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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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L’asfalto è fottutamente duro e bagnato. Ho il muso così vicino che se allungassi la lingua potrei assaporare ogni rugoso millimetro di questa pece catramosa.

Apro lentamente gli occhi. E’ notte. E ci vedo doppio. O forse triplo… perché due o tre pony identici e sfocati si avvicinano a me. Anzi, dato che sono schiantato al suolo vedo solo le zampe. Questo significa… dalle quattro alle sedici zampe. No aspetta… dodici zampe? Oppure… Ah. Al diavolo. Non sono mai stato bravo in matematica.

Comunque, il patacca si avvicina e si china verso di me.

“E non osare più tornare nel mio Speakeasy, buffone!”, mi raglia contro.

Adesso vedi.

Incantesimo numero trendadue: implosione forzata delle gonadi. Vedrai come camminerai aggranchiato domani… Mi concentro… Uhm… dimenticavo.

Non sono più un unicorno.

Non sono più niente.


    Mi alzo faticosamente. Il rompiscatole se ne va, schifato dallo spettacolo che sto dando a titolo gratuito.

“Va bene… s… shcappa, codardo!”, gli urlo contro.

Dannazione. Gira tutto.

Le luci della città mi ruotano attorno manco fossi al LunaPark. Una macchina sfreccia sulla strada e mi passa vicino, a meno di mezzo metro.

Gli edifici di Ponymood mi circondano. Sembrano molto più grandi del solito. Sarà per via delle due bottiglie di Whiskey che ho ammazzato? Se quello può chiamarsi Whiskey, s’intende. Secondo me raccattano quello che la gente vomita la sera e lo allungano con un po’ d’alcol.

Una coppietta di fighetti passeggia accanto a me. Lanciano qualche commento di schifo nei miei confronti.

“Ehy, checche!!”, esclamo, dondolando come un emerito idiota, “Tornate in… indietro e ditemelo in… fasha!...”.

Spariti.

Codardi.

Una voce accanto mi spacca improvvisamente i timpani:“E-eshatto!! Checche! Tornate indietro e ditecelo in... uh... sul naso!!”.

E questo chi è? Un pony barbuto dal manto giallo, per di più capellone. Ha un sigaro tra i denti ma puzza il doppio del nano squamoso. Barcolla. Non so chi tra noi due sia il più sbronzo.

Un hippie sporco e fetente. Perfetto.

“Maledetti... checcolosi!!...”, farfuglia, agitando una bottiglia di amaro con uno zoccolo.

Lo invito cortesemente ad andarsene: “Smamma... barbone...”.

“Non puoi... non puoi dirmi cosha... cosha fare... tu...”, mi minaccia, senza nemmeno riuscire ad inquadrarmi correttamente.

“S-shenti, patacca...”, balbetto, appoggiandomi a lui per non cadere, “Non è... non è sherata...”.

Anche lui si puntella su di me.

“A chi... a chi lo disci...”, commenta, iniziando poi a farneticare verso il cielo, “Ieri... ieri ero uno... schrittore di shuccesso... e... ed ora...”.

“Ah!”, lo derido, “Tu non hai la più pallida... i... idea... di cosha sciano i veri problemi...”.

Lo sfigato mi guarda in faccia: “...Pu... puledre?...”.

Abbasso gli occhi, sconsolato, e, dopo un rutto, rispondo: “...Sì”.

“Bah”, sbuffà, dirigendosi poi verso un vicoletto, con zampe traballanti, “Una volta davo... conshigli a tutti... ma non... me ne girava bene una. E poi... tutti... tutti quei kiwi... Al diavolo...”. E scompare nei budelli, canticchiando qualcosa sul volare sulla luna... e giocare tra le stelle. Poveraccio.

Cerco di allontanarmi anche io ma mi sembra di camminare su un ponte di corde.

Mi appoggio con un fianco al muretto e ne seguo lentamente il percorso, trascinandomi.

Cammino. E i ricordi mi fiocinano la mente, uno dopo l’altro.

Sento… sento il riverbero della voce di Coraline. Vedo il suo sguardo gentile…

Il mio primo giorno all’accademia. Black Hammer, il mio… ex… migliore amico. L’incontro con quell’unicorno viola mezzo matto. L’inseguimento. L’incarico sullo zeppelin. E poi… Rarity.

Maledizione.

Rarity. Stupida… stupida puledra. Tra tutti i coglioni che c’erano in Equestria dovevi prenderti una sbandata proprio per il sottoscritto?

Rarity…

Il pomeriggio in cui arrivasti... in cui ti vidi per la prima volta… La voce già l’avevo sentita, sullo zeppelin, ricordi? Una voce fiera, sensuale e tagliente… avrei potuto stamparti le labbra addosso già allora, se prima non mi avessi sforacchiato con quella sparapiselli.

Rarity, dannazione… Quel pomeriggio… tu ti togliesti gli abiti eleganti di dosso e mi invitasti nel letto con te. Una puledra belle e leggiadra come te che si mette in una branda lurida, con uno stallone altrettanto lercio.

Perché? Perché io?

Ne… ne ho avuto abbastanza di Coraline. Non… non posso farmi rapire il cuore da un’altra puledra… non posso portarti con me lungo la mia strada. E’ una strada diretta all’inferno, baby. Non si torna indietro. E tu sei troppo speciale per finire nel posto dove sto andando.

Ma… ma tu mi ami, non è vero?

Non so quale siano le rotelle in testa che non ti girano… ma tu mi ami.

E quando sei innamorato, sei anche fottuto.


    Continuo a camminare fino all’incrocio. Mi fermo per un istante.

Qualcosa mi attorciglia le budella. Percepisco uno stimolo che conosco fin troppo bene…

Mi chino, sento le contrazioni farsi sempre più forti… finché un liquido pungente e acidulo non mi fuoriesce dalle labbra. E anche un po’ dal naso.

Celestia, che schifo. E’ sempre terribile… il sapore dell’alcol misto a quello dei tuoi succhi gastrici. Quando poi ti passa dalle narici… quando senti quell’odore fino in fondo...

Eh. Questo mi rimanda ai vecchi tempi, quando bere, espellere e bere di nuovo era tutto ciò che mi rimaneva. Ed ora ci sono ricascato.

Finisco di marcare il territorio con i miei rigurgiti. Perlomeno ora sto un po’ meglio.

Mi asciugo le labbra.

Rarity, cazzo!! Ma lo vedi che schifo di pony che sono? Ma cosa cavolo ti dice il cervello??

Ah già. Non è il cervello… quella cosa chiamata emozioni…

E, se mi ami… io cosa posso farci?

    Butto la schiena contro il muro e scivolo lentamente col sedere per terra. Nel farlo, il cappello si toglie e mi cade tra le cosce.

Rarity. Non riesco a smettere di pensarti. Sei ovunque.

Persino quel barboncino che mi è appena passato accanto mi ricordava te… aveva il tuo stesso colore del pelo e il musetto carino.

Bravo, uomo. La prossima volta che la vedi, digli che sembra una cagna da salotto e vedi come sarà contenta.

Zitto tu. Tu non…

Ehy… aspetta.

Forse potrebbe funzionare davvero…

Cosa?

Se… se io mi comporto come un emerito stronzo… se la tratto male, se…

Tu sei già stronzo, Hound.

Intendo ancora di più!

Buona fortuna. Ma poi, se ancora ti va dietro pur conoscendoti… la vedo dura.


    Mi guardo attorno e scorgo una battona all’angolo.

Può essere l’occasione buona. Mi alzo e trotto verso di lei, cadendo rovinosamente a terra un paio di volte: mi sembra ancora di essere su una chiatta in mezzo al mare.

Alla fine la raggiungo, un po’ ansimante. Lei mi scruta attentamente, con sguardo analitico. E’ vestita in modo volgare: giarrettiere, tacchi, borsetta e un trucco da far resuscitare una suona stecchita. Scosta la sigaretta dalle labbra rossissime ed espelle un po’ di fumo.

“Mh. Ti interessa la mercanzia?”, mi chiede, con tono di sufficienza.

“Sì…”, le rispondo speranzoso, “Quanto vuoi?”.

“Dipende cosa vuoi che faccia. Trenta bit se vuoi solo un lavoro di zamp…”.

“No, no. Non mi riferivo a quello”.

“Ah. E a cosa ti riferivi?”.

La guardo intensamente: “Baciami”.

“Eh?”.

“Baciami”.

La puledra diventa un po’ nervosa: “Uuhm… Ammetto che non è mai stato nell’elenco questo tipo di servizio… Un… un bacio, eh?”.

“Sì. Quanto vuoi per un bacio? Qui, sul colletto. Deve rimanere impresso lo stampo, però”.

“Senti, bello, io non ho tempo da perdere. Se vuoi anche solo un bacio, ti dovrò fare la tariffa minima per i miei servizi di base. Venticinque bit”.

“Venticinque… Ma mi prendi in giro?... Senti, dammi il tuo rossetto e basta. Provvedo io…”.

“Cosa??”, esclama interdetta.

“Mi devo mettere il tuo rossetto e fare il lavoro sporco da solo”.

Mi mena la borsetta sul muso: “Ehy! Sarò una prostituta ma certe schifezze feticiste non le faccio, maniaco!”. E si allontana.

“Ehy! No! Non hai capito! Oh, dannazione!”.


    Hound, sei un genio. Sei riuscito a farti scaricare da una prostituta. Penso non ce l’abbia fatta mai nessuno, prima d’ora.

Torno a sedermi contro il muro.

Che… che posso fare? Io… io voglio…

Deglutisco.

Io voglio bene a Rarity. Non voglio che, per colpa mia, lei soffra…

E allora non ti rimane che una cosa da fare.

Cosa?

Mollala. Fai come hai detto: renditi detestabile, se è il caso, ma rompi con lei. Non ha bisogno di una calamita di sventure quale sei.

…Per un po’ la mia mente si cheta.

Rarity… tu…

Tu sei…


    Tu sei la mia Coraline.

Tu sei come un angelo, a volte testardo e sboccato.

Ma mi ami incondizionatamente per ciò che sono.

Ed io non voglio che il marcio che ho dentro arrivi anche a te.

Non voglio.

Sono ridotto ad un nonnulla. Non ho uno scopo. Non ho una speranza. E in molti mi vogliono morto. Ma tu mi sei rimasta accanto. Il problema è che io so davvero essere un buco nero.


Mi sporgo leggermente e vedo la mia immagine riflessa in una pozza di acqua lurida.

Ecco cosa rimane del Segugio: un ubriacone dal corno mozzo. Un pagliaccio. Anzi, l’imitazione di un pagliaccio.

Tu meriti di più, piccola.



Tu non hai bisogno di me.


*** ***** ***


    Goccioloni d’acqua cadevano ritmicamente dal soffitto danneggiato, andando ad alimentare alcuni ristagni d’acqua mucillaginosa.

Tutto era buio, fatta eccezione per una piccola lampada ad olio poggiata sul davanzale. Pur essendo minuta, produceva luce sufficiente ad illuminare piuttosto bene il salotto disastrato.

Rarity era seduta al tavolo, con sguardo triste. La porta della camera da letto era stata letteralmente sbriciolata dalla sua furia.

Si portò uno zoccolo sotto al muso e vide alcune schegge piantate dentro. Morse il labbro inferiore.

Ma poi i suoi pensieri tornarono a lei… e ad Hound.

Sulla superficie del ripiano erano accatastati alcuni oggetti arrugginiti. La puledra li osservò.

“Io… non sono… più niente… Non ho un passato. Non ho un futuro. D’innanzi a me ci sono solo gli Agenti pronti a farmi la pelle. Non sono… non sono nemmeno più un unicorno”.

Chiuse le palpebre e il viso divenne triste e afflitto.

“Non… non ti basta il mio amore, Grey?...”, sibilò tristemente.

“Non ti basto, io, per darti la forza di continuare?... E’ vero… ti hanno fatto cose terribili. Hai… hai fatto cose terribili. Ma io ho visto del buono in te. Non è vero che non sei più niente. Per me sei ancora qualcosa di speciale”.

Sospirò e ripiombò nel silenzio.

L’acqua continuò a gocciolare, creando la sensazione di trovarsi in una grotta umida.

“Non sei più un unicorno. E’ vero… questo lo capisco. Lo capisco perfettamente… Se… se dovessero togliere il corno a me… non… non so come reagirei. Forse mi sentirei anche io un… un pony a metà…”.

Si portò entrambi gli zoccoli sugli occhi e pensò.

Poi, lentamente, aprì la borsetta ed estrasse uno specchietto da cipria, che spalancò con uno scatto. Lo poggiò sul tavolo e vide il proprio riflesso.

Stette alcuni secondi ad osservarsi e poi… l’attenzione tornò sugli attrezzi. Allungò una zampa verso di loro, scostandone alcuni, finché non si impadronì saldamente di un seghetto sporco.

Ritornò ad osservare l’immagine riflessa.

La zampa le tremò, mentre avvicinava l’utensile al proprio corno.

La lama si posò sull’osso. Il rumore così provocato la fece sussultare nervosamente: strizzò gli occhi e il fiato le venne meno.

“F-forse…”, balbettò, con le lacrime agli occhi, “Due… due mezzi unicorni… faranno… un solo unicorno…”.

Cercò di calmarsi. Lo zoccolo libero si poggiò dal lato opposto del seghetto, facendo pressione contro il corno.

Chiuse gli occhi.

Si preparò.

La lama venne portata all’indietro, pronta a scavare e tagliare.


    Tre colpi contro il legno la fecero sobbalzare. Qualcuno aveva bussato all’ingresso.

Il pony bianco ripose l’oggetto e poi non fece nulla.

Chi… chi poteva essere? Hound non era certo il tipo da bussare. O forse…

“C-chi è?”, chiese ad alta voce.

Nessuna risposta.

Si alzò lentamente, sollevando il revolver dalla borsetta tramite la levitazione.

Si avvicinò all’uscio, cercando di non far rumore.

Udì nuovamente bussare.

Rarity portò il proprio corpo contro lo stipite e cercò di fare l’occhiolino attraverso le fessure tra le assi sconnesse, sperando di vedere qualcuno. Ma era buio pesto.

“Rarity!”, disse una voce a lei famigliare, “Sono io!”.

L’altra spalancò bocca ed occhi: “Spike??”.

“Sì! Sì, sono io!”.

Un inganno? Una trappola degli agenti? Tutto era possibile…

Ma, in fin dei conti, era una stilista isolata in una catapecchia, non avrebbero avuto motivo per andarci piano. E poi… come avrebbero fatto a sapere che lei era lì?

Abbassò l’arma e fece scattare un chiavistello (non che rendesse la porta molto più sicura ma certe volte si ha solo la necessità di un palliativo mentale). Lo zoccolo bianco abbassò lentamente la maniglia e, dopo un sospiro, la porta si aprì cigolando.

Spike era di fronte a lei.

    Era vestito con un eccentrico completo Dandy, completamente bianco: tutto bianco eccetto una rosa rossa al taschino e una piuma vermiglia… una piuma oscenamente lunga su un cappello a tesa larghissima, altrettanto osceno.

Una cravatta a trame deliranti, screziate di nero, ricadeva lungo la camicia e le calzature erano delle lucidissime Church bicolore, appena un po’ infangate sui lati.

Rarity rimase impietrita.

Il draghetto era a sguardo basso, celato dal copricapo. Si portò un pugno al livello della fronte e, facendo schioccare il pollice, diede un colpetto al cappello, rivelando due occhietti saccenti e sicuri di sé.

“Ehy, dolcezza…”, le disse, sforzandosi di apparire ammaliante.

La mascella dell’amica si spalancò. Seguì un attimo che parve un fermo immagine.

“Sei senza parole, forse?”, domandò con superiorità.

Spike infilò le dita sotto la giacca ed estrasse un luccicante portasigari placcato in oro: lo aprì con uno scatto ed estrasse un sigaro di marca. Rinfoderò il contenitore e si passò diverse volte il tabacco sotto il muso, inalandone l’aroma a più riprese. Strinse quindi i denti e fece uscire un piccolo fiotto di fuoco verdastro, con cui accese la punta.

“Allora?”, continuò, roteando elegantemente la mano nell’aria, “Pensavo fossi contenta di vedermi?”.

Rarity scosse la testa: “Oh! Oh, m-ma… certo!!”. Superato lo sbigottimento iniziale, sfoderò un sorriso sincero e lo abbracciò d’istinto.

Spike strinse il pugno e pensò: “Sììì!! Vaiii!!”.

“Spike!!”, esclamò quindi la puledra, osservandolo negli occhi, “Ma… si può sapere cosa ti era successo? Sei scomparso! Dove… dov’eri finito??”.

“Ehh… è una storia lunga, ragazza mia…”, rispose con noncuranza.

“Sì ma… ci è… arrivata una lettera… una lettera con… le tue scaglie e…”.

L’altro fece vibrare le labbra, alzando le sopracciglia: “Pfff! Acqua passata. Ora le cose sono cambiate. IO… sono cambiato”. E si impettì.

“V-vedo… Non… non ti metti più la coppola e le bretelle …”.

Il draghetto tornò leggermente serio: “Quello era il vecchio Spike. Ora hai di fronte a te un drago nuovo. Rinato”.

“Sì…”.

L’amico sfoderò un sorriso da calendario osè: “Non ti piaccio?”.

“Beh… sì… il bianco ti dona, ma…”.

“Possiamo entrare?”.

“Oh! Ma certo! Vieni! Raccontami tutto!”, e lo fece accomodare.


    La coppia si avvicinò al tavolo. Spike controllò l’ambiente, ricordandosi la prima volta che venne per cercare il pegaso giallo.

“Mh. Uao. Certo che, quando piove, fa ancora più schifo di quanto ricordassi”.

La puledra gli porse una delle (poche) sedie ancora integre.

L’ospite prese posto, temendo che il legno cedesse. Il salotto era davvero lurido e nel caos più totale.

“Tutto questo per colpa di… di quel…”, pensò, ma si trattenne dal dirlo.

L’attenzione gli cadde quindi sul tavolino.

“Questo è il tuo specchietto da cipria. Il seghetto, invece, non me lo spiego…”.

L’unicorno lo afferrò prontamente e lo ributtò nel mucchio: “Niente”, si affrettò a rispondere.

“Che postaccio…”, commentò, osservando le gocce cadere nelle pozze.

“Già…”, ammise Rarity, sedendosi di fronte a lui.

“La stilista nonché padrone della Carousel Maison che dimora in questo pantano per ratti…”.

“E’ un po’… umido, in effetti”, dichiarò, con una lieve dose di imbarazzo.

L’amico si tolse il cappello e lo posò sulla superficie di legno.

“Spike”, intervenne il pony bianco, “Cosa… cosa ti è successo di recente?”.

“Successo?... Niente…”, mentì.

“Ma… eri con noi alla tenuta Apple, l’ultima volta che mi ricordo… E poi sei come svanito. Non ti abbiamo mai più rivisto. Twilight era preoccupata…”.

L’interlocutore sfoderò uno sguardo maligno e spostò l’attenzione altrove: “Bah. Twilight. Per quanto le freghi di me…”.

“Eh?”, domandò perplessa, “Scherzi? E’ preoccupatissima!”.

“Certo. E’ preoccupata che non ci sia più uno sguattero pronto a leccarle gli zoccoli e sporcarsi le zampe per lei…”.

L’altra scosse la testa, facendo oscillare i candidi boccoli viola, un po’ infeltriti dall’umidità: “Cosa dici? Lei… lei è stata malissimo. Non ha fatto che pensare a te, ultimamente. E’ persino andata a cercarti dall’altro lato delle campagne…”.

Qualcosa si mosse nel petto dell’amico e il suo volto divenne rapidamente sorpreso: “Lei… davvero ha fatto questo?... E’ venuta a cercarmi?...”.

“Ma certo!”, continuò con foga, “Io, Twily e Pinkie siamo andate a cercarti secondo l’indirizzo riportato nella lettera! Ma… ma tu non c’eri…”.

Il drago sembrò in evidente agitazione: iniziò a picchiettare le unghie sul bordo e ruotare le pupille in direzioni apparentemente casuali.

“Anzi”, riprese Rarity, “Ci sono molte cose che devi spiegarmi! Cosa ci facevano le tue scaglie in una lettera del Governo Celeste?”.

“G-Governo Celeste?”, balbettò, “Io… io non ne so niente…”, buttò lì.

“Ma… quelle erano le tue scaglie! Le riconoscerei tra mille!”.

Quelle parole gli strinsero il cuore per una seconda volta: “Uh… S-senti, Rarity… non parliamo di me. Ti basti sapere che sono cambiato. Che non sono più lo sguattero che conoscevi un tempo…”.

“Sguattero?...”.

“Sì. Guarda!”, affermò con orgoglio, mettendo in mostra gli abiti, “Arriva da una sartoria di Coltago! Certo… tu avresti fatto un lavoro migliore… Ma… cioè, non è bello??”.

“Sì… si, è bello…”, commentò mollemente.

“Rarity…”, le disse con sincerità, sporgendosi leggermente verso di lei, “Per… per anni non ho potuto darti nulla… E… non avrei mai potuto darti nulla, se avessi continuato in quel modo…”.

“Cos…”.

“Io ho sempre desiderato il meglio, per te…”, la interruppe, cercando di tirare fuori tutto quello che sentiva dentro, “Ma… ma non avrei mai potuto farlo. Non sarei stato nulla più di un assistente… nulla più di un… manovale… di un tirapiedi…”.

Rarity si fece sempre più perplessa.

Spike continuò: “Ma ora le cose sono cambiate, come ti ho detto. Ho del denaro. La possibilità di trovare un lavoro più rinomato. Lo sai che ho ricevuto un interessamento da parte di un ufficio vendite?...”.

“E’… è molto… Sono molto felice di sentirlo…”, rispose, poco convinta.

Il draghetto non capì: perché il pony che tanto amava sembrava a disagio, udendo quelle parole?

“Rarity… Sembra quasi che… che tu ti stia sforzando…”, biascicò con dispiacere.

L’altra prese qualche secondo per riflettere, prima di rispondergli: “No… sono felice per te… E’ solo… Cioè, eravamo preoccupatissimi… Tutti… E tu… torni dopo giorni con un vestito nuovo, dici di avere dei soldi e… Insomma, come se non fosse successo niente…”.

“Te l’ho detto! Ho chiuso col passato. Ormai non esiste più”.

“E… e cosa esiste, adesso?”.

Le zampe viola si serrarono delicatamente attorno allo zoccolo della puledra: “Ora… ora esiste questo Spike… Lo Spike che vuole renderti felice… che vuole darti… quello che meriti…”.

“Quello che… merito?”.

“Sì. E tu non meriti di stare in questa topaia. Non meriti di essere trattata come uno straccio… da… da un buono a nulla”.

“Un buono a nulla?... Ti… ti riferisci…”.

“Rarity… io non voglio avanzare la pretesa di sapere cosa è meglio per te. Ma di sicuro non è Grey Hound”.

Lo sguardo del pony si fece improvvisamente serio: “Come sarebbe a dire…”.

“Hound è una mina vagante! E’ uno stallone spocchioso e arrogante che non ha più un futuro! Guarda! Guarda come ti ha ridotta! Chiusa in una bettola in mezzo alla palude, tra muffe e legno marcio! E’ questa la vita che vuoi? Con un pezzente che non vale nulla? Ubriaco? Volgare?”.

L’amica non credeva alle proprie orecchie.

“Io invece posso tirarti fuori di qui! Posso darti un futuro sereno e lontano da tutto questo! Un futuro con una riserva sicura di denaro, con il Governo Celeste che ci lascerà in pace e…”.

Gli zoccoli bianchi si ritrassero dalla presa: “Governo Celeste?? Che cavolo centra ora il Governo Celeste?”.

Spike non disse nulla e si limitò ad abbassare lo sguardo.

E… Rarity capì: strinse le zampe attorno alle labbra e scosse rapidamente il capo: “No…”, esclamò, con un filo di voce, “…No… dimmi… dimmi che… che non è vero…”.

L’amico cercò di stringerle di nuovo gli zoccoli ma lei non glielo permise: “Rarity”, dichiarò quindi, mettendosi una mano sul cuore, “Ascolta… tutta questa faccenda è pericolosa. Tu non sai quanto. Ma loro… loro vogliono solo Hound. Non gli importa del resto. Non gli importa di te, di me… di noi. Se gli consegniamo il segugio, loro…”.

    La puledra percepì un peso nel torace.

“Spike”, lo interruppe, assolutamente esterrefatta, “Spike… ma cosa… cosa stai dicendo?... Ti ascolti mentre parli?”.

“Io…”.

“Non… non riesco a credere”, ammise, con gli occhi un po’ lucidi, “Che… che sia davvero tu… O forse ti hanno rintronato con qualche loro incantesimo del cazzo??...”.

“Rarity, io…”.

“Sarebbe questo il nuovo Spike??”, sbottò, con voce rotta e tremante, “Questo sarebbe lo Spike migliore, forse?? E dov’è finito lo Spike gentile e sensibile?? Quello che continuava umilmente ad aiutare i suoi amici, anche se non era ricoperto d’oro? Che… che si vestiva con la camicia trasandata e fumava quei terribili sigari di sottomarca??...”.

“Ma… ma come puoi pretendere che io fossi realmente quel…”.

“No, Spike!!”, lo ammonì, battendo debolmente sul tavolo, con una lacrima lungo la guancia, “Io non pretendo nulla! Non ho mai preteso nulla da te! Ed ora sei tu che torni qui, con abiti e soldi dei governativi, a dire come dovrei vivere la mia vita per essere felice! A dirmi cosa dovrei fare per evitare l’ira del Governo! A chi dovrei rinunciare per avere un futuro! Sei tu quello che sta pretendendo tutto questo!!”.

“I-io…”, farfugliò, “Io non… non pretendo nulla! Dico solo che…”.

“Ti sei venduto, Spike!! Ti… ti rendi conto di quello che hai fatto?? Ci hai abbandonati tutti per tornare con il guinzaglio degli Agenti! E ora vuoi che io faccia altrettanto! Che venda Grey a quei bastardi che hanno massacrato la famiglia a lui e a centinaia di altri pony!!”.

“Hound è uno stronzo e se l’è cercata!!”, sbottò, mettendosi in piedi sulla sedia, “Ma tu non hai nulla da spartire con lui!! Tu non sei come lui! Tu meriti di più!! Tu meriti…”.

Il drago ammutolì, senza riuscire a terminare la frase.

Rarity era in lacrime: “Te, Spike?”, gli domandò, “Tu sei ciò che merito?... Tu hai il diritto di dirmi cosa merito e cosa no? Chi posso amare e chi DOVREI amare??”.

Il piccoletto viola si accasciò lentamente.

“E, se anche fosse…”, continuò l’unicorno, “Tu saresti ciò di cui ho bisogno? Un traditore? Un vigliacco che vuole vendere un pony, non importa se stronzo, solo per mettersi il culo al caldo?... Spike… Davvero pensi questo?...”.

L’altro non rispose.

Il volto si fece ancor più dispiaciuto. Gli occhi tristi e le palpebre calanti.


    Hound sbucò da un salice marcescente, spostando di lato alcuni rampicanti e scorgendo la catapecchia lontana.

“Ci siamo…”, disse sottovoce, facendo un lungo respiro.

Si mosse con convinzione verso il caseggiato, preparando mentalmente il discorso che le avrebbe fatto.

“Ciao pupa. Sei brutta. E racchia. Ti mollo”.

Rarity brutta? Non avrebbe retto manco fossi stato orbo.

“Ehy, baby. Ti ho mai detto che detesto il viola? Tra noi non potrà mai funzionare”.

Hound… guarda che così la induci solo a tingersi la criniera.

“Scusa, bambola, ma ho scoperto la verità. Perdere il corno mi ha fatto desiderare altre cose lunghe e dure. Sono gaio”.

Patetico e poco convincente.

“In realtà io mi sono innamorato di Fluttershy. Mi sono sempre piaciute quelle timide. E con la passione per le carabine di grosso calibro”.

    Lo stallone era ormai giunto d’innanzi alla porta.

Sbuffò.

“Bah. Al diavolo”, ammise sconsolato, “Improvviserò…”, e si fece avanti, facendo scattare la maniglia.

I due occupanti si voltarono immediatamente. Grey non si sarebbe mai aspettato di trovare Spike e Spike non si sarebbe aspettato di vedere Hound.

Il segugio notò Rarity in lacrime e il draghetto di fronte a lei.

Corrugò la fronte.

“H-Hound…”, balbettò la puledra, con un debole sorriso, “Sei… sei tornato…”.

Spike cercò di mascherare il proprio avvilimento, senza però riuscirci.

Lo stallone inclinò il capo su un lato: “Che sta succedendo, qui?...”.

Il draghetto, titubante, provò a rispondergli ma Rarity lo bruciò sul tempo: “Uh… Spike… Spike è tornato. Sì, insomma… Twilight lo ha ritrovato e… ed è venuto qui per farmi sapere che era tutto a posto…”.

L’amico la osservò interdetto.

“Ritrovato, eh?”, bofonchiò Grey, “E quel bel vestitino?”.

“Il mio regalo di bentornato”, rispose la stilista.

“Lo hai fatto in fretta”.

“Sai che sono brava in queste cose…”.

“Mh… Ho quindi interrotto qualcosa?”.

La compagna scese dalla sedia e si avvicinò all’ospite: “Oh, no… anzi… Spike se ne stava giusto andando, vero? Ha delle faccende da sistemare con Sparkle”.

Rarity gli lanciò un’occhiata d’intesa.

Spike capì che l’unicorno stava cercando di parargli il sedere. Il suo umore scese ben oltre il pantano su cui era stata edificata l’abitazione, ma decise comunque di stare al gioco, onde evitar problemi.

“Io… sì, me ne stavo andando”, rispose lentamente, scendendo a sua volta.

Prese il cappello e lo cinse a sé, senza indossarlo, con sguardo melanconico.

Passò accanto allo stallone, ad occhi bassi, e guadagnò così l’uscita, lanciando un ultimo sguardo verso Rarity, prima di chiudere la porta.

Il drago piombò nell’oscurità, con giusto la luce che filtrava dalle pareti ad illuminare appena i dintorni.

Non sapeva cosa pensare. Sentiva soltanto di aver fatto qualcosa di sbagliato, unitamente ad una terribile sensazione di tristezza ed opprimenza.

Una figura gli si palesò d’innanzi.

Il piccoletto sgranò gli occhi: “T-tu??... Cosa… cosa ci fai tu qui?!”.

    All’interno, intanto, Hound scrutò l’amata, comprendendo come non gliela stesse contando giusta.

“Mhh. Come mai hai tutto il trucco disfatto?...”, le chiese, socchiudendo un occhio.

“Il… il trucco?? E’… l’umidità…”, buttò lì.

“Non credevo che l’umidità si condensasse solo sul bordo degli occhi”.

Rarity cercò di sviare: “Cosa vuoi saperne tu, di trucchi e cosmesi?? Che è già tanto se ti ricordi di farti una doccia una volta a settimana…”.

Grey si mosse lentamente attorno al tavolo: osservò lo specchietto e gli arnesi, quindi si portò muso a muso con la puledra.

“Perché hai pianto, baby?”.

L’altra ruotò gli occhi di lato e si strinse nelle spalle: sfregò quindi uno zigomo con lo zoccolo e tirò su col naso.

“Niente… ero solo… felice per aver rivisto Spike”.

I due si osservarono a lungo e Hound intuì che non stava dicendo il vero ma non volle continuare l’interrogatorio. E poi c’era una cosa più importante che doveva fare.

“Ascolta, bambola…”, farfugliò, come se avesse una spina nel collo.

“…Che c’è?”.

“C’è… una cosa importante… che ti devo dire…”.

“Anche io ti devo dire una cosa importante, Grey…”, dichiarò.

“Ah. Beh… allora…”.


    La porta d’ingresso si aprì di nuovo.

La coppia si voltò.

Un unicorno grigio e occhialuto si palesò loro, parzialmente occultato dal buio. Gli occhialini brillavano come piccoli fari e, nonostante l’oscurità, era visibile un mezzo sorrisetto sotto al muso.

Hound percepì una strana sensazione: “E tu chi saresti?”, berciò deciso.

Rarity rabbrividì: “Quello… quello è l’unicorno che lavora per il Governo!!”.

“Governo?”, disse il compagno, cercando di identificarlo.

“Sì, Hound”, rispose l’altro, sistemandosi gli occhialini, “Il Governo. Ti ricordi, no? Una volta lavoravi per lui”.

L’ospite inatteso fece qualche passo sul parquet rovinato, in modo che la luce potesse illuminarlo.

Un ricordo improvviso fece capolino nella testa del pony fulvo: “Ma… ma tu sei…”.

“Vedo che perdere il corno non ti ha portato via anche la memoria, Hound”.

Rarity cercò di far chiarezza: “Voi due vi conoscete?...”.

“Ah, mia cara!”, riprese l’Agente, continuando ad avanzare, “E’ un piacere rivederla! Deve sapere che io e il qui presente Traditore di Counterlot abbiamo affrontato l’addestramento avanzato insieme”.

Spike sbucò dietro di lui, estremamente titubante.

“Spike!!”, lo ammonì la puledra, “Lo hai… lo hai portato qui!! Come hai potuto??”.

“No!!”, cercò di discolparsi, “Io… io ero venuto da solo! Non ero nemmeno sicuro di trovarti qui! Mi… mi avrà seguito!”.

“Au contraire, mon ami”, lo corresse Rain, estraendo una ciocca di crine viola, “E’ stata una sorpresa anche per me, trovarti qui”.

La puledra osservò spiazzata la ciocca. Heavy se la portò al muso e inalò estasiato. L’altra reagì con un’espressione di ripudio.

“Ahh! Mia cara… il vostro profumo è inebriante. La morbidezza della vostra chioma… assolutamente…”.

Grey si frappose rapidamente tra lui e la stilista, con sguardo minaccioso.

“Dietro di me, pupa”.

L’Agente ridacchiò divertito: “Oh! Hound! Ora ti atteggi a gentil pony? E da quando?”.

“Ti credevo morto, Rain”.

“Oh… sì”, rispose, massaggiandosi il mento, in una finta posa da pensatore, “In effetti lo credevano in molti. E invece… eccomi qui. Non è splendido??”.

“No. E’ sospetto. Nessuno torna dal regno dei morti senza portarsi dietro il marcio della tomba”.

“Anche tu, Hound, sei tornato dalla tomba, a quanto ne so. Anzi, mi pare sia stata proprio la qui presente ad avvicinarti alla lapide”.

“Che io sono marcio è ormai un fatto assodato. Ma tu… Beh, non me lo aspettavo”.

“La vita è piena di sorprese, eh, vecchio mio?”.

“Piantala con la sceneggiata. Che diavolo vuoi?”.

L’unicorno fece spallucce: “Mah, personalmente avrei proprio evitato di recarmi in un immondezzaio come questo solo per te. Ma gli ordini sono ordini”.

“Capisco. Dunque… vuoi me?”.   

“Già. Vivo o morto”, rispose con nonchalance.

Il segugio non sembrò intimorito da quelle parole. Anzi, si fece pensieroso.

Fissò Heavy dritto negli occhi: “Vuoi… SOLO me?”.

Rarity scosse la testa.

“Sì. Solo te. Non ho voglia di sprecare energie inutilmente”.

“Se… se mi consegno spontaneamente… ce ne andremo e basta?...”.

“Certo”.

La zampa bianca della puledra lo girò verso di sé: “Hound!! Che diavolo stai dicendo??”.

“E’ me che vuole, baby. Tanto vale chiudere la partita una volta per tutte”.

“Cosa?? Ma sei tutto scemo??”.

Heavy estrasse magicamente un cipollotto e controllò l’ora.

“Pupa. E’ meglio così, credimi”, insistette lo stallone, imperturbabile.

“No!!”, ruggì l’altra, scuotendolo, “Non è affatto meglio!! La pianti con questa storia del cazzo?? Smettila una buona volta di fare il pony dannato ed afflitto! Tira fuori i coglioni e rompi il culo a questo stronzo!!”.

Rain ammiccò verso Spike: “Però… mi piace la gattina…”.

Grey strinse gli zoccoli dell’amata tra i suoi: “Bambola… Io non posso più fare niente. Riesco appena a far levitare le bottiglie per riempirmi il bicchiere. Più le cose andranno avanti e più il Governo si avvicinerà a me. E, giungendo a me, colpiranno anche te e i tuoi amici”.

Rarity perse le staffe: “ORA BASTAAA!! SONO STUFA!! Stufa che ci siano solo pony e draghi che mi dicano cosa devo fare, cosa è meglio per me, chi dovrei amare, da cosa dovrei fuggire, quale sarà il mio futuro se compirò o meno una determinata scelta!! PIANTATELA TUTTI!!”.

Il pony fulvo tirò il capo all’indietro, impreparato ad una simile sfuriata.

“La vita è MIA, Hound!! Che tu lo voglia o meno! Non hai il diritto di prendere le scelte al posto mio!! Sei liberissimo di farti ammazzare, se vuoi, ma almeno evita di usare me come alibi per ritrovarti con una pallottola nel cranio!!”.

Il corno di Rarity si illuminò e il revolver di Hound venne sfilato rapidamente dal cappotto, finendo tra le zampe dell’unicorno dagli occhi celesti.

Hound agì repentinamente per fermarla ma non fece in tempo: la puledra rivolse l’arma verso Rain e gli vuotò il tamburo addosso.

Il corno dell’Agente si illuminò appena e i proiettili si bloccarono a mezz’aria, per poi cadere e rimbalzare sul parquet.

Il pony bianco rimase senza parole.

“Pessima mossa…”, commentò Heavy.


    Un boato investì i due.

Hound venne scagliato all’altro capo della stanza e Rarity si ritrovò schiacciata contro il muro, come se una forza di gravità incontenibile volesse spezzarle le ossa contro la parete.

Tutta la mobilia (o ciò che ne restava) venne scagliata in ogni direzione e la casa tremò, quasi sul punto di collassare. La magia alterò misticamente la luce della lampada, che divenne bluastra.

Rain si mosse verso la puledra, con un cono traslucido proiettato dal corno: la forza che la teneva incollata al muro. La stilista strinse i denti dal dolore.

“Sei una puledra stupenda, Rarity”, le disse, “Davvero. Ne ho incontrate ben poche, come te. Hai stile, carattere. E sai graffiare, se vuoi. Ma rimani pur sempre una gattina selvatica. E io so come ammansire le micie selvatiche…”.

Hound scosse il capo e vide un armadio mezzo rotto sopra di sé. Mise in moto i muscoli e se ne liberò.

“RAIN!!”, ruggì furibondo.

“Bastardo!!”, urlò Spike, alle spalle dell’Agente, sfoderando gli artigli, “Avevi detto che non le avresti fatto nulla!!”.

L’energia irradiata dal corno era poderosa. Non solo teneva Rarity costretta al muro… ma un vento impetuoso si dipanava dalla fronte dell’incantatore, creando scompiglio e facendo svolazzare abiti e criniere.

“Mhh”, mugugnò l’unicorno, “Ci sono già troppi seccatori, per i miei gusti…”.

    L’incantesimo venne intensificato all’improvviso… e la casa esplose fragorosamente, spandendo legna e frammenti a trecentosessanta gradi.

L’esplosione fu tale che la vegetazione circostante venne piegata all’indietro e si creò un enorme foro tra le chiome sovrastanti, da cui iniziò improvvisamente a scendere la pioggia scrosciante del temporale.

Senza più una fonte di luce, tutto piombò nell’oscurità, rotta a più riprese dai lampi che illuminavano sporadicamente la scena, in concomitanza al riflesso degli occhiali del pony governativo.

Heavy Rain, sotto una pioggia pesante, sorrise sommessamente. Tuoni assordanti accompagnarono ogni singolo lampo che prese a cadere.

Del caseggiato non rimaneva altro che un cumulo di macerie, con l’unicorno grigio al centro.

Grey si tirò su dal fango, come se una cannonata lo avesse investito. Le orecchie gli fischiavano leggermente. Scosse il capo e alzò lo sguardo.

Rain era là, impassibile… e immortalato in quel ghigno di superiorità.

Lo stallone fulvo controllò i paraggi, alla ricerca dell’amata. La trovò, distesa tra il ciarpame e coperta da alcuni detriti.

Arrancò verso di lei, scivolando: “Rarity!!”.

Heavy li osservò divertito.

Il segugio giunse dalla puledra: gettò via forsennatamente i pezzi di legno e le mise uno zoccolo dietro alla testa.

“Rarity!!”, urlò di nuovo.

L’altra emise un verso di dolore.

“…H-Hound…”, farfugliò, sbattendo ripetutamente le palpebre, per via della pioggia sul volto.

“Rarity!! Stai bene??”.

“Io… io non… Ah!”, proruppe con dolore, “La… mia zampa… Fa… fa male…”.

“Non ti muovere, Rarity…”.

La puledra gli sorrise dolcemente: “…Sai… Hound?... In tutto il tempo che siamo… stati insieme… credo sia la prima volta… che ti sento chiamarmi per nome…”.

E il volto dello stallone… cambiò.

Il suo sguardo da duro… le sue rughe da eterno imbronciato… la sua aria da pony vissuto… svanirono progressivamente… lasciando il posto ad un volto commosso e quasi addolcito.

“R-rarity, io…”.

La voce di Rain fece capolino alle loro spalle. L’Agente decise di avvicinarsi lentamente, creando uno spartifango magico d’innanzi a sé.

“Che carino che sei, Hound”, ironizzò, “Sembra quasi impossibile che tu abbia ucciso a sangue freddo decine e decine di pony…”.

“Rain!!”, tuonò lo stallone, portandosi sulle quattro zampe, “Sei un lurido bastardo!!”.

Un lampo colossale illuminò a giorno l’intera scena, per un unico istante. Un boato altrettanto impressionante lo seguì immediatamente.

“Siamo tutti bastardi, Hound!! La differenza è che tu sei caduto in basso e hai perso tutto. Hai perso il tuo vecchio lavoro, la tua amata, i tuoi sogni… hai persino perso la tua vendetta contro Celestia!”.

“Perché lavori per Chrysalis, eh?? Quando hai iniziato a vendere il culo come una puttana??”.

“Oh, non mi importa per cosa o per chi lavoro. Mi basta ricevere soldi, potere e… beh, serve altro?”.

“Perché, Rain?? Una volta avevi dei principi!!”.

L’altro continuò ad avanzare implacabile, accumulando potere sul corno.

“La verità, Hound, è che i principi non ti danno da mangiare. I principi non sono sufficienti a difendere qualcuno. I principi, senza i giusti mezzi o i giusti strumenti, sono utili tanto quanto un’esca senza pesci da prendere”.

“Lavori per degli assassini doppiogiochisti, Rain!! Te ne rendi conto??”.

“Ero morto, ricordi? In quell’esplosione nella distilleria. Ma la verità… è che venni abbandonato”.

“Come?...”.

Heavy rise come un matto, facendo riecheggiare i propri versi nella palude: “I nostri colleghi, Grey, sono fuggiti via come conigli, lasciando me e altri feriti in mezzo a quella pentola a pressione! Io riuscii a sopravvivere ma gli altri no. E il caso volle che Chrysalis avesse bisogno di incantatori capaci. Non è così difficile, se ci pensi…”.

“Ma ora stai facendo la stessa cosa che i colleghi fecero con te!! Ti comporti come un bastardo!”.

“Non farmi la predica. Tu hai fatto lo stesso per un sacco di tempo”.

“Sì ma io non lo sapevo! Credevo che dei criminali avessero ucciso Coraline!”.

Heavy si fermò e gettò lo sguardo verso il cielo: “Ah… Coraline. Sì. Mi ricordo di lei”.

Il mezzo unicorno ammutolì.

“Mi ricordo quando entrai nel vostro appartamento, con quei due pagliacci trovati per strada…”.

Quelle parole iniziarono a forare lo sterno di Grey come un trapano a percussione.

“Menti semplici… sennò non sarei mai riuscito a cancellarne gli ultimi ricordi… E la tua fidanzata… quando la legai… scalciava come un mulo e urlava come una scrofa al macello”.

    Il segugio perse ogni controllo.

Proruppe in un urlo spaventoso e lo caricò senza pensare.

Rarity trasalì: “No!! Grey!!”.

Heavy sorrise di gusto e lo investì con quello che, all’accademia, definivano “affondo mentale”: una lancia traslucida ed eterea originatasi direttamente dalla fronte dell’incantatore. La magia intercettò il bersaglio proprio sul capo, ribaltandolo all’indietro e facendolo scivolare di alcuni metri.

Per alcuni secondi, allo stallone sembrò di avere mille aghi conficcati nel cervello: si portò le zampe alle tempie e spalancò la bocca, senza emettere neanche un verso, tanto era il dolore.

Rarity, con la zampa posteriore ferita, si trascinò fin da lui: “Hound! Hound!!”.

“Ah!... D… dannazione…”.

Heavy riprese a marciare verso la coppia. Voleva divertirsi ancora un po’.

“Hound!! Smettila! Andiamocene!! Scappiamo!”.

“Non c’è possibilità di fuga, ma chère”, disse l’Agente.

Il pony fulvo scostò la puledra con una gomitata all’indietro: “V… vattene, pupa… stai lontana…”.

“No, Hound! Piantala di fare l’eroe incazzato!”.

“Tu non capisci…”, dichiarò, con il fiatone e la testa quasi nel fango.

“No, sei tu che non capisci, Hound!! Io ho bisogno di te!!”.

“No… tu non hai affatto bisogno di me…”.

“Oh, per Celestia!!”, sbottò, “Ho bisogno di un marito!!”.

“No…”.

“E invece sì!... Non… non voglio che i miei cuccioli crescano senza un padre…”.

Gli occhi dell’interlocutore la osservarono intensamente. Persino Rain si fermò e alzò le sopracciglia, evidentemente sorpreso.

“C…cosa?...”.

Rarity non disse nulla e sorrise appena.

“Se… se è un altro scherzo allora guarda che…”.

La puledra gli afferrò il volto con entrambe le zampe: “Nessuno scherzo. Sono incinta…”.

“M…ma…”.

“E’ successo la prima volta che ci siamo incontrati… nello scantinato di Twilight…”.

“Quindi…”.

“…Lo ero già quando attaccammo Counterlot. Solo che, allora, ancora non lo sapevo… ma ora ne sono sicura…”.

L’Agente proruppe in un’altra risata: “Ma è incredibile!! Stai per morire nel giorno in cui scopri che diventerai padre!”.

La puledra si arrabbiò e non poco: “Schifoso bastardo!! Lasciaci in pace!”.

“Oh, non credo proprio che lo farò”.

“Perché volete Hound?? Cosa vi frega, di lui??”.

“A me non importa un fico di questo buffone. Ma interessa a Chrysalis”.

“Perché? Vuole usarlo come capro espiatorio?? E’ piena di mutaforma, può usare loro, per quello!”.

L’altro scosse il capo: “…No, prendi un granchio. Crysalis non vuole espressamente Hound. Le basta la sua… testa!”, rispose, concludendo la frase come se avesse appena raccontato una barzelletta.

“La sua… la sua testa?...”.

“Sì. Non chiedermi come faccia ma Chrysalis può assimilare i ricordi dei pony. E Hound è pieno di informazioni utili. Ha studiato i criminali, voi nella fattispecie, per un sacco di anni. Conosce le vostre mosse, i vostri spostamenti e ora sa pure dove abitate, cosa mangiate a colazione e, giusto di recente, quali sarebbero disposti ad andare a letto con lui”.

“M-ma…”.

“Lei lo vuole vivo o morto. Diciamo che, da morto, il procedimento sarà un po’ più lungo. Ma, fintanto che gli porto il cranio integro, non penso ci saranno grossi problemi. E credo proprio opterò per quest’ultima opzione. Non voglio correre rischi… senza contare che sarà MOLTO più divertente!”.

Rarity si sentì chiusa in una trappola e non seppe più cosa dire, né cosa fare.

“La cosa curiosa…”, ammise infine Heavy, “E’ che ero venuto qui con l’intento di catturare un pony… ed ora mi ritrovo a volerne amazzare… almeno tre!”, concluse, riferendosi ai presunti cuccioli nel grembo della puledra.

Quella frase fece letteralmente infuriare Hound, che si alzò all’improvviso.

La puledra cercò di fermarlo ma lui la allontanò con una zampata tutt’altro che delicata.

“RAIN!!!”.

“Ahh!”, dichiarò l’Agente, quasi soddisfatto, “Ecco il Segugio che ricordavo! Deciso e incazzato! Ma ora non hai più il tuo corno a pararti il culo. Ora posso fare di te ciò che voglio”.

Ed era la verità. Un corno spezzato poteva richiamare solo una porzione infinitesima di magia. Qualcosa di insignificante, se paragonato alla potenza dell’avversario che aveva di fronte.

    L’Agente si leccò le labbra, quasi in preda all’ansia: non vedeva l’ora di devastarlo e di strappargli la testa dal collo. Lo stallone fulvo aveva goduto di un successo e di una notorietà che Rain non era mai riuscito a guadagnarsi. E, proprio quando stava per surclassarlo, avvenne l’incidente alla distilleria e tutto svanì nel nulla.

Uccidere Hound non lo avrebbe reso più famoso o rinomato… ma la vendetta non è razionale. E Heavy adorava seguire il proprio istinto.

Il corno accumulò potere, fino a divenire accecante.

Rarity dovette coprirsi il volto.

Grey venne inglobato nella sfera di luce.

Un sorriso maniacale prese il sopravvento sul muso dell’incantatore grigio e un’onda traslucida venne scagliata dalla fronte, investendo in pieno il bersaglio.


    “Hai capito, cadetto??”.

“Signore, sissignore!!”, rispose la recluta, con i sudori freddi.

“E allora perché il manichino è ancora integro, eh??”.

“I-io…”.

“Stiamo addestrando Agenti, qui, non puledre pallemosce!!”.

La voce dell’istruttore fece abbassare le orecchie al poveretto, costringendolo inoltre a digrignare i denti.

Lo stallone continuò: “Fuori dai coglioni, subito!! Fatti venti giri di campo e poi torna qui, hai capito??”.

“Signore, sissignore!!”.

La squadra si trovava in aperta campagna, in una zona bandellata e adibita a campo di addestramento.

I presenti (tutti unicorni) indossavano le tipiche divise blu delle burbe: d’innanzi a loro, a diversi metri di distanza, erano stati collocati alcuni manichini dalle forme equine.

Poco lontano, in un campo analogo, dei tiratori si esercitavano con armi d’ordinanza.

L’istruttore degli unicorni iniziò a muoversi tra le fila, con fare autoritario e tono marziale: “Mezze seghe!! Sì, dico a voi! Sapete dove il vostro amichetto ha sbagliato?? A parte nell’iscriversi all’accademia, intendo…”.

Silenzio.

“Chi di voi sa cos’è un catalizzatore??”.

Ci fu un attimo di pausa, interrotto da un pony che fece un passo in avanti: “Signore, un catalizzatore è un oggetto in grado di potenziare la magia di un incantatore, signore!!”. E tornò in riga.

“E tu chi sei?? Chi cazzo ti ha chiesto niente?? Trenta giri di campo, subito!!”.

Il cadetto partì.

“Il saputello ha detto una fesseria! Chi mi sa dire quale?... Nessuno?? Siete proprio così ignoranti? Ve lo spiego io: un catalizzatore non è necessariamente un oggetto. Un catalizzatore può essere qualsiasi cosa: dalle mutande bagnate di vostra sorella all’ultima canzone che avete sentito alla radio! Un catalizzatore può anche derivare da un ricordo, da un’emozione o da un semplice pensiero”.

Lo stallone si fermò, portando in fuori il petto: “Con un opportuno catalizzatore, potrete incrementare notevolmente il vostro potenziale. Anzi! Sarà OBBLIGATORIO che impariate qual è il catalizzatore a voi congeniale! Utilizzare incantesimi catalizzati richiede più energie ma il guadagno vale la spesa! Più unicorni possono anche catalizzarsi a vicenda ma non otterrete mai un risultato paragonabile al vostro catalizzatore più potente!”.

L’istruttore affondò il muso contro una delle reclute, che cercò di mantenere il sangue freddo: “Qual è il tuo catalizzatore, sfigato?? Eh?? Si può sapere? La paura? Te la fai addosso, mezza pippa?? Anche la paura può essere un catalizzatore!”.

Una burba, piuttosto lontana dall’ufficiale, diede un colpetto al commilitone a fianco e gli disse sottovoce: “Sentito, Hound? Basta trovare un catalizzatore. Scommetto che il tuo lo potresti fare lavorando a maglia”.

Grey lo fulminò con lo sguardo: “Zitto, coglione. Non ho voglia di sorbirmi il Tenente Spaccapalle per colpa tua”.

“Cos’è? Hai paura? Forse il tuo catalizzatore è proprio la fifa”, lo schernì.

“Cazzo, Rain, se il tuo fosse essere un cazzone, allora…”.

“Insomma, Hound, come sei maleducato. Sempre con i genitali in bocca!”.

Il collega capì il riferimento e tremò dal nervoso.

L’altro sorrise: “Dai, non prendertela. Scherzo. Io ho già avuto le mie missioni per conto del Governo, lo sai. Credo di aver capito quale sia il mio catalizzatore ormai”.

“Ma non mi dire…”.

“Sì… E’…”.

La voce del tenente esplose di colpo: “…E’ IMPORTANTISSIMO che capiate a quale categoria di catalizzatori attingerete maggior potere. Ai miei tempi era d’usanza trovare dei nomignoli per le varie categorie. Quelli che catalizzavano dagli oggetti artistici o emozioni derivanti dall’arte li chiamavamo Creativum. Chi catalizzava dalle emozioni negative, come il terrore o la disperazione, lo chiamavamo Lamentum…”.

“Però… mi piace”, commentò Rain.

“…E chi catalizzava dal proprio odio e dalla propria rabbia…”, concluse lo stallone, “Lo chiamavamo…

…INVICTUM”.


    L’esplosione magica deflagrò addosso ad Hound, in tutta la sua violenza.

La melma schizzò ovunque, preda di un contraccolpo di decine e decine di metri.

Persino Rarity faticò a rimanere salda, con le zampe sulla testa e il muso basso.

La pioggia, per un istante, parve cessare… per poi riprendere non appena terminato il fenomeno.

Una grosse nube di vapore acqueo iniziò a dipanarsi e lo scrosciare dell’acqua prese il sopravvento, sempre scandita dai fulmini.

Heavy si spinse gli occhialini contro il muso, com’era solito fare, e si pregustò la vittoria.

    Il vapore si tinse di rosso, per via di una fonte al suo interno.

Lo sguardo dell’unicorno grigio passò dall’arroganza alla perplessità.

Uno zoccolo fulvo emerse dal velo di gas e il Segugio di Counterlot si palesò, con un vermiglio pulsare sulla fronte. I suoi vestiti erano leggermente stracciati e il pelo strinato. Il cappello non c’era più e i crine scuri ondeggiavano, sospinti dalla magia del mezzo unicorno.

Il suo muso era farcito di pura rabbia… una rabbia ed un odio che stavano pompando dolorosamente verso la fronte.

Grey non ci capì più nulla: la sua mente non razionalizzava più, ormai. Nei pensieri aveva solo alcune vaghe immagini che gli comparivano sporadicamente d’innanzi: il sorriso di Coraline, lo sguardo di Rarity, un vaso di margherite infranto, il bacio della puledra color latte, il suo profumo e… più insistente tra tutte… la figura di Rarity, nell’oscurità, con una tenue e candida luce che pareva generarsi dal suo grembo.

Un’aura rossa come sangue si spanse in ogni direzione.

Rain deglutì e tutta la sicurezza che aveva esternato fino a quel momento svanì all’improvviso: Grey marciava implacabile verso di lui, con la melma che ribolliva attorno agli zoccoli, manco fosse stata messa sul fuoco.

L’unicorno occhialuto cercò di non perdere la calma e scagliò una devastante saetta nera contro l’avversario: l’incantesimo sfrigolò contro le sue carni, ustionandolo e bruciandogli ulteriormente il cappotto… per venire poi respinto nei dintorni dall’aura dell’ex-Agente.

“No…”, farfugliò Rain, incredulo, scuotendo la testa.

Evocò un altro incantesimo… che fece solo un gran baccano e sollevò litri di melma attorno ad Hound… ma l’altro continuò a marciargli contro.

“No… no… NO, NO!!”, ripeté, accompagnando ogni urlo da una magia differente.

Rarity osservò sbigottita la scena… e si rese conto che le sorti della battaglia stavano per ribaltarsi quando vide Rain eseguire un primo, timido passo all’indietro.

Il funzionario estrasse un’oscena Colt intarsiata e premette più volte il grilletto: “CREPA!!”, strillò.

Le pallottole si fusero in fiotti di piombo incandescente, a pochi centimetri dal bersaglio, cadendo poi nei liquami, con un allegro sfrigolare.

Heavy buttò l’arma, ormai inutile. Non se ne rendeva conto ma il suo era il muso di un pony terrorizzato e continuava ad annaspare all’indietro come un emerito codardo.

“PERCHE’ NON CREPIII???”, gli inveì contro… e poi si accorse di un dettaglio che gli fece raggelare il sangue nelle vene. Un’inezia, tutto sommato: una minuscola scintilla dorata nella zona dove ci sarebbe dovuta essere la punta del corno.

Fu così tanta l’agitazione a coglierlo che, nel dimenarsi, gli occhiali gli caddero nel pantano, rivelando due pupille contratte dalla paura, color nocciola: “HOUND, SEI PAZZO??”.


    “Incantesimo sedici”, dichiarò orgoglioso lo studente, ammirando il cratere fumante, dove prima si ergeva un granitico blocco di pietra.

“Bravo, ma non montarti la testa”, rispose l’insegnante, riconoscendo però in lui un forte potenziale, “Qui siete in una scuola. Non c’è nulla di davvero pericoloso. Si vedrà sul campo chi siete veramente… per questo dovrete sapere a menazampa ogni singola magia e il rispettivo controincantesimo”.

Alcuni presero appunti.

“Vi ricordate il discorso che vi fecero durante l’addestramento di base, sui catalizzatori?”.

I presenti annuirono.

“Sapete qual è il catalizzatore più potente che ci sia in Equestria?”, domandò, in un evidente quesito a trabocchetto.

Ci fu un istante di smarrimento, poi i primi tentativi di risposta: “Le emozioni più intense?”.

Il docente scosse il capo, in segno di dissenso.

“I Cristalli di Ignite?”.

“Le catalisi sinergiche tra più unicorni?”.

“Tua nonna in cariola?...”, sbuffò Hound, annoiato, senza farsi sentire.

“No”, rispose infine l’insegnante, “E se lo conosceste… penserei che c’è davvero qualcosa che non va. Dovete sapere… che non esiste un catalizzatore oggettivamente più forte di altri, in quanto ogni pony ha un’attitudine per determinati catalizzatori che potrebbero essere inutili per altri”.

L’unicorno si mise comodo e divenne serio: “…C’è però una cosa… un UNICO catalizzatore che ripudia questa definizione. Un catalizzatore unico e insostituibile, a cui ognuno di voi potrebbe fare appello in ogni istante…”.

Alcuni corrugarono la fronte.

“Sto parlando”, continuò sorridendo, “…della vostra vita”.

Si levarono dei brusii e l’attenzione di Grey si riaccese all’improvviso, insieme a quella di tutti gli studenti.

“Esiste un incantesimo unico… che può essere lanciato solo tramite questo raro catalizzatore. Non esiste forza, proiettile, stregoneria, contromagia o arma in grado di opporsi ad un unicorno che sta catalizzando il potere tramite la propria… vita. E non esiste muro, carro armato, barriera o appellativi a Celestia in grado di proteggervi dalla devastazione di un incantesimo catalizzato dalla vita di qualcuno…”.

L’insegnante si compiacque dell’efficacia delle proprie parole: “Vi ricordate l’incidente di Reverside?”.

“L’esplosione della tenuta CherryStripe?”, chiese uno.

“Fu uno dei nostri agenti. Catalizzando la propria… essenza”.

Il tizio rimase impietrito.

“Ma non pensiate sia solo una furia devastatrice: può essere usato per diversi scopi, da attacchi chirurgici a sbalorditive manifestazioni di potere. Certo… il prezzo da pagare è molto alto ed è inutile che vi dica che dopo… beh, non c’è alcun dopo”.

“Mi scusi”, chiese un alunno, “Ma… io non ho mai visto nulla in riferimento a questa… tecnica. La lista delle magie va da uno a…”.

L’altro lo interruppe, con tono quasi divertito: “E’ una… tecnica, come la chiama lei, che non si impara dall’oggi al domani. Viene insegnata solo a coloro che divengono Agenti in tutto e per tutto… e che superano anni di onorevole carriera. Non è uno dei trucchetti d’accademia che vi hanno insegnato. E’ roba seria… e proprio per questo non è elencato… e… per lo stesso motivo… viene definito…”.


    “ESATTO, RAIN!!”, ruggì Grey, furibondo, ingrandendo a dismisura la propria aura vermiglia, “INCANTESIMO NUMERO ZERO!!”.

Heavy indietreggiò così tanto dal ritrovarsi con le spalle contro un grosso albero di palude.

L’altro gli era addosso, a meno di un metro, pronto a sacrificare la propria vita pur di annientarlo.

L’alone rosso lo inglobò completamente, provocandogli la sensazione di essere a pochi centimetri da un camino accesso.

Il corno del pony grigio si illuminò istintivamente, ergendo una barriera semisolida di fronte a sé.

“HOUND!! HOUND, FERMATI!!”, lo supplicò.

Grey non disse nulla e affondò gli zoccoli sulla barriera, che rispose con lampi e fiammate… e che iniziarono a bruciare la carne dello stallone fulvo. Ma il segugio, ormai accecato dalla rabbia, contrasse i muscoli facciali e rafforzò la presa: gli zoccoli dello stallone riuscirono a scavare un piccolo varco, in una efferata lotta con l’incantesimo, che cercava invece di richiudersi.

“HOUND, PER CELESTIA!! FERMATI!!”.

Il pony infuriato riuscì ad allargare ulteriormente il varco e l’odore di carne bruciata si diffuse ovunque.

Rarity tremò, cercando di avvicinarsi, ignorando (senza riuscirci) il dolore lancinante alla zampa.

Rain era sul punto di un collasso disperato: “GREY! GREY!! NON FARLO!! PENSA… PENSA A… A RARITY!!”.

“IO NON LA MERITO”, rispose con convinzione, senza desistere dall’abbattimento della difesa avversaria, “E NON POSSO CONTINUARE A METTERLA IN PERICOLO”.

Un terrificante potere di morte iniziò a palesarsi sul moncherino e Heavy capì che si stava realmente giocando la vita, in quell’istante: “ASPETTA! ASPETTA!! I TUOI PICCOLI!! I TUOI CUCCIOLI!! PENSA A LORO!! NON VORRAI MICA LASCIARLI SENZA UN PADRE??”.

“IO NON AVREI MAI VOLUTO UN PADRE COME ME. MEGLIO SE NON MI CONOSCERANNO MAI”.

Il segugio riuscì a stendere le zampe anteriori, con immane sforzo: vi era un foro sufficientemente grande da introdurre la testa… e quel che rimaneva del corno.

L’Agente vide ogni speranza di salvezza svanire.

Grey alzò il volto verso di lui…

L’Invictum ammansì il Lamentum con il semplice sguardo…

“ANDREMO DA CELESTIA ASSIEME, RIUNITI, PROPRIO COME RECITAMMO AL GIURAMENTO, RICORDI? DOVRESTI ESSERNE CONTENTO…”.


    Una sagoma saettò rapidamente all’interno della protezione magica, sfruttando il foro da cui solo lui sarebbe riuscito a passare.

Spike sfoderò gli artigli e, con un colpo secco, lacerò la gola dello stallone dalla nera chioma.

Alcune goccioline rosse si dipinsero sulla giacca bianca, contemporaneamente ad un fiotto color rubino che si allargò all’istante lungo la parete traslucida.

Rain spalancò le palpebre… un attimo prima di portarsi gli zoccoli sotto il mento e cadere all’indietro.

La barriera si dissolse all’istante.


    L’aura di Hound parve placarsi leggermente, quando vide il proprio nemico cadere di schiena nella melma.

Rain iniziò a rantolare e scalciare, provando in ogni modo a contenere il rigurgito arterioso.

Tentò un incantesimo ma Grey fu più rapido: gli mise una zampa sulla fronte e, con un colpo secco dell’altro zoccolo, gli ruppe di netto il corno.

Il funzionario provò ad urlare ma riuscì solo a contorcersi e sputar sangue.

Il drago e il segugio, entrambi col fiato corto, lo osservarono con malcelata soddisfazione, mentre si spegneva… e il sangue veniva lavato via dalla pioggia, mescolandosi all’acqua putrida del luogo.

Ebbe ancora qualche sussulto, prima che la vita lo abbandonasse.

Definitivamente.


E la pioggia cadde.


I lampi giunsero fugaci.


I tuoni diedero sfogo di percussioni celesti.


La luce rossastra di Gery diminuì d’intensità, fino a spegnersi.

Lo stallone continuò a fissare a lungo il cadavere del suo vecchio compagno di accademia.

Tutto quello era successo… per cosa? Solo per causa sua?

Gli antichi pensieri dell’ex-agente tornarono ad assillarlo.

Un rumore alle sue spalle ne attirò l’attenzione.

Si voltò: era Rarity, che si reggeva a fatica.

Il compagno si mosse verso di lei, supportandola un istante prima che crollasse.

“Pupa… stai…”.

Una zoccolata lo investì in piena guancia. E questa volta non si trattava di un manrovescio scherzoso.

Lo stallone tornò con lo sguardo su di lei: la puledra stava piangendo a dirotto.

“BRUTTO STUPIDO!!”, urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo, “COME SAREBBE A DIRE CHE NON MI MERITI?? IO PORTO I NOSTRI UCCIOLI IN GREMBO E TU CERCHI DI AMMAZZARTI, LASCIANDOMI SOLA??”.

“I-io…”, balbettò, assolutamente spiazzato.

L’altra lo scosse, con le forze che le erano rimaste: “Hound… per la prima volta in vita tua… non puoi smettere… smettere di pensare che non meriti una vita felice?? La vuoi piantare di distruggere ogni cosa bella che cerca di venirti in contro??...”.

“Ma io…”.

“No, Grey!! So già dove vuoi andare a parare!! Ma non è come pensi! Non sono le circostanze a distruggere le cose che ti sono care! Sei TU, GREY! Sei tu che lo vuoi!”.

Il volto del pony fulvo divenne basito, come se stesse affrontando una dolorosa verità.

“Tu stai distruggendo la tua stessa felicità, attaccandoti come una calamita al passato e agli errori che hai compiuto!”.

Il pianto dell’unicorno bianco si intensificò, rendendole difficile persino parlare: “E’… è come… come se continuassi a guardare i capitoli peggiori della tua vita, senza voler continuare, senza andare avanti nel libro… e ogni volta che trovi una pagina con qualcosa di bello… tu torni indietro e ricominci a leggere solo le cose più brutte!”.

Rarity era al limite e lo allontanò con uno spintone: “Beh, se vuoi continuare a distruggerti e tenere lontano chi ancora ti vuole bene… chi vorrebbe condividere quel libro con te… allora sei libero di farlo!!”.

La puledra gli diede le spalle, stringendosi i fianchi tra le proprie zampe.

“Fai quello che ti pare. Crepa… se ci tieni tanto…”.


    Grey allungò gli arti verso di lei e la abbracciò, petto contro schiena.

La stilista non riuscì a far altro se non strabuzzare gli occhi. Hound la stringeva a sé?

E, senza tanti complimenti, capì subito che, a bagnarle il collo, non era solo la pioggia… perché Grey Hound, l’ex segugio nonché traditore di Counterlot… stava piangendo.

“M…mi… mi dispiace, Rarity…”, le disse, con un tono che mai aveva udito prima, “Mi dispiace di averti fatto… soffrire così tanto”.

Si voltò, aspettandosi un viso contratto dal dolore… ma persino nel pianto Hound riusciva a mantenere quell’aria di inviolabilità emotiva che lo avevano da sempre contraddistinto.

Lo sguardo del compagno era sincero. Semplice e immediato nella propria sofferenza.

Ma l’espressione da eterno iroso… da pony infastidito da tutto e da tutti… per un istante scomparve di nuovo.

“Rarity”, riprese, passandole il dorso di uno zoccolo sulla guancia, evitando il lato ustionato, “Hai ragione. Io sono uno stupido… Sono un buco nero che risucchia tutto e non lascia fuggire nulla…”.

“Grey…”.

“Lasciami finire… Io sono caduto all’inferno. Ho sguazzato nei miei errori per un sacco di tempo… Ma tu mi hai teso la tua zampa, bianca come l’avorio. Ho agito come un bambino, ho pestato le zampe a terra, ho fatto lo stronzo…”.

“…Un grande stronzo…”, rincarò la compagna.

“…E… nonostante tutto… tu hai continuato a credere in me. E… ed ora… anche qui… in mezzo ad una palude, sotto la pioggia… di fronte alla morte… tu mi sei rimasta vicino”.

Il pony la abbracciò a sé con foga: “…Non posso sapere cosa accadrà ma… per quanto ne so… tu sei il mio angelo. E voglio essere il tuo compagno… e… e il padre dei cuccioli che porti dentro di te…”.

A quelle parole, la stilista si sciolse in un secondo pianto, questa volta di commozione.

“Sei… sei uno stupido, Hound…”, farfugliò, con la bocca parzialmente coperta dal cappotto di lui.

“Lo so…”.

La coppia rimase a lungo racchiusa in quell’abbraccio.

Sotto la pioggia.

Nel buio rotto da qualche lampo improvviso.

In un luogo tutt’altro che accogliente.

Nella magia di quegli istanti che sembrano dare e togliere contemporaneamente il senso ad ogni cosa.

Così.

Semplicemente.


    Poi, proprio come si era lasciato andare alle emozioni, Grey parve ritornare se stesso… o almeno in parte.

Iniziò a schiarirsi la voce, con rinnovato sguardo di serietà: gli occhi vagavano un po’ ovunque, incapaci di incrociare quelli della puledra, tanto era l’imbarazzo che provava.

“Uh… ehm…”, blaterò, “…Piove”.

“Ma non mi dire”, rispose l’altra, percependo divertita il disagio del compagno.

“Sì. Meglio se andiamo o ti prenderai un catarro schifoso”.

“Ed ecco che Hound il Romantico è tornato ad essere Hound il Galante…”.

“Senti, pupa…”.

“…Mh… dovremmo di nuovo giungere ad un passo dalla morte affinché tu mi chiami col mio nome?...”.

“Mhh… ok… Senti… uh…”, rispose, quasi dovesse confessare atti osceni ad un prete, “…Rarity… non è solo per noi ma… cioè… sei… insomma… e la tua salute… cioè… i… cuccioli… io…”.

L’altra arrossì e si mise di profilo, sbattendo le lunghe ciglia in modo ammaliante.

“E poi la pioggia ti rovina il viola dei capelli”, concluse, per sfuggire dall’imbarazzo di quella situazione.

Quando Rarity udì quelle parole, venne colta da un ricordo improvviso: “Viola? Spike!!”, eslcamò.

“Uuh… il nano squamoso?”.

“Sì! Dov’è?”.

I due scrutarono i dintorni ma non videro nessuno.

La stilista si agitò leggermente e pose gli zoccoli attorno al muso: “Spiiike!”.

“Aspetta, bambol… Rarity. Vado a cercarlo. Tu rimani qui e non sforzare la zampa ferita”.

“Ok… Ma non fargli del male!”, si affrettò a precisare.

“Tranquilla. Voglio solo parlargli”, ed iniziò a dirigersi verso la vegetazione.

“Non mi fido poi così tanto, eh. Staccagli una scaglia e ti…”.

“Ho detto che voglio solo parlargli”.

Stette per immergersi tra gli alberi ma si voltò un ultimo istante, dichiarando con serietà: “E… uh… se… se ti si rompono le acque… ecco… insomma…”.

L’altra si colpì la fronte con la zampa: “Sì… tranquillo…”.

“E… se senti delle voglie strane… che so?... Uh… una birra? Cioè… dicono che il lievito di birra agevola la produzione di latte, così…”.

“MUOVITI!!”, strillò, stufa di aspettare sotto la pioggia.

“Ok”, e svanì.

“Idiota…”.

    L’ex agente perlustrò un po’ i paraggi.

“Ehy… Drago? Ci sei?”.

Nessuna risposta, se non pioggia e tuoni.

“Voglio solo parlare”.

Goccia. Goccia. Goccia. Lampo. Tuono. Goccia. Goccia.

“Se non esci, completo l’incantesimo di prima e incenerisco il letamaio in cui ci troviamo”.

Un revolver venne lanciato da dietro un albero, subito prima che Spike uscisse fuori, con le zampe rivolte verso l’alto.

Il piccoletto era decisamente triste. I suoi abiti lordati di sangue.

I due si osservarono.

Grey sfoderò quindi un sorriso amareggiato e si sedette su un tronco marcio, emettendo un verso liberatorio. C’era un grosso salice, sopra di lui, che creava una zona tutto sommato al riparo dalla pioggia battente.

Il sicario squamoso non seppe cosa fare.

“Siediti”, disse lo stallone.

“Io… veramente…”.

“Ho detto siediti…”, ripeté, facendo brillare un po’ il moncherino.

Spike si sedette con celerità, accanto a lui.

Fu un momento di silenzio imbarazzato.

Il draghetto rimase con i muscoli tesi, preparandosi a chissà quale reazione da parte del pony.

I secondi passarono e divennero minuti.

Il tirapiedi viola cercò di scrutare l’espressione di Hound ma quest’ultimo rimase chino su se stesso, assolutamente indecifrabile.

La scena continuò finché il più piccolo provò a dire qualcosa: “Uuh...”.

Grey alzò improvvisamente la testa e l’altro ebbe un sussulto di paura.

“Oh, San Pietro! T-ti prego!”, lo implorò, proteggendosi con gli avambracci, “Se devi farmi fuori… fallo in fretta!”.

L’altro mise uno zoccolo sotto al cappotto.

Spike fece il segno della croce.

Hound estrasse un pacchetto di sigarette vuoto. Lo osservò. E lo gettò nel pantano.

Tornò a capo chino.

“Hai… un sigaro?...”.

“Eh?”.

“Mi offriresti un sigaro? Ho bisogno di avvelenarmi un po’ i polmoni…”.

L’interlocutore estrasse il portasigari e gliene offrì uno, titubante.

Il pony lo afferrò e lo accese col mezzo corno. Aspirò alcune boccate.

“…Ci voleva proprio…”, commentò, spandendo una densa nuvoletta grigia.

La pioggia cadde.

“Perché non te ne fumi uno anche te?”, aggiunse.

“Sì…”, rispose, “Buona… buona idea…”.

    Ci fu di nuovo un silenzio prolungato, che continuò fino al consumo di almeno metà sigaro da parte dei due.

“Cos’è? Il sigaro prima della pallottola? L’ultimo desiderio di un condannato?”, gli chiese Spike, rassegnato al proprio destino.

“Non voglio ammazzarti”.

“Tortura preliminare?...”.

“Quindi… lei ti piace?”, gli chiese lo stallone, spiazzandolo.

“Eh??”, sbottò, sudando freddo.

“Rarity… lei ti piace molto, non è vero?”.

“Oh… guarda che… che è solo ammirazione!... Per… Intendo… come artista!”.

“Sai…”, continuò, fissando il putridume in cui erano a mollo gli zoccoli, “Io… io non posso darti torto… E… fosse per me… avrei preferito che Rarity si mettesse con uno come te…”.

Il compagno di sigaro non credette alle proprie draconiche orecchie.

Il segugio cercò di esprimersi al meglio delle proprie (limitate) capacità sociali: “La… la verità è che tu avresti tutto il diritto di stare con lei. Mi sembri un tipo a posto. Per essere un sicario, intendo… Ma, dalle cose che so su di te, non hai mai voluto strafare. Anzi: forse sei il più pulito tra tutta la marmaglia da cui provieni…”.

Spike ascoltò attentamente quelle parole e divenne melanconico.

“No…”, gli rispose debolmente, “Tipo a posto io?... No. E non ho alcun diritto di… di averla con me…”.

“Perché?”.

“Io… io ho fatto una cosa schifosa. Se… se davvero l’avessi amata… se davvero… le avessi voluto bene…”.

Gli occhi umidi del drago si alzarono verso quelli scuri dello stallone: “…Allora non avrei dovuto cercare di separarla da colui che ama…”.

“Eh!”, ridacchiò l’altro, facendosi andare un po’ di fumo di traverso, con qualche colpo di tosse, “Solo belle parole! Nessuno vuole lasciare la propria amata tra le zampe di un altro, non contiamoci balle. Se qualcuno sfiorasse anche solo il culo di Rarity, come minimo gli farei mangiare la sua stessa coda…”.

“Sì ma… io… mi sono venduto…”, dichiarò, quasi sull’orlo del pianto, “Ho… ho portato gli Agenti dritti verso di lei. Non… non ho fatto UNA SOLA COSA che potesse essere per il suo bene… Sono… sono stato solo un bastardo egoista…”.

L’estro emotivo di Hound trovò piena manifestazione, riuscendo addirittura a dargli una tenue pacca sulla schiena: “Ascolta, nano. Tutti sbagliamo. Io ne sono la prova vivente. Ho sbagliato per anni… giorno… dopo giorno… Mi porto dietro una dose di sbagli che farebbe inorridire persino un penitenziario sovraffollato…”.

“Ma tu… insomma… ti hanno portato via la compagna… ciò che eri. Ti hanno mentito ed usato. Avresti tutte le scusanti per aver compiuto ciò che hai fatto…”.

“Come no. Vallo a dire ai famigliare delle vittime che ho spedito tra i Lidi Celesti… Senti, patacca: tu hai commesso un errore. Tutti sbagliamo. Ti sei sempre comportato bene. Non lasciarti traviare da quell’unico errore. Non sarà il primo e non sarà l’ultimo. E non definirà di certo ciò che sei. Sei solo inciampato. Devi semplicemente… rialzarti e proseguire”.

In quell’istante, Hound si chiese se stesse parlando davvero al draghetto… oppure a se stesso.

Spike tirò su col naso, senza trovare una frase con cui controbattere.

“Anzi…”, ammise Hound, osservando il sigaro, tramite la levitazione, “E ora che anche io mi rialzi. Fanculo”, e lo gettò tra i liquami.

Sollevò le natiche dal legno: “Fumo e alcol. Mi mancherete. Inveirò e romperò mobili, in vostra assenza. Ma ora ho qualcuno a cui pensare… e più di una vita da proteggere…”.

Anche Spike si sentì in qualche modo responsabile: scese dal tronco e guadagnò una certa spavalderia.

“Sì… sarà dura… e non so con che faccia potrò di nuovo… guardarla negli occhi… ma…”.

Rarity, appoggiata ad una pianta, colpì ripetutamente gli zoccoli tra loro, con un dolce sorriso: “Ma guarda come vanno d’amore e d’accordo i miei due ometti…”.

La coppia ebbe un viraggio tendente al rosso.

“P-pupa?? Cioè… Rarity… ma…”.

“Da quand’è che sei lì??”, rincarò Spike, “C-cos’hai sentito?...”.

“Abbastanza direi… Su. Basta con le manifestazioni d’affetto, per stanotte, che ne dite?”.

Silenzio imbarazzato.

“E poi…”, concluse, “Abbiamo una faccenda molto importante di cui preoccuparci… Chrisalys non morirà di certo di vecchiaia, da quando Celestia è morta…”.

“Eh??”, sbottò Hound, “Che sei scema? Tu ora hai altro di cui occuparti!”.

“Esatto!”, si intromise il drago, “Devi rimanere in assoluto riposo e…”.

La puledra sorrise amabilmente e infilò il capo tra le teste dei due, poggiando le zampe anteriori sulle rispettive spalle. Avvicinò le labbra alle loro orecchie e sussurrò: “Ascoltate… se uno di voi due prova ancora una volta a dirmi cosa devo fare nella vita… verrò di notte, mentre dormite, cucirò le vostre bocche con filo e rocchetto e vi userò come manichini per le mie composizioni estive. Sono stata abbastanza chiara?”.

“Ferpettamente”, rispose Hound.

“Cristallina”, ammise l’amico viola.

“Su”, li esortò, porgendo loro le zampe, “Ora andiamo a uccidere insieme…”.
   
 
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