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Autore: VeraNora    06/04/2013    12 recensioni
Il proseguo di "strano il mio destino". Non tutti i mostri del passato sono stati sconfitti... c'è ancora l'ultimo drago da abbattere e nuovi misteri si nascondono sotto la superficie.
***************************************DAL CAPITOLO***************************************
"Erano state tre settimane incredibili: aveva ritrovato Stefan; Elena era diventata un vampiro ed aveva passato gli ultimi 15 anni a cercarlo; il suo rammarico più grande, quello d’aver rovinato la vita a Jessica uccidendo sua madre, si era rivelato essere solo uno scherzo della mente… della sua mente! Era così abituato a sentirsi un mostro che l'idea di aver salvato qualcuno, gli era sembrata inaccettabile. Aveva costruito una propria storia in cui lui era il cattivo e la madre di Jessica la sua ultima vittima. Ma la giovane, aiutata da uno strano destino, era riuscita a ridargli indietro, pezzo per pezzo, l’amore, un fratello e la serenità.
Damon stava assaporando il gusto sconosciuto della pace, della felicità: tra le braccia stringeva l’amore della sua vita ed a casa lo attendeva suo fratello.
Era pronto ad esistere, libero dall’inferno che aveva segnato la sua esistenza… ma l’inferno non voleva liberarsi di lui."
Genere: Avventura, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Jessica salutò Damon poco distante dalla casa in cui l’attendevano suo padre biologico e la sorella di quella madre che non aveva mai conosciuto e da cui era stata salvata.
«Jess…»
iniziò il vampiro.
«D., smettila! Va bene così… passerò del tempo con loro ma ci vedremo! Sempre che tu non abbia intenzione di partire alla scoperta del mondo, con la tua fidanzata…»
lo bloccò lei.
«Non essere sciocca… lo sai che non andrò da nessuna parte. E poi credo che Elena sia stanca di viaggiare…»
ribatté lui.
«Sì. Lo penso anche io… comunque ci sentiremo spesso… se dovessero essere noiosi, poi, ti chiamerò tante di quelle volte al giorno che sarai costretto ad ignorare le mie chiamate!»
scherzò lei. Damon chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Come se ignorare le tue chiamate, potesse servire a qualcosa! Troveresti comunque il modo di rompere le scatole!»
«Hey, sei stato tu ad insegnarmi la sottile arte dello sfinimento… io sono stata solo un’ottima allieva!»
I due si guardarono e scoppiarono a ridere. Lui avrebbe sentito la sua mancanza, ma entrambi avevano una famiglia da recuperare. La giovane lo abbracciò e, dopo avergli posato un bacio sulla guancia, si diresse verso la grande casa gialla che stava in fondo alla strada. Damon osservò per un po’ i ricci castani  rimbalzare al ritmo dei passi veloci della ragazza, sorrise e tornò dalla sua fidanzata.
 
Jessica percorse il vialetto a passo spedito, arrivata sul portico si bloccò. Si voltò per assicurarsi che Damon non stesse osservando quel momento di tentennamento. Non vide nessuno e si sentì libera di lasciarsi andare: si poggiò all’asse di legno del porticato ed espirò profondamente.
Non aveva ancora pensato seriamente a quello che stava per succedere. Avrebbe passato del tempo con le persone da cui discendeva, avrebbe avuto modo di scoprire se la persona che era diventata dipendeva solo da Damon o c’era qualche tratto peculiare degli Smith o dei Gerthridge.
 
La prima volta che li incontrò, mesi prima, aveva avuto modo di vedere qualche foto di sua madre. La somiglianza estetica era notevole: capelli ricci, occhi verdi, corporatura esile. Dal poco che era riuscita a scoprire del suo carattere, però, non doveva avere molto altro in comune con Ally Jane Smith: quella donna era stata una drogata, con problemi mentali, depressa. Aveva condotto una vita dissoluta, preso strade sbagliate e non aveva avuto la forza di riprendersi in mano la sua vita nemmeno dando alla luce una figlia.
Niente, in quella descrizione, pareva avvicinarsi a Jessica. Lei era sempre stata una bambina sveglia, vispa, appassionata, intelligente,  forte e decisa.
Caratterialmente, sembravano agli antipodi.
Ma suo padre naturale?
Sean Gerthridge: un uomo comune, un meccanico. Aveva scambiato poche parole con lui, ma il modo in cui aveva continuato a cercarla insieme a sua zia, il modo in cui aveva reagito scoprendo la verità sulla figlia… lui sembrava avere qualcosa in comune con lei.
 
Si era presentata a casa Smith una sera di primavera. Quando Diana Smith, la sorella di sua madre, aprì la porta, rimase pietrificata. Boccheggiò senza riuscire ad articolare nessuna parola. Jessica le sorrise e disse:
«Suppongo tu mi abbia riconosciuta…»
La zia si portò le mani alla bocca e calde lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi. La giovane rimase immobile, senza sapere cosa fare. Un uomo spuntò alle spalle della donna.
«Diana? Chi è alla porta?»
Chiese, sporgendosi a guardare sull’uscio. La tazza di tè che reggeva in mano, si schiantò a terra.
«Suppongo che quella ricostruzione mi somigli più di quanto non voglia ammettere…»
ironizzò imbarazzata, Jessica.
«C-come… c-ome… t-tu…»
balbettò, Sean. La giovane fece un gran respiro ed allargò le braccia.
«La storia è davvero lunga e complicata… se mi fate entrare cercherò di spiegarvi tutto»
propose. L’uomo e la donna annuirono con vemenza e la fecero entrare. Si accomodarono in salotto, la ragazza si guardò intorno: era tutto molto ‘normale’.
«Allora… voi due… vivete insieme?»
domandò. Diana annuì.
«Mmmh… e state anche insieme?»
«Cosa? No? Noi…»
farfugliò la zia.
«Hey! Non giustificatevi… avete passato vent’anni a cercarmi, sarebbe normale…»
«Sì, abbiamo passato vent’anni a cercarti… questo ci ha uniti come famiglia… siamo come fratello e sorella, niente di più…»
spiegò tranquillo il padre.
«Scusate… volevo solo rompere il ghiaccio…»
si scusò, Jessica. Attese qualche attimo e decise di affrontare il discorso, senza chiacchiere di circostanza.
Raccontò loro per sommi capi che un uomo la trovò la notte in cui sua madre morì e la crebbe come una figlia. Quando fu abbastanza grande da capire che lui non era il suo vero padre, decise di fare delle ricerche che l’avevano portata a loro. Spiegò che era veramente felice di aver ritrovato la sua famiglia biologica, ma, in quel momento, aveva bisogno capissero che le serviva del tempo.
«Se avrete la pazienza di aspettare qualche mese… ci sono delle cose che devo capire io prima, solo allora potrò rispondere alle vostre domande… è tutto molto complicato…»
disse loro.
«Lo so che vi sto chiedendo tanto… ma ci sono delle cose che non posso dirvi ora…»
concluse.
«Ti abbiamo cercata per vent’anni… ora che ti abbiamo trovata, qualche mese in più non farà la differenza…»
la rassicurò Sean. La ragazza sorrise a quell’uomo dal viso rotondo e gentile che la guardava adorante.
«No…  no, Sean! L’abbiamo appena ritrovata! Non possiamo lasciarla andare così!»
proruppe la zia.
«Non mi perderete… ma se non mi concederete il tempo di sistemare un po’ di cose, potrei sparire davvero… per sempre…»
disse con durezza, Jessica, aggiungendo:
«Ascoltate… vi lascerò il mio numero e ci sentiremo ogni giorno… ma ho bisogno che collaboriate… se ci tenete come dite, mi consentirete di mettere a posto la mia vita e poi…»
«E poi?»
incalzò la zia.
«E poi tornerò qui, da voi…»
«Per sempre?»
chiese il padre.
«Oramai mi avete trovata… quello è per sempre…»
rispose serafica.
 
Ed ora era lì, pronta a mantenere la sua promessa. Avrebbe raccontato loro di Damon, di come la salvò da morte certa, del viaggio intrapreso e di quei vent’anni di vita passati a contatto con il mondo soprannaturale. Avrebbe scoperto di più sulla donna che le aveva dato la vita e che gliel’avrebbe tolta, non fosse stato per l’uomo che sentiva come l’unico padre a cui dover dare credito.
Si mise una mano sul petto e cercò di far calmare i battiti accelerati del cuore. “Non essere codarda! Hai riunito la famiglia di vampiri più cocciuta della storia… che sarà mai conoscere le tue radici!” si disse mentalmente. Scosse la testa, si schiarì la gola, prese coraggio e suonò il campanello.
Dopo qualche istante il viso gentile del padre si affacciò da dietro la porta e Jessica non poté fare a meno di notare una strana espressione di tensione comprometterne la delicata rotondità. Le sorrise e le fece cenno di entrare.
«Scusa il ritardo… ho perso un po’ di tempo con… sai… la mia famiglia… l’altra…»
si scusò, imbarazzata e un po’ stranita da quella strana accoglienza. “Un minuto fa te la stavi per fare sotto, ed ora pretendi striscioni e fiori? Avrà paura anche lui! Rilassati Jess!” pensò usando la voce di Damon.
«Non… non preoccuparti… sì… è tutto ok, va tutto bene… vieni… Diana è in salotto…»
la tranquillizzò il padre. La invitò a seguirlo e la condusse dalla zia. La donna stava seduta sul divano; accanto a lei, con un’espressione divertita e maliziosa, c’era una ragazza bionda, molto bella.
«S-salve… ehm… Jes… Rose Lea Smith!»
si presentò, Jessica. La ragazza bionda sorrise e si prese del tempo prima di alzarsi ed avvicinarsi alla giovane.
«Lo so chi sei… Jessica Salvatore…»
disse la bionda, provocandole un sussulto.
«Io… tu… come fai a sapere il mio nome?»
domandò confusa.
«Oh! Sono un’amica di… Damon… i tuoi parenti, qui, mi stavano giusto raccontando di quanto strano sia stato il vostro destino…»
Jessica strinse gli occhi e guardò i suoi parenti naturali. L’espressione sui loro volti iniziò ad essere riconoscibile agli occhi della giovane: paura.
«Ah, sì? E a che punto della storia sono arrivati?»
domandò.
«Diciamo che mi stavano per raccontare come ha fatto un vampiro a crescere una bambina senza dare nell’occhio…»
«Mmmh…»
«Cosa?»
«Niente… è che “i miei parenti qui” ne sanno più di me, a quanto pare… dato che nemmeno io ero arrivata a quel punto della storia…»
L’espressione ghignante della misteriosa bionda si fece cattiva mentre si avvicinava di un altro passo alla ragazza la quale provò a celare il senso di terrore che le stava attanagliando le viscere.
«Oh, beh… ho una fervida immaginazione… e poi te l’ho detto… sono una vecchia amica di Damon»
«In queste ultime settimane ho avuto modo di conoscere un po’ di amici di mio padre… con chi ho l’onore di parlare?»
«Rebekah Mikaelson»
disse l’originale. Gli occhi di Jessica si spalancarono. Di fronte a sé aveva colei che era stata la causa dell’inferno di Elena.
«Devo dedurre, dalla tua espressione che, la mia fama mi precede… meglio così… mi risparmierai la parte in cui ti devo convincere che è meglio non sfidarmi…»
la canzonò, Rebekah. La ragazza trattenne il fiato e cercò di pensare razionalmente, senza farsi sopraffare dal panico.
«Cosa vuoi da me?»
le chiese, cercando di apparire più tranquilla di quanto non fosse in realtà.
«Da te? Niente… credo tu non abbia ciò che mi serve… ma sei un’ottima moneta di scambio per ottenerlo… quindi… che ne dici se io e te facciamo una chiamata al tuo paparino, muoio dalla voglia di sentirlo!»
«Credevo avessi detto che siete amici…»
«Beh… dipende da che tipo di definizione dai alla parola “amico”»
«Sicuramente la mia definizione non comprende il ricatto e la minaccia…»
rispose duramente, la giovane.
«Vedo che hai preso la stessa linguaccia lunga dal tuo paparino adottivo… chissà se ti ha trasmesso anche la sua stupidità nel voler fare lo spavaldo con le persone sbagliate! Sai… una volta mi sono divertita  a torturalo… la parte più esilarante è stata la manipolazione mentale: gli ho fatto credere che la sua adorata Elena fosse lì per lui, per salvarlo! Impagabile la sua espressione delusa nell’apprendere che era tutta un’illusione! Ma tranquilla… non ho intenzione di fare lo stesso con te. Userò, invece, esempi pratici… vediamo se abbassi la cresta!»
Jessica non ebbe il tempo di capire a cosa si riferisse che la vampira scattò ed arrivò dietro le spalle di Sean, rimasto in piedi in un angolo. Rebekah gli prese la testa tra le mani e gli spezzò il collo. Un urlo morì in gola alla giovane che guardò inerme la vita abbandonare gli occhi di quel padre che non avrebbe più avuto modo di conoscere. Fissò il corpo esanime a terra, rannicchiato come un ammasso di vestiti smessi. Il cuore accelerò il battito e le sembrò di sentire il rimbombo di quei colpi fino in testa. Era successo tutto così velocemente che faticò a realizzare fino in fondo l’accaduto.
«Ora… pensi di continuare con questo atteggiamento, o puoi fare a meno anche di una zia?»
la minacciò la bionda. Diana si lasciò sfuggire un gemito mentre fissava terrorizzata il cadavere del cognato.
«Ok! Ok! Cosa vuoi che faccia!»
esclamò la ragazza.
«Solo una chiamata… faremo due chiacchiere con Damon e poi, io, tu e la cara zia, andremo in un posto e passeremo un po’ di tempo insieme… quando avrò ottenuto ciò che voglio… potrete passare il resto dei vostri mortali giorni a parlare di questa magnifica esperienza…»
Jessica si morse l’interno del labbro e si costrinse ad ignorare il cadavere di Sean, si portò una mano al collo, staccò la catenina regalatale da Damon per il suo 5° compleanno, camuffando il gesto come uno spasmo d’ansia ed aprì la tracolla. Prese il cellulare da una delle tasche della borsa e fece scivolare, al suo posto, la collana. Porse il telefono a Bekah. L’Originale si avvicinò alla giovane e la soggiogò:
«Voglio che ti sieda accanto a tua zia, starai in silenzio finché non sarò io a dirti di parlare!»
Jessica obbedì. La bionda compose il numero ed attese la risposta.
La telefonata gettò nel panico Damon e quando chiese che gli passasse la figlia, Jessica sentì di doverlo rassicurare, doveva fargli capire che se la sarebbe cavata. Rebekah passò il telefono alla ragazza e lei rispose con più naturalezza possibile: «Hey D.! Inizio a capire perché sei scappato da questo posto…» gli aveva detto, senza riuscire a soffocare quel lieve tremore dovuto all’agitazione. Lui le promise che l’avrebbe salvata: quella era l’unica certezza che aveva. Usò quella ritrovata sicurezza per rispondere in maniera più calma e convincente: «Lo so… non ho paura…».
Quello scambio di battute innervosì l’Originale, che strappò il telefono di mano a Jessica.
Terminata la chiamata la vampira distrusse il cellulare.
«Nel caso in cui ti venisse in mente di fare qualche sciocchezza…»
commentò. La ragazza si voltò a guardare la zia che continuava a stare seduta, con gli occhi pieni di lacrime, tremante. Bekah doveva aver soggiogato anche lei, provò a sorriderle ed approfittando della distrazione della loro aguzzina articolò una  frase muta “ce la caveremo, ci salveranno”. La donna annuì senza troppa convinzione.
«Bene… qui abbiamo finito… possiamo andare»
«Dove?»
volle sapere la giovane.
«Lo scoprirai quando ci saremo arrivate… adesso alzatevi e seguitemi!»
ordinò la vampira e loro eseguirono il comando. Jessica lanciò un ultimo, breve, sguardo all’uomo che aveva pagato con la vita la spavalderia della ragazza. Si sentì vicina a Damon e al suo tormento di essere la causa dei mali scatenati dalle sue decisioni: ora più che mai capì come doveva essersi sentito il più delle volte. “Non è stata colpa tua, lo sai… l’avrebbe ucciso lo stesso… probabilmente ucciderà anche Diana… non è colpa tua! È lei che è una psicopatica” si disse. Non trovò nessun tipo di conforto in quelle rassicurazioni, però. Allontanò momentaneamente ogni tipo di emozione: aveva bisogno di essere forte, non poteva lasciarsi andare, non poteva darla vinta a Rebekah. Prese la mano della zia e cercò di infonderle un po’ di quel coraggio che era riuscita a raccogliere.
 
Damon fissava il buio, steso nel letto. Elena gli dormiva accanto. Ogni volta che provava a chiudere gli occhi vedeva il volto di Jessica in diverse versioni: terrorizzato, ferito, disperato… morto.
Scosse la testa, non poteva pensarci, non doveva pensarci! L’avrebbe salvata, sarebbe riuscito a metterla in salvo… doveva farlo! «Questo è quello che fai, Damon… tu salvi le persone…» gli aveva detto Elena, poco prima che il mondo tornasse a bruciare nel fuoco dell’inferno.
«Dovresti provare a dormire un po’»
La voce della vampira arrivò improvvisa a tirarlo fuori da quell’uragano di terrore.
«Vale lo stesso per te»
ribatté lui. Elena accese l’abat-jour e si girò a cercare il viso del suo uomo.
«Avremo bisogno di tutta la forza necessaria per riuscire a trovare e salvare Jessica… un po’ di riposo ti serve!»
«Lo so… lo so… è solo che… quando provo a chiudere gli occhi…»
«Damon… Jess è forte, se la caverà… Rebekah non le torcerà un capello, è la sua unica carta contro di noi»
«Lo è?»
chiese lui. Lei lo interrogò con lo sguardo.
«Se vuole colpirmi… se vuole ricattarmi… ora ha un’intera schiera di persone che può uccidere affinché io obbedisca… Jess è sacrificabile»
le spiegò, inorridendo lui stesso per quel pensiero orribile. La vampira gli mise una mano sul petto e si avvicinò al viso di lui.
«Noi le serviamo per recuperare Kalus… e mi farei ammazzare seduta stante se facesse del male a Jess… credo lo stesso valga per te…»
«Due su sette…»
«Moriremmo tutti, piuttosto… siamo una famiglia, Damon! Cerca di abituarti in fretta all’idea!»
Il vampiro espirò cercando di placare i pensieri che vorticavano frenetici, lei lo baciò teneramente.
«Dobbiamo essere i primi a credere che vinceremo! Non possiamo pensare al peggio sin da ora… fidati di me…»
lo supplicò. Lui la  strinse a sé.
«Ti amo»
le sussurrò. Si incastrarono in un abbraccio,  nella pace scaturita da quel contatto, riuscirono ad addormentarsi. La notte di Damon fu inaspettatamente priva di incubi, ma un senso di angoscia lo accompagnò nei suoi sogni grigi.
Quando il sole sorse a ridestarlo, ci fu una frazione di secondo in cui pensò di aver immaginato tutto.
Sperò si trattasse di un nuovo scherzo della sua mente, incapace di accettare che le cose potessero semplicemente andare bene, ma negli occhi di Elena vide la stessa angoscia che lo aveva guidato quella notte. Lei provò a sorridergli e lui le accarezzò il viso.
Scesero in salotto, trovando la banda già riunita. Si erano messi tutti in moto per decidere il da farsi: Stefan, Caroline e Meredith studiavano la cartina per decidere come muoversi. Liz stava visionando i video delle telecamere di sicurezza poste nell’area intorno ai boschi e Bonnie, insieme alla piccola Jenna, cercava incantesimi nei grimori.
«Buongiorno!»
li accolse Care, porgendo loro due tazze di sangue.
«Buongiorno… cos’è questa task-force?»
chiese intontita, Elena.
«Beh… non c’è tempo da perdere… prima sottraiamo Jessica alle grinfie di quella psicopatica, prima potremo farle il culo!»
esclamò la bionda. Damon la guardò interdetto, tra tutte le persone in quella stanza, l’ultima da cui si sarebbe aspettato tanta passione per salvare sua figlia, era Caroline. Con Jess non avevano iniziato nel migliore dei modi, eppure era riuscita a far breccia anche in lei. Pensare alla capacità della giovane di conquistare le persone gli procurò un dolore in fondo all’anima. Scosse la testa e si avvicinò al fratello.
«Quanto tempo credi ci impiegheremo?»
si informò.
«Dipende da quanto siamo fortunati con la ricerca… potremmo metterci un paio d’ore, così come potremmo impiegare un paio di giorni…»
rispose, Stefan.
«La fortuna… quella puttana non è mai stata una mia fan!»
commentò sarcasticamente il più grande dei Salvatore. Meredith gli mise una mano sulla spalla e lo rassicurò:
«Faremo più in fretta possibile…»
«Hey… ho trovato qualcosa!»
esclamò Liz.
«Dicevi della fortuna?»
ironizzò, Elena. Tutti corsero intorno all’ex sceriffo che girò il computer e mostrò loro il filmato in cui si distinguevano tre donne: una bionda, una ragazza dai capelli ricci ed una donna sui sessant’anni. Camminavano in direzione sud-est del bosco.
«Da quella parte… ci sono…»
iniziò a dire, Bonnie.
«Le grotte»
finì per lei Damon. Poi aggiunse:             
«Bene… voi perlustrerete in maniera veloce il resto della foresta, per non lasciare niente al caso. Quella stronzetta bionda è capace di averlo fatto apposta a passare davanti alle telecamere… io ed Elena inizieremo a dare un’occhiata alle grotte, quando avrete la certezza che non sono da nessun’altra parte, raggiungeteci»
«Credi sia il caso di dividerci?»
chiese, Caroline.
«Dobbiamo… non faremo niente di stupido… ma se Jessica è in quelle grotte, dobbiamo scoprirlo subito»
le rispose.
«Io chiederò agli spiriti un po’ di potere extra… magari riesco a lanciare un incantesimo di protezione»
comunicò la strega. Tutti annuirono.
«Dov’è Jeremy?»
si informò, Elena.
«Sono qui!»
la voce del fratello risuonò forte alle loro spalle. Si voltarono e videro l’uomo tenere in mano un cofanetto di legno.
«Sono andato a recuperare qualcosa che potrebbe esserci utile»
disse, posando il contenitore sul tavolino. Il gruppo gli si riunì intorno, a cerchio. Lui sollevò il coperchio e osservarono con stupore cosa c'era al suo interno.

   
 
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