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Autore: Inivas    06/04/2013    1 recensioni
Sono passati più di dieci anni dall'ultima volta che ho visto la luce del sole, percepito il calore e sentito il soffio del vento su di me, ma non percepisco alcuna emozione. Nulla. Sono vuoto, e davanti a me vedo solo un buio infinito... poi vedo quel bambino e il buco nero che mi aveva oppresso per tutti quegli anni mi schiacciò con il suo ricordo e il ricordo del sangue, di quel sangue ...
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono passati più di dieci anni dall’ultima volta che ho visto la luce del sole, percepito il calore e sentito il soffio del vento su di me. La pioggia cade sulla mia pelle ora, so che le gocce mi toccano, mi bagnano e percorrono i miei zigomi, ma non percepisco alcuna emozione. Nulla. Sono vuoto, e davanti a me vedo solo un buio infinito.
L’oscurità viene scalfita dai grattacieli che svettano sopra di me, luci lontane.
I sobborghi e le vie delle periferie al suolo sono piene di rifiuti. Io sono uno di loro.
Quando uscii dal “buco”, il mondo intero mi parve un luogo sconosciuto, il sole non sorgeva più e la vita si era congelata. Non riconoscevo più il mio mondo, mi nascosi dallo sguardo malvagio della gente e vagai per l'immensa metropoli, lontano da tutti, sì, ma per non fare ciò che la prigione aveva almeno assopito.
Sono passati più di dieci anni dall'ultima volta che ho assaporato il sangue.
L'oscurità è mia amica, una coperta calda per le giornate fredde, e nella mia vita tutti i giorni sono divenuti ghiacciati. Vedevo oltre le nuvole la vera metropoli abbagliare in sfavilli le nuvole nere, un tempo anche lui viveva in un luogo simile, aveva una famiglia, un lavoro e una dignità. Al suo fianco ora vedeva solo cassoni sudici, ruscelli di melma che scorrevano verso abissi putridi. Non sentiva però l'opprimente depressione che avvolgeva la sua mente, ma solo quel costante ronzio, ticchettio che era il suo cuore maledetto, che reclamava sempre più quell'unico desiderio, aveva fame e l’aveva da sempre.

Avrebbe ricordato per sempre quel buio, un’oscurità più cupa della morte, un freddo che ti penetrava dentro e ti spezzava, tutto nel “buco” ti toglieva la vita, ti rendeva non più un essere umano, ma niente. Se lo meritava lo sapeva, aveva atteso la sua morte ogni giorno, ma lei non arrivava, rinchiuso nel suo fosso si disperava per la fame, per ciò che aveva fatto e chiedeva la sua fine. Poi una corda scese su di lui e venne la “libertà”, lo avevano lasciato andare.
Allora seppe, sotto il mondo cui era vissuto ne esisteva un altro, dove i reietti della civiltà venivano gettati a marcire, erano esperimenti usciti male e lasciati andare ormai inutilizzabili.

Mentre fissava quel bimbo, la pioggia si univa con le lacrime che gli bruciavano la pelle, sapeva che i suoi occhi neri ora stavano tingendosi di un rosso cremisi e fiammante, come vene di lava che lente ricoprivano il suolo. I suoi denti stavano divenendo migliaia, sottili, minuscoli e letali rasoi, sentiva le ossa scricchiolare mentre le mani si allungavano in artigli acuminati. Il bambino rimase con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
- Cosa ci fai qui!-.
Il suo urlo fece indietreggiare il piccolo che si appiattì alla parete di un alto palazzo, emettendo un gemito soffocato.
- Perché sei venuto qui! Non dovresti starci!-.
Le ultime parole gli uscirono in un misto di terrore e sgomento, scosse da una disperazione che lo avevano spinto al pianto. Più si arrabbiava contro quella povera creatura e più sentiva il suo sangue, così profumato e invitante, pulsare caldo nelle piccole vene.
- Ti prego vattene, non voglio farlo. Non voglio farlo ancora!-
Di nuovo il piccolo umano sobbalzò, ma non si mosse schiacciandosi ancora di più sulla parete come se quei mattoni potessero salvarlo. Si stava avvicinando, non riusciva più a controllare il suo corpo, vedeva solo quel gracile collo pulsare violento, con mani ferme artigliò il bimbo schiacciandolo contro il muro. Con le lacrime sempre più copiose che gli scioglievano la pelle, appoggiò la fronte sulla parete aprendo e chiudendo quella sua bocca maledetta. Lottava contro se stesso, quel suo nuovo essere che non distingueva tra bambini e adulti, tra giusto e sbagliato, tra umano e no. Era solo una bestia.
Urlò dando una testata al muro, ne diede un'altra, e un'altra ancora. Urlava stringendo quella dolce creatura che tremava impaurita, lanciando striduli gridolini e piangeva.

Suo figlio piangeva mentre gli stava stritolando il braccio, lo chiamava, vedeva la sua bocca muoversi e chiamarlo. Vedeva la sua paura piegarlo e le lacrime grandi come pugni cadere sul tappeto ricoperto di sangue. La donna giaceva esanime sul letto zuppo di quel liquido nauseabondo e appiccicoso, così caldo e piacevole, dolce e gustoso. Con un colpo tranciò il braccio al, fiotti violenti imbrattarono il suolo, e poi freddo come l'acciaio affondò le sue zanne in quel tenero collo succhiando via la sua vita.
Quando la fame cessò e il suo vero io rinsavì e vide quel massacro, non resse. Impazzì, il delirio lo prese, tentò di togliersi la vita ma lo presero prima che potesse.

Conviveva con quel tormento da dieci anni, il terrore di poter rifare quell'atto lo dilaniava. Aveva voluto uccidersi ogni singolo giorno di quella miserabile esistenza, e ora invece stava per ripetere quel crimine.
Con uno sforzo immane si staccò dal bimbo, allentò la presa fino a lasciarlo libero e poi con un passo indietro cadde per terra. Sentiva nella sua testa come un'opprimente forza, come... sì, volontà. Il piccolo si accasciò, sconvolto e tremante.
- Devi allontanarti da me, devi andartene da questo posto maledetto-.
Il bimbo annuì fissandolo intensamente, mentre con raccapriccianti suoni sordi le sue membra tornavano umane così come i denti e gli occhi. Un passo strascicato gli giunse alle orecchie, un mugolio e un altro passo, con uno scatto si alzò in piedi e prese il bambino per la mano, si diresse nella direzione opposta a quella da cui proveniva il movimento, ma appena superò il primo cassone due uomini dai volti cinerei lo bloccarono. I loro sguardi erano fissi sul bimbo che si stringeva a lui come fosse il suo genitore anche se un attimo prima aveva tentato di ammazzarlo, una forza e uno strano calore lo inondarono caricandolo e dandogli coraggio, donandogli una speranza.
-Andatevene!-.
Urlò digrignando subito i denti aguzzi. I due lo squadrarono un secondo per poi ridere e continuare ad avanzare. Atterrito, si voltò e corse dalla parte opposta ma, come temeva, anche lì altri due si stavano avvicinando a loro. Avevano tutti e quattro le bocche spalancate su abissi rossi e marcescenti, rivoli di sangue nero colavano dagli angoli delle labbra.
-Nasconditi-.
Disse al piccolo sospingendolo verso un cassone, quando fu al sicuro lasciò che la belva si liberasse e con un ringhio assordante si preparò a lottare. In un attimo si lanciò su uno di loro dilaniandogli la trachea con gli artigli e subito fu addosso anche all’amico, vide con la coda dell'occhio gli altri due che si lanciavano sul bimbo. Saltò, e rapido, gli fu addosso, gli artigli dei tre s’intrecciarono. I denti sibilavano e i colpi risuonavano come tuoni. Gli echi risalivano verso le nuvole, lampi proruppero nel cielo accecando nell'oscurità e i tuoni scrosciarono. La pioggia prese a tempestare nella via, il sangue di quelle belve veniva lavata dai ruscelli in fiumi neri, con un ultimo colpo affondò le dita nel petto scarno dell'ultimo uomo. Respirava furiosamente, sollevando nuvole candide verso il cielo alzò la testa e sulle pareti vide decine di occhi fissarlo. Con un unico ringhio sibilante le bestie si lanciarono su di lui, come saette lo colpirono da ogni direzione. Lui artigliava, spezzava e infrangeva tutto quello che riusciva. Afferrò al volo il braccio di una donna e la scaraventò addosso agli altri e approfittando del caos si gettò nella mischia tranciando tutte le gole che aveva a tiro. Un colpo alla schiena lo scaraventò contro la parete, senza lasciarsi sopraffare scattò contro le bestie che fameliche già avevano accerchiato il bambino, che invece di stare nascosto si era avvicinato a una di loro. Con un urlo disumano si lanciò sul mostro e afferrandogli la gola lo sbatté al muro staccandogli la testa di netto. Sentì un sibilo stridulo sopra di lui e quando alzò lo sguardo una di loro si gettò dalle scale antincendio, si intrecciarono con gli artigli e si schiantarono al suolo. Si scaraventarono entrambi contro la parete. La donna fu svelta e scattò di nuovo, con uno squarcio le loro maglie sudicie caddero a terra mentre grandi ali membranose si distendevano nella pioggia. Con un battito le fu subito addosso scagliandola contro le scale di ferro. La donna gli affondò gli artigli nel braccio e sbattendo le sue ali volarono in alto, lottando per cercare di sovrastare l’altro. Le ali sbattevano l'una contro l'altra, gli artigli dilaniavano la pelle e i denti squarciavano le membra; sbatterono contro una parete e poi contro la scalinata, salendo vorticosamente. La donna riuscì ad avvinghiare tra le sue zanne un’ala che con un suono lacerante e macabro la staccò dalla scapola. Subito il volo divenne convulso e disordinato, strisciarono contro il muro per poi perdere quota. Le ali si torsero fino a rompersi tra le sbarre e i mattoni. Sentì la mano di lei trapassare il suo petto, il dolore fu lancinante e si sentì improvvisamente lontano, come se scivolasse via, con un ultimo sforzo affondò le dita nella gola della donna. Vide le mura, il cielo e il suolo vorticare lentamente, poi più nulla.
Con un boato assordante si schiantarono al suolo, le ossa si fracassarono e i loro organi si sparsero sul cemento melmoso.
Sentiva il ronzio, quel ticchettio che odiava, assopirsi in lui. Cominciava a perdere la vista, non sentiva più il suo corpo, la mente distante. Vide stagliarsi sopra di lui il viso angelico del bimbo che gli sorrideva con denti sottili e si avvicinava. Sentì da lontano il rumore fioco della carne che si dilaniava e poi la sua vita che veniva succhiata via.

Dopo dieci anni, sorrise.
  
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