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Autore: Lady Yoritomo    06/04/2013    0 recensioni
Un chierico con un piccolo problema a contenere la sua collera. Una giovane Githyanki in fuga dal suo piano perchè odia il rigore militare. Uno stregone che da una vita spaccia la prestidigitazione per magia. Un ladro Tiefling, signore del mercato nero e desideroso di arricchirsi. Poco accomuna questi quattro, almeno fino al momento del loro fortuito incontro.
La chiesa di Pelor ha bisogno di un valoroso gruppo di mercenari per recuperare un prezioso e pericoloso manufatto, sottraendolo alle grinfie della malvagia Cerchia Interna, una setta devota al Dio dei Rasoi... ma sarà tutto così semplice come viene prospettato ai quattro eroi? Chi tira veramente le fila della chiesa di Pelor e quali forze si stanno muovendo segretamente?
Trascrizione di una campagna di D&D 3.5 giocata di recente. Nota: alcuni nomi di personaggi sono stati presi in prestito da altri già esistenti, causa poca fantasia del master (che non sono io!).
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
«Come andiamo, oggi, Ginshath?» la voce del drago suonava strana, una nota inusuale nel suo solito timbro compassato fece preoccupare la giovane Githyanki.
«Niente di nuovo.» mormorò Gin in risposta, rivolgendo poi uno sguardo interrogativo alla grande bestia. Il drago rosso se ne stava accoccolato nella caverna troppo piccola per la sua mole mastodontica, il grosso capo poggiato sulle zampe anteriori con aria indolente, un sopracciglio sollevato in direzione di Gin. «Karth, cosa mi stai nascondendo?» gli chiese.
«Sei troppo presa dalla tua ricerca.» le rispose lui, con aria di rimprovero. «Non ti sei presa il tempo per meditare, né per sentire il sangue di drago dentro di te.»
«Karth, non lo sento da anni, cosa vuoi che cambi, in questi pochi giorni?» la Githyanki sospirò. Il suo maestro era fissato con quella cosa del meditare e di sentire il sangue, ma lei non aveva mai capito cosa intendesse. Certo, nel suo sangue doveva essere rimasta ancora una stilla del sangue dell’antenato draconico di cui tanto sua madre le aveva parlato con orgoglio, ma Gin non l’aveva mai sentita parlarle, né tanto meno rivelarle i segreti meravigliosi a cui Karth aveva accennato il giorno in cui le aveva proposto di diventare sua discepola. “Sentire il sangue”. Gin probabilmente non avrebbe mai capito cosa Karth intendesse con quella frase, ma si era ugualmente sottoposta alle lunghe sedute di meditazione che il drago le aveva propinato al fine di risvegliare dentro di lei ciò che di draconico era rimasto. Qualche risultato c’era stato, in effetti, ma si era trattato più che altro di un imbarazzante rigurgito di fuoco che le era sfuggito dalle labbra una notte che aveva meditato senza interruzione per sei ore. Più di quello, Gin non era mai riuscita a fare. Poteva sputare fuoco, neanche tanto in realtà, ma non si era vista crescere le ali, né tanto meno si era ricoperta di scaglie lucide come quelle del suo maestro. A volte pensava che quella storia dell’addestramento di Karth fosse solo una perdita di tempo, ma ora che aveva abbandonato il suo piano di origine, che era in fuga, lontana da tutto ciò che conosceva, il drago rosso suo maestro era l’unica cosa di familiare che aveva, l’unica a cui poteva ancora appoggiarsi.
«Questo non è lo spirito giusto, Ginshath.» il drago sbuffò del fumo bianco dal naso e cercò di sistemarsi più comodamente in quello che era stato il loro rifugio per mesi, dopo che Gin aveva abbandonato il Piano Astrale e si era rintanata in quello Materiale. Le sue scaglie grattavano contro il soffitto della grotta, le zampe posteriori erano preda dei crampi e le sue ali, a forza di restare ripiegate in quel modo, avevano cominciato a formicolargli insistentemente. «Il sangue del drago ti parla in ogni momento della giornata, sta a te saperlo ascoltare.»
«Lo so, lo so.» tagliò corto Gin, che in quel momento non aveva voglia di stare a sentire la solita ramanzina riguardo a quanto fosse importante meditare almeno dieci ore al giorno. «Ma sono tutti come te, i draghi rossi?» gli chiese, per cambiare discorso. Karth le aveva detto più volte che lui era speciale, ma  non le aveva mai precisato perché.
«Io sono speciale.» le rispose infatti il drago, con tono divertito, ma non aggiunse altro.
«Senti, ti prometto che mediterò per tutte le ore che ho perso, una volta che avrò trovato l’armatura.» disse la Githyanki, giungendo le mani come a pregarlo di non insistere. «Anche di più, se lo vorrai. Ma ora devo trovare delle informazioni su dove sia quella maledetta armatura. L’ultimo contatto che ho avuto mi ha detto che era in mano ad una setta di Bellingsohne, ma in città nessuno sembra conoscere un gruppo chiamato Cerchia Interna. Sono ad un vicolo cieco.»
«Sei troppo avventata, Ginshath.» la rimproverò Karth.
«Facile, per uno che ha millenni da vivere!» sbottò Gin. «Io non ho tutto questo tempo per la mia ricerca, sai?»
«Non parlo di questo, ragazza mia.» le rispose il drago, paziente. Conosceva bene Gin, avendola presa sotto la sua protezione da quando aveva poco più di dieci anni sapeva bene che era incline a frustrarsi facilmente, perciò ignorò la sua piccola mancanza di rispetto. «Mi sembra ovvio che, essendo una setta segreta, peraltro malvagia, non sia solita lavorare alla luce del giorno. Quindi è normale che, con delle ricerche preliminari, tu non abbia trovato nulla.»
«Lo so.» Gin si sedette davanti al drago, con aria sconsolata. «Lo so, è solo che speravo veramente di esserci vicina, almeno stavolta.»
«Non darti per vinta. La meditazione potrebbe esserti d’aiuto, in questo momento.» le suggerì il drago, mente un sorrisetto gli compariva sul muso scaglioso. Gin conosceva bene quell’espressione. Karth sapeva qualcosa che lei non sapeva, qualcosa che probabilmente le sarebbe stata utile e gliela stava offrendo in cambio del suo impegno come discepola. Sospirò. Odiava meditare.
«Karth, ti prego. Se sai qualcosa dimmelo subito!» il drago scosse il capo, con aria risoluta.
«Prima la meditazione. Hai sangue di drago, devi imparare ad essere paziente.» le rispose.
Gin inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Se il suo maestro sapeva veramente qualcosa, avrebbe dovuto accontentarlo, sperando che non l’avrebbe lasciata lì immobile per delle ore come l’ultima volta. “Sentire il sangue”. Già, avrebbe dovuto entrare in comunicazione con quel poco di drago che era rimasto dentro di lei dopo secoli, risvegliandolo, ma davvero non sentiva nulla. Chissà perché si immaginava che, prima o poi, una voce le si sarebbe accesa nella testa, pacata e profonda come quella del suo maestro, rivelandole segreti incredibili. Ma evidentemente non era quello il momento, perché l’unica voce che sentì fu quella di Karth, che la rimproverava.
«Svuota la mente. Devi concentrarti sul tuo corpo, su di te.» le disse.
Gin sospirò. Forse il drago si era sbagliato, forse in lei era rimasto così poco di draconico da non poter risvegliare nulla di fantastico, forse sarebbe stata solo in grado di soffiare fuoco ogni tanto, nulla di più.
«La Cerchia Interna è in aperto conflitto con la Chiesa di Pelor.» disse Karth, ad un certo punto, interrompendo i pensieri della giovane Githyanki. Gin socchiuse un occhio, ma il drago la fissò con rimprovero, così lo richiuse subito, attendendo che riprendesse a parlare. «Sono una setta devota al dio Rallaster, il dio dei rasoi e delle torture.» erano tutte cose che Gin sapeva già. Nei giorni precedenti si era recata spesso nella vicina città di Bellingsohne a raccogliere informazioni ed aveva avuto modo di farsi un’idea di come andassero le cose. La chiesa di Pelor era la forza politica più influente all’interno di una città che in precedenza era stata scossa da una crisi profonda: a causa di una frode commerciale ai danni dei giganti delle tempeste che vivevano sulle vicine Montagne del Fabbro, era cominciata una guerra che si era conclusa velocemente come un temporale estivo, lasciando Bellinghsohne sconfitta. I giganti, tuttavia, non avevano infierito ulteriormente sui vinti, permettendo loro di ricostruire la città entro un confine da loro imposto. Avevano poi preso il controllo dell’economia con dazi pesantissimi che, uniti alle ingenti spese per le riparazioni, avevano ridotto sul lastrico tutto il ceto ricco e dominante della città. Nel momento in cui la classe nobiliare di Bellingsohne era andata in malora e il malcontento del popolo era salito, la chiesa di Pelor aveva preso le redini della situazione, conducendo la gente verso una lenta ma costante ripresa e verso un sostanziale equilibrio, che non era più stato turbato da anni. Il governo era ancora in mano ai nobili della città, ma solo formalmente: dietro la facciata era infatti il capo della chiesa di Pelor, un chierico di nome Sohnnor, a tirare le fila della città. Il malcontento si era ridotto e, per la maggior parte, i cittadini erano contenti della piega che gli eventi avevano preso. In molti si erano convertiti al culto di Pelor, che era presto diventato l’unica religione ufficiale della città, quelli che invece avevano idee contrastanti potevano affermarle manifestamente, ma venivano sempre fatti tacere con cortesia. A Gin sembrava che gli abitanti avessero preferito essere al sicuro sotto l’egida di una chiesa che in fondo li controllava, piuttosto che provare a cavarsela da soli ed essere gli artefici del loro destino, e non ne capiva il perché. Quando ne aveva parlato a Karth, il drago le aveva risposto che gli abitanti del piano materiale spesso scelgono di rinunciare alla propria libertà in cambio della sicurezza e di qualcuno che prenda al posto loro le decisioni difficili. Era un comportamento che Gin, cresciuta con il precetto di Karth che la libertà personale era la cosa più importante di tutte, proprio non comprendeva.
«Mi stai ascoltando?» il drago cominciava a spazientirsi, perciò la giovane Githyanki si affrettò ad annuire e a sembrare quanto più concentrata le riuscisse. «Stavo dicendo, prima che tu te ne andassi a zonzo con la mente, che la lotta fra la Cerchia Interna e la chiesa di Pelor pareva essere giunta al suo culmine proprio qualche settimana fa, quando Sohnnor è stato quasi ucciso in uno scontro.»
«Sohnnor, il capo della comunità? Il chierico più importante della chiesa di Pelor?» chiese Gin, per dimostrare che era stata attenta.
«Esattamente. Da quello che so è riuscito a salvarsi, riportando ustioni atroci su tutto il corpo. Di recente infatti non si è fatto vedere durante gli eventi pubblici e anche i riti religiosi vengono officiati da un suo attendente.» continuò Karth. Gin non si chiedeva più da tempo come il drago riuscisse a starle sempre un passo avanti, ma ringraziò di averlo come alleato. «È sempre lui a gestire la vita della città da dietro le quinte, ma l’esperienza gli ha fatto riconsiderare le forze della Cerchia Interna e la sua iniziale magnanimità nei confronti del culto di Rallaster. Ha permesso che si sviluppasse e guadagnasse troppo potere ed ora teme di non essere più in grado di fermarlo da solo, perciò ha richiesto aiuto alle città vicine. L’unica risposta che è giunta, per ora, è quella della chiesa di Kord della città di Morwik, che senz’altro non conoscerai, ma ti basti sapere che è lontana sedici giorni di volo da Bellingshonne.»
«Che senso ha?» chiese Gin. Nessuno dei vicini aveva risposto alla richiesta di aiuto di Sohnnor, ma in compenso arrivavano rinforzi da una città lontanissima? Karth si strinse nelle spalle, per quello che l’angusta grotta gli permetteva.
«Non lo so, ragazza mia.» le rispose. «Ma la cosa ancora più insolita è che hanno inviato una sola persona, pare su espressa richiesta di Sohnnor.»
«Vuoi dire che non ha richiesto l’appoggio di un esercito, ma di un solo mercenario? Pensavo di aver capito che la Cerchia Interna fosse numerosa e potente!» sbottò Gin. Nulla di quello che il drago le stava raccontando aveva senso, che Karth la stesse mettendo alla prova per l’ennesima volta? Protestò vivacemente, ma il drago le garantì che le stava dicendo la verità.
«La cosa interessante, è che il chierico che è stato inviato dalla chiesa di Kord ha con sé un lasciapassare firmato da Sohnnor in persona, che gli permetterà di aver udienza presso di lui. Se tu riuscissi a trovare questo chierico e a chiedergli di collaborare, avresti modo di avvicinarti alla Cerchia Interna e alla tua preziosa armatura. Il chierico dovrebbe arrivare in città stanotte.»
Gin sospirò. Probabilmente, il drago sapeva tutto già da un pezzo, ma si era divertito a farla vagolare in giro per la città alla ricerca di informazioni che non aveva trovato. Era tipico del suo maestro, che riteneva che anche i fallimenti potessero essere d’insegnamento ad un buon guerriero. Protestare era inutile, il drago avrebbe continuato a prendersi gioco di lei in quel modo indipendentemente dal fatto che fosse stata d’accordo o meno, quindi non disse nulla. Si alzò in piedi ed abbracciò il grosso muso scaglioso di Karth, ringraziandolo.
«Ora ho di nuovo una pista. Ti ringrazio, non saprei come fare, senza di te.» disse.
«Se mi sei veramente grata, dovresti meditare per qualche ora, prima di prepararti per andare in città.» le rispose il drago, scuotendo un po’ la testa. «Ginshath, sono serio. Il mio tempo sta terminando, un altro drago è sulle mie tracce perché, stando qui, ho sconfinato nel suo territorio, devo andarmene al più presto. Se non cominci a prendere sul serio la meditazione, il sangue del drago non ti verrà mai in aiuto nel momento del bisogno… e io potrei non essere lì per supplire alla mancanza.» La giovane Githyanki parve stupita dalla semplicità con cui Karth pronunciò quelle parole di commiato, indietreggiò qualche passo e lo guardò con aria interrogativa. Il suo maestro era l’unica cosa che le era rimasta, ora anche lui voleva abbandonarla?
«Non dirai sul serio, vero?» chiese.
«Ginshath, ragazza mia, ti ho cresciuta da quando, a dieci anni, sei fuggita dalla tua comunità per sfuggire al loro rigore militare. Hai quasi venticinque anni, sei in grado di cavartela da sola, ormai. Io non posso trattenermi oltre. Mi dispiace non poterti aiutare di più.» mormorò. Sembrava triste, ma mai come Gin, i cui occhi scuri si riempirono di lacrime.
«Karth, come puoi lasciarmi da sola, sapendo che potrei fallire e che mi abbandoni in un mondo a me quasi sconosciuto? Questo chierico potrebbe anche non condurmi sulla pista giusta, come farò quando non avrò più indizi da seguire?» insisté lei, cercando di non piangere.
«È la pista giusta, credimi.» le rispose il drago, con un sorriso. «Ti prometto che sarò di nuovo al tuo fianco quando avrai trovato l’armatura. Torneremo insieme sul Piano Astrale e rovesceremo Vlaakith e tutta la comunità Githyanki. Hai la mia parola che lo faremo insieme. Ma fino ad allora potrò essere con te solo con il pensiero.»
«Promettimelo.» gli intimò Gin, sapendo benissimo di non poter fermare il suo maestro. Raramente era riuscita a far cambiare idea a Karth una volta che aveva preso una decisione.
«Hai la mia parola d’onore.» le promise Karth, mentre si sgranchiva. «Ho preso alcune cose che ti potranno essere utili, considerale un atto di fiducia di un maestro nei confronti della sua allieva: sono certo che, quando ti vedrò tornare, avrai risvegliato il sangue del drago.»
Karth strisciò fuori dalla grotta e spiegò le ali. Un’espressione sollevata si fece strada sul suo muso mentre spiegava le ali e distendeva la coda: la grotta in cui aveva vissuto in quei mesi era veramente troppo angusta per il suo corpo possente. Voltò ancora una volta il capo verso la sua discepola, le sorrise e spiccò il volo. Gin lo guardò volare elegantemente nel cielo per alcuni minuti, finché non fu solo un puntino sfuocato sullo sfondo fiammeggiante del cielo al tramonto.
La giovane Githyanki tornò alla grotta, che, ora che il suo abitante più ingombrante se ne era andato, le pareva stranamente vuota e spaziosa, ma anche terribilmente triste. In terra, fra i frammenti rossi e lucidi delle scaglie di Karth, Gin trovò un piccolo scrigno: al suo interno c’erano una cintura di cuoio di mirabile frattura ed un paio di bracciali color argento, leggerissimi e perfetti per stare ai suoi polsi. Una volta che li ebbe indossati, una fascia sottile di rune arancioni brillò per un attimo su di essi, scintillando come la brace in un falò, poi si spense. Erano bracciali magici, così come la cintura. I doni del suo maestro la fecero sentire più forte e abile, perciò, per una volta, Gin decise di meditare con impegno, in onore di Karth e come ringraziamento per tutto quello che il drago le aveva dato. La notte stava lentamente calando ed avvolgeva con i suoi filamenti scuri tutto il paesaggio al di fuori della grotta. In lontananza, le luci della città si accesero una ad una, così come le stelle nel cielo.

  
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