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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Ponymood, due settimane dopo.

Stanza di un appartamento qualunque.


    Qualcuno bussò tre volte alla porta.

L’unicorno color nocciola drizzò le orecchie, leggermente intimorito.

Con calma e assoluto silenzio, fece levitare la .357 verso di sè, estraendola dal cassetto del cucinino.

Afferrò quindi l’arma tra le zampe e la rivolse verso l’uscio, con mira incerta.

Deglutì nervosamente.

Seguì un ulteriore colpo sul legno all’ingresso, anticipando una rapida successione di altri due colpetti leggeri.

Il pony parve illuminarsi di speranza: “B-Berry?...”, tentennò, “Berry, sei tu?”.

“Sì, sono io”, rispose una voce di puledra, cercando di non alzare troppo la voce.

L’altro sbuffò dal sollievo e abbassò l’oggetto: “Oh, grazie al cielo… e… sei sola?...”.

“Certo che sono sola”.

L’unicorno si avvicinò alla porta, scettico: “Che garanzie ho che tu sia davvero sola?...”.

“Tail: apri la porta o me ne vado e me lo bevo tutto da sola…”.

“No no no!”, si affrettò a precisare, iniziando a ruotare un’intricata serie di chiavistelli.

Spalancò quindi l’uscio e una puledra rosa, in trenchcoat, si palesò a lui: sembrava piuttosto nervosa e intenta a scrutare i paraggi del corridoio, come se qualcuno potesse seguirla.

“Ok, fammi entrare”.

“Svelta”.

E la porta si chiuse, sigillandoli nell’appartamento.


    L’interno non spiccava certo per complessità d’arredo ma presentava comunque una mobilia superiore all’essenziale. Una madre, forse, lo avrebbe trovato minimale, ma pony con meno pretese si sarebbero trovati in un ambiente tutto sommato accogliente.

Chocolate Tail fece accomodare l’amica in cucina.

Punch aprì il cappotto e, con sguardo malizioso, estrasse una bottiglia priva di etichetta.

“E’… è quello che penso?...”, balbettò Tail, come incantato.

“Sì!”, rispose Berry, con un sorriso eccitato, “E’ la riserva della tenuta Apple più pregiata!”.

“Uao… come… come sei riuscita a recuperarla??”.

“Ho dei… uh… contatti…”.

“Che tipo di contatti?”.

Il pony rosa allontanò la bottiglia dallo sguardo curioso del puledro: “E perché dovrei dirtelo? Sono affari miei”.

“Credevo fossimo amici…”.

“Lo siamo. Ed è per questo che ti tengo all’oscuro di certe cose. Sei così avventato che potresti farti ammazzare, pur di ottenerne un po’…”.

“Oh, puoi giurarci!”.

“Ecco, visto? Comunque ti basti sapere che hanno aperto un altro spaccio in città! Insieme ad altri due speakeasy!”.

“Stai scherzando, vero?”, domandò incredulo.

“Te lo giuro”.

“Ma… ma… Ma come hanno fatto??”.

Il padrone di casa si avvicinò cautamente alla finestra, debitamente coperta da una veneziana serrata. Piegò uno dei lamierini, creando un varco sufficiente a sbirciare in strada.

Si trovava ai piani alti di un grosso edificio in centro: dal vetro poté constatare come le strade notturne fossero totalmente deserte.

Tirava un venticello leggero, che provocava il fluttuare caotico di alcune locandine strappate. Su di essere erano rappresentate le propagande pro-governo emanate da poco più di una settimana.

Una volante governativa passò lentamente di pattuglia, scortata da una coppia di pegasi volanti.

Berry afferrò improvvisamente il pony e lo allontanò dalla finestra.

“Indietro, stupido! Potrebbero vederci!”.

“Uh… sì… scusa…”.

“Certo che…”, aggiunse con tristezza, “E’ davvero… ridicola questa cosa…”.

“Ti riferisci a…”.

“A cosa, secondo te? Alla legge marziale, no?”.

“Già”, rispose, “Non bastava la legge sul proibizionismo. Ora tutta Ponymood e i dintorni di Counterlot sono sotto regime militare”.

La puledra notò il quotidiano poggiato sul tavolo da pranzo: in prima pagina vi era la foto del capo delle guardie (impersonato da Chrysalis) più varie notizie e contro smentite sul cattivo operato celeste.

Punch scosse il capo: “Non ci capisco più niente, Tail… Io, ovviamente, ho sempre visto di cattivo occhio la criminalità organizzata. Quando uscì il Decreto Celeste… beh, non posso dire che ne fui felice. Ma pensavo che avrebbe comunque portato a dei benefici. E invece? I traffici illegali hanno raggiunto livelli inimmaginabili e i malfattori hanno spopolato. Poi Celestia istituisce il corpo d’armata per garantire la sicurezza. E da lì sono iniziati i guai…”.

“Vero. Mi ricordo ancora quando arrivarono quelle volanti dal negozio sotto casa mia. Gli Agenti entrarono e, tempo dieci minuti, il locale saltò in aria. A momenti non si spaccarono i vetri della mia camera. E dei funzionari non trovarono manco le ceneri”.

“Guai su guai. E io me la facevo addosso ogni notte che entravo in uno speakeasy”.

“Ma tu hai un problema con l’alcol, Berry…”.

“Sta zitto”, tagliò corto, “Fosse stato per me, ne avrei fatto a meno. Alcol di secondo… anzi, terz’ordine… a dei prezzi folli. Non aveva senso ma era l’unico modo”.

“Poi arrivarono i fratelli, ricordi? Non lanciarono quel loro… sidro?”.

I due si sedettero al tavolo, continuando più comodamente la discussione: “Sì ma, così come arrivò, la notizia svanì altrettanto rapidamente. Fu allora che iniziò a comparire il sidro firmato Tenuta Apple”.

“Una benedizione…”.

“Puoi dirlo forte. Alcol decisamente buono e ad un prezzo accessibile”.

“Per non parlare degli speakeasy. Mi ricordo ancora quel locale dove andammo un mesetto fa. Com’era il nome?”.

“Carousel Maison”.

“Ah, già! Santa Celestia, non bevevo sidro così buono da una vita! E le puledre… che classe!”.

“Ma se di loro guardavi solo i culi”.

“Culi di classe”.

“Sarà. Comunque il Carousel Maison è stato solo il primo. Da lì hanno preso zoccolo sempre più locali sponsorizzati dalla tenuta di Applejack”.

“Applejack? Chi è? La proprietaria?”.

“Più o meno. Pare che suo padre sia morto anni fa, lasciando la tenuta senza un erede effettivo. Così è rimasta in mano all’intera famiglia. Ma lei è quella che compare, di tanto in tanto, nelle occasioni… come dire? Ufficiali”.

“Curioso come la cosa si sia intensificata subito dopo il casino che è successo a Counterlot”.

“Vero…”.

“Guarda qui!”, annunciò con entusiasmo, sollevando magicamente una pila di giornali da una mensola, “Ho conservato tutti gli articoli! Magari poi ne farò una sorta di album. C’è tutto quello che è successo: il trapasso di Celestia, l’annuncio della cattura dei criminali, la notizia della loro morte, la smentita, le foto degli agenti che aprono il fuoco sui civili, la pubblicazione di quel documento sul Segugio di Counterlot… fino alla legge marziale”.

“Dimentichi gli ultimi sviluppi. Counterlot sta cedendo…”.

Chocolate arricciò il naso: “Ma va. Quelli sono tipi tosti”.

“Davvero?”, domandò retoricamente, “Hai vista cosa stanno facendo? Prima hanno cercato di combattere le notizie con smentite e contro smentite, poi si sono messi a rastrellare mezza Equestria… Intanto gli speakeasy hanno spopolato. Per uno che ne chiudevano, tre riaprivano”.

“Stanno solo cercando di compiere il loro dovere…”.

“Ah, ma davvero? E il loro dovere include instaurare un coprifuoco e manganellare tutti quelli che vengono trovati in strada?”.

“Beh… forse avranno i loro motivi per farlo. E, da quanto annunciano, sono i mali necessari per eliminare i criminali da Ponymood. Inclusa quella tizia… uh… Applejack, hai detto?”.

“Andiamo, Tail!”, sbottò, “Ti bevi ogni stronzata che esce dalle bocche dei governativi?? Credi davvero che un governo genuino ricorrerebbe a simili espedienti solo per acchiappare dei fuorilegge?”.

“Ma quelli hanno ucciso Celestia…”.

“Sai che ti dico? Io credo che le cose siano andate diversamente”.

L’unicorno parve trasalire: “Oh, per favore! Non crederai mica a quella marea di sciocchezze che vengono divulgate negli speakeasy! Ma è ovvio che cercano di far passare questi mafiosi come una sorta di… salvatori. Sono loro che riforniscono i locali si sbobba! Si stanno solo riempiendo le tasche”.

Berry scosse il capo: “Non lo so, Chocolate… Vuoi la verità? Io… io con Applejack ci ho parlato…”.

“Davvero?...”.

“Sì. E… dall’impressione che ho avuto… non mi è sembrata un’assassina priva di cuore”.

“Cosa intendi dire? Perché le hai parlato?...”.

Punch si sfregò il retro del collo, come se trovasse difficoltà nel vuotare il sacco: “Uh… ehm… ti… ti ricordi quel tizio che ci aveva fatto il prestito per la pescheria?...”.

“Chi? Il pony che poi vi ha annullato il debito?”.

“Sì, lui… ecco… in realtà… in realtà non ce l’ha annullato. E’… come dire?... Non è più in circolazione”.

L’amico impiego qualche istante per elaborare la notizia.

Sgranò gli occhi: “A-aspetta… vuoi… vuoi dirmi che…”.

La puledra rosa rispose con un mezzo sorriso.

Tail si spaventò leggermente: “Ma… stai scherzando, spero?”.

“No”, dichiarò con fermezza, “Quel bastardo era uno strozzino. Non gli bastavano più i pochi soldi che avevamo e chiedeva una restituzione sempre maggiore. Lo sai che una sera mio padre tornò con uno zoccolo limato fino alla carne?”.

“No… no io… non lo sapevo…”.

“Quello avrebbe fatto fuori mio padre, per poi passare al resto della famiglia. E tutto per un prestito. Così, quando ho saputo che la padrona delle tenuta Apple stava ingrandendo il giro… quando ho saputo che poteva essere dietro la questione di Celestia e che non la contavano giusta… sono andata là. E le ho parlato”.

“E… poi?”.

“Niente. Lei mi ha fatto questo… favore”.

“Nessuno fa niente per niente”.

“Infatti è stata chiarissima, in questione. Mi ha detto che, in cambio, avrebbe solo voluto che la supportassi nella lotta contro il governo. Abbiamo discusso a lungo. Non credo che una campagnola abbia carisma sufficiente ad abbindolarmi. Così ritengo che quello che mi ha raccontato sul Governo possa avere un fondo di verità”.

“E cosa ti ha detto sul Governo?...”, chiese scetticamente.

“Che la corruzione arriva direttamente da Counterlot. E che, presto, ci sarà un regolamento di conti assolutamente epocale”.

“Insomma… i veri criminali non sarebbero i criminali ma chi cerca di combatterli?...”.

“Chocolate, non sono un’idiota. Applejack e la sua banda operano in modi illeciti. In modi che, forse, se li conoscessi davvero, mi farebbero rabbrividire. Ma sono convinta che, di questi tempi, a mali estremi corrispondano davvero estremi rimedi”.

“…Mi spaventa sentirti parlare così…”.

“Che vuoi che ti dica? Aspetta anche tu di avere uno strozzino che minaccia la tua famiglia e di vederlo sparire grazie all’intervento immediato di qualcuno… e poi vedremo se non gli sarai riconoscente”.

Tail alzò le spalle: “Bah. Sarà. Ora… abbiamo cianciato fin troppo. Apri quella bottiglia!”.

L’amica sorrise e poggiò il contenitore sul tavolo. Aprì il tappo.

    Un piccolo rivolo fumoso, quasi dorato, si spanse nei dintorni.

I due aspirarono a pieni polmoni. Un afrore mistico, assolutamente unico, invase le rispettive narici.

Le loro teste oscillarono per un istante e la stanza attorno a loro parve deformarsi. Poi tornarono alla realtà.

“Uao…”, sussurrò Berry.

“Io… io non so cosa ci mettano dentro…. Ma questa roba è fantastica… sembra sia stata distillata da uno scienziato e arricchita con qualcosa di effimero e spirituale…”.


*** ***** ***


    Applejack afferrò saldamente la zampa del pony e gliela piegò lungo la schiena.

Il poveretto cacciò un urlo e venne usato come scudo equino verso i presenti.

La puledra gli puntò un revolver alla tempia.

“Il primo che fa qualcosa di avventato”, disse minacciosamente, “Lo condanna ad una sola andata per il campo santo. Capito?”.

I banchieri, con le zampe alzate, annuirono immediatamente.

Il pony arancione si trovava di fronte al caveau della banca centrale di Ponymood.

A terra era riversa l’intera clientela pomeridiana: Rainbow Dash e Rarity li tenevano costantemente sotto tiro con mitragliatrici automatiche.

Pinkie e Fluttershy, intanto, svuotavano l’interno del locale dalle banconote.

“Oh mamma…”, sussurrò uno degli ostaggi. Una zampata del pegaso azzurro gli emaciò uno zigomo.

“Zitto. Non ragliare”.

Passarono i secondi, senza che nessuno emettesse un solo verso. Si udiva solamente il frusciare delle banconote che venivano inserite nei sacchi. Quando furono tutti pieni, Pinkie fece un cenno di assenso.

“Ottimo”, concluse Applejack, “Siete stati tutti molto cortesi e disponibili”.

“E… e io?”, domandò lo scudo vivente.

“Tu vieni con noi. Se la fuori ci sono degli Agenti, tu ti beccherai il piombo al posto mio. Muoviamoci!”.

Il poveretto lanciò uno sguardo terrorizzato, subito prima di essere spintonato lontano dalla gangster.

    L’ingresso della banca venne spalancato da Dash e dall’unicorno bianco.

Le loro macchine erano posteggiate di sbieco lungo il ciglio stradale. In lontananza, intanto, si era accumulata una piccola folla di curiosi. Quando videro i pony armati, tuttavia, molti abbassarono la testa dietro ripari improvvisati.

Applejack si portò davanti a tutte, proprio in cima alla scalinata che conduceva alla facciata frontale.

Si tenne l’ostaggio di fronte e, raccolta l’aria nei polmoni, urlò: “Questa è la mia città, ora!! Che questo serva d’esempio per coloro che vorranno mettermi i bastoni tra le ruote!”.

Tutti ascoltarono in silenzio.

L’altra continuò: “Se farete i bravi, non c’è nulla di cui dovrete preoccuparvi. Ora vige una nuova legge, da queste parti. E questa legge dice…”.

L’ostaggio udì un sibilo e qualche goccia umida gli bagnò la guancia.

L’eco di uno sparo lontano accompagnò la caduta di Applejack, con un foro nel cranio.

Il tizio, dapprima, non capì cosa fosse successo ma non esitò a gettarsi a terra, con le zampe dietro al capo.

Quasi tutti i civili seguirono l’esempio, impreparati al rumore del proiettile.

La banda fece altrettanto, mettendosi poi al riparo dietro le colonne di marmo e sotto gli enormi vasi fioriti, posti come decorazione esterna.

“Che cazzo è stato??”, sbottò Rainbow.

“E che ne so??”, rispose Fluttershy, osservando il cadavere dell’amica.

Rarity mise fuori il muso, giusto per dare un’occhiata e capire dove fosse il tiratore.

Pinkie le cacciò una zampa sulla testa, facendola abbassare un istante prima che un secondo proiettile scheggiasse parte della copertura.

“Sta giù, cretino!!”.

Sì udì quindi una macchina sopraggiungere a folle velocità.

Le puledre si affacciarono, stando attente a non esporsi troppo: una massiccia Dodge scura solcò l’asfalto, posizionandosi poi accanto alle altre auto, con una sgommata di parecchi metri.

Si aprirono le portiere, da cui scesero Hound e Rarity, immediatamente seguite da Applejack.

Il segugio indossava un nuovissimo trenchcoat color cammello (roba firmata, non di sottomarca come il precedente) mentre l’unicorno bianco era agghindato con uno splendido abito da gala. Il pony dalla chioma dorata, invece, sfoggiava un nuovissimo completo gessato, abbinato ad una cravatta rosso amarena e un borsalino nero. Tra i denti stringeva il canonico stecchino.

Il finestrino del guidatore calò lentamente e Spike si sporse con un gomito, accompagnato da una nuvola di fumo e un sigaro tra le labbra.

Il trio iniziò a salire le scalinate, con assoluta tranquillità.

“Ehy!”, sbottò Pinkie, “Come fanno ad essere qui??”.

“Non lo so!”, ammise Dash, sconcertata, “Ma c’è una cosa che possiamo fare!”, e fece scattare l’otturatore del Thompson A1. Le altre restituirono un’espressione di assenso e uscirono dalle coperture.

Una tempesta di piombo giunse ai tre: Rarity fece scintillare il corno e gli abiti del gruppetto si illuminarono di magia. Gli spari continuarono per svariati secondi, riducendo la scalinata ad una groviera. Alcuni civili si allontanarono urlando.

I caricatori si svuotarono, unitamente allo smorzarsi dell’entusiasmo dei rapinatori.

I tre erano illesi e perfettamente a loro agio.

Hound sentì l’impulso di accendersi una sigaretta ma resistette. Alzò lo sguardo severo verso di loro.

“Facciamo che ora tocca a me?”, chiese.

In meno di un batter di ciglia, lo stallone aveva sfoderato una coppia di .357. Fu così rapido che il rumore degli spari sembrò anticipare l’estrazione delle pistole.

Le copie di Pinkie Pie e di Fluttershy caddero a terra. Il pegaso giallo finì sui gradini e rotolò rovinosamente fino alla strada. I tre si scansarono per far passare il cadavere.

I due superstiti, invece, tornarono in copertura, assolutamente terrorizzati.

“Oddio! Che cazzo facciamo??”,  blaterò Rarity.

“Non so te ma io mi levo di qui!!”, sentenziò Rainbow, e spiccò il volo, cercando di dileguarsi.

Il pony volante percepì una fitta al torace e precipitò verso l’asfalto, rompendosi anche qualche osso. Un terzo colpo del cecchino lo aveva centrato in pieno.

Non rimaneva che la puledra bianca, tremante, con la schiena contro la colonna marmorea.

Improvvisamente, alle spalle dei tre, si palesarono due Agenti, quasi fossero comparsi dal nulla.

“Fermi!!”, intimarono loro.

Ma non ebbero vita breve: una sventagliata di mitra, assolutamente assordante, proveniente dal tetto della banca, li liquidò in pochi attimi. Dash, con il sole dietro di sè, fluttuò lentamente a terra, portandosi d’innanzi alla falsa Rarity: “Hai due possibilità”, le comunicò, spingendole l’enorme canna del Breda contro una narice, “O ti arrendi… o torni a casa in una zuccheriera”.

La puledra dagli occhi azzurri sorrise e gettò il mitra.


    Ci fu un attimo di spiazzamento tra la folla: i pony si osservarono tra loro, interdetti, sollevando successivamente un brusio vocale sempre più intenso.

Applejack e la sua squadra prese posizione in cima alle scalinate.

La gangster scrutò intensamente i civili e, alla fine, sputò lo stuzzicadenti e prese la parola.

“Questo è l’inganno di cui vi ho sempre parlato nei miei speakeasy”, dichiarò, “Questa è la farsa che il governo sta cercando di infilarvi a forza nel cervello”.

Rainbow Dash si spostò verso un cadavere, lo afferrò per la chioma e lo sollevò, in modo che tutti potessero vederlo: un pony scuro, con bluastri occhi vitrei e sostanzialmente grottesco.

Gli osservatori proruppero in un verso di ripudio, quasi all’unisono.

“Ecco cosa fanno a Counterlot!!”, continuò Dash.

Si alzò un vociare ancora più intenso.

Un pony avanzò timidamente verso di loro: “Ma… quindi…”, farfugliò, un po’ intimorito, “Tutti gli Agenti sono… sono…”.

Intanto, iniziarono ad arrivare i primi reporter, con tanto di macchina fotografica al collo.

Questa volta fu Grey a parlare: “No. C’è ancora una minoranza di funzionari che non sono stati corrotti dal putridume delle sfere più elevate. Ed è a loro che ci rivolgiamo. Se volete che tutto questo inganno e questo abuso di potere finisca… allora sapete a chi dovete unirvi”.

Un inviato (che avrebbe tratto un certo profitto da uno scoop simile) puntò una matita verso di loro: “Cosa rispondete al governo, quando insinua che siate voi gli ingannatori e che questa sia tutta una messinscena criminale??”.

Applejack non si scompose: “Io, a differenza del Governo Celeste, non vengo qui ad imporre la mia versione con la forza. Io non ho attuato un regime marziale, non ho applicato un coprifuoco, non ho mandato in fallimento decine di imprese con un decreto contro il commercio di alcolici, non ho ricorso a continue pubblicazioni di smentite nei confronti della morte di presunti malfattori… Ciò che sono lo potete vedere qui, d’innanzi ai vostri occhi. E non celo chi sono. La mia famiglia distilla da generazioni e io voglio solo che la mia attività non affondi. Questo significa che voglio far soldi. Non lo nascondo. Ma sono stufa che il governo faccia il prepotente, derogandosi da solo i propri diritti e limitando quelli degli altri”.

L’altro si segnò qualcosa sul taccuino e buttò lì un’altra domanda: “Ma voi vi fate strada con le armi e la violenza. Non pensate che, se tutti si facessero giustizia da soli, ne verrebbe fuori un caos assoluto?”.

La puledra coprì gli zoccoli tra loro e, con volto solenne, rispose: “La verità, abitanti di Ponymood, è che il governo è il primo a farsi strada con le armi e la violenza. E la giustizia che applica appartiene a lui soltanto. Non è la NOSTRA giustizia… la giustizia di chi è nato per strada e ha visto la propria attività fallire solo per via di un decreto insensato. La giustizia di chi ha visto la propria casa pignorata per cercare di coprirne i debiti. La giustizia di chi ha visto i delinquenti spopolare attraverso il traffico illegale di acqua di palude spacciata per alcol. La giustizia di chi non ha potuto far udire la propria voce, poiché coperta da quella di un altoparlante governativo…”.

Un unicorno malvestito non riuscì più a trattenersi: “Giusto!! I governativi! Sono loro i veri criminali! Mio padre gestiva una drogheria e rientravamo nei costi solo grazie alla vendita di alcolici. Dopo il decreto abbiamo dovuto chiudere bottega e, se non fosse stato per l’aiuto di Applejack, a quest’ora mi sarei già piantato un colpo in testa!”.

Altri commenti di assenso si levarono un po’ ovunque, mentre una minoranza si allontanò, visibilmente indignata.

Partirono alcuni flash e la puledra arancione decise che non era il caso di menarla per lunghe: “Credete a chi vi pare. Fate la vostra scelta e prendete la vostra posizione. Io sono qui per fare i miei interessi: interessi che includono anche voi, poiché senza gli abitanti di Ponymood non potrei mantenere a galla la mia tenuta. Quindi sto parlando di una collaborazione finalizzata a scrollarci di dosso l’oppressione del governo. Hanno già stabilito la legge marziale. Dopo cosa faranno? Trasformeranno Ponymood in un campo di battaglia? Io non voglio lasciarglielo fare. Sono nata qui, tra i vicoli di questa città. Ne ho lavorato la terra ed ho visto i frutti crescere, com’è successo a molti di voi. Tutto questo per poi vedermelo strappare dalle zampe, grazie ad un manipolo di spocchiosi funzionari senza coscienza. Beh… ora mi sono stufata. Io dico che occorre riprenderci ciò che è nostro, bagnato dal nostro sudore. E questo include anche la nostra… libertà”.

Con quelle parole, il gruppetto scese di nuovo le scale e si incamminò verso la macchina.

Il silenzio dei presenti fu il segnale che qualcosa era scattato… che quel messaggio era stato breve, coinciso e piuttosto efficace.

La puledra col borsalino si avvicinò un ultimo istante a Dash, prima di salire in macchina: “Ci vediamo più tardi, sai dove e quando. Avvisa pure Fluttershy che ha fatto un ottimo lavoro e che può abbandonare la posizione”.

L’amica fece un saluto militare: “Ricevuto. A dopo, AJ”, e spiccò il volo.


    Spike mise in moto il veicolo e si allontanò lentamente.

La copia di Rarity, intanto, era rimasta imbambolata sulle scalinate, ancora con le zampe al cielo.

La folla la osservò con sdegno.

Alcuni dei presenti afferrarono degli oggetti trovati per terra, tra cui assi di legno e pietre, iniziando poi a salire i gradini, con sguardi decisamente poco raccomandabili.

Il mutaforma sudò freddo, notando, all’ultimo, il mitra poggiato a terra. Si fiondò a prenderlo e lo puntò verso gli assalitori, premendo il grilletto. Uno scatto metallico annunciò che il caricatore era vuoto. Il muso bianco del finto unicorno sprizzò terrore da tutti i pori, un istante prima che uno stallone vi abbattesse sopra alcuni chili di legno.

    Sulla macchina, intanto, Applejack osservava il paesaggio cittadino scorrere attraverso il vetro.

Era seduta accanto al guidatore e dava l’impressione di essere assorta in qualche ragionamento.

“Certo che, per ridursi a simile pagliacciate”, dichiarò Hound, “Il Governo deve proprio essere alle strette”.

“Ah!”, esordì Rarity, “Quella copia era oltremodo orrenda!”.

Lo stallone cercò istintivamente il pacchetto di sigarette, ricordandosi poi di non averne più con sé: “Tempo un mesetto e credo che Chrysalis sarà dimenticata”.

“No”, rispose la puledra arancione.

“Ma cara”, continuò l’unicorno, “Ormai il Governo è sul punto del collasso. La sua credibilità è prossima a crollare e i tuoi speakeasy sono ovunque. E’ solo questione di tempo”.

“Ne dubito. Chrysalis se ne sta al sicuro in Counterlot, protetta da una sciame di mutaforma. Se le diamo tempo, e lei ne possiede a iosa, potrà architettare chissà quale piano per toglierci di mezzo. Prima la facciamo fuori e prima ci assicureremo un futuro sereno”.

“Non avremo mai un futuro sereno, cocca”, commentò Grey, “Siamo malavitosi, ormai. Quelli come noi escono dal giro in un modo soltanto: arricchendo il campionario dell’obitorio”.

La compagna si sistemò i boccoli, facendo la preziosa: “Suvvia, ciccino. Non essere così cinico”.

“No, lo scimmione ha ragione. Non avremo mai un futuro di pace completa. Ma uccidere Chrysalis è la priorità per la nostra sopravvivenza”.

Spike gettò dal finestrino l’ultimo frammento di sigaro: “E allora cosa intendi fare?”.

“Il problema è che la mutaforma avrà infiltrati ovunque, quindi è piuttosto probabile che conoscano i nostri piani e le nostre mosse. Per questo suggerisco di porre fine alla questione entro usa settimana”.

Il draghetto drizzò le orecchie: “Una settimana?? Ma… sei sicura?”.

“Sì. Per una questione molto semplice”.

“Sarebbe?”.

“Ne parleremo questa notte alla Carousel Maison”.


*** ***** ***


    Il sole era tramontato da un pezzo quando il pony dal manto blu cercò di infilare le chiavi nella serratura. Il suo sguardo gli mostrò una realtà sfalsata poiché, effettivamente, le zampe sembravano due e anche la porta ondeggiava e si sdoppiava periodicamente.

Si fermò. Prese fiato.

“Mhh… f-forse… ho… esagerato un po’… con il sidro… stasera…”, bofonchiò, massaggiandosi il mento grassoccio.

Strinse la lingua tra i denti e fece qualche altro tentativo, finché non riuscì nell’impresa.

DollarJolt spalancò l’uscio e cercò a tentoni l’interruttore della luce. L’elettricità illuminò l’elegante corridoio della villa, da cui si poteva accedere ad ogni stanza dell’abitazione.

Lo stallone fece qualche passo, ondeggiando pericolosamente e sbattendo da un lato all’altro delle mura.

Era vestito in modo elegante ma i capi di vestiario non erano collocati nei punti suggeriti dal bon ton: la camicia era sbottonata, la giacca poggiata sulle spalle, come un mantello, e la cravatta annodata alla fronte a mo’ di bandana.

Il proprietario di casa cominciò a canticchiare uno swing che aveva sentito da poco e che non riusciva a schiodarsi dalla mente.

Continuò a sbandare finché non giunse nella propria camera da letto. Era così rintronato e stanco che nemmeno accese la luce, lasciando che le luminarie del corridoio generassero una penombra sufficiente per vedere.

Si trascinò fino al letto: si tolse giacca e camicia (che buttò su un comodino), slacciò la cravatta e si grattò la criniera.

Mise quindi l’abbondante didietro sul materasso, che cigolò debolmente. I suoi occhietti si fecero cisposi, unitamente ad un sorriso un po’ inebetito.

Distese le zampe, esordendo in uno sbadiglio epocale, e si infilò sotto le coperte, a pancia in su.

Cantilenò la melodia ancora per qualche istante, lasciando che il sonno lo cogliesse del tutto.

Chiuse gli occhi e, quando sentì di essere sul punto del dormiveglia, si girò di lato, beandosi della morbidezza del cuscino.

Percepì quindi una strana sensazione… quel sesto senso che ti coglie ogni tanto, lasciando presagire potenziali capacità divinatorie a qualunque pony gli fosse già capitato: DollarJont si sentì osservato.

Aprì lentamente le palpebre. I suoi occhi si erano ormai abituati al buio, permettendogli di vedere con una certa chiarezza: accanto al cuscino, proprio rivolto verso di lui, vi era un barbuto volto caprino, con tanto di cuffietta in testa.

    Lo stallone spalancò la bocca e cacciò un urlo effeminato.

Discord si destò di colpo, ricambiando con un urlo altrettanto femminile.

Il duo si urlò in faccia per alcuni secondi, finché Jolt non annaspò all’indietro e cadde sul pavimento. Provò a rimettersi in piedi, cercando successivamente l’interruttore dell’abat-jour e illuminando la camera da letto.

“MACCHEDIAVOLO!!”, sbottò.

Il draconequus si issò sul materasso e tirò il lenzuolo fino al petto: “Maniaco!!”.

“D-Discord??”, berciò esterrefatto.

“Sì!”, rispose l’altro, visibilmente scocciato, “E mi hai quasi fatto prendere un colpo!”.

“Ma… ma… che diavolo ci fai, qui??”.

“Dormivo, no?”.

“Sì ma…”.

Nonostante fosse ancora in preda ai fumi dell’alcol, DollarJolt fu sufficientemente lucido da ricordarsi con chi aveva a che fare: la logica dei fatti era facoltativa, con lui. Anzi: controproducente.

“Ok… Dormivi. Bene”.

“Sì”.

“E…”.

“E...?”.

“E non potevi dormire a casa tua?”.

“No, sennò come avrei fatto a parlare con te?”.

“Dunque vuoi parlarmi?”.

“Mi pare ovvio!”.

Discord lanciò via la cuffietta e mise le zampe sulla moquette: “Mica è un problema, vero?”.

“No…”, mentì l’altro, “E’ solo mezzanotte inoltrata e tu sei venuto a dormire nel mio letto senza che io sapessi nulla. Dov’è il problema?”.

“Ffferpetto!”.

Il pony percepì un forte mal di testa e si massaggiò le tempie con aria di sofferenza: “…Ma non potevi venire domani?...”.

“Oh! Non ti preoccupare! Sarò brevissimo!”.

Dollar si mise in vestaglia da notte e si sistemò su una poltroncina, con gli occhi sul punto di collassare.

La voce gracchiante del collega in affari riuscì però a mantenerlo sveglio: “Ti ricordi del nostro accordo, no??”.

“Sì… sì mi ricordo…”, rispose, lottando per non addormentarsi.

“Il venti percento delle vendite sottobanco”.

“Sì…”.

“Beh, direi che l’affare ha funzionato, vero??”.

“…Sì…”.

“Mi sembra che ti sei rifatto una villa nuova, qualche macchina extra-lusso e ti godi la bella vita!”.

“Mhh…shì…”, bofonchiò, sciogliendosi sulla poltrona e iniziando a ronfare come un ghiro.

Discord batté i palmi tra loro, ridestando l’amico: “Bene. Ora però sono venuto qui a riscattare il favore iniziale”.

“F… favore?”.

“Sì. Ti ricordi? A teatro… la questione del killer che ha tentato di giocare all’allegro chirurgo con te?”.

“Ah… sì…”.

La bestia caprina gli afferrò le guance cicciottose e premette, facendogli sporgere le labbra in un’espressione ridicola: “Beh, è venuto il momento di restituire il favore!”.

“Ma hio no oh nulla di fpehiale”, farfugliò il pony.

“Mhh… parzialmente vero, mio sovrabbondante amico”, rispose l’altro, con un ghigno sardonico, puntando i bulbi oculari dritti negli occhi di Jolt, “Di fatto tu possiedi una cosa che io ho solo in minima parte”.

“Haebbe?”.

“Fama e notorietà”.

“Hama e hohoietà?”.

“Sì, caro collega. Non dovrai far nulla se non aiutarmi in un piiiccolo lavoro di passaparola. Credi di poter fare questo favore al tuo amico Discord?”, concluse, inscenando uno sguardo da cane bastonato.

DollarJont scrutò i dintorni, senza potersi sottrarre dalla stretta del draconequus: “Uhh…”.


*** ***** ***


    Alba e tramonto sono fenomeni quotidiani della vita di tutti i giorni.

C’era addirittura chi, secondo le antiche credenze riportate nei documenti più conservatori, pensasse che il ciclo notte-giorno fosse regolato dalla presenza dell’alicorno bianco. Ma quando la notizia della morte di Celestia venne divulgata, non ci fu più spazio per i dubbi: il sole continuò a tramontare e sorgere, esattamente come prima.

Un fatto comune che, di per sé, non possedeva nulla di speciale.

Ma… per un motivo o per l’altro, capitano quelle volte dove tutto può assumere un significato diverso. Dove gli avvenimenti apparentemente scontati possono subire una improvvisa rivalutazione.

E così, in una sera simile a molte altre, una puledra dagli occhi verdi e i crine dalle tonalità del grano maturo, si trovò ad osservare un sanguigno sole che tramontava.


E il cuore iniziò a piangerle.


Applejack si trovava su un promontorio collinare, proprio dinnanzi al paesaggio di Equestria. Le nubi, ai lati del sole al sole, sembravano roventi, quasi come tizzoni appena estratti dal fuoco.

Attorno a lei si stagliavano le lapidi del Campo Santo, intervallate da alcuni grossi salici, con le fronde mosse da un venticello leggero.

Vi era calma e pace assoluta, fatta eccezione per il frusciare delle piante.

Le tombe erano state costruite in modo diverso fra loro, a seconda dei periodi storici in cui i rispettivi occupanti ne presero posto. Si potevano così distinguere vecchie lastre di pietra scheggiate, con i caratteri incisi malamente e quasi cancellati dal tempo; più lontano, invece, iniziavano a comparire le prime lapidi in marmo pregiato, con tanto di lettere in bronzo e cornici metalliche. Un discorso a parte meritavano i piccoli mausolei di chi poteva permetterseli: alcuni mantenevano un’austerità tutto sommato salubre ma altri davano sfoggio di abbellimenti e composizioni floreali al limite dello sfarzo e del cattivo gusto.

Ce n’era un po’ per tutti, insomma, nel luogo dove ogni equino vi si sarebbe recato per l’ultimo, fatidico viaggio.

    La puledra, con l’immancabile borsalino sul capo, collocata di fronte ad una tomba di scarsa fattura: pietra scura, un po’ mangiata dalle intemperie, scritte che avevano ormai colato l’ossido fino a terra e foto sbiadita, dalle tonalità seppia. Nella cornice era però ancora distinguibile uno stallone vestito elegantemente, con doppiopetto scuro, in posa di fronte ad una piantagione di meleti.

L’osservatrice scrutò intensamente la figura, senza che il viso lasciasse trapelare alcunché.

Dopo qualche minuto, tuttavia, un’espressione di tristezza prese il sopravvento.

Gli occhi scintillarono, riflettendo parzialmente il rossore della stella all’orizzonte. I muscoli della fronte si contrassero verso il basso. Le labbra le tremarono leggermente.

Sfilò il cappello e se lo portò al grembo, stringendolo appena con la pressione degli zoccoli.

Si sedette e alternò più volte l’attenzione tra il paesaggio infuocato e l’immagine sulla lapide.


    Istanti importanti, dove il tempo scorre in modo diverso da come si è abituati.

Istanti unici, struggenti, siano essi felicitanti o sofferenti. Istanti in cui il mondo ti si chiude attorno, in cui non importa più nulla e tutto si ferma, solamente per lasciarti nella solitudine dei tuoi pensieri. Delle tue emozioni. Del battito del tuo cuore e dei respiri che ti sollevano ritmicamente il petto.

    La puledra tirò su col naso e alzò gli occhi di nuovo al cielo.

Una goccia luccicante le solcò una guancia e fece di tutto per trattenere il pianto, con evidente sforzo fisico e interiore.

Dei passi pesanti, alle sue spalle, preannunciarono l’arrivo di uno stallone. Il fratello si avvicinò lentamente e si sedette a fianco di Applejack, senza dire alcunché.

L’altra si passò la zampa sullo zigomo e si ricompose.

“Ciao, Mac”, disse, con voce atona.

“Ciao… sorellina…”.

Il pony rosso si soffermò a guardare le colline lontane.

“Ti disturbo?”.

“No. Fra poco me ne sarei andata”.

“Capisco”.

Il duo rimase immerso nella pace del luogo, lasciando che l’oscillare dei salici scandisse caoticamente il tempo.

Macintosh strofinò delicatamente la superficie della lapide, pulendola appena. Controllò quindi un piccolo vaso vicino e constatò come fosse pieno di fiori ormai rinsecchiti da tempo.

“E’ un peccato”, commentò.

“In effetti”, rispose la sorella, “Dovremmo toglierlo”.

“Sennò possiamo metterci dentro degli altri fiori”.

“No. Sarebbe brutto. Non ho mai sopportato queste cose”.

“Cosa intendi dire?”.

“Un conto è dover estirpare le erbacce dall’orto. Lì lo fai per necessità. Un altro e strappare dei fiori per metterli a morire lentamente in un vaso. E’… brutto”.

“Brutto da vedere?”.

“E’ uno spreco di fiori ed anche brutto da vedere. Sa di abbandono…”.

Big Mac chiuse gli occhi e sorrise: “Sei sempre stata un po’ strana, tu…”.

L’altra ricambiò il sorriso, senza però riuscire ad allontanarsi dalla sofferenza che l’accompagnava ormai da quasi un’ora.

Lo stallone riprese la parola con un vago entusiasmo: “Sai che facciamo? Prendiamo un vaso in fiore e lo portiamo qui. Intendo… un vaso con terra e fiori dentro. Che ne dici?”.

“Sì. Sarebbe una buona idea…”.

La piccola eccitazione per quell’idea si spense però altrettanto rapidamente.

Seppur non lo desse a notare, anche il fratello maggiore non era immune dal potere dei ricordi.

“Proprio oggi…”, sussurrò Applejack.

“Come?”.

“Proprio oggi, a meno di una settimana da ciò che dobbiamo fare… cadono tre anni esatti”.

“Non l’avevo notato… Anzi… credevo che della ricorrenza non ti importasse …”.

Lo stallone fece un lungo respiro e continuò: “Sembrava che volessi dimenticarlo. Che ciò che era successo avesse posto la parola fine… Insomma… che non ti importasse, per l’appunto…”.

Applejack non riuscì a trattenersi: il cappello le cadde a terra ed ebbe un fremito lungo tutto il corpo.

“C-certo che mi importa!”, farfugliò, lasciando sfogare altre lacrime e osservando l’interlocutore con espressione afflitta, “Cazzo… è… era mio padre… Come… come non potrebbe importarmene?”.

“L’ultima volta… non sembrava che…”.

“Papà ha sbagliato. Ma era pur sempre mio padre”.

La puledra alzò il volto umido verso le nuvole in cielo e sorrise: “…Mi ricordo ancora quando mi portava per i boschi, da piccola… al mattino presto… quando l’aria era fredda e la nebbia ancora alta. Ci mettevamo a cercare funghi per mezza vallata. Mi mostrava i luoghi, sapeva dove l’umidità era giusta per trovarli e… io invece non li vedevo mai. Ma a lui bastava spostare qualche foglia con il bastone e ne uscivano fuori a bizzeffe”.

Mac si addolcì leggermente.

“Pensa che”, continuò l’altra, intensificando il sorriso, “Una volta credetti addirittura che fosse il bastone ad essere speciale!”.

“Un bastone… speciale?”, domandò divertito.

“Sì! Pensai che, forse, era l’equivalente della bacchetta da rabdomante o qualcosa di simile! Così iniziai a portarmelo in giro, per vedere se ne avrei trovati anche io… Mi ricordo che mossi un po’ di foglie nel sottobosco, solo che sotto c’era un abbondante regalino di qualche animale selvatico! In quel momento cambiai idea ed ebbi il sospetto che non funzionasse poi così bene! Lo riportai a casa, sporco e puzzolente. Lo rimisi a posto, esattamente come lo avevo trovato. Avresti dovuto esserci per osservare la faccia di papà quando lo vide!”.

I due risero tra loro.

“Papà era tante cose”, riprese la puledra, inquadrando la foto sulla tomba, “E… tra tutte, alla fine, divenne anche… anche un…”.

“Ti ricordi cosa mi dissi quel giorno, AJ?”, la interruppe bruscamente.

“Intendi… quella mattina?”.

“Sì. Mi facesti tutto quel discorso… e alla fine mi dicesti… che non saresti mai diventata… una…”.

Il pony arancione tornò serio, raccolse il cappello e cercò di chiudere il dialogo: “Sì mi ricordo. Ma ora non ha senso parlarne”.

“AJ, non voglio girare il coltello nella piaga, specialmente in un giorno come questo. Ma tu mi hai detto delle cose e pare che, alla fine, si siano verificati ricorsi storici”.

La gangster non se la sentì di smentirlo: “Forse hai ragione. Infatti ti avevo avvertito: quando entri in certi… sistemi… allora non ne esci più”.

“Ok ma ascolta: non voglio mettere in dubbio il tuo operato. Sai che sono disposto quanto te, forse più di te, a salvare la tenuta. E farò ogni cosa in mio potere per riuscirci, anche se dovesse significare assaltare Counterlot e una mutaforma con i poteri di Celestia. Sono abbastanza stupido per farlo. Ma… quello che non mi spiego… è… Sei tu”.

La sorella lo osservò con aria interrogativa.

Big Mac cercò di arrivare al punto: “Tutto ciò che fai… ha delle conseguenze. Tu hai scelto di combattere, fino alla fine, anche quando avresti potuto farne a meno”.

“Cos’è? La tua fidanzatina ti ha fatto qualche discorsetto?”, gli chiese maliziosamente.

Il fratello divenne più rosso di quanto già non fosse: “Co…? Ma… D-di cosa stai parlando?”.

“Questa faccenda mi ricorda tanto una questione che io e la strimpellatrice abbiamo avuto giusto qualche giorno fa…”.

“Uhh”, mugugnò imbarazzato, “Noi… sì, cioè… abbiamo parlato un po’…”.

“A-ah. Solo parlato?”.

Mac si infervorò: “M-ma! Che centra ora?? Mi spieghi che caz…”.

“Ok, ok…”, lo tranquillizzò ridendo, “Era solo che non sei mai stato un tipo di grandi parole. E ora mi vieni a fare tutti questi marasmi mentali su me, papà, le conseguenze delle mie azioni…”.

“Volevo solo… Mi stavo solo… preoccupando per te…”.

Questa volta fu Applejack ad addolcirsi: “Lo so, Mac…”, gli rispose, sfiorandogli una zampa, “Sei sempre stato al mio fianco, nel momento del bisogno. E so che ci sarai sempre”.

“La famiglia prima di tutto”.

“Già…”, commentò, portando lo sguardo di nuovo alla foto, “La famiglia prima di tutto…”.

    Il cielo si scurì leggermente e il vento divenne più freddo.

I salici non smisero di oscillare e diffondere il loro fruscio accennato.

“Forse dovremmo andare”, le disse il fratello, alzando il posteriore dall’erba, “Stasera dobbiamo esporre a tutti la questione. Stiamo per imbarcarci in un’impresa che definirei… titanica. Per non dire assurda…”.

“Sì, hai ragione”, rispose, sistemandosi il borsalino sulla criniera, “Andiamo”.

I due si incamminarono lungo il sentiero che conduceva fuori dal cimitero, diretti verso l’auto con cui sarebbero tornati a casa.

Applejack si girò un ultimo istante verso la tomba del padre.

“Tutto quello che succederà nei prossimi giorni…”, sussurrò a se stessa, “Sarà… orribile. E io sono consapevole della cosa. Credo che questo faccia di me un essere orribile, ben peggiore dello schifo che ho sempre combattuto”.

“Ti sei costruita un ponte di morti, per cercare di scrollarti il peso che porti”.

L’espressione sul muso si rabbuiò: “…Sono… davvero così orribile? Persino tu, papà, hai cercato di tenerti alla larga da certe cose. Non hai mai fatto entrare vendetta e malaffare direttamente nel cuore della tenuta. E, ogni tanto, non ci dormo la notte…”.

Del sole non rimaneva ormai che uno spicchio strozzato tra due colline. Un colpo di vento più forte staccò alcune foglioline dai salici, che si dispersero tutte attorno a lei.


“…Chi sono io?...”.
   
 
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