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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Secondo ed ultimo sequel di Sidro Proibito.
Ritroverete le mane 6 calate in panni vintage e armate di pistole, una certa dosa di cinismo e anche qualche parolaccia. Se pensavate che uno zeppelin volante, un assalto notturno e combattimenti tra piombo e incantesimi fossero abbastanza... beh... non era che l'inizio.
L’ultimo capitolo, il nono, è stato suddiviso in quattro atti, poiché tutto avverrà in una singola notte (quindi sarà denso di avvenimenti).
Avviso che, a differenza degli altri, in questo Sidro è stata miscelata una cospicua dose di introspezione dei personaggi ad una pari quantità di azione, più una spruzzata di "vago e misterioso" perchè... insomma... stiamo parlando di un alicorno oscuro, dopotutto.
TUTTI i personaggi avranno il loro momento sotto i riflettori. Tutti brilleranno per qualcosa e commetteranno altrettanti sbagli. Perché, là fuori, è un mondo difficile, fatto di criminali e intrighi malavitosi.
Appariranno alcuni bg della serie canon ancora non visti, più qualche oc che spero vi saprà conquistare.
Genere: Azione, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Applejack, Nightmare moon, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Buio.

Caldo.

Tanto caldo.

Le carni bruciano.

La pelle si ritrae, come quando fai friggere un pollo.

E l’odore…

Terribile.

Qualcuno, forse, lo avrebbe trovato invitante.

Poi cessa.

L’aria fredda arriva di colpo sulla superficie ustionata, provocando una sensazione ancor peggiore.

E’ tutto così vago, indistinto…

La consapevolezza di un alicorno getta la mente in uno strano universo, anche quando si perdono i sensi. Non sei più in te. Ma non sei nemmeno del tutto fuori. E’ un po’ come trovarsi in quell’universo onirico tipico del dormiveglia.

Preposto che gli alicorni dormano.


Pensieri.

Rapidi.

Veloci.

Fugaci.

“…S-state fermi…”, rimbomba la voce di Luna, nella propria mente.

Scorrono avvenimenti sfocati, a ritroso.

C’è un lungo periodo di confusione, coincidente con la reclusione al Moon Institute.

Difficile capire cosa accadde.

Dei pony in camice.

Voci che risuonano in una stanza vuota.

Un odore particolare…

Ha un sentore…

Alcolico.

Disinfettante, forse.

Un sussulto.

Un battito.

Tu-tum.

Qualcosa che la accompagnò per un periodo impossibile da definire.


I ricordi retrocedono ancora.

Un palazzo.

Counterlot, presumibilmente.

La stanza del Governo.

Agenti.

Tanti Agenti.

Molti muoiono.

Luna percepisce potere che si sfoga dal suo interno.

Ma sono troppi.

Semplicemente troppi.


Il pavimento.

Una zampa la costringe a terra, spaccandole un labbro sul marmo pregiato.

Sputa sangue.

Alza lo sguardo, adirata.



Lei è lì.


Bianca.


Bella.


Stupenda.


La chioma è un arcobaleno cromatico dalle tonalità del quarzo rosa e delle distese estive.

Gli occhi trasudano regalità e possanza.

Le ali sono spiegate. Enormi. Leggiadre. Bellissime.


Celestia rimane a lungo in silenzio, sorbendosi gli improperi della sorella.


Poi…


Esclama qualcosa.

Qualcuno, alle sue spalle, le aggancia uno strano oggetto sul corno.

La puledra oscura urla. Inveisce. Bestemmia contro il parente.


La trascinano via.


Cerca di divincolarsi. Ma non può. Qualcosa glielo impedisce. E la magia non funziona.


Un istante prima che le porte della sala si chiudano davanti a lei, interrompendo la visuale con Celestia, Luna nota una variazione di espressione nel volto della sorella.


Celestia… Celestia abbassa lo sguardo.

Il dispiacere le si legge in volto.

Le sopracciglia si sporgono verso il pavimento, in una contrazione di pura sofferenza.

Celestia…


Quel…


Volto…



    I sensi le tornarono all’improvviso.

Il cielo stellato fu la prima cosa che vide.

Non si mosse per alcuni secondi, poi tentò di mettere in funzione qualche muscolo.

Una fitta di dolore le fece contrarre le palpebre e urlare sommessamente.

Era distesa, pancia all’aria, con almeno una spanna di detriti lungo il corpo.

Cercò di osservare i dintorni.

Il cimitero.

Prima ancora di chiedersi dove fosse Chrysalis, cercò di riportarsi in posizione eretta. Scostò i detriti, a fatica, e si accorse di come buona parte della pelle fosse bruciacchiata e spaventosamente consumata.

Soltanto una potenza incalcolabile avrebbe potuto causarle simili danni… e, a quanto pare, così era successo.

Si sforzò, cercando di attuare un processo rigenerativo che faticava a manifestarsi.

E poi… la vide.


Il volto della sorella… in un’espressione analoga a quella del sogno appena conclusosi, di fronte a lei…

L’alicorno blu spalancò la bocca… ma poi si rese conto… che quella che aveva d’innanzi era una statua, una perfetta riproduzione in scala naturale di Celestia. E, dietro di lei… una mausoleo enorme, assolutamente mozzafiato. Un’imponente struttura in marmo chiaro, farcita di vasi, fiori, capitelli e svariati emblemi governativi.

Quello era il luogo.

Lì era dove avevano deposto i resti della regnante.


Luna sentì un tuffo al cuore.

Rimase imbambolata d’innanzi alla poderosa opera architettonica, fissando principalmente il muso di pietra.

All’interno della struttura c’era il suo corpo. Il corpo della sorella che non vedeva da decine di anni… e che ora non avrebbe mai più potuto osservare.


Una strana sensazione si fece largo nel petto blu notte.

Un’emozione difficile da decifrare ma sicuramente molto, molto dolorosa.

Un dolore puro. Un dolore allo stato grezzo. Un dolore insostenibile.

Non le importava cosa fosse successo in passato. Sapeva di aver sbagliato. Sapeva che Celestia aveva fatto l’unica cosa possibile, per una Governante. Sapeva che… nonostante le cose fossero andate in un certo modo… lei… rimaneva… sua sorella.


I ricordi arrivarono di nuovo, come una pioggia battente.

Luna rivisse la propria infanzia.

Vide una giovanissima Celestia sorriderle. Fare il bagno assieme a lei. Volare nel cielo per accompagnarla nella Neverfree Forest. Un piccolo litigio. La riappacificazione. Il giorno in cui scoprirono che avrebbero ereditato il posto di governante di una vasta area di Equestria.

Vide… una vita tutto sommato felice.


Il respiro divenne corto. Cortissimo.

La puledra strinse i denti. Chiuse gli occhi, cercando di contenere quel dolore indescrivibile. Ma non servì a nulla. Quasi fosse una bambina, scoppiò in un pianto a dirotto, con le lacrime che le scesero dritte tra le labbra contratte.


Improvvisamente, qualcosa se saettò lungo un fianco, distruggendo successivamente alcune lapidi lì vicino. Era Discord.

La bestia caprina era ridotta ad uno straccio: un corno era rotto, i denti quasi tutti mancanti ed entrambi gli occhi tumefatti, nemmeno fosse stato usato come un punching ball. Il resto del corpo era ricoperto di lividi e alcune macchie di sangue.

“D-Discord?...”, balbettò, come se fosse appena tornata alla realtà.

L’altro sbavò copiosamente, poi sembrò riuscire a metterla a fuoco: “Uhh… chi… chi fei?...”, balbettò.

Un’esplosione poco lontana anticipò l’arrivo della mutaforma: Chrysalis fece il suo ingresso attraverso un muretto di pietra, fluttuando ad un metro da terra e corroborata di luce verde.

DISCORD!! FORSE TI HO COLPITO TROPPO FORTE! NON E’ ANCORA GIUNTA LA TUA ORA!! PRIMA DEVO FARTI SOFFRIRE!!”.

La doppiogiochista notò quindi la propria avversaria, d’innanzi alla statua.

“Chrysalis…”, farfugliò l’alicorno, sentendo la rabbia tornarle in corpo.

AH!”, rise l’altra, “MA GUARDA IL CASO!! SEI FINITA PROPRIO QUI!! TI UCCIDERO’ E NON DOVRANNO NEMMENO FARE TROPPA STRADA PER SEPPELLIRTI!!”.

“Chrysalis…”, ripeté, più furiosa ogni secondo che passava.

NON SEI CONTENTA?? PROMETTO CHE LASCERO’ INTEGRO IL TUO CORPO!! O MEGLIO… UNA BUONA PARTE DI ESSO! COSI’ POTRANNO METTERTI ACCANTO ALLA TUA SORELLINA!! STARETE VICINE, UNA ALL’ALTRA, UNITE PER L’ETERNITA!!”.

TU!!!”, le inveì l’altra.

Discord, con le spalle contro le lapidi frantumate, si limitò a spostare lo sguardo verso chi parlava, assolutamente impossibilitato nel poter reagire.

COSA C’E’, PUTTANA ABRUSTOLITA??”, la schernì, “OH! HAI PIANTO?? LA POVERA LUNA SI E’ COMMOSSA DAVANTI ALLA TOMBA DELLA SORELLA??”.

Chrysalis caricò un piccolo raggio e lo fece partire in direzione della puledra, colpendo invece il volto della statua e mandandolo in mille pezzi.

Luna si girò ad osservare cosa fosse successo e, quando vide i frammenti sul terreno, piombò nell’apprensione più assoluta: “NOOO!!”.

OHH!! NON C’E’ PIU’ LA TESTOLINA! ASPETTA, TI AIUTERO’ A NON DIMENTICARLA!”, e, con un leggero sforzo e alcuni rumori sinistri, assunse le sembianze proprio di… Celestia.

L’altra tornò con lo sguardo su di lei, sbigottita.

La finta governante assunse un’espressione delusa: “Luna! Luna!!”, farfugliò, enfatizzando il tono disperato, “Perché?? Perché non c’eri quando mi hanno uccisa??”.

Rivedere la sorella, praticamente identica all’originale, inclusa nella voce, le fece crollare quei pochi neuroni ancora sani che le erano rimasti.

Perché, Luna??”, ripeté, “Perché??”.

L’altra si tappò le orecchie e chiuse gli occhi. Discord prese il pop-corn.

Perché?? Non mi volevi bene??”.

“Smettila!...”.

Mi hanno uccisa, sorella mia! E, mentre lo facevano, ho implorato il tuo nome ma tu non sei arrivata!!”.

Luna raccolse tutto il fato che aveva, prorompendo in un urlo che fece tremare persino le fronde degli alberi: “SMETTILAAAAAAA!!!!!”.

    Chrysalis si stava divertendo… ma, forse, capì di aver commesso un gravissimo errore.

L’alicorno lanciò un ruggito che riecheggiò per ogni metro delle campagne circostanti.

Gli occhi divennero più luminosi di un faro nella notte e veri e propri fiotti di sangue scuro le colarono lungo le guance. La luna nel cielo divenne rossa, rossissima… nonostante lo stormo di mutaforma in arrivo la occultasse, la luce divenne così intensa da risultare chiaramente visibile e spanse lunghi raggi vermigli attraverso le sagome dei sicari lontani.

La puledra alata puntellò le zampe sul terreno erboso e tutto prese a tremare.

La baldanza dell’avversario lasciò spazio alla preoccupazione, inducendola a riassumere le sembianze originali.

Il muso di Luna, questa volta, non sembrò solo rabbioso… ma iniziò a trasmettere un’inspiegabile aura di terrore sovrannaturale. L’oscurità iniziò ad avvolgerla, come una nube che risucchiava ogni particella luminosa, lasciando trasparire solo gli occhi bianchi. Il tremore, nel cimitero, assunse l’intensità di un vero e proprio terremoto. Chrysalis fece qualche passo indietro e Discord trovò la forza di trascinarsi lontano dalle due pazzoidi.

La nube oscura generò trame tentacolari, simili a pece, in ogni direzione: “TU HAI UCCISO MIA SORELLA!!!! BANCHETTERO’ CON LE TUE CARNI E POI SPEZZERO’ LE OSSA RIMASTE!!!”.

Con quelle parole terribili, emerse dall’oscurità, ricoperta dalla stessa sostanza peciosa appena formatasi, donandole l’apparenza di un mastino d’ombra, con brillanti e spaventosi occhi bianchi.

Enormi fauci zannute, create dalla sovrapposizione ombra-puledra, si serrarono sul collo di Chrysalis, che urlò disperata. Schizzi di sangue verde si sparsero ovunque, prima che la furia di Luna la travolgesse, causando la distruzione di altre lapidi circostanti.


*** ***** ***


    Il rossore abbagliante del satellite attirò l’attenzione della puledra in gessato nero, ancora nell’auto in corsa.

“Sta diventanto… molto più rossa…”, commentò Octavia.

Le parole di Zecora risuonarono nella mente della gangster, svariate volte; poi scosse il capo e decise di concentrarsi sul tragitto.

Qualcosa di scuro piovve dal cielo, sfondando improvvisamente il tergicristalli (già sforacchiato) della Dodge. Le tre urlarono ed Applejack frenò bruscamente: le gomme stridettero e la manovra catapultò sull’asfalto il mutaforma che era appena atterrato su di loro. Rotolò lungo la strada, per poi arrestarsi esanime.

“Cos’è cos’è cos’è??”, chiese Pinkie, sporgendosi eccitata.

“N-non… non lo so…”, balbettò Applejack, con un po’ di fiatone e il volto basito.

Un battito d’ali accanto al finestrino le fece prendere un altro mezzo infarto.

“Ehy, AJ”, disse Rainbow Dash, anche lei col respiro corto e il volto sudato.

“M-ma…”, farfugliò l’amica.

Dietro al pegaso, molto più timidamente (e senza quasi farsi sentire) planò la pallida Fluttershy, con il volto parzialmente nascosto dal ciuffo rosa.

La puledra blu osservò i danni al mezzo: “Uuhhh. Ops. Scusa. Era l’ultimo. Quando l’ho abbattuto, non credevo sarebbe precipitato proprio… proprio su…”.

“Ehy!!”, intervenne il pony rosa, con volto spaventosamente serio, “Come facciamo a sapere che tu non sia un mutaforno??”.

Dash si stizzì: “Pinkie… sono io…”.

“Ah! Voglio le prove! Evidenze! Analisi fisiognomica!”.

La musicista, con estrema naturalezza, prese la parola: “Rainbow… sei una lesbica con il carattere di un dragone emotivamente stitico”.

L’altra alzò gli occhi al cielo: “Senti”, le rispose, “Pensi che bastino due parole per…”.

La barista si rivolse alla compagna grigia, a zampe conserte: “Visto? Non è lei! Dashie avrebbe risposto malissimo! Si sarebbe infuriata come una vecchia zitella acida!”.

“Beh… ma lei E’ una vecchia zitella acida”.

“Questo perché si comporta come un maschiaccio!”, continuò, esprimendo la propria sincera opinione per l’amica che, secondo il cervello, era davvero da un’altra parte.

“Sì, non è molto femminile”.

“Scherzi?? Mio nonno ha meno peli di lei! E si chiama Hairy Pinkameno Fur!”.

La canna dell’M1919 si fece largo attraverso il finestrino in frantumi e le puntò entrambe.

“Avete finito?”, chiese il pegaso, con voce piuttosto spazientita.

Octavia sorrise: “Ciao, Dashie”.

“E Fluttershy??”, riprese Pinkie, più sospettosa di prima, lanciando un’occhiataccia verso il pony seminascosto.

Quando la puledra paglierina udì le parole, ebbe un tremito e cercò di occultarsi dietro un minuscolo idrante.

“Secondo me è lei”, la rassicurò l’amica dalla chioma nera.

“Non puoi dirlo! Fluttershy!! Se sei davvero tu, diccelo!! Ma sinceramente, eh! Se non sei tu, invece, dicci che non sei tu!! Ok??”.

Un timido squittio lontano giunse come unica risposta.

“Ok, sono loro”, tagliò corto Applejack, “Ora basta con le cazzate! La luna è così rossa da sembrare un fanalino gigante. E secondo me non è un buon segno”.

Dash scarrellò l’otturatore, con volto marziale: “Cosa facciamo, AJ??”.

“Vedi quella specie di nube scura all’orizzonte?”.

“Mhh… sì. Un temporale in arrivo? Non è un problema. Posso cavalcare le tempeste come se nulla fosse”.

“Non è una nube. Sono mutaforma in arrivo”.

L’arroganza del pegaso si fece piccola piccola: “Quelli… sarebbero… tutti mutaforma?”.

“Sì”.

“Vorrai mica…? Che io?... Cioè, non che non possa ma…”, balbettò incerta.

“No. Era solo per dire che dobbiamo muoverci. Se arriveranno… saranno semplicemente troppi”.

Fluttershy mise la fronte oltre il metallo rosso dell’idrante: “E… ehm… Luna?...”.

“Lei è impegnata con Discord a tenere a bada Chrysalis. Non possiamo contare su di lei. Anzi… penso che le servirà il nostro, di aiuto”.

“Come procediamo?”, chiese Octavia.

Applejack scrutò i dintorni: erano sostanzialmente arrivati alla periferia e l’asfalto mutava repentinamente in uno sterrato ghiaioso. Più in là, si stagliava l’aperta campagna: arbusti sparsi, piantagioni a perdita d’occhio, fienili e, proprio sulla sommità di una collina, a ridosso della luna e di Counterlot lontana, il cimitero.

Una luce verde lampeggiò per un istante tra le tombe e, qualche secondo dopo, la terra ebbe un sussulto, unitamente ad un rumore arcano, simile ad una cannonata.

“Secondo me”, concluse, “Quelle due si stanno massacrando. E non so chi stia vincendo”.

“Quindi?”, chiese la violoncellista.

L’amica sospirò e formulò un piano, consapevole che ogni minuto perso poteva fare la differenza: “Dobbiamo… dobbiamo avvicinarci. Ma non devono vederci. Chrysalis ha un potere devastante ed ora è libera di sfogarlo. Se dovesse accorgersi di noi, non esiterebbe un istante a disintegrarci, liquefarci o chissà cosa”.

“Spero mi trasformi in un cupcake!”, ammise Pinkie.

“Niente piombo, quindi?”, chiese Rainbow.

“Non per ora. Teniamo un basso profilo. Muoviamoci su zampe, sfruttando le coperture offerte dalle piante e dal terreno”.

“Consiglierei di non volare”, aggiunse il pony grigio.

Anche Fluttershy diede la propria opinione, alzando timidamente la zampa: “Io… ehm.. p-posso dire una cosa?”.

“Spara”.

“Secondo me… conviene che… insomma… che… che Dash stia in testa, a guidare. Pinkie, visto che ha il suo… uh… sesto senso… potrebbe fare da apripista. Noi le seguiremo ed io terrò sotto controllo la… uh… zona… con l’ottica del fucile”.

“L’idea mi piace”, disse Octavia.

“Sìì!! Sarò un’arpista!!!”, esultò la puledra dalla chioma vaporosa, “Ho sempre sognato diventare una musicante!!”.

Applejack mise una zampa sulla spalla di Rainbow: “D’accordo, RD. Siamo nelle tue zampe. Confido nella tua esperienza”.

Quelle parole la galvanizzarono oltremisura e la indussero in un sorriso e saluto militare: “Puoi starne sicura, AJ!”.


    Un istante dopo, un singolare assembramento di pony iniziò a trottare cautamente nell’aperta campagna, in direzione del cimitero.

Pinkie avanzava a balzelli impercettibili. Le era stato detto che quello era un gioco: bisognava muoversi senza farsi sentire o vedere. Al vincitore sarebbe stato donato il cupcake dorato.

Dash si mosse dietro di lei, come una piuma, spostandosi rapidamente dal tronco di un albero ad un barile abbandonato. Mise fuori il muso. Scrutò la zona e, dopo qualche istante, fece un cenno con la zampa.

Seguirono Applejack (guardinga), Fluttershy (che si fermava di tanto in tanto a scansionare il paesaggio con l’ingrandimento) e infine Octavia, con un occhio di riguardo sulla retrovia.

La manovra si ripeté alcune volte, permettendo alle puledre di avvicinarsi sempre di più, copertura dopo copertura, finché non si radunarono tutte quante dietro un capanno colmo di fieno.

“Flutter”, le disse l’amica di guerra, “Dammi la situazione ad ore nove”.

Avere due militari in squadra era un grande aiuto: erano abituate a simili ingaggi.

Il pegaso si tuffò a terra e strisciò come una serpe fino ad un fossato, al punto da sporcarsi di fango quasi per metà corpo. Fece quindi sbucare la canna dell’arma, attraverso un cespuglio che cadeva a fagiolo, e controllò la zona. Si girò su un lato e comunicò gestualmente che tutto era sgombro.

Dash individuò un altro riparo: un grosso ammasso di fieno. Fece cenno a Pinkie di muoversi e questa ubbidì, felicitante.

“Pensi ci siano nemici nascosti?”, le chiese Applejack, sottovoce.

“Non lo so. Ma, nel dubbio, questo è l’unico modo per minimizzare le perdite”.

“Stiamo andando molto lente”.

“Lo so, AJ. Ma meglio muoversi lente e vive che fare uno scatto di pochi metri e crepare”.

“Hai ragione…”.

Fu il turno del pegaso celeste: diede un impercettibile colpo d’ali e planò, raso terra, verso un albero.

Comunico quindi di proseguire.

Applejack uscì e, con la zampa sul borsalino, raggiunse il pagliaio di Pinkie.

Era il turno di Octavia: anche la violoncellista si diresse verso il pagliaio.


Poi… avvenne qualcosa.


La barista stava pensando ai fatti suoi, come al solito, quando avvertì “la sensazione”, l’istinto che ormai conosceva bene e che si risvegliava ogni volta che qualcosa cercava di colpirla o ferirla. Quella volta, tuttavia, fu un po’ diverso. Le sue orecchie fremettero, come accadeva tipicamente, e la sua attenzione si rivolse inspiegabilmente all’origine della minaccia. Capì cosa stava per succedere. Capì che era solo un avvertimento da parte di quel potere inusuale che possedeva, che la stava solo avvertendo: non avrebbe dovuto fare alcunché per evitare il problema… poiché non era rivolto a lei.

E così… in una frazione di secondo… Pinkie improvvisò… assolutamente preoccupata per le sorti di qualcuno.


Octavia vide il pony rosa arrivarle addosso, con un balzo poderoso, un istante prima che un rumore caratteristico, simile ad un sibilo che viene interrotto improvvisamente, le entrasse nei timpani.

La musicista cadde a terra e un boato d’arma da fuoco riecheggiò dalla campagna.

Scosse la testa e, quando rialzò il muso, Pinkie era d’innanzi a lei, con la mascella lentamente cascante. Alcuni rivoli di sangue le colarono lungo il busto. Diede un colpo di tosse. E poi si accasciò a terra, con il volto contratto dal dolore.


Il cuore dell’amica grigia ebbe un battito più forte e profondo di tutti gli altri: “PINKIEEEEE!!!”.


*** ***** ***


    Il mezzo unicorno colpì con violenza il muro alle sue spalle.

Aveva il volto emaciato e un filo di sangue gli sgorgava da una narice. Scosse il capo e si riprese, sfoderando uno sguardo deciso e battagliero. Sputò per terra.

Isaak gli aveva fatto fare un volo di quasi cinque metri, percuotendolo con il proprio maglio, e Grey percepì le proprie ossa quasi sgretolarsi.

Dannazione, uomo! In quale altro casino ti sei cacciato!

Ehy. Io non ho fatto nulla. E’ lui che ha voluto attaccar briga.

No, lui ti ha offerto di seguirlo. E tu hai reclinato sgarbatamente.

Bah.

Stella Rossa diminuì le distanze, senza scomporsi granché.

“Puerchè voi abitanti di Equestria occidentale quosì testardi? In mia Madre Patria si risolve tutto con una grossa botta di martello e via”.

Hound si asciugò il sangue, con il dorso di una zampa: “E allora… perché non te ne sei rimasto a casa tua, nella tua Madre Patria… eh?”.

L’altro si fermò, gesticolando e cercando di esprimersi al meglio: “Mia famiglia puovera. In mia Madre Patria stiamo affrontando periodo difficiuile. Io ha saputo di terra di opportunità e venuto da altro capo di oceano. Così me può sfamare meglio famiglia”.

“Un nobile intento”, commentò, staccando un pezzo di grondaia da un vicolo, “Mi spieghi per quale diavolo di motivo, allora, cappeggi per quei bastardi del Governo?”.

“Ah. Govuerno. Mafiuosi. Qual è differenza? Tu sai? Io no! Entrambi cerca di fare propri interessi e paga con sporchi soldi capitalisti”.

L’avversario scosse la testa e rispose in modo stizzito: “Ma tu non ti stanchi mai di dire sempre le stesse cose?? Capitalista, Madre Patria, consumismo??”.

“Che tu vuoi fare? Me nostalgico”.

Hound caricò il bestione, concludendo con una piroetta e cercando di sfracassargli qualche osso. L’altro bloccò l’oggetto con la falce e rispose con una martellata sullo sterno, che gli fece fare un altro volo, questa volta gettandolo tra un cumulo di rifiuti di un vicoletto.

“Terra di opportunità, dicevano”, rimbombò la voce di Isaak, mentre si avvicinava, “Diciamo che io ha avuto mia opportunità. Dopo che me prende Segugio di Counterlot, torna in Madre Patria e rende famiglia meno puovera”.

Lo stallone in trenchcoat emerse dolorante, con la canonica buccia di banana in testa: “Ngh… E dimmi… Che senso ha arricchirsi di sporchi soldi capitalisti e poi fare la fighella comunista?”.

“Quosa diversa. Me prende soldi sporchi e devolve in causa più nobile. Soldo è mezzo. Qui, invece, soldo è… Dio”.

Hound non poté negare come ci fosse un fondo di verità nelle parole dello scimmione. Ma non era certo il momento per dilungarsi in chiacchiere da salotto. Balzò fuori dalla spazzatura e cercò di farsi venire qualche altra idea. E improvvisò, approfittando della lentezza e noncuranza con cui Isaak si muoveva. Estrasse un pesante tombino stradale e poi si armò con un mattone scheggiato. Era il meglio che sarebbe riuscito a trovare, lì in mezzo.

“Se solo avessi ancora il mio corno”, lo minacciò, “Ti avrei già fatto saltare in aria quel culo gigantesco che ti ritrovi”.

“Peccato che tu non ha”, gli rispose per le rime.

Grey non era uno stupido ma non brillava altresì per raffinatezza: galoppò come un treno verso il nemico, insicuro su come avrebbe potuto spuntarla.

Isaak gli fece piovere il martello dall’alto e l’ex-agente sollevò il tombino: il colpo risuonò come una campana e l’impatto fu fortissimo. Per un istante, Grey credette seriamente di averci rimesso qualche giuntura. Cercò quindi di non perdere la calma e, con una zampa, gli conficcò il coccio su una spalla.

La falce vorticò pericolosa, causando un profondo taglio sulla sua zampa. Hound si ritrasse e il pony sovietico ne approfittò: fece ruotare sapientemente il maglio attorno allo zoccolo e concluse l’impresa sferrando l’ennesima cannonata al segugio, questa volta facendolo volare ancora più lontano.

Il bersaglio, questa volta, sfondò una vetrina, finendo direttamente accanto al bancone di una drogheria.

Tossì, riversando una discreta quantità di sangue e saliva. Non era di certo Big Mac, ma era comunque più di mezza tonnellata di pony nerboruto e, con un certo sforzo, riuscì dolorosamente a rialzarsi.

“Per… per la miseria…”, bofonchiò ansimante, poggiandosi con una zampa al bancone, “Come… come cavolo… lo tolgo di mezzo… un coso così?...”.

L’attenzione cadde quindi su qualcosa che era stato opportunamente nascosto ad occhi indiscreti, proprio sotto alla cassa.


    Isaak continuò a marciare inesorabile, sincerandosi come il proprio avversario fosse effettivamente penetrato in malo modo dentro la drogheria.

“Tu dire me, Hound”, urlò, senza sapere se fosse ancora lì dentro, “Perché tu no arrende? Tu risparmia me fatica e lascia andare a casa, dove c’è vodka”.

Nessuna risposta.

Lo stallone osservò i paraggi: dietro di lui, non molto distante, c’era il fiume e l’auto accidentata. D’innanzi, invece, i vicoli e i negozietti, con le luci che illuminavano debolmente pozze luride, grate fumose e spazzatura sparsa.

“Perché tu no rimasto con Governo? Perché deciso di abbandonare per vivere in questo allevamento di maiali?”.

“Sai, patacca?”, rimbombò la voce di Hound, senza capire da dove arrivasse precisamente, “Anche i maiali hanno una loro dignità. Anzi… spesso sono gli allevatori di porci che li mantengono in condizioni schifose”.

Dimitri fece ruotare gli occhi glaciali, senza scorgere alcuno: “Maiali sono maiali. Mangiano, ingozzano e defecano... proprio come maiali”.

“Infatti sono proprio gli allevatori di porci a specularci sopra!!”, urlò il mezzo unicorno, manifestandosi all’improvviso.

Isaak vide qualcosa arrivargli addosso e, istintivamente, si girò per menare un fendente. Il martellò impatto contro qualcosa, che si frantumò, riversando del liquido addosso allo stallone barbuto. Sulle prime non capì ma poi avvertì un pungente sentore alcolico. A terra vi erano i cocci di un grosso boccione di alcol buongusto illegale.

Grey era poco lontano, sorridente.

Stella Rossa si mise in postura da combattimento, preparandosi ad ogni evenienza.

“Sai, coso?”, commentò l’altro, con aria di strafottenza, “Porci o porcari… la differenza è che i primi sono maiali per natura, gli altri lo diventano per scelta. E… secondo me… tu appartieni alla seconda categoria”.

Infilò quindi una zampa sotto il trenchcoat, alla ricerca di un oggetto che aveva sempre usato spesso.

Controllò bene e poi, non trovando nulla, come se un fulmine gli avesse appena trafitto il cervello, proruppe in un volto a dir poco basito.

“Oh merda…”, farfugliò, con un filo di voce.


“…Dannate le mie promesse…”.


*** ***** ***





    “PINKIEEEE!!!”, tuonò la musicista, annaspando nel tentativo di rialzarsi e raggiungere l’amica a terra.


“Ferma, Octavia!!”, la esortò Dash, senza abbandonare la copertura dell’albero.

Un istante prima che la puledra grigia riuscisse a sfiorarla, una chiazza gialla le volò addosso, anticipando di pochissimo un secondo colpo, che si piantò invece nella nuda terra. Fluttershy e l’amica ruzzolarono tra l’erba, finendo poi in un altro fossato.

“PINKIEEE!!”, riprese, facendo in ogni modo pur di divincolarsi dalla presa del pegaso.

“Ferma! Fermati!!”, biascicò il pony dagli occhi azzurri, nel tentativo di contenerla.

“PINKIE!!”.

L’amica rosa era a terra e si contorceva appena. Aveva le zampe serrate al petto e, sotto di lei, prese lentamente ad allargarsi una chiazza di sangue scuro.

“PINKIEE!!”, continuò ad urlare.

Fluttershy le bloccò il muso con le zampe e la guardò dritta negli occhi, cercando di non sporgersi troppo dal canale in cui erano finite: “Octavia!! Octavia, guardami!!”.

L’altra, dopo qualche istante, incrociò gli occhi del pegaso.

“Octavia! C’è un cecchino, là fuori. Non so dove sia ma c’è”.

“M-ma… Pinkie…”, balbettò.

“Pinkie è viva e non credo la ucciderà. Se ha un minimo di esperienza… la lascerà lì, in attesa che qualcuna di noi vada a salvarla. E, se succederà, non farà altro che unire cadaveri su altri cadaveri”.

“I-io…”. La violoncellista sapeva bene che era così ma, in preda all’affanno, aveva letteralmente perso il controllo.

“Ascolta”, la rassicurò l’altra, con estrema calma, “La cosa migliore che puoi fare è stare nascosta. Io ho affrontato tiratori esperti per mesi, in mezzo alla battaglia. Io e Dash ci siamo abituate. Tu, invece, hai sempre combattuto tra i vicoli cittadini. Qui siamo in campagna e non ci sono occasioni per menar le zampe. Mi capisci?”.

Octavia annuì, con le lacrime agli occhi. Riportò l’attenzione su Pinkie e la sentì, sofferente e dolorante, emettere alcuni versi sommessi.

Un batuffolo di terra si sollevò accanto al suo capo e, poco dopo, giunse un altro boato. La puledra rosa ebbe un sussulto, spaventata.

“FIGLIO DI PUTTANA!!!”, ruggì Octavia. Fluttershy cercò di contenerla.

“Lo fa apposta! Sta cercando di farci uscire allo scoperto! Ma non la ucciderà. Non gli conviene”.

“Fluttershyyy!!”, urlò Applejack, stando debitamente al riparo dietro al pagliaio, da cui non godeva di buona visuale, “Che cazzo sta succedendo??”.

“Pinkie è stata ferita!!”, rispose.

“Cosa??”, sbottò, “…Merda…”.

“Shy!!”, intervenne Rainbow, “Quanto è lontano il cecchino??”.

“Ho contato il tempo, Dash!!”, le rispose, “E, secondo me… è a più di un chilometro”.

La puledra dagli occhi rosa osservò il paesaggio, per un fugace istante, poi si rimise in copertura.

“Dannazione… potrebbe essere ovunque…”, disse.

“Come ne usciamo?”, domandò Applejack, spiazzata.

“Dobbiamo salvare Pinkie!!”, strillò Octavia.

Un quarto colpo spazzò via un ciuffo di crine rosa dal capo della barista, che ebbe un altro sussulto.

Octavia non ce la faceva più, era sul punto di uscire allo scoperto.

“APPLEJAAACK!!”, le urlò disperata, “DOBBIAMO SALVARLA!!”.

    La gangster, in mezzo a quel caos, a quella situazione così critica, non resse oltre e si mise le zampe alle orecchie, chiudendo poi gli occhi e piegandosi su stessa. Non ce la faceva a sentire quelle urla, a sapere che metà della squadra era dispersa o, forse, morta… nella consapevolezza che Pinkie era a terra, ferita da una pallottola di grosso calibro… e che non era a conoscenza di cosa stesse succedendo a Chrysalis. Per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto aver già ucciso Discord e Luna. In fondo… se fosse stata la mutaforma ad aver avuto la peggio, lo stormo di tirapiedi in arrivo si sarebbe probabilmente disperso.

“Applejack!!”, intervenne Dash, di fronte a lei. Il pegaso aveva tentato una sortita verso mucchio di fieno, senza subire rappresaglia di sorta. La puledra col borsalino tornò alla realtà.

“Applejack, ascoltami!! Prendi questa”, e le consegnò la propria mitragliatrice.

“C-cosa…?”, chiese titubante.

“Ho bisogno di viaggiare leggera. E tu ne avrai più bisogno di me”.

“Cosa vuoi fare?”.

“Fluttershyyy!!”, urlò, in direzione dell’ex commilitone, “Manovra del falco sulla lepre!!”.

La risposta dell’amica arrivò dopo un attimo di silenzio: “O-ok”.

“Manovra di… cosa?”, commentò Applejack.

“AJ, sturati le orecchie”, dichiarò l’Angelo della Morte, cingendola per le spalle, “Questa manovra la usavamo io e Flutter per individuare e abbattere i cecchini nemici. E’ una manovra pericolosa ma che non ha mai fallito”.

“Quanto pericolosa?”.

“Molto. Io mi muoverò per prima, attirando l’attenzione del cecchino, e Fluttershy controllerà la zona, per individuarne la posizione da rumore e bocca di fuoco, quando sparerà”.

“Stai scherzando??”, berciò preoccupata.

“Senti: siamo arrivate fin qui per permettere A TE di raggiungere Chrysalis, Luna e quel pagliaccio cornuto. Non ho svuotato tre nastri di proiettili su dei coglioni volanti solo per bloccarmi qui, inchiodata da un cecchino del cazzo. Per cui… io uscirò allo scoperto, attirando la sua attenzione. Quando succederà, dopo che avrai udito il colpo… sbuca fuori di qui e galoppa come il vento”.

“Ma…”.

“Lo vedi quel campo di mais?”, le chiese, indicandole una zona coltivata, “Saranno cinquanta metri. Se corri, dovresti riuscire ad infilarti senza che quel bastardo ricarichi il colpo, ti inquadri e faccia fuoco. Da lì, prosegui per il cimitero e cerca di finire questa storia una volta per tutte. Noi terremo occupato il tiratore e, ben sperando, lo faremo fuori”.

“Non mi piace un cazzo questa tua idea, porca puttana!!”, biascicò innervosita.

L’amica le poggiò la pesante arma tra le zampe: “Non ha alcuna importanza. Ho combattuto in situazioni ben peggiori. E voglio approfittarne un’ultima volta”, concluse sorridendo, “Non credo mi ricapiterà mai di nuovo un’occasione simile”.

Applejack non parve affatto convinta: “Secondo me è una stronzata…”.

“No. Si chiama falco sulla lepre. Ed è una delle cose più eccitanti che mi sia mai capitato di fare. Ora muovi il culo e preparati a correre. SEI PRONTA, FLUTTERSHY??”, concluse, senza tanti complimenti.

La gangster avrebbe voluto obiettare ma, lo sapeva bene, Rainbow non si sarebbe mai lasciata convincere. E, poi, era sul punto di spiccare il volo.

    Alcuni metri più in là, nel fosso, Fluttershy spiegò il piano ad Octavia, che annuì debolmente, consapevole di quanto fosse una mossa azzardata, ma forse l’unica fattibile.

“…Ed è importante”, ribadì con fermezza il pegaso, “Che tu rimanga qua. Non ti muovere. Non uscire dal riparo… altrimenti finirai come Pinkie. E non potrai aiutarla, da morta o ferita”.

“Sì… sì, ho capito…”.

La compositrice si rivolse all’amica ferita: “PINKIEE!! NON TI MUOVERE!! ORA TOGLIAMO DI MEZZO QUEL FIGLIO DI PUTTANA E POI TI VENIAMO A SALVARE!! OK??”.

La puledra rosa mosse lo sguardo verso di lei. Tra le smorfie di dolore, riuscì persino a mostrare un debole, brevissimo sorriso: “O… Okie… okie dokie…”. A vedere quella scena, il cuore di Octavia ebbe un altro sussulto.

Un istante prima che il pony paglierino imbracciasse il fucile, pronto ad intervenire, l’amica grigia le mise una zampa sulla spalla. Con volto afflitto e sincero, le disse: “Fate… fate in fretta…”. Fluttershy annuì con decisione.

“CI SONO, DASHIE!!”.


    Rainbow raccolse l’aria nei polmoni e chiuse gli occhi, per un istante.

Quando li riaprì, era pronta ad affrontare il mondo intero.

“SIETE PRONTI, ANGELI DELLA MORTE???”, urlò con fierezza, “SIETE PRONTI A SOLCARE I CIELI, A DESTREGGIARVI TRA LA MORTE CHE LAMBISCE I FREDDI VENTI DELLA VOLTA CELESTE IN CUI SIAMO NATI?? SIETE PRONTI??”.

La compagna le fece eco con un verso sorprendentemente poderoso: “UAA’!!!”.

“OGGI E’ UN BUON GIORNO PER MORIRE!!!”.


E spiccò il volo.


*** ***** ***


    La morsa d’acciaio del colosso sovietico si serrò attorno al collo del prigioniero indisponente. Grey venne sollevato ad una spanna da terra, dibattendosi come un disperato. Rifilò persino un calcio sul muso di Isaak, provocandogli un lieve prurito.

“Tu arrende o io spezza te collo, mh?”.

L’altro strinse i denti, facendo fuoriuscire schiuma dalle labbra. Cercò di allentare lo zoccolo con i propri, senza successo.

“N… non posso… non posso crepare… Ho fatto… una… promessa…”.

“Promesse fatte per essere infrante. Persino cucciolo sa… In mia Madre Patria…”.

Quando sentì la parola “cucciolo”, un’improvvisa ondata di energia gli attraversò i muscoli. Hound fece leva sulla zampa di Vaskovich, portò indietro i quarti posteriori e, infine, assestò un doppio affondo dritto sulle narici barbute.

Nonostante la tempra d’acciaio, quel colpo lo fece vacillare all’indietro, rilasciando la presa.

Hound cadde sulla schiena, ormai allo stremo delle forze. Fece per rialzarsi, ma la mole indescrivibile di Isaak glielo impedì.

“Povero, piccolo, šteňa. Tu cerca inutilmente di opporti a morsa sovietica su tuo fragile collo. Tu molto combattivo. Me riconosce. Ma a nulla servirà”.

L’altro ringhiò, con una zampa che gli schiacciava il petto.

“Aluora? Quosa vuogliamo fare?”, chiese, avvicinandogli il martello al muso, “Tu arrende? O tu muore? A te scelta. Me cambiare nulla”.

Il segugio osservò l’oggetto e poi, mantenendo una freddezza da rendergli onore, sentenziò: “F-fottiti…”.

“Veľmi dobre. Dasvidania, tovarish“. Alzò l’arma.

Ed Hound sorrise. Il bestione ancora puzzava d’alcol.


    Una fiammata verde lo investì alle spalle, gettando il corpo muscoloso in una vestaglia di fuoco.

Isaak fece cadere le armi, che impattarono a pochi centimetri dal muso del mezzo unicorno, ed iniziò a dimenarsi ed urlare.

“HORUCI!! PRILIS HORUCA!!!”.

Spike, digrignando i denti in modo aggressivo, gli girò attorno, sfiatandogli di tanto in tanto qualche alitata rovente.

Grey raccolse le ultime energie che gli rimanevano. Si issò sulle zampe. Afferrò il martellone del pony col colbacco. Si mise a posto qualche giuntura. E… poi…

Galoppò come un treno. Veloce. Sempre più veloce, pronto a fracassare quella montagna di carne. Un istante prima di intercettarlo, fece una rapida giravolta su se stesso, abbattendo infine la testa del maglio proprio sulla guancia di Isaak.

La botta fu tale da far volare lo stallone di alcuni metri. Vaskovich ricadde vicino alle sponde del fiume, ruzzolando poi verso la macchina semidistrutta. Colpì di schiena le lamiere, proprio nel punto in cui il rivolo di benzina era fuoriuscita dal serbatoio. Le fiamme avvamparono ulteriormente e, un istante dopo, la carena venne divelta da uno scoppio assordante.

L’effetto illuminò a giorno i volti del drago e del segugio, per alcuni istanti.

Un ammasso infuocato e accompagnato da altrettanti detriti fiammeggianti, venne catapultato oltre il ponte, impattando violentemente con l’acqua sottostante.

Fogli di carena ammaccata piovvero dal cielo, assieme ad un po’ di ghiaia e qualche frammento di vetro.

La coppia rimase in silenzio a bearsi dello spettacolo pirotecnico, senza dire nulla.

Poi, così come tutto era iniziato, finì altrettanto rapidamente.

L’ultimo oggetto incendiario cadde nell’acqua, spegnendosi in uno sfrigolio.


    Spike non si mosse. Non parlò.

Il pony, invece, dovette sedersi, senza lesinare su qualche verso di stanchezza.

Cercò di riprendere fiato.

Il piccoletto viola, dopo un po’, guadagnò posto al suo fianco.

Tirò fuori una scatoletta malandata… da cui gli offrì un piccolo insieme di sigari poco raffinati. Gli stessi che fumava un tempo.

Grey, stravolto com’era, manco se ne accorse.

L’altro lo picchiettò leggermente col gomito.

“Ehy”, gli chiese, “Vuoi?”.

“Eh?...”, rinsavì, “Ah. Mh. Sì. Però… però… non ho… da accendere”.

Il collega fulvo prese un sigaro e lo morse tra le labbra.

“Non è un problema”, gli rispose Spike, facendo labbrucce e creando una piccola fiammella davanti al muso. Il tabacco prese debolmente fuoco.

L’ex agente inspirò a pieni polmoni, chiudendo persino gli occhi. Poi espirò soddisfatto.

“…Voglio godermelo. Penso proprio che… che sarà l’ultimo”.

“Una buona occasione, direi”.

Improvvisamente, Hound si girò verso l’amico, un po’ alterato: “Ma si può sapere che diavolo aspettavi?...”.

“Volevo essere sicuro che non sospettasse di nulla”.

“Ancora un po’ e saresti stato sicuro che mi avrebbe spezzato il collo”.

“Chissà”, ammise sorridendo, “Magari volevo solo vederti soffrire un po’. Per Rarity, sai”.

Lo sguardo dello stallone mostrò evidenti segni di rabbia crescente: “…E tu avresti lasciato che quello mi suonasse come una campana… per…”.

“Stavo scherzando”, tagliò corto, con aria strafottente.

“Non ne sono sicuro. In ogni caso… ha funzionato”.

“Già. Però è stato proprio un pezzo di merda”.

“In che senso?”.

“Gli ho detto dove saremmo passati, facendogli credere che ancora lavoravo per loro e che volevo la mia vendetta. E quello… quello si è appostato e ha ficcato una martellata alla macchina su cui c’ero anche io!!”.

“Ti stupisci, patacca?”.

“Mah. Ora non è più un problema. Bella l’idea dell’alcol, comunque”.

“Già. Sennò non saprei come avremmo potuto farlo fuori. Fargli credere che lavoravi ancora per loro era un punto di partenza… ma contavo di avere ancora dei proiettili da cacciargli in fronte, qualora lo avessimo incontrato”.

“Te l’ho detto… meglio così”.

“Già… E… i soldi che ti ha dato?”.

Spike se n’era quasi dimenticato. Estrasse il borsello e lo aprì. Dentro c’era un mucchietto di monete scintillanti e qualche pietra preziosa.

“Potresti tenerli. Penso che te li sia guadagnati”, gli suggerì il pony.

Il volto del drago si fece un po’ malinconico: “Mh…”, bofonchiò.


    Il gangster squamoso si rimise in piedi, dirigendosi poi verso il bordo del fiume, con il piccolo malloppo tra le zampe.

Infilò una mano all’interno e tirò fuori qualche moneta e un grosso smeraldo luccicante, in cui riuscì addirittura a specchiarsi.

Sorrise.

E lanciò tutto nell’acqua.

Vuotò poi il sacchetto, fino all’ultimo soldo.

Scrutò le acque incresparsi debolmente, prima che il movimento ondoso spezzasse il fenomeno fisico, attraverso la corrente.

“Questi puoi riprenderteli, Isaak”, sussurrò, “In fondo… avevi proprio ragione. Sono soltanto sporchi soldi capitalisti…”. E si mise tra le labbra un sigaro di pessima qualità.

Si sarebbe aspettato che il colosso emergesse dalle acque come una furia immortale, pronto a spezzargli le ossa. Ma così non fu.

Si girò.

E raggiunse l’amico dal mezzo corno.


*** ***** ***


    L’Angelo della Morte uscì allo scoperto, affrontando quel terribile (e al tempo stesso eccitante) momento in cui non sai cosa accadrà: la sensazione per cui tutta la tua vita si stia giocando in un istante… che pare quasi durare in eterno.

Il falco sulla lepre era una tecnica che non lasciava spazio agli errori. La usavano in pochissimi, principalmente per due motivi. Primo: ben pochi avevano il fegato di rischiare tanto. Secondo: la maggior parte moriva precocemente nel tentativo. Ma, quando aveva successo, era infallibile. Nessun cecchino avrebbe mai pensato che un bersaglio caricasse una posizione occultata, senza sfruttare i dovuti ripari.

Ed è quello che Dash fece. Si lanciò nel vuoto, cercando di muovere le ali come mai aveva fatto prima.

Fluttershy si mise coricata, senza sporgersi, ma pronta ad intervenire non appena avesse udito lo sparo.

La tecnica prevedeva che il cecchino prendesse di mira il nemico e facesse fuoco. Il pegaso giallo avrebbe individuato la direzione indicativa in base al rumore e si sarebbe sporta. Al secondo colpo, avrebbe “letto” il lampo dello sparo. Al terzo… beh, non sarebbe dovuto esserci un terzo colpo…

Mille cose potevano andare storte: Dash poteva finire con una pallottola in corpo oppure il tiratore avrebbe potuto individuare Fluttershy nell’intento di sporgersi, e liquidarla. Il rischio, in questi casi, era che il fuciliere occultato godesse di un’iniziativa prioritaria, avendo sotto controllo territorio e avversari.

Ed era quello a generare una carica spaventosa di adrenalina nelle vene della puledra blu.

    Diede alcuni colpi d’ali, saettando come un fulmine tra gli arbusti della campagna e mantenendo una rotta casuale. Il piano d’emergenza, per ogni falco sulla lepre non fallimentare, contemplava l’avvicinamento del falco sulla preda: se Fluttershy avesse fallito, allora toccava Rainbow beccare il nemico e ingaggiarlo a corto raggio. Ma entrambe speravano di non giungere a simili livelli.

L’asso del volo continuò a destreggiarsi nell’aria, con il cuore che le batteva all’impazzata.

Ancora non ha aperto il fuoco. Che stia cercando di anticipare i miei movimenti?

Intensificò le evoluzioni, planando, cabrando e cercando di rendersi “appetibile”.

Merda. Se non spara… Fluttershy non potrà individuarla… se non…

Un sibilo improvviso le passò a pochi centimetri delle orecchie, inducendola in una virata improvvisa, che si concluse dietro un grosso masso di pietra scura. Il boato arrivò, poco dopo.

Fluttershy, lontana, drizzò le orecchie… ma un’espressione, nel volto, suggerì che qualcosa non andava.

“Dannazione…”, bisbigliò, “La campagna è così grande… non sono riuscita a capire da dove provenisse esattamente…”.

Rimase in attesa per alcuni secondi. Cosa fare? Aveva senso esporsi, avendo solo una vaga idea della direzione? Rischioso. Quasi un suicidio. Ma Dash… l’amica era là fuori. E contava su di lei. E allora si fece coraggio, pensando che avrebbe fottuto quel cecchino o sarebbe morta facendo la cosa giusta. Salvare un compagno.

    Quando Applejack udì lo sparo, buttò giù un bolo di saliva. Era nervosissima: avrebbe dovuto galoppare in campo aperto, sotto tiro, per raggiungere una distesa di mais. Nonostante fosse spavalda… se la stava quasi facendo addosso. Mise l’arma di Rainbow sulla groppa e si preparò ad uscire, rischiando il tutto per tutto. Quando scorse la canna di Fluttershy, mentre emergeva dai cespugli, si decise a scattare, non prima di aver preso un lungo e profondo respiro.

La puledra si mise in moto, iniziando ad ansimare in modo crescente. Il campo le sembrò dannatamente lontano, molto più di quanto le era parso inizialmente. Ma quella era la sua salvezza. Ormai era in ballo e doveva ballare. Nell’ultima decina di metri, chiuse gli occhi, presagendo un colpo mortale che sarebbe giunto da un momento all’altro.

In quel preciso istante, Dash balzò fuori dal nascondiglio, riprendendo a volare in direzione dello sparo. Fluttershy la inquadrò nell’ottica, attenta ad ogni minimo dettaglio.

Avvenne qualcosa di strano… qualcosa che nessuno avrebbe capito, se non le due veterane di guerra.

Arrivò un altro boato. Il proiettile spiumò leggermente le ali del pegaso celeste. La puledra dal manto rosa individuò un minuscolo lumino lontano, che si spense in una frazione di secondo. Con gesto rapidissimo, collimò e fece fuoco. Un profano, esterno alla vicenda, avrebbe soltanto udito due spari in rapidissima successione.

Rainbow sfrecciò al suolo, atterrando malamente tra gli alberi.

Fluttershy scarrellò l’arma.

Applejack si tuffò nel grano… Almeno quella… era fatta.


    Dash, un po’ malconcia, si alzò da terra, osservandosi poi le ali. Erano state appena sfiorate. Aveva avuto fortuna e lo sapeva benissimo. Sperava soltanto che l’amica fosse riuscita a beccarla.

La tiratrice continuò a sondare il punto dove, presumibilmente, il colpo sarebbe dovuto giungere. Non avvenne nulla, per svariati secondi, dove il silenzio più assoluto fece da padrone.

Notò quindi un secondo lumino, appena poco più a destra del primo. Il pegaso paglierino rabbrividì e, con uno scatto fulmineo, tornò in copertura, un attimo prima che un proiettile le saettasse sulla fronte, impattando nel terriccio retrostante.

Ed ecco il terzo boato. Quello che non sarebbe dovuto arrivare.

“Oh merda!”, berciò Dash.

“Dannazione!”, borbottò l’altra, visibilmente spaventata.

“DAAASH!!”, urlò, sperando che la compagna potesse udirla, “DAASH!! BERSAGLIO MANCATO!!”.

“ME NE SONO ACCORTA, CAZZO!!”.

Le voci delle due riecheggiarono nella notte.

“C’E’ QUALCOSA CHE NON VA DASH!! O SONO IN DUE OPPURE SI TRATTA DI UN PEGASO O DI UN UNICORNO!! PERCHE’, OGNI VOLTA CHE FA FUOCO, SI SPOSTA IN MODO RAPIDISSIMO!! IN QUESTO MODO NON RIUSCIRO’ MAI A COLPIRLO IN TEMPO!!”.

“Ma bene…”, disse a se stessa il pony dagli occhi rosa.

Octavia, intanto, riportò l’attenzione a Pinkie. La notte era ormai calata da un pezzo e le temperature si erano abbassate repentinamente. La barista, distesa nello stesso punto di prima, pancia all’aria, respirava a fatica… respiri rapidi e sconnessi, che generavano fugaci nuvolette di condensa dalle sue labbra.

“Fluttershy!”, implorò l’amica grigia, “Dovete fare qualcosa! Non reggerà a lungo!”.

L’altra non seppe cosa risponderle.

Anche Rainbow sapeva che l’occasione era critica. Cosa fare? Che diavolo poteva fare? E allora… in una situazione così drastica, tanto valeva agire in modo altrettanto drastico.

“SHYYY!!!”, strillò, “IL FALCO SI AVVENTA SULLA LEPRE!!”.

“COSA??”, domandò preoccupata.

“IL FALCO SI AVVENTA SULLA LEPRE!!”.

“SEI MATTA??”.

“IO VADO!! COPRIMI!!”, e preparò un colpo di reni.

Il pony dagli occhi azzurri trasalì e si portò rapidamente in posizione, fucile spianato.

Falco sulla lepre. Il massimo dell’espressione della tecnica. Il momento in cui il bersaglio avrebbe accorciato le distanze, cercando di individuare il cecchino e ingaggiarlo sul corto. Anche il massimo del pericolo, ovviamente.

Un attimo prima di riprendere a volare, Rainbow le chiese un’ultima cosa: “DOV’E’ IL BERSAGLIO??”.

La tiratrice, ancora impreparata a quell’idea pericolosa, rispose titubante: “E’… E’… E’ IN UN CAPANNO!! ORE DUE!! DISTANZA APPROSSIMATA DALLO SPARO… UHH… CIRCA MILLEDUECENTO METRI DALLA POSIZIONE… QUINDI… CIRCA SETTECENTO METRI DALLA TUA!!... E’ UN SUICIDIO, DASH!! SONO TROPPI!!”.

“TU COPRIMI!!”.

“MA DASH!!...”.

“OGGI E’ UN BUON GIORNO PER MORIRE!!”.


    Ed ecco l’ennesimo folle gesto, di quella folle notte.

Un pegaso dalla chioma multicolore prese quota nella gelida aria della campagna, consapevole che, questa volta, il nemico sapeva benissimo cosa aspettarsi. Ma non c’era altra soluzione.

Iniziò a macinare metro dopo metro, spingendo la velocità e le virate improvvise a livelli incredibili.

Fluttershy tenne sott’occhio la situazione, pronta ad intervenire.

Passarono i secondi e non ci furono altri spari.

Tutti erano agitati.

Dash, per la fatica e l’adrenalina.

Fluttershy per i destino dell’amica, completamente nelle sue zampe.

Octavia per Pinkie.

E Pinkie… per il poco sangue che ancora le rimaneva in corpo e che il cuore faceva di tutto per pompare attraverso il corpo.


    “Perché non le spara?”, si chiese Fluttershy, senza schiodare l’occhio dal mirino.

Rainbow era ormai ad un centinaio di metri dalla locazione indicatale dalla collega. Si preparò ed estrasse una 1911 dalla fondina. Nemmeno lei non sapeva come mai non avesse più aperto il fuoco. Poteva aver ripiegato in un’altra posizione, forse. Ma doveva esserne sicura.

Con un ultimo sforzò schizzò verso la struttura: il tipico magazzino del fieno, con tanto di assi pitturate di rosso. Arrivò vicinissima alla finestrella della zona mansardata. E lì noto qualcosa che la lasciò perplessa.

Dentro, accuratamente disteso lungo il pavimento in legno, vi era un Mosin-Nagant con ottica. Accanto alla carabina: alcuni bossoli esplosi e un piccolo mucchietto di proiettili vergini.

…Era fuggito?

Anche Fluttershy rimase immobile, non sapendo cosa aspettarsi.

    Poi… qualcosa attirò l’attenzione della puledra blu. Un sibilo nell’aria. Un altro proiettile? No. Era molto diverso e anche più lento. Una risatina femminile rimbombò da una direzione. L’altra si girò, puntando la pistola, ma non vide nulla. Il verso proruppe alle sue spalle. Dash roteò ma, di nuovo, non trovo alcunché. Un’altra risata. Un’altra piroetta per intercettarla… e poi… due occhi rossi come sangue.


    Rainbow percepì un dolore lancinante pervaderle i fianchi e i muscoli delle ali, proprio dove si congiungevano alla schiena. Un pegaso color ocra, con splendidi crine che si confondevano col blu scuro del cielo, era d’innanzi a lei, sorridendo in un modo terribilmente simile a quello della puledra rosa confetto, quando impazziva di colpo. L’avversaria puntò i bulbi oculari, bramosi di violenza, dritti in quelli della vittima. Le ali, ricoperte da decine di lame acuminate, si erano serrate sulla malcapitata, affondando le estremità taglienti dentro la carne.

Dash rimase paralizzata dal dolore, non riuscendo a reagire nella maniera più assoluta.

“DAAASH!!”, sbottò Fluttershy, con una morsa al petto. Le due erano perfettamente sovrapposte alla sua linea di tiro… per colpirne una… avrebbe dovuto trapassarle entrambe. Un caso, forse? Oppure quella sapeva il fatto suo?...

La puledra azzurra strinse i denti, cercando di togliersi da quella brutta situazione. Sollevò la zampa tremante, cercando di dirigere la 1911 contro di lei.

Vesna rilasciò la presa, con il terribile rumore di dozzine di coltelli che venivano estratti da un materiale fibroso. Il ritorno di dolore fu devastante e la poveretta non poté far altro che abbandonarsi ad esso, precipitando di schiena verso il suolo.

“DAAAAAASH!!!”, urlò di nuovo l’ex- commilitone, che perse la testa: abbandonò il riparo e volò come una scheggia verso l’amica lontana. In quel preciso istante… rivisse un fugace attimo passato… come se il pegaso a cadere non fosse Rainbow… ma un’altra puledra, dal manto grigio e la criniera giallo chiaro. Un ricordo che le tornò con tutta la sua prepotenza.

Quando Octavia vide il cecchino prendere il volo, non riuscì a trattenersi e galoppò verso il pony ferito.

    A poche decine di metri dal suolo, il pegaso blu ebbe ancora forza e volontà per dare un debole colpo d’ali, attutendo a malapena l’impatto, che fu comunque terribile. Nelle sue orecchie risuonò un tonfo sordo e, in modo sovrapposto ad esso, qualcosa simile a legna che si spezza. Un’altra fitta di dolore la gettò ad un passo dallo svenimento.

Aprì gli occhi al cielo, con la vista parzialmente annebbiata.

Vesna fluttuava sopra di lei, ridendo come un’ossessa, parzialmente illuminata dalla luna rossa.

“DAAASH!!”. La voce dell’amica fece capolino. La puledra dagli occhi vermigli notò il suo arrivo, sorrise malignamente e scattò nel vuoto, scomparendo nell’oscurità della notte.


    “DASH!! O SANTO CIELO! DASH!!!”, ripeté Fluttershy, planando rapidamente verso di lei.

“Ah…”, farfugliò l’altra, stravolta da dolore.

“DASH!! DASH!!”.

“V… vattene, Shy…”, biascicò, lottando contro il malessere insopportabile.

“NO, DASH!!”.

“S… stupida… dovevi… dovevi spararle… non… v… venire… qui…”.

“I-io…”, sussurrò, con gli occhi umidi, estremamente preoccupata.

“IO NON TI LASCIO QUI!!”, ruggì improvvisamente, afferrandola per una zampa. La compagna rispose con un vagito di dolore.

“NESSUNO VIENE ABBANDONATO, NEGLI ANGELI DELLA MORTE!!”.

La puledra gialla issò prepotentemente l’amica, incurante delle sue urla, e fece scorrere lo zoccolo attorno al collo, per sostenerla.

“M-merda… F… Fluttershy… Ah… fa… fa malissimo… credo… credo di avere qualche osso rotto…”.

“Ora ce ne andiamo!!”.

Si udì la stessa risata di prima.

Le due alzarono gli occhi al cielo, senza vedere nulla.

“Fluttershy… ascoltami…”, la disse, cercando di sopportare la propria situazione precaria, “Quella… quella gioca sporco. Sa dove siamo… e di sicuro… conosce la zona. Si muove come una lama nell’aria. E’ veloce. Dannatamente veloce…”.

Il pony dagli occhi azzurri iniziò a camminare, trascinando il ferito con sé: “Motivo in più per andarcene in fretta!!”.

Giunse un gridolino di gioia.

“N-no…”, continuò Dash, “Vattene… torna da Pinkie… e… aiutala. Se mi soccorri… ci ammazza entrambe…”.

“STRONZATE!!”.

Qualcosa impattò violentemente sul pegaso paglierino, facendole perdere la presa su Rainbow, che si accasciò a terra.

Vesna era su di lei, con un ghigno a dir poco terrificante.

“Dovresti ascoltare l’affettato blu, signorina”, le disse, visibilmente eccitata, “Ogni secondo che passa ti avvicinerà ad una fine molto, molto spiacevole”, e si lanciò di nuovo nell’aria, svanendo alla vista.

Fluttershy si rimise prontamente sulle zampe, imbracciando il fucile, con il battito a mille.

Iniziò ad osservare nervosamente i dintorni, percependo le lame della puledra fendere l’aria, ad ogni passaggio a bassa quota che eseguiva.

Spostò ossessivamente lo sguardo da una direzione all’altra, provando disperatamente a puntare il fucile nel punto dove credeva sarebbe giunta. Ma non ci riuscì.

Il pegaso ocra iniziò a serrare il ritmo… e le distanze.

Ci fu un altro sibilare, questa volta accompagnato da uno spostamento d’aria, la canonica risata… e un profondo taglio apparve sulla zampa giallo chiaro.

Fluttershy si ritrasse, con un grido.

“AH!”, la derise la nemica lontana, preparando un’altra picchiata, “IL ROSSO TI DONA MOLTO!!”.

La poveretta tentò nuovamente di individuarla… ma ogni volta… puntualmente… Vesna le sibilava accanto, aggiungendo un altro taglio a quelli precedenti.

La tiratrice stava perdendo il controllo. Esplose addirittura due colpi, sperando disperatamente di colpirla. Ma andarono a vuoto.

Rainbow si trascinò fino ad una staccionata, provando a mettersi in posizione eretta, con estrema fatica: “Flutter!!”, le disse, “Vattene! Andiamocene!”.

“NON C’E’ NESSUN POSTO DOVE SCAPPARE, LURIDE PUTTANE!!”, intervenne la gitana volante, questa volta con tono adirato, sempre senza farsi vedere, “QUESTE CAMPAGNE SARANNO LA VOSTRA TOMBA!! DOVRESTE ESSERNE CONTENTE! SARA’ SEMPRE MEGLIO DI QUELLO STAGNO MERDOSO IN CUI AVETE AMMAZZO RAIN!!”. E riprese minacciosamente a volare.

“Vieni via, Shy!!”, la implorò l’amica.

Il respiro del pegaso divenne estremamente corto. Si osservò i numerosi tagli sanguinolenti sul corpo. E, a farcire il tutto, quella risata. Quella continua, odiosa, incessante risata che sembrava provenire da ogni direzione.


    Fu allora che il timido pony col ciuffo prese una decisione. Una decisione che lasciò Rainbow in preda all’incomprensione.

Fluttershy… prese un lungo respiro, cercando di concentrarsi. E poi… chiuse gli occhi.

“Fluttershy?? Che fai??”, le domandò spiazzata.

“PREGARE NON TI SERVIRA’ A NULLA, TROIA!!”, la minacciò Vesna, avvicinando le planate verso di lei.

E il cecchino dal manto paglierino… ascoltò.

Mosse le orecchie, in modo impercettibile, proprio come faceva in guerra.

Un tiratore esperto non doveva avere solo buon occhio… ma anche un udito impeccabile, per percepire qualsiasi fruscio o movimento. E aveva imparato alla perfezione a stimare direzione e distanze degli spari, in base al conteggio del tempo che scorreva e, certe volte, solo grazie all’istinto.

Quella volta non doveva decifrare un’arma che esplodeva il colpo… ma bensì una risata. Una risata perfettamente percepibile e costante. Un rumore diverso. Ma, alla fine, si trattava grossomodo della stessa cosa.

Vesna continuò a volteggiare e ridere, facendosi sempre più vicina, pronta a sferrare l’ultimo attacco… mirando alla gola.

Fece ancora qualche piroetta e poi, quando capì che era il momento, sfrecciò ridacchiando verso il bersaglio, ad ali spiegate.

Fu allora che Fluttershy ebbe chiara la sua posizione. Bastò un piccolo fremito delle orecchie. Un cenno appena… e la puledra riaprì gli occhi nella direzione giusta, impeccabilmente. L’avversaria era a pochi metri da lei, la vide in modo perfetto. Tutto avvenne in modo così rapido che Rainbow a stento ci capì qualcosa.

La tiratrice imbracciò il fucile al contrario e, con gesto deciso, portò il calcio in avanti, mandandolo dritto sul muso del pegaso in arrivo.

Il colpo fu violentissimo. Fluttershy venne sbaragliata all’indietro e l’arma quasi le volò via di zampa. Vesna, invece, ruzzolò rovinosamente sul terreno, con svariate capriole e giravolte.


    Il pony dagli occhi azzurri scosse la testa, cercando di riprendersi, e vide la puledra poco distante: si stava rialzando da terra, tremando come una foglia. Il naso era spezzato su un lato, completamente tumefatto, e riversava lunghi filamenti di denso liquido rosso. Vesna tossì, con un rumore gorgogliante.

Fluttershy imbracciò la carabina e, con passo deciso, accorciò le distanze.

Solo all’ultimo il pony dalla criniera blu si accorse di lei. Senza pensarci due volte, spiegò le ali e cercò di allontanarsi. Ma Fluttershy fu più rapida: fece roteare il fucile e lo piantò a terra, conficcando la baionetta tra le piume ricoperte di metallo e ancorandola tra l’erba.

La gitana proruppe in un urlo spaventoso. Una rapida torsione dell’oggetto da parte del proprietario fece sì che la lama si piegasse e poi spezzasse di netto, evitando così che l’altra potesse estrarla e liberarsi.

Il pegaso si agitò, si contorse e ruggì come una bestia feroce, facendo di tutto per guadagnare la libertà. Senza successo.

Quando capì di non poter far più nulla, si avventò come una furia su Fluttershy, bloccandosi ad appena qualche centimetro da lei: la massima distanza permessa dalla sua ala ferita, saldamente bloccata.

Vesna spalancò le fauci e le urlò dritto sulla faccia, spandendo anche qualche goccia di sangue. I suoi occhi rossi trasudavano rabbia ed odio indescrivibili.

“LURIDA PUTTANAAA!! IO TI AMMAZZO!!”.

Il pony giallo non si scompose. Le puntò il fucile al petto.

La puledra dalle ali tintinnati rispose con un altro, terribile urlo.

Quando il grilletto venne fatto scattare, il corpo di Vesna schizzò all’indietro. Avrebbe percorso anche qualche metro, per effetto dell’impatto, se solo la baionetta non l’avesse trattenuta, facendola ricadere repentinamente sul terriccio.
   
 
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