verso il cielo, un po’ nervoso.

Si schiarì la voce: “Era… era molto speciale, vero?”.

L’altra si asciugò un po’ di muco e annuì.

Il compagno raccolse altro coraggio: “…Qualcosa di importante… Legato ai ricordi, immagino… Un po’… un po’ come il mio primo Tommygun, vero?”.

La puledra annuì di nuovo.

Macintosh sospirò. Poi, all’improvviso, parve preda di qualche strana idea.

Si alzò, dirigendosi verso l’uscio della casa, prese un oggetto e fece ritorno da Octavia. Tra le zampe teneva un vecchio banjo dalle corde arricciate.

“Uuh…”, farfugliò porgendoglielo, “Io… io non me ne intendo molto di… roba musicale… Non so manco come si chiami ‘sto affare. Però… però era di mio nonno… Lo suonava sempre. Ci… ci era molto affezionato. Non so se sia come il… coso che avevi tu… il… insomma, il limoncello o come si chiama…”.

L’altra drizzò le orecchie e girò la testa verso l’interlocutore, quasi non credesse alle sue parole. Esaminò quindi attentamente l’oggetto e lo prese delicatamente tra le zampe. Lo scrutò, lo accarezzò appena con uno zoccolo: era vecchio, pieno di graffi e decisamente usurato. Uno strumento vissuto. Notò quindi una piccola incisione, quasi cancellata dal tempo: probabilmente l’aveva apportata il proprietario... la firma personale.

“Se… se ti sembra una stronzata…”, continuò Mac, massaggiandosi la criniera, “Puoi… puoi anche spaccarmelo in testa, se vuoi…”.

Il visto dell’amica si dipinse di un incontenibile sorriso. Strinse il banjo al petto, quasi fosse un cimelio e proruppe in un altro lieve pianto, questa volta di commozione.

Si alzò lentamente, avvicinandosi allo stallone e poggiando le labbra contro le sue.

Mac strabuzzò gli occhi, un istante prima che la compositrice si allontanasse sorridente, con lo strumento stretto al fianco, tramite la tracolla.


    Il pony dagli occhi verdi la osservò dirigersi verso la tenuta, entrare e richiudere la porta dietro di sé… non prima di lanciargli un’ultima occhiata… accompagnata da un dolcissimo sorriso.

Emise un fischio e si slacciò la cravatta al collo.

“Però…”, ammise.

Un bastone volante gli arrivò dritto in testa.

“Aò!!”, urlò, portando uno zoccolo verso la zona colpita.

Granny Smith, dalla finestra al secondo piano, agitò una zampa nell’aria. “Ti ho detto che le sosserie devi farle da un’altra parte, maiale!!”.
   
 
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