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Autore: lilyhachi    06/04/2013    5 recensioni
(STORIA IN REVISIONE)
(What if; Killian Jones/Ariel; spoiler seconda stagione)
Visto che la Sirenetta dovrebbe apparire nella terza stagione e che adoro Hook, ho provato ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se le strade di questi due personaggi si fossero incrociate prima (precisamente sull'Isola che non c'è) e su come la presenza di Ariel potesse "incastrarsi" con gli eventi della prima e della seconda stagione. Spero tanto che vi piaccia e vi auguro buona lettura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

Under the sea
 
Ariel, ascolta: il mondo degli umani è un pasticcio.
La vita sotto il mare è meglio di ogni cosa abbiano lassù!”.
 
Ariel tornò in acqua, sconsolata. Da molto tempo stava osservando la Jolly Roger, incantata e incuriosita da quella vita, quella vita fuori dall’acqua di cui lei non aveva alcuna idea e soprattutto, incuriosita dal Capitano della nave. Ricordò la prima volta che l’aveva visto, con la sua barba ben curata ed i suoi occhi azzurri, quasi di ghiaccio. Ma ciò che aveva attirato la sua attenzione era stato senz’altro l’uncino che sostituiva la mano sinistra, portandola a chiedersi quale fosse il motivo per cui il Capitano aveva perso la sua mano, sostituendola con un uncino.
A catturare l'attenzione di Ariel erano stati – tuttavia – anche i suoi occhi, così penetranti. Si era chiesta quale storia si celasse dietro quegli occhi, che vita avesse condotto ... come se fosse una mappa tutta nuova da leggere, una delle varie chincaglierie che scovava nelle profondità del mare, chiedendosi cosa fossero e quale fosse il loro utilizzo. Solo che quella era una persona, una persona con una storia, una vita e lei avrebbe voluto esserne a conoscenza, come sfogliare le pagine di un libro. I suoi uomini lo trattavano con un rispetto che forse aveva origine anche dalla paura, come se un suo gesto bastasse a tenerli tutti in pugno, costantemente sul filo del rasoio. Ariel si chiedeva, nel profondo del suo animo, se un uomo del genere avesse mai provato amore in vita sua.
Era bello oltre ogni dire, e lei non si era mai sentita così, come se volesse conoscere qualcosa tanto profondamente e con curiosità. Non le era rimasto niente di lui, se non il ricordo del suo viso ed una collana che aveva perso mentre Ariel lo riportava in superficie, salvandogli la vita.
Era strana come collana e aveva un teschio come pendente: abbastanza singolare come collana ma Ariel decise che l’avrebbe tenuta, come fosse uno dei tesori che trovava sul fondo del mare. Forse avrebbe potuto restituirla, qualora lo avesse incontrato. Ma quando abbassò lo sguardo, le venne in mente il motivo per cui le sarebbe stato difficile incontrarlo ancora: la sua coda.
“Se solo avessi le gambe sarebbe più facile” sospirò la ragazza, scoraggiata. Sarebbe stato più facile fare qualsiasi cosa, come muoversi liberamente sulla terraferma, scoprire tutte quelle meraviglie a lei così sconosciute, esplorare quel mondo che si estendeva ben oltre i limiti prestabiliti dall’acqua.
Voleva sapere cosa ci fosse al di là dell’acqua, quali altre meraviglie nascondesse quel mondo da cui suo padre cercava costantemente di tenerla separate, tarpandole le ali o – in quel caso – la coda.
La curiosità scaturita dalla vista del Capitano era soltanto uno dei tanti quesiti che occupavano la sua mente curiosa e desiderosa di risposte, oltre che di libertà. Voleva solo essere libera di recarsi ovunque, di soddisfare quella brama che le ardeva violentemente nel petto.
“Ehi, Ariel!” Una voce la ridestò improvvisamente dai suoi pensieri. Ed ecco un altro dei suoi problemi: Sebastian, il granchio costantemente incaricato da suo padre di osservarla e fare in modo che non si recasse mai in superficie. Era seguito dal migliore amico che Ariel potesse mai desiderare, Flounder, un pesce che era l'unico in grado di accettare la sua passione per il mondo esterno, la sua curiosità e le domande costante, accettando di seguirla nelle sue imprese in avanscoperta. “Ariel”, cominciò il granchio, “Faremo finta che tutto questo non sia mai accaduto. Se tuo padre venisse a sapere che sei uscita in superficie nessuno di noi farà una bella fine”.


Era passato qualche giorno da quando Ariel era uscita in superficie, ed i suoi pensieri correvano continuamente a quel giorno, all’incontro – seppur avvenuto in circostanze infelici – con il Capitano della Jolly Rogers. Il suo comportamento era spensierato e felice, poiché non faceva altro che scorrazzare e volteggiare per il palazzo, canticchiando, ed attirando l'attenzione di suo padre e delle sue sorelle, che avevano certamente notato come il suo comportamento avesse qualcosa di anomalo. Infatti, erano state proprio le sue sorelle maggiori a far notare ciò al re Tritone.
Mentre Ariel sprizzava felicità da tutti i pori, Sebastian la osservava, preoccupato al pensiero che il padre, che il Re del Mare, scoprisse cosa fosse successo a sua insaputa. Le sue paure si realizzarono nel momento in cui venne convocato dal Re Tritone che cominciò a scrutarlo con sguardo severo e insieme angosciato. Il povero granchio cominciò a tremare e, cercando di mantenere il controllo, cominciò a ripetere a se stesso di stare calmo per non tradirsi in alcun modo.
“Sebastian” cominciò il re del mare “ti ho voluto vedere perché Ariel sembra molto strana ultimamente, con la testa tra le nuvole, come se le fosse successo qualcosa”. Intanto, Sebastian deglutì, ripetendo a sé stesso di non pronunciare la parola pirata. Il Re, intanto, continuò a parlare.
“Non te ne sei accorto?”.
“Beh, io...”, rispose il povero granchio senza finire la frase. Non sapeva davvero cosa inventarsi e non era mai stato molto bravo ad improvvisare. Vedendo la sua incertezza, il Re del Mare gli fece segno di avvicinarsi, intimorendolo maggiormente.
“Sebastian, sono sicuro che tu mi stia nascondendo qualcosa riguardo ad Ariel”.
Il granchio cominciò a tremare. “Ariel?,” chiese in un sussurro.
“Ha combinato qualcosa?”, chiese infine Tritone. A quel punto, Sebastian scoppiò.
“Ho tentato di fermarla, sire. Le ho detto di lasciar stare quel pirata ma non ha voluto ascoltarmi”.
Alla parola “pirata”, il Re impallidì, mutando espressione.
“Pirata? Cosa centrano i pirati adesso?”.
Dire che il Re era furioso era ben poco e Sebastian cominciò a realizzare di aver fatto proprio un gran bel pasticcio mentre l’altro lo guardava con un’occhiata furente, realizzando come sua figlia fosse uscita in superficie nonostante i suoi ordini e come fosse – peggio ancora – venuta a contatto con un pirata, la feccia della peggior specie. E se le fosse successo qualcosa? Se l’avessero vista e catturata, facendo di lei un fenomeno da baraccone? Una forma di intrattenimento per gli umani?

Intanto, Ariel passava il tempo nella sua caverna delle meraviglie insieme a Flounder, ignara di cosa fosse appena successo a poca distanza da lei senza mai smettere di sorridere. Forse non sarebbe mai uscita realmente in superficie, forse non avrebbe neanche mai rivisto il Capitano o quel mondo sconosciuto che tanto agognava ma le restava pur sempre il diritto di sognare ad occhi aperti. Flounder, invece, non faceva altro che prenderla in giro in modo bonario, canzonandola per tutti gli oggetti del mondo esterno che era riuscita a trovare. In quella caverna c'era davvero di tutto, dai libri agli oggetti più piccoli. Ciò che più affascinava Ariel era un carillon che aveva ritrovato sul fondo dell'oceano. Quelle poche volte che si sentiva felice, girava la piccola leva che si trovava sotto al carillon e si metteva in ascolto, osservando le due figure del carillon che si muovevano, lasciandosi cullare dalla musica e sognando posti lontani e meravigliosi con la speranza, un giorno lontano, di poterli scoprire tutti e potersi muovere tra essi in completa libertà.
Quella sera, immaginò di essere al posto della ballerina del piccolo carillon. Le sarebbe piaciuto così tanto imparare a ballare, muovere i piedi a piccoli passi senza curarsi di nient’altro che non fosse la musica. Erano tante le cose che avrebbe voluto fare. La forza di volontà non le mancava, ma forse si era persa da qualche parte nei meandri del suo cuore. Una piccola parte di lei non faceva altro che darle sconforto, ripetendole quanto fosse un'illusa, una bambina che sognava le cose più assurde e irrealizzabili. Tuttavia, Ariel sentiva che dovesse esserci un motivo per cui fosse venuta al mondo, un motivo che andava ben oltre il mare, il mondo nel quale era nata e cresciuta. Sentiva di essere destinata a qualcosa di più grande, una felicità che lì forse non avrebbe trovato, avventure che lì non avrebbe potuto vivere, non quando suo padre controllava ogni suo movimento.
Da quando aveva salvato quel pirata, si sentiva quasi più speranzosa, come se quella fosse soltanto la punta dell’iceberg, il principio per qualcosa di molto più grande e importante che presto le avrebbe stravolto la vita. Ma in quel momento, purtroppo, qualcosa di diverso venne a stravolgere la giornata: suo padre. Ariel lo vide, all'ingresso della caverna, con lo sguardo a dir poco imbestialito. Dietro di lui c'era Sebastian, impaurito e tremante.
“Papà”, cominciò Ariel con tono allarmato. Non sapeva della caverna e Sebastian aveva sicuramente cantato. Nulla sul suo viso prometteva qualcosa di buono.
“Ho stabilito delle regole, Ariel”, cominciò Tritone con tono a dir poco severo. “E' vero che hai salvato un umano che stava per annegare? Anzi, peggio! Un pirata?!”.
“Ma papà ho dovuto farlo. Non potevo lasciarlo morire!”.
“Lo sai come sono i rapporti con il mondo in superficie”, tuonò il re, “gli umani sono già spregevoli, e tu ne hai salvato uno della peggior specie. Sono selvaggi, incapaci di qualsiasi sentimento. Sai cosa ti avrebbero fatto se ti avessero vista? Ti avrebbero catturata!”.
“Ma papà … tu non capisci. Non li conosci nemmeno, non puoi pensare che gli umani siano tutti così, che i pirati siano tutti così. Non sei neanche mai uscito in superficie”.
Alla ragazza le parole erano uscite di getto, senza che se ne rendesse conto.
Lo aveva detto davvero? Sembrava di sì. Perché quelle poche parole erano bastate ad aumentare l'ira già evidente di suo padre, mentre Sebastian e Flounder si erano nascosti in un angolino.
“No”, cominciò lui, “hai perso completamente la testa. Non sai cosa voglia dire, sei soltanto una bambina con la testa piena di frottole e fantasie. Non sai cosa sia la vita reale”.
“Non sono frottole” rispose lei. “Voglio vedere il mondo e tu non puoi impedirmelo”.
A quel punto la situazione prese una brutta piega. Il Re cominciò a distruggere, con la magia del suo tridente, tutto ciò che c'era all’interno della caverna, tutti i tesori tanto cari ad Ariel mentre la ragazza gli urlava disperatamente di smetterla, di fermarsi ma il Re era sordo ad ogni richiamo. Ariel non faceva altro che urlargli più volte di smettere ma senza alcun risultato. Una volta che la sua furia distrutta fu scemata, voltò le spalle a sua figlia, uscendo dalla caverna senza guardarsi indietro. Ariel aveva assistito alla distruzione di ogni singolo oggetto che aveva raccolto con impegno e speranza, ma in quel momento, mentre i cocci occupavano tutta la superficie della caverna, poté sentire il suo cuore spezzarsi andando a fare compagnia a quei cocci, insieme alla speranza che l'aveva invasa poco fa. Nemmeno il carillon era stato risparmiato.
E quando Ariel vide le due figure del piccolo oggetto separate e quasi del tutto distrutte si sentì ancora più male. Poteva andare peggio? Probabilmente no. Gli occhi le si gonfiarono per le lacrime e si accasciò a terra, scoppiando a piangere. Poteva sentire la presenza silenziosa di Flounder e anche quella di Sebastian. In quel momento, i suoi occhi rossi si soffermarono sull’unico oggetto superstite: la collana del Capitano, al quale Ariel si aggrappò come una roccia a cui appigliarsi nella tempesta, come un’ancora. Ebbe la sensazione che quello potesse essere, in qualche strano modo, il suo lasciapassare per una fuga, qualcosa che avrebbe potuto condurla dove desiderasse. La strinse, come a voler trovare la forza necessaria per compiere quel passo che si era sempre guardata dal fare, quella decisione che non aveva mai avuto il coraggio di prendere. E adesso, stanca di restare reclusa, stanca di sentirsi prigioniera in quella che doveva essere la propria casa, Ariel fece la cosa che aveva sempre desiderato fare da un po’ di tempo a questa parte: fuggire da quel luogo.
Si mise la collana al collo e cominciò a nuotare senza ben sapere dove si stesse dirigendo, sapeva solo di doversi allontanarsi. Non si voltò nemmeno per accertarsi che Flounder e Sebastian la stessero seguendo, ma conoscendoli, intuiva che fossero rimasti il più lontano possibile, lasciandola sola come Ariel sarebbe voluta essere in quel momento. Nuotò sempre più verso l'alto, fin quando non riuscì a scorgere una scia luminosa proveniente dalla superficie: il sole. La seguì, accorgendosi di come la distanza che la separava dal mondo esterno fosse sempre più corta e, così, e decise di annullarla. Si fermò per un breve istante, come se una scintilla di incertezza le avesse scosso le membra, rammentandole cosa stesse per fare. Ma Ariel allontanò ogni pensiero e uscì con la testa fuori dall'acqua. Prese una boccata d’aria. Era una sensazione indescrivibile che la riempiva ogni volta così come l’aria le riempiva i polmoni, dandole quel guizzo di liberà di cui necessitava.
Si guardò intorno, ammirando l'Isola Che Non C'è. Si voltò verso la spiaggia, contemplando l'ambiente fresco e quasi rigenerante, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un giovane era seduto sulla riva, completamente solo. Spinta dalla curiosità, pensò di avvicinarsi ma prima che potesse fare qualcosa, fu il ragazzino ad accorgersi della sua presenza,
“Ehi”, la chiamò lui, scattando in piedi e sporgendosi con espressione preoccupata. “Serve aiuto?” Le venne da sorridere per quella gentilezza ingenua del ragazzo.
“Oh, ti ringrazio ma sto bene”, rispose lei con un sorriso mentre il ragazzo si faceva più vicino.
Quando il giovane intravide la coda, sbarrò gli occhi, cominciando ad indietreggiare leggermente come se avesse visto uno spettro. “Non proverai ad affogarmi vero?”.
Ariel scoppiò a ridere di gusto. “Perché dovrei?”
Lui la fissò, per nulla rassicurato da quella risposta.
“Perché l'ultima volta che ho visto una sirena, ha cercato di affogarmi”.
“Io non voglio fare del male a nessuno”, rispose Ariel con tono gentile.
Il ragazzo continuò a scrutarla, inarcando un sopracciglio.
“Perché sei in superficie? Non vi si vede spesso”.
Ariel sorrise amaramente. “Volevo una boccata d'aria”.
“Non sembri molto felice”, constatò lui, “qual è il problema?”.
Ariel lo guardò e, prima che se ne accorgesse, le parole lasciarono le sue labbra.
“Vorrei essere semplicemente al tuo posto”.
Lui corrucciò lo sguardo, curioso. “Non ti piace la vita in fondo al mare?”.
“Non è male”, provò a dire Ariel. “Solo che vorrei solo … libera”.
“E non lo sei?”, domandò lui, stralunato. “Insomma, sei una sirena. Sei libera di scorazzare dove vuoi, di muoverti per tutto l’oceano. Deve essere meraviglioso, nessuno ti dice quello che devi fare o dove devi andare. Penso sia bellissimo vivere lì … non è così?”.
“Forse dipende dai punti di vista”, spiegò placidamente lei. “Nel mio caso, non proprio”.
Il giovane, nel frattempo, era tornato a sedersi, e ascoltando le parole di Ariel aveva cominciato a frugare in una piccola borsa che teneva appesa al bordo della cintura. Da lì prese un sacchettino e lo porse alla ragazza, che lo guardò, perplessa “Cos'è?”.
“Polvere di fata”, rispose lui con un sorriso “Prendila. Serve più a te che a me”.
Ariel non riusciva a capire. “Polvere di fata?”.
“Credo possa aiutarti ad ottenere la libertà che cerchi”, spiegò lui con un sorriso.
“Ma … ma io non ho nulla da darti in cambio”, spiegò lei, sempre più confusa da quella improvvisa e ingiustificata forma di gentilezza da parte di quel ragazzino che la stava offrendo ciò che – a tutti gli effetti – sembrava proprio un modo per ottenere quella libertà tanto agognata.
Il ragazzo, allora, la invitò ad avvicinarsi alla riva, in modo che si vedesse meglio la coda e, mentre Ariel continuava a scrutarlo con attenzione, lui aprì il sacchetto cominciando a riversare il contenuto sulla coda. Ariel osservò i minuscoli granelli di polvere – della stessa consistenza della sabbia – disperdersi nell'aria per poi posarsi sulla sua coda che venne ben presto sostituita da un paio di gambe magre e longilinee. Gambe. Ariel sfarfallò le ciglia, incredula.
Il ragazzino avvampò, dato che Ariel non indossava vestiti, e si voltò di scatto.
Le porse un ricambio che teneva nella borsa, sperando che potessero andarle.
“T-tieni” sussurrò imbarazzato. Ariel indossò i suoi vestiti, emozionata.
“Ho … ho le gambe. Come potrò mai ringraziarti?” chiese la ragazza evidentemente felice.
Si alzò quasi a fatica, reggendosi allo scoglio.
“Non devi” rispose il ragazzo, facendo spallucce
“Ma adesso non hai più polvere per te” esclamò Ariel mortificata.
“Te l’ho detto. Serviva più a te che a me” rispose lui in tutta sincerità. “La magia ha fatto abbastanza per me. Se può aiutare qualcun altro, ne sono più che felice”.
Il ragazzino, d'un tratto, si voltò, distratto da un trambusto alle loro spalle.
“Forse devo andare”, esclamò. “Tu cosa farai ora?”.
Ariel gli sorrise, un po’ impaurita ma eccitata. “Saprò cavarmela”.
Lui ricambiò il sorriso e cominciò ad allontanarsi, per poi voltarsi di scatto come se avesse dimenticato qualcosa. “Ehi! Come ti chiami?”.
La ragazza gli sorrise nuovamente. “Ariel! E tu?”.
“Buona fortuna, Ariel”, cominciò lui. “Io sono Bae”.
Detto questo, cominciò di nuovo ad allontanarsi mentre Ariel lo salutava da lontano.
Bae: non avrebbe dimenticato quel nome.
Si voltò verso il mare, scorgendo in lontananza una nave dall’aspetto familiare.
 

Angolo dell'autrice:

- Come spero abbiate letto, ho deciso di inserire anche Flounder e Sebastian. Onestamente non sapevo come altro renderli se non come pesce e granchio..quindi spero di non aver scritto cose orride xD ;
- non ho inserito Ursula, semplicemente perchè, data la presenza di già abbastanza cattivi/rompiscatole tipo Regina, Rumple e Cora (giusto per dire qualche nome a caso u.u) lei mi sembrava di troppo. E non ho nemmeno reso nessuno di loro come Ursula perchè stando a Neverland la situazione è un pò più complicata e fastidiosa u.u ;
- mancando Ursula, qualcuno doveva pur far diventare Ariel umana, no ? Così dopo aver esplorato varie opzioni quali ipotetiche fate madrine acquatiche (questa è ridicola, lo so u.u), pozioni spuntate dal nulla, semplice principio secondo cui ad una sirena che esce dal mare spuntano la gambe (tipo Pirati dei Caraibi xD), ho deciso di permettere a Bae (che d'altronde si trovava lì) di fare una buona azione :).
Mi scuso nuovamente se posso aver scritto qualche cavolata e spero tanto vi piaccia :3

 
   
 
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