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Autore: Fanny77    07/04/2013    4 recensioni
“La vita è una lotta. Perciò impara a combattere.”
Questa frase è sempre stata il mio credo, la mia linea di vita.
Ma ora mentre cado nuovamente a terra;
mentre ogni parte del mio corpo urla di dolore;
mentre i miei muscoli implorano pietà …
Mi chiedo: cosa ho ottenuto da tutto ciò?
Mai nessuna ricompensa, nessuna vittoria.
Desidero solo raggiungerti, in quel luogo lontano dove non posso seguirti …
Se non quando le mie palpebre si abbasseranno, i miei respiri si faranno sempre più lievi e il mio cuore cesserà di battere.
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Salve a tutti!!

Lo so … non pubblico da mesi!!! Il mio è un ritardo apocalittico, megagalattico, pazzesco e via dicendo. Come giustificarmi?? Beh comincio con il dire che io e Kim abbiamo litigato … di brutto. Perdere una persona a cui si voleva bene , era come una sorella per me, è orribile. Ci sono stata male per mesi e non ho avuto la forza di scrivere … idee 0, ispirazione 0, capacità 0…

Insomma uno schifo assurdo! Ho scritto e cancellato il terzo capitolo circa 10 volte, delusa dai risultati. Ma ora miracolosamente mi sono ripresa ( Ai piani alti qualcuno ha avuto pietà di me). Insomma eccomi qui, sola, ma più carica che mai! Basta mega pause ho intenzione di lasciarmi dietro il passato e ricominciare! Ok vi lascio alla storia … spero vi piaccia!!!

 

 

 

ATEMI-WAZA

(Tecniche di colpo)

I’m not afraid to take a stand
Everybody come take my hand
We’ll walk this road together, through the storm
Whatever weather, cold or warm
Just let you know that, you’re not alone
Holla if you feel that you’ve been down the same road

 

 

Numerose celle si aprivano davanti ai suoi occhi.

Una di fianco all’altra si estendevano lungo tutto il corridoio perdendosi nel buio. Le pareti erano in pietra scura e umida. Sbarre in ferro, arrugginite e consumate dal tempo, facevano da ingresso a quelle tetre stanze. Nessuna luce illuminava l’ambiente, le torce appese alle pareti erano tutte desolatamente spente. Un silenzio gelido e malsano regnava in quel luogo … un silenzio che sapeva di morte. Non vi era alcuna finestra o apertura che potesse indicargli una via d’uscita. Era prigioniero di quel luogo orribile.

Il ragazzo rabbrividì per il freddo, stringendosi le braccia intorno al corpo. Era abituato a temperature molto basse, ma questo era un gelo diverso. Ti entrava in corpo, penetrandoti nelle ossa e avvolgendoti in una morsa di disperazione.

Accennò incerto qualche passo in avanti, guardando di sottecchi le celle buie. La paura infantile che qualcosa potesse uscire da quelle tenebre di pece gli imponeva di non avvicinarsi a quei pertugi scuri. In generale l’idea di proseguire lungo il corridoio non lo allettava, oltre alla naturale paura del buio, percepiva un altro tipo di ansia. Più profonda e intensa. L’istinto gli imponeva di non avventurarsi in quel luogo sconosciuto.

Ma del resto non poteva restare per sempre lì , in attesa che avvenisse chissà cosa. Sarebbe stato molto più saggio cercare una via d’uscita, una volta fuori avrebbe cercato di capire dove diavolo si trovava. Da quel punto non vedeva porte o scalinate, ma probabilmente sarebbe bastato proseguire lungo il corridoio. Niente di più semplice … già.

Decise di accantonare le sue stupide paure, cercando di convincersi che era colpa di quell’oscurità che lo condizionava. Azzardò, incerto, un passo in avanti. Paralizzandosi immediatamente, tentando di captare eventuali suoni. Solo silenzio.

Proseguì più sicuro, procedendo lentamente rasente la parete opposta alle celle. Senza però toccarla, disgustato all’idea di sfiorare qualcosa di quel luogo orribile. Si fece avanti nell’oscurità a passi brevi, timoroso di quello che avrebbe potuto incontrare durante il tragitto.

Davanti a lui le tenebre lasciavano il posto a un paesaggio sempre uguale … celle, celle ed ancora celle. Tutte tristemente uguali, alle precedenti. Più volte gli venne il terribile sospetto di non muoversi affatto, allora la disperazione lo assaliva ed il ragazzo sentiva di non poter più continuare. Mentre la certezza che non sarebbe più uscito di lì lo assaliva. Ma ogni volta si imponeva di non pensarci e continuava la sua marcia, ignorando quei pronostici così catastrofici.

Passarono pochi minuti, o forse furono ore -non lo seppe mai con certezza- quando un lamento spezzò il silenzio che lo avvolgeva. Il ragazzo si bloccò di colpo. Lentamente si guardò intorno, scrutando le tenebre

Il ragazzo accennò un passo in avanti, spaventato all’idea di quello che avrebbe visto. Con titubanza allungo il collo, tentando di scorgere  qualcosa nell’oscurità , invano.

Facendosi coraggio proseguì lungo il corridoio, con lo sguardo inchiodato alle celle. Camminava lateralmente con la schiena contro la parete, pronto a scattare in caso di pericolo.

Stranamente mischiata all’ovvia paura percepiva una curiosità insistente. Malgrado tutto voleva scoprire cosa ci fosse dietro quelle sbarre.

Il silenzio fu di nuovo spezzato da un gemito, decisamente più vicino, che lo paralizzò. Aveva riconosciuto la  voce di un ragazzo, anche se stravolta dal pianto. Questo in parte lo rassicurò, mentre la speranza di non essere solo lo portò ad accelerare il passo. Sentiva qualcosa spingerlo verso ad una cella poco distante, perfettamente identica alle altre, ma appena la raggiunse notò una figura scura raggomitolata per terra. Non riusciva a distinguere molto in quell’oscurità, così si avvicinò lentamente cercando di fare il più piano possibile.

La figura stava evidentemente piangendo, il suo corpo tremava appena, scosso da singhiozzi.

Il ragazzo raggiunse le sbarre che sfiorò con la punta delle dita, percependone la freddezza e solidità sotto i polpastrelli. Tentennò a lungo incerto su cosa fare per attirare l’attenzione della figura rannicchiata a terra, che del resto non si era accorta della sua presenza. Continuava a singhiozzare sul pavimento e il ragazzo si chiese cosa potesse portare tale sofferenza. La disperazione che trapelava da quel pianto era tale da spingerlo verso di lui, desideroso di consolarlo .

Alla fine si decise a parlargli.

-N-non piangere ... – balbettò incerto – ora ci sono qui io … - non sapeva bene il perché di quelle parole. Gli erano parse in qualche modo giuste, perfette per quel momento. Come se una parte inconscia della sua mente gliele avesse suggerite.

Il pianto cessò di colpo e la figura con estrema lentezza alzò il volto verso di lui.

Aveva la fisionomia di un ragazzino, ma non riusciva a distinguerne i tratti che erano come oscurati, come se il suo viso fosse avvolto in un’ombra scura. Ma non fu quello a stupirlo, no perché quel ragazzino girandosi aveva involontariamente mostrato quelle che a prima vista potevano sembrare due braccia – anche se incredibilmente sproporzionate – ma che sollevandosi si rivelarono essere due enormi ali.

Ali nere, con un piumaggio meraviglioso e perfetto, composto da piume lucide ed eleganti di un nero uniforme. Si spalancavano a ventaglio dalla schiena del ragazzo, partendo dalle spalle e  innalzandosi per quasi due metri e avvolgendo il loro proprietario.

Ma l’attenzione del giovane fu immediatamente attratta dal volto del ragazzo, su cui spiccavano i suoi occhi splendenti in quel buio. Le pupille nerissime erano avvolte da fiamme violacee, che si miscelavano alla perfezione con lievi sprazzi di porpora scuro. Due tizzoni ardenti che bruciavano come fuoco vivo. Due preziose ametiste che brillavano nell’oscurità

Incredulo il ragazzo spalancò gli occhi, arretrando terrorizzato. Dentro di lui infuriava un turbine di emozioni e sensazioni, a cui non era in grado di dare un nome e un significato. Immagini si susseguivano nella sua mente, rievocando momenti e situazioni che non riusciva ad afferrare. Tempo e spazio si confusero in un turbinio indistinto.

Il ragazzo riversò, quell’insieme di pensieri e sensazioni, in un lungo urlo senza voce.

Boris si svegliò di colpo urlando.

 

 


Era passata una settimana dall’arrivo di Kai in Giappone. Lentamente il ragazzo stava prendendo confidenza con quella nuova vita, che sembrava non appartenergli. Si sentiva un estraneo nella pelle di un altro. Avvertiva l’inquietante sensazione di non essere adatto per il ruolo che il destino, volente o nolente, gli aveva affidato.  Nulla pareva andare per il verso giusto.

Non la scuola, dove le sue immense lacune erano tristemente venute a galla, mostrando quanto fosse realmente indietro rispetto agli altri studenti. I suoi tentativi di applicarsi si stavano già mostrando fallimentari in partenza. Giusto per avere il giusto incoraggiamento.

Non a casa dove, la convivenza con i kinomiya, si stava dimostrando essere una prova molto dura. L’esuberanza di Takao, mischiata con l’esasperante pacatezza di suo padre formavano un mix letale. Passavano gran parte del tempo a chiedergli “come stai?” oppure “ tutto ok ? Hai bisogno di qualcosa?” …. Sì che voi sparite dalla mia vista! Purtroppo questa risposta non era contemplata.

Nel complesso sopravviveva. Cercando di dominare la rabbia e frenando le sue risposte fin troppo spudorate. Ma il tempo passava lentamente … molto lentamente …


L’aria fredda lo investì all’improvviso.

Rei si strinse nella felpa leggera che indossava, rabbrividendo appena. Dietro di lui le luci delle casa risplendevano accoglienti, mentre ovattate risuonavano le voci dei suoi amici. Le ignorò, rivolgendo la sua attenzione al giovane, che silenzioso, scrutava il cielo notturno, comodamente seduto sulle assi del porticato che circondava la villa. Kai, insensibile alle basse temperature, indossava una maglietta leggera che gli lasciava scoperti gli avambracci.

-Non hai freddo?- mormorò Rei sedendosi al suo fianco. Il russo gli rivolse un’occhiata veloce, per poi scuotere lievemente il capo. Il suo fisico, temprato dagli anni in Russia, aveva acquisito un livello di sopportazione notevole. Che sommato al piacere che provava nel sentire i soffi del gelo accarezzargli la pelle,  gli permetteva di accontentarsi di una maglietta leggera.

Rei strappò alcuni fili d’erba, cominciando a tagliuzzarli con le dita. Il suo volto era teso e una piega nervosa gli irrigidiva le spalle. Il ragazzo si mordeva le labbra ansioso, preda di un conflitto interiore.- Ti capita mai di pensare che stai sbagliando tutto? Che tutto ciò che fai è in realtà un errore ?- aveva parlato lentamente, senza alzare gli occhi verso il ragazzo al suo fianco.

Kai non rispose subito. Per un attimo assaporò l’attesa che si percepiva nell’aria, mentre un moto di comprensione invadeva la sua mente. Se fosse stato una brava persona avrebbe risposto che sì, quei dubbi divoravano il suo animo continuamente, rendendolo fragile alle ingiurie della vita. Che anche lui, spesso si chiedeva quale fosse la cosa giusta da fare … e che la maggior parte delle volte finiva per fare la cosa sbagliata. Se fosse stato una persona sensibile avrebbe donato al ragazzo quel conforto, di cui sembrava avere disperato bisogno.

Ma lui non era ne buono ne gentile … ed era straordinariamente bravo a mentire.

-No- la voce monocorde di Kai non sorprese Rei, che sorrise impercettibilmente.

-Allora ti invidio … - sussurrò triste – perché sarai in pace con te stesso. Mentre io mi arrovello alla ricerca di una domanda a tutti i miei dubbi … - il suo tono era malinconico, velato da una leggera ironia. Malgrado si conoscessero da appena una settimana, Kai si stupì di quella amarezza, chiedendosi dove fosse finito il ragazzo allegro e pacato che aveva imparato a conoscere.

-I dubbi sono legittimi … - Kai si passò una mano fra i capelli in un gesto stanco – la troppa sicurezza porta alla rovina. – concluse con voce atona, fin troppo conscio di essere l’incarnazione vivente dei suoi stessi consigli.

-Alle volte i dubbi ti uccidono … - ribattè Rei con un sorriso tirato, fingendo una sicurezza che non sentiva. La maschera di ironia e finzione che aveva indossato aveva crepe troppo grandi per essere nascoste.

-Dipende … -  fu la vaga risposta di Kai. Non capiva perché fosse venuto a parlarne proprio con lui. Avrebbe potuto confidarsi con Takao, Max … e invece era lì a parlare con lui. l’asocialità fatta persona, il peggior esempio che si possa immaginare. Oltre che un pessimo dispensatore di consigli. Poi dicevano che era lui quello strano!

-Forse siamo noi stessi a complicare le cose, con le nostre scelte … forse siamo noi che ci facciamo involontariamente del male … -continuò monocorde Rei, osservando con sguardo vacuo il cielo notturno.

-Perché ne parli con me ?- esclamò con uno sbuffo esasperato Kai, infrangendo quella bolla soffusa che li avvolgeva.

-Magari ho bisogno di qualcuno che possa capirmi.-Rei ruotò appena la testa verso di lui, fissandolo con uno sguardo intenso, tanto che Kai sentì di non potersi difendere da quelle iridi dorate, che silenziose lo scrutavano.

-Dubito di essere la persona adatta … - disse in un soffio, socchiudendo appena gli occhi. Sembrava stesse parlando con se stesso più che con l’altro. Rei sorrise impercettibilmente –Io credo che tu lo sia … - per lunghi istanti si fissarono. Gli occhi si perforavano, pieni di significati e di parole non dette. La loro era una lotta, una lotta silenziosa e immacolata. Due anime affini si scontravano ispezionandosi a vicenda, dubbiosi se concedersi la fiducia reciproca.

Fu Kai a spezzare il silenzio con voce aspra- Parla … -esclamò perentorio. Vittorioso Rei sorrise, sapeva che quella sera avevano compiuto un enorme passo avanti nel loro rapporto. L’idea di poter parlare apertamente con il russo lo intrigava, in qualche modo – che ancora non capiva – sentiva molto vicino quello strano ragazzo. fu così che si decise a parlare, aprendosi a lui e confidandogli i suoi timori.

-Ti ho mai parlato di Mao?-così esordì, lasciando vagare lo sguardo tra le ombre del giardino. Kai scosse il capo, appoggiandosi a una delle colonne che sorreggevano la tettoia. Rei sospirò piano, come per raccogliere le forze, prima di continuare. –Mao Chou  è una ragazza del mio paese, quello da dove provengono entrambi i miei genitori. La conosco più o meno da sempre e sono cresciuto al suo fianco. Lai, suo fratello, è uno dei miei migliori amici e io li ho sempre visti come parte della mia famiglia “allargata” . Lei è una ragazza fantastica solare, dolce , sensibile … e da un anno a questa parte è anche la mia fidanzata.-

Quest’ultima affermazione sorprese Kai, che si voltò a fissare il compagno. Rei sorrideva appena, con amarezza. Il suo volto dimostrava molto più della sua reale età.

-Non puoi immaginare quanto tempo mi ci è voluto per trovare il coraggio di confessarle quello che provavo … la paura, l’incertezza … ma miracolosamente ho trovato la forza e quel sogno, che mi era sembrato tanto impossibile, si è realizzato … o almeno questo è quello che pensavo. – Rei ridacchiò tra sé, mentre una strana disperazione lo avvolgeva. Quella tristezza che aveva mitigato, con sorrisi falsi e frasi vuote trapelava dai suoi occhi, leggermente lucidi.-Sembrava perfetto Kai … davvero! Poi ci siamo ricordati di un piccolo particolare … io sono qua e lei è là … ci separano km di distanza … - Rei allungò un braccio come per afferrare qualcosa di invisibile- Non posso raggiungerla e lei nemmeno … -si rivolse al russo con uno sguardo strano … vuoto.- A quel punto l’amore non basta più … - quelle parole suonarono nelle orecchie di Kai come una condanna a morte.

Il russo inarcò  appena le sopracciglia, in un evidente gesto di disappunto. Lo infastidiva l’arrendevolezza dell’altro . Non capiva il motivo di tanta preoccupazione, ne riusciva a giustificare la mancata reazione a una situazione dopotutto semplice da risolvere. Fosse stato lui al suo posto, sarebbe tornato in Cina senza pensarci due volte, fregandosene di genitori e amici. La vita era sua e non loro. Inoltre aveva imparato a sue spese che le occasioni vanno colte, perchè nulla è eterno.

Ma era anche vero che il suo modo di pensare era anni luce da quello di qualsiasi altro. Purtroppo la sua determinazione, quasi sconsiderata, era impossibile da trovare in un ragazzo vissuto nella serenità e agiatezza, abituato a limitarsi di ciò che rientra nei suoi soliti confini. Rei era uno di questi, troppo chiuso per poter pensare per una volta di fare qualcosa di diverso. Ma non era uno stupido, questo no. Quindi forse, aveva solo bisogno di una scossa.

-Allora rinuncia. Lasciala là dov’è ora, e ricomincia qui con persone nuove, accettando che lei faccia lo stesso .-

La faccia di Rei assunse un colorito verdognolo, l’idea di Mao con un altro lo disgustava. Non poteva accettare che la sua, sottolineando sua, ragazza finisse nelle mani di qualche idiota … o di qualcun altro in generale.

-Assolutamente no! Io voglio stare con lei, non posso pensare che stia con un altro  … -

-Allora alza il culo e datti da fare.-

-Non è così facile … -

-Sei tu che rendi tutto complicato- Kai lo fissò per qualche istante, come per valutare la risposta più adatta- tu … tu ti fai troppi problemi .-

Rei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

-Sono solo una persona prudente, mi limito a valutare tutte le opzioni prima di agire …- persino a lui risuonava come una scusa debole e patetica.

-No tu non agisci proprio … è diverso … -

-E sentiamo che diavolo dovrei fare?!- sbottò Rei, spalancando le braccia esasperato. Non riusciva ad accettare che Kai lo ritenesse un codardo, gli era sempre parso di fare tutto il possibile per la sua storia con Mao … ma forse …

Kai rivolse al cinese un’occhiata assassina, fulminandolo con lo sguardo.

-Visto come ti comporti, penso che farebbe meglio a trovarsene un altro con un po’ di spina dorsale … - il suo intento non era ferire Rei, ma le parole uscirono con eccessiva cattiveria. Rei spalancò gli occhi sorpreso da tanta veemenza. Ma appena fece per replicare si rese conto che non c’erano risposte possibili. Abbassò il capo affranto e pieno di vergogna.

Kai aveva maledettamente ragione e lui era un fottuto idiota. Solo che gli ci era voluto il russo per capirlo.

-Hai ragione …- sussurrò con voce a malapena udibile.

-Cosa?- Kai lo guardò perplesso, inarcando le sopracciglia.

-Ho detto che hai ragione .- replicò l’altro, alzando finalmente lo sguardo.

-Non è una novità.- disse il russo senza scomporsi, alzando appena gli occhi al cielo.

Rei sorrise. In fondo si trattava di Kai, che altro poteva aspettarsi?

-Grazie … ti devo un favore … - aggiunse infine, sollevandosi in piedi. Kai annuì appena, senza guardarlo.

Senza aggiungere altro, il ragazzo si diresse lentamente verso la casa, ancora fiocamente illuminata. Ma mentre stava per aprire la grande vetrata, che dava sul soggiorno, si bloccò.

-Kai? – chiese, con tono incerto.

Il russo si voltò appena per guardarlo, come per confermargli che lo stava ascoltando.

-Tu sei mai stato innamorato?-  a causa del buio non era in grado di vedere il volto del russo, ma intuiva che la domanda lo aveva spiazzato. Per lunghi istanti fra i due regnò il silenzio, spezzato solo dal frastuono del vento. Infine Kai si decise a rispondere.

- Certo che no.-

Rei annuì appena , a quelle parole e rientrò in casa.

Rimasto solo, Kai sorrise appena fra sé e sé . Lui era straordinariamente bravo a mentire

 


Pioveva.

Nubi scure si ammassavano sul cielo di Tokyo, oscurando il sole. Una nebbia leggera avvolgeva le strade, conferendo un’aria vagamente tetra al paesaggio. In quel grigiore spiccavano i colori vivaci degli ombrelli, nelle mani dei rari passanti già svegli di prima mattina.

Da una delle vie secondarie comparvero due ragazzi, che si dirigevano a passo spedito verso l’imponente edificio che giganteggiava nel livore mattutino : l’istituto superiore di Tokyo.

Da una parte Takao occhieggiava angosciato al suo orologio da polso – chiedendosi quale punizione doveva aspettarsi per quel mostruoso ritardo – teneva la cartella sollevata sulla testa, nel tentativo di riparasi dall’acqua. Accanto a lui Kai dava bella mostra del suo menefreghismo più sfrenato, procedendo con noncuranza protetto solo da un cappuccio leggero, dal quale spuntavano i ciuffi di capelli fradici.

-Sono morto … . mugolò Takao con aria sofferente – quella già mi odia! Come minimo mi interroga … e io non so un cavolo … cacchio, non posso prendere un altro votaccio … papà mi disconosce!!!- la strana scena tragicomica del giapponese non scalfì Kai, che decise di ignorarlo. In fondo lui odiava le persone che si auto commiseravano.

-Oh sono morto! … poi chi la sente quella lagna di Hlary?!  Tutta colpa di quell’idiota di Hitoshi e della sua fottutissima agenda!!-

La tragedia si era consumata quella mattina e aveva coinvolto tutta la famiglia Kinomyia –Kai compreso – nella furiosa ricerca dell’agenda di Hitoshi, andata dispersa e a detta del ragazzo di vitale importanza. Avevano a dir poco rivoltato la casa, sotto le incitazioni del capofamiglia passando preziosi minuti – solitamente adibita all’abbondante colazione di Takao – a setacciare ogni angolo, ogni scaffale … Fino a quando lo stesso Hitoshi, in preda a una crisi isterica, si era miracolosamente ricordato di aver messo l’agenda nella cartella la sera prima … per paura di dimenticarsela.

Impedire a Takao di uccidere sul momento il fratello, aveva richiesto le energie congiunte di Tatsuya e Kai. il giapponese sembrava in preda a una specie di sfogo furioso, con protagonista Hitoshi stesso, spesso accompagnato da epiteti non ripetibili. Ma alla fine erano riusciti a calmare il ragazzo, abbastanza da permettergli di riprendere quel minimo di autocontrollo che possedeva.

Sarebbe andato tutto bene se la cosa fosse finita lì … purtroppo Takao aveva avuto la malsana idea di sbirciare la suddetta agenda – spinto in parte da una rabbia vendicativa – trovandola piena di numeri … numeri di telefono! “Sono i numeri di tutte le ragazze che ho incontrato finora … che ne posso sapere se magari tra loro si nasconde la mia anima gemella ..?” La reazione di Takao fu immediata e contribuì ad accumulare un ulteriore ritardo.

Così ora i due ragazzi si trovavano a varcare il portone d’ingresso ben dopo il suono della campanella. Fradici e infreddoliti accolsero con sollievo il calore delle mura scolastiche. Il corridoio principale era deserto, le porte degli uffici erano tutte diligentemente chiuse. Facendo attenzione a essere il più silenziosi possibile si diressero verso la scalinata principale, lasciando dietro di loro una scia di impronte bagnate. Avvolta in quel silenzio la scuola faceva uno strano effetto, sembrava meno minacciosa e oppressiva. Ma non fecero in tempo a fare che pochi gradini quando sentirono un rumore di passi provenire dall’alto.

-Scappa!- sussurrò Takao con sguardo angosciato, afferrando il russo un braccio. Con una mossa decisa, Kai si liberò dalla stretta. –Finiscila … non fare il bambino e cammina! – ma non fece in tempo a finire la frase, che Takao, con una velocità impensabile, aveva ripercorso a ritroso la scalinata per poi infilare il primo corridoio a destra. Esasperato Kai alzò gli occhi al cielo, ripromettendosi di ammazzarlo . Con un sospiro si accinse a seguirlo, quando una voce risuonò alle sue spalle.

-Guarda … guarda chi si vede … - era una voce ironica e maligna, volutamente beffarda, di cui Kai era certo di non conoscere il proprietario.

Ma si sbagliava. E ne ebbe la conferma, appena ruotò il volto verso il nuovo venuto, scontrandosi con due occhi di un blu elettrico. Due occhi che non poteva dimenticare … il ragazzo della sala d’attese se ne stava davanti a lui, tranquillamente appoggiato al corrimano della scalinata.

La sua prima reazione fu la rabbia, il ricordo dell’umiliazione subita ancora bruciava come fuoco e l’idea che quel bastardo osasse solo rivolgergli la parola lo disgustava. Sentiva i battiti del cuore aumentare per la furia, mentre le mani tremavano desiderose di spezzare quel sorriso odioso.

-Vedo con piacere che ti ricordi di me … - disse il giovane con tono beffardo, senza smettere di fissarlo con sfrontatezza. Kai dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi travolgere dai sui istinti più violenti. Lo fissò con odio crescente, socchiudendo appena gli occhi minaccioso.

-Accidenti sei bagnato fradicio .- aggiunse il ragazzo, accennando con il mento ai suoi vestiti ancora gocciolanti. Scosse appena il capo con finta preoccupazione, come se avesse realmente a cuore la salute del russo. – Non puoi restare in queste condizioni … - aggiunse con voce volutamente accorta. Kai aggrottò la fronte perplesso, non capiva dove diavolo voleva arrivare quel tizio.

Con una mossa fulminea il ragazzo gli si avvicinò, sussurrandogli piano all’orecchio.

-Se vuoi ti do una mano a toglierli …-

Kai sentì i livelli di autocontrollo annullarsi, mentre la rabbia gli scorreva come adrenalina nelle vene. Udiva uno strano ronzio nelle orecchie, mentre le mani sembravano bruciare per il desiderio di picchiare quell’idiota. Era pronto a respingerlo con uno spintone … quando una voce riecheggiò nel corridoio.

-Kai dove diavolo ti sei cacciato?-Takao comparve da una delle porte laterali, ancora rosso per la corsa.

Fulmineo il ragazzo fece un passo indietro, allontanandosi da Kai e ritrovando il suo autocontrollo.

Il giapponese si sporse dalla balaustra, scrutando la scalinata.

-Kai eccoti! Che cacchio fai ….Brooklyn?- Takao spalancò gli occhi, guardando il ragazzo accanto al russo. La sua espressione aveva assunto una nota vagamente nervosa e preoccupata.

-Hey Takao!- Brooklyn sorrise gioviale e rivolgendo al ragazzo un lieve cenno del capo.- Io e Kai stavamo chiacchierando, ma tranquillo te lo lascio subito!- sembrava rilassato, come se non fosse stato appena colto in flagrante mentre molestava un altro ragazzo. La naturalezza con cui trattava Takao faceva presumere che fossero grandi amici, quando in realtà si erano rivolti la parola si e no due volte. Era evidente che era padrone della situazione e che non temeva la reazione di Kai.

Del resto il russo sembrava incapace di reagire. Fissava il pavimento respirando con calma, come se provasse dolore ad ogni contrazione del diaframma. Il corpo era innaturalmente rigido, e i pugni serrati.

A modo suo, Kai stava cercando di ritrovare la calma.

-Allora noi andiamo … - disse Takao, strisciando il piede a terra leggermente a disagio.-Sai è già tardi … poi la nota e … ecco … mio padre … l’eredità … ecco vado ...-

Brooklyn sorrise divertito di fronte al balbettio senza senso di Takao. Con un gesto del braccio fece loro segno di proseguire.

-Andate, non vi voglio sulla coscienza.- un nuovo sorriso ammiccante fece capolino sul suo volto.

Tentennante Takao afferrò Kai per un braccio e cominciò a risalire le scale, voltandosi di tanto in tanto per scrutare Brooklyn, ancora placidamente abbandonato sulla balaustra.

-Ah Kai è stato un piacere conoscerti.-


 

 

Boris afferrò una pila di magliette, per poi buttarle a casaccio nella valigia spalancata sul letto. Gli abiti più disparati si ammucchiavano senz’ordine in quello spazio ristretto. Il ragazzo non sembrava farci caso, completamente immerso nel suo lavoro.

Le sopracciglia aggrottate mostravano la sua preoccupazione, evidenziata dalla piega incerta delle labbra. Gli occhi, di un verde smeraldo, sembravano offuscati da nubi scure.

Intorno a lui regnava il caos più totale. Le ante degli armadi erano spalancate, il letto sommerso da una valanga di vestiti e il pavimento disseminato degli oggetti più disparati.

-Dove diavolo si è cacciato!?- Boris sollevò di colpo le coperte, rovesciandole a terra. Era alla disperata ricerca del suo passaporto, misteriosamente sparito in mezzo a tutto quel disordine.

-Accidenti … - borbottò nervoso, scostando una pila di libri dal comodino.

-Stai cercando questo?- il ragazzo alzò gli occhi di scatto, incontrando lo sguardo vagamente divertito di Eliza, che appoggiata allo stipite della porta gli sventolava in faccia il disperso.

-Sei la mia salvezza! – disse riconoscente, agguantando il passaporto e ficcandoselo in tasca, nel timore di perderlo ancora.

La ragazza sorrise, alzando i grandi occhi scuri  verso il soffitto con finta esasperazione.

-Me lo dicono tutti … - disse con finta noncuranza.

Con lentezza si fece largo nella stanza, per poi ricavarsi un angolo libero sul letto dove sedersi. Intorno a lei vi erano numerosi fogli sparpagliati e anche alcuni libri abbandonati sul cuscino. Quello spettacolo le metteva tristezza. L’idea che Boris se ne andasse era impossibile da accettare, non dopo tutto quello che avevano condiviso. Guardando la schiena china del ragazzo – intento a cercare una scarpa mancante- si chiese che cosa avrebbe fatto, cosa ne sarebbe stato di lei dopo la sua partenza. Ormai riteneva la presenza del suo fratellastro essenziale e non riusciva a capacitarsi di dover fare a meno di lui.

Già l’idea di doverlo perdere era terribile, ma la cosa che più la turbava era non aver ricevuto nessuna spiegazione, se non un laconico “ C’è una cosa che devo fare”. Oh beh grazie tante! Avrebbe fatto prima a non dirgli nulla.

Ma non era disposta ad arrendersi così facilmente. No signore … lei voleva una risposta e subito!

-Quanto ore di fuso sono più o meno? – la voce di Boris la riscosse dai suoi pensieri. La ragazza si passò pensierosa una mano fra i capelli, calcolando mentalmente le ore.

-Cinque ore? Più o meno … - chiese, tamburellando con l’indice sulle labbra. Boris riemerse da sotto il letto, con in mano la scarpa, annuendo appena.

-Sì più o meno … sì … non sono poi molte ... – un timido sorriso gli rischiarò il volto – Sopravviverò … -

 Eliza sospirò affranta, non sapeva se prenderla come una buona notizia. Mordicchiandosi incerta il labbro diede voce ai suoi dubbi.

-Hai intenzione di spiegarmi il motivo della tua partenza sì o no ?- si stupì di sentire una nota di isteria nella sua voce.

Boris abbassò lo sguardo, mentre un’espressione affranta gli incupiva il volto. Non era sua intenzione far soffrire Eliza, le voleva bene e avrebbe fatto di tutto per vederla felice … ma quella era una questione che riguardava lui, e lui soltanto. Non poteva coinvolgere nessun altro, non fino a che non fosse stato in grado di dare risposte sicure … e non semplici supposizioni.

Era conscio dell’importanza di quel viaggio, e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. La svolta che stavano prendendo gli eventi era troppo importante per potervi rinunciare.

-Eliza … ne abbiamo già parlato … - tentò impacciato di blandirla, giocherellando con l’orlo di una camicia.

-No Boris, non ne abbiamo parlato! Tu non mi hai detto nulla, se non qualche frase a caso senza senso! – Aveva alzato il tono di voce, quasi senza accorgersene. Sentiva già i primi segni della rabbia che lentamente prendeva possesso di lei. Le guance avevano assunto un colore rossastro e gli occhi erano più lucidi del solito, come se fosse sul punto di piangere. In realtà l’ultima cosa che voleva era farsi vedere versare lacrime per lui da Boris.

-Ti ho spiegato che è una faccenda complicata … - disse il ragazzo sollevandosi in piedi, e afferrando di scatto un mucchio di calze per poi lanciarle nella valigia.

-Non è una buona giustificazione per andarsene … così senza motivo … -le tremavano le labbra per il nervoso, mentre un fastidioso calore si propagava lungo il volto.

-Ho un motivo per farlo … un motivo più che valido! – Boris si stava arrabbiando. Odiava quando le persone interferivano nella sua vita, e se fino a quel momento ci era passato sopra trattandosi di Eliza, ora si stava veramente stufando. Lui non doveva rendere conto a nessuno delle sue scelte.

-E allora dimmelo! – esclamò lei spalancando le braccia esasperata.

Boris scosse piano il capo, passandosi una mano dietro al collo. I muscoli erano incredibilmente rigidi, e si contraevano al suo tocco.

-Non posso … - disse semplicemente.

Eliza annuì piano. Abbassando lo sguardo sulle proprie mani, strette in una morsa.

Quando – tanti anni prima – Boris era entrato a far parte della sua vita si era ripromessa di aiutarlo e di sostenerlo, di essere per lui un aiuto. Le cose nel tempo erano cambiate, e il loro rapporto si era solidificato. Anche se non nello stesso modo per entrambi.

Era lei quella innamorata fra i due. Era lei quella che rischiava di perdere una persona fondamentale per la sua vita. Era lei quella che avrebbe sofferto … non lui, solo lei.

A questo punto le sue priorità cambiavano. Il suo obbiettivo principale era stare accanto a Boris, che lui lo volesse o no …

-Bene. – cominciò, ostentando una sicurezza che non sentiva – visto che non vuoi darmi spiegazioni, dovrò passare alle maniere forti … verrò con te . – a quelle parole il silenzio piombò nella stanza.

Boris rivolse uno sguardo incredulo alla ragazza, che lo fissava decisa. Il russo tentò più volte di articolare una frase, ma le parole sembravano non volergli uscire di bocca. Uno macigno gli bloccava lo stomaco paralizzandolo.

-C-Cosa?!- riuscì a esclamare infine sconcertato. Non riusciva a credere in tanta sfacciataggine.

-E la soluzione migliore non trovi … - si limitò a dire Eliza facendo spallucce.

-No! – Esclamò lui guardandola incredulo- Dio … come riesco a farti capire che non voglio – non voglio !!! – che tu ti impicci in questa storia??!!-

-Sono tua sorella!- urlò lei alzandosi in piedi. Le prime lacrime le rigavano il volto, mentre le labbra erano scosse da vaghi tremiti.- Ho il diritto di essere preoccupata … diamine ti rendi conto che so a malapena dove vai!-  

-Sono un uomo non ho bisogno di te!- Boris fece un ampio gesto con il braccio come ad allontanarla .

-MA IO Sì!!-

Nella stanza calò il silenzio, rotto solo dai singhiozzi di Eliza. La giovane aveva entrambe le mani al volto, e sembrava parecchio sconvolta. Le spalle tremavano e sussultavano, facendola apparire molto fragile. Ed era così che si sentiva lei … fragile, debole e insicura. Quando avrebbe voluto che lui la vedesse come una persona forte e determinata.

Boris osservava la scena immobile. Incapace di fare qualcosa per consolare la ragazza, si sentiva di troppo. Come un intruso, un estraneo nel dolore altrui.

Impacciato si avvicinò al letto, afferrò la valigia, ormai finita, e fece per andarsene. Ma prima di uscire si chinò sulla giovane, sfiorandole appena la fronte con le labbra

-Mi dispiace … -

Senza aggiungere altro la lasciò sola.

 

 

Nel sogno il fuoco divorava ogni cosa.

Le fiamme consumavano tutto ciò che incontravano con il loro calore, lingue rossastre e aranciate si elevavano come bandiere scosse dal vento. Un caldo soffocante opprimeva l’aria, soffocando le gole aride alla disperata ricerca di ossigeno.  Un fumo scuro avvolgeva l’edificio innalzandosi verso l’alto e oscurando il cielo.

Gli alberi si schiantavano sotto la forza delle fiamme, i muri crollavano, i mobili esplodevano. Pezzetti di vetro perforavano l’aria, come armi mortali. Nell’aria risuonavano le urla delle sventurate vittime del fuoco, ce sovrastavano il frastuono del mondo che andava in pezzi.

C’era solo terrore, paura, disperazione … e fiamme … solo fiamme

La pioggia gli accarezzava la pelle surriscaldata. Le gocce fredde scivolavano indisturbate sul suo volto, come gelide lacrime. La felpa leggera che indossava, non bastava a proteggerlo dal freddo che gli perforava le ossa. Le mani erano ancora scosse da lievi tremiti, e anche i denti sembravano decisi a non smettere di battere.

Tutto per un colpa di un fottutissimo incubo! Come se non ne avesse a bizzeffe di sogni inquietanti, che lo sottraevano al sonno. Come se non fosse abituato a svegliarsi urlando, nel cuore della notte, con il cuore in gola.

Ma questa volta era stato diverso. Questa volta era tutto incredibilmente nitido, vivido e reale da fargli ancora accapponare la pelle al pensiero.

Odiava ammetterlo, ma aveva avuto paura. Aveva sentito il terrore strisciare verso di lui, e assalirlo a morsi.

Non era riuscito a rimanere in quella stanzetta claustrofobica. Dove gli sembrava non esserci abbastanza aria. Aveva bisogno di più spazio,di respirare liberamente, di sentire il freddo sulla pelle per convincersi di essere sveglio.

Ed ora eccolo lì sotto la pioggia, come un idiota, ancora spaventato,e a rischio di polmonite. Meglio di così non poteva andare …

Un soffio di vento lo paralizzò, scuotendogli i vestiti. Si strinse le braccia intorno al corpo, cercando di ignorare il freddo pungente.

Non poteva tornare indietro. Non era pronto ad affrontare la ramanzina di Tatsuya, e la sua preoccupazione. Nello stato in cui era avrebbe finito per commettere un omicidio.

Aveva solo bisogno di distrarsi, di non pensare. Anche solo per poco, di poter tornare a respirare liberamente.

Rabbrividendo infilò le mani in tasca, alla ricerca di un po’ di calore.

La mano destra venne a contatto con qualcosa di freddo e ruvido. Un foglietto di carta ripiegato più volte. Con cautela lo tirò fuori, aprendolo lentamente. Non ci fu nemmeno bisogno di leggerlo, conosceva a memoria le parole scritte  sopra quel pezzetto di carta.

Ora sapeva dove andare.

-yuriy ….-


Che dire?

Penso che ci starebbe “ che gran bordello!!!”. Concordo in pieno, questo capitolo è un mix indescrivibile di situazioni diverse. Come avrete notato è arrivato Boris!! Mi diverto un sacco a scrivere di lui, è un personaggio lineare e semplice, molto naturale … non come un certo russo di mia conoscenza ( Kai: parli di me?) … no certo che no!!^^

Per quanto riguarda Eliza, è un personaggio nato alle origini che o voluto mantenere. Non mi piace molto caratterialmente ma è necessaria per la storia!! XD

Comunque sappiate che Rei mi sta parecchio sulle scatole, ma purtroppo lo vedo benissimo come amico di Kai, quindi dovevo avvicinarli. Sappiate che non mollo qui la storia con Mao,mi piace pensare che la mia storia sia articolata e non a trama unica …

Eh Brookliyn!!! Il mio amore è arrivato … finalmente parliamo di lui, il piccolo, dolce, innocente Brook … seee come no …

Direi che non ho altro da dire se non RECENSITE IN TANTI!!!

E un grazie a tutti coloro che mi hanno seguito fino a oggi, e che mi perdoneranno per questo immenso ritardo … sorry -_-

Alla prossima XD


 

 

 

 

 

 

 

 

  
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