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Autore: Nihal    07/04/2013    4 recensioni
La guida che vi servirà per sopravvivere all'ingresso nell'università.
Serie di flashfic e oneshot tratte dalla mia esperienza universitaria, con qualche tocco di finzione.
Lasciate ogni speranza, oh liceali che entrate.
Godetevi i vostri banchi fissi, liceali. Dormiteci, scriveteci, mangiateci, usateli per prendervi a botte, quello che volete. Createvi dei ricordi dei vostri banchi, perché all’università vi resteranno solo quelli.
Cos’è, voi due che ridevate prima, perché ora siete ammutoliti? E non piangete, femminucce! Potete sempre tornare al liceo a trovarli, i vostri banchi! Non che io l’abbia mai fatto, sia ben chiaro.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. Lo studio pre-esame. Quando ci saranno solo i libri a farvi compagnia. E, soprattutto, l’esame.

Vi ho raccontato tanti aneddoti, ma ancora non ho parlato degli esami. Adesso penserete che se ne parlo al quinto punto è perché non sono poi così importanti, probabilmente le leggende che dicono che all’università si va solo per giocare a birra pong il sabato sera – e il venerdì e il giovedì e il mercoledì e il martedì e il lunedì. Domenica è giorno di riposo – sono vere e che non dovrete mai più vedere un libro in vita vostra.
Dai che lo sapete già cosa sto per dirvi. Anche Pinco e Pallino amanti dei banchi, lì, hanno smesso di ridere.
Sì, insomma, via questo stereotipo, è palesemente falso.
Mettetevi l’anima in pace, i libri da studiare sono come minimo due – esclusi gli appunti – ed esiste una legge fisica da qualche parte nel mondo che dice che i corsi finiranno sempre meno di una settimana prima dell’esame. Sempre. Non obiettate che non è possibile, che c’è un tempo limite per il termine dei corsi e cose così. Noi non badiamo a queste quisquilie.
Il corollario alla legge di sopra dice che il professore sarà sempre indietro sul programma e che, per quanto abbia già spiegato ore e ore e voi vi siate staccati la mano a forza di prendere appunti, gli serviranno almeno due o tre settimane bonus in cui concludere l’ultima parte.
L’ultima parte si rivelerà essere la seconda metà del programma, che voi dovrete studiate in due o tre giorni netti.
Ma prendiamo un esempio.
Esame di religione. Poco tempo.
Quelle sono le uniche concezioni che ho in testa quando guardo la pila di libri ammucchiata sul tavolo della cucina. Cerco di contarli, ma a metà soggiunge la depressione e decido che per la mia salute mentale è meglio che il numero di testi resti sconosciuto.
Guardo gli appunti. Questi sono di meno, mi dico.
Pinco e Pallino, non ridete che quando vi iscriverete a lingue – e so che lo farete – non vi passo gli appunti.
Ah, ecco, ora siete seri. Continuiamo.
Dicevo. Guardo gli appunti. Gli appunti guardano me. Dopo un gioco di sguardi che dura circa mezzo pomeriggio, mi alzo e vado a prendere i pennarelli. Sì, all’università i colori vi serviranno! Saranno l’unica cosa che preserverà la vostra sanità mentale, cari miei.
Inizio a colorare le frasi più importanti che, secondo un calcolo matematico non meglio identificato, si susseguono a distanza di due righe. Quando metà dei fogli sono diventati color arcobaleno, mi sento soddisfatta.
Almeno non sembrano deprimenti come prima.
Ma è arrivata l’ora di fare una pausa. Mi alzo, facendo bene attenzione a non guardare i libri che altrimenti mi costringerebbero a studiarli – sì, i libri universitari hanno questo potere – e mi dirigo verso la credenza, per un piccolo spuntino.
Ritorno al tavolo circa un’ora più tardi, dopo aver spazzolato tutto quello che sono riuscita a trovare. Ecco, dimenticavo: preparatevi a prendere almeno due chili ad ogni sessione d’esame. Il cibo, insieme ai colori, è una delle poche cose che vi risolleverà il morale.
Comunque, ritorniamo allo studio. Dopo che gli appunti sono sufficientemente colorati, mi ritengo soddisfatta.
Passo ai libri. Prendo il primo dalla pila e lo sfoglio distrattamente. Adesso voi penserete che io non studi sul serio, ma questa è tutta una tattica, fareste bene a prendere nota.
Non fatevi infinocchiare da quelli che all’ingresso dell’edificio universitario cercano di vendervi miracolosi corsi di memorizzazione facile e di studio veloce. Io il mio metodo ve lo rivelo gratis, perché tanto né il mio né il loro funzionerà, quindi sono talmente onesta da non farvelo pagare – casomai voleste fare una donazione ad una povera studentessa universitaria, il numero della mia carta vi sarà comunicato in separata sede.
Quello che sto facendo è leggere parole a caso con la speranza di assimilare i concetti chiave. È un tipico metodo di studio utilizzato dall’universitario medio che è con l’acqua alla gola perché ha cazzeggiato fino al giorno precedente all’esame. Insomma, lo usano tutti.
In meno di due ore ho i concetti chiave di tutti i libri. La parte negativa di questo sistema è che quando guardi le parole chiave della pagina possono sì capitarti ‘buddhismo’, ‘religione’ e cose del genere, ma anche ‘di’, ‘per’ e ‘vedi nota’ e dubito che una di queste parole possa essere utilizzata per costruire una risposta. Comunque si può tentare, eh.
Ormai è tardi, è meglio che vada a dormire. Sì sa che dopo una giornata intensa di studio il cervello ha bisogno di riposo, soprattutto se il giorno dopo è quello dell’esame.
Il mattino successivo mi sveglio all’incirca alle quattro di mattino. L’appello è alle dieci, ma contando i vari spostamenti, le deviazioni stradali, i pastori che porteranno le mucche a passeggiare in città rallentando il traffico proprio quel giorno e le fini del mondo varie sono sicura che arriverò appena in tempo.
Metto gli appunti in borsa con l’intento di fare una bella figura. Se la gente mi vedrà studiare intensamente penserà che sono una persona che vuole prepararsi fino all’ultimo minuto e se sarà proprio il professore ad avere quell’impressione, magari partirà prevenuto in modo positivo.
Sì, sono tutte illusioni. Era solo per farvi capire che è inutile se la penserete così. Se non sapete una cippa, non sapete una cippa. Sperate che il professore sia ubriaco e vi chieda che tempo fa, così magari una risposta giusta gliela date.
Io faccio così, ma nessun professore è mai ubriaco. Comunque, giusto in caso, prima dell’esame guardo le previsioni del tempo, casomai non ci fosse una finestra per vedere se piove o c’è il sole.
Comunque, dicevo. Arrivo nel luogo indicato con un’ora di anticipo: la fine del mondo che prevedevo non si è verificata, così sono arrivata prima. L’aula è già piena di persone che presentano tic isterici di varie entità. Io ovviamente non faccio eccezione. Mi siedo e decido di utilizzare quell’ora di bonus per sembrare impegnata a leggere gli appunti.
Applico il metodo delle parole chiave anche su quelli, ma mi giova a poco.
Alla fine il professore arriva. Chiama gli iscritti e, dopo che la metà – quelli che non si sono ritirati perché credono nel metodo delle parole chiave – risponde, inizia ad interrogare.
In linea di massima è bene ascoltare le domande che vengono poste agli studenti che passano prima di voi. Ma se vi rendete conto che su cinque domande riuscireste a dire qualcosa solo su una – e magari sapete solo una parola chiave e basta – vi consiglio di andare a bervi una cioccolata e aspettare il vostro turno il più lontano possibile dall’aula. Presentarsi all’esame con un principio di depressione non è il massimo, non fate una bella impressione.
Ovviamente io non seguo il mio stesso consiglio e sto a sentire. Dopo mezz’ora vorrei sprofondare nel pavimento. I miei concetti chiave sono inutili e il professore gode nel torturare gli esaminati.
L’ultimo non è neanche andato tanto male, a mio avviso. Almeno qualche parola l’ha detta, al contrario del suo predecessore e non è scoppiato a piangere, al contrario di quella ancora prima.
«Guardi, le consiglierei di presentarsi al prossimo appello. Questa interrogazione non vale più di diciotto.»
Il viso dello studente si illumina. Era chiaro che nelle sue speranze più rosee contava di prendere quindici per pena.
«Lo accetto!»
«No, guardi, non glielo consiglio, se si prepara di più può ottenere un voto più alto.»
Intanto il candidato ha già piazzato il libretto sotto la faccia del professore e visto che questo non si sbriga gli ha anche messo sotto il naso una penna.
Il professore storce il naso mentre scrive il voto.
Io intanto affogo nella disperazione. Probabilmente non arriverò neanche ad un voto a due cifre.
Il mio nome, che sembra pronunciato da molto lontano, mi fa risvegliare dal mio torpore.
È il mio turno. Avrei dovuto ritirarmi. Ma il mondo universitario è anche questo, miei cari liceali: esami che si tentano per fortuna, esami che non si passano per sfortuna e a volte anche esami per cui si è studiato.
Mi siedo davanti a lui, cercando di trattenere un attacco isterico.
«Buongiorno.»
No, neanche un po’. Se fosse un buon giorno sarei ancora nel letto a dormire e non avrei nessun esame da sostenere.
«Buongiorno.»
Ora che i convenevoli sono andati, inizia la tortura vera e propria. Mi fa una domanda, per poi guardarmi con espressione di sfida.
È una cosa del genere: «Secondo quali meccanismi si sviluppa la corrente di pensiero discendente dal cosiddetto Buddha e in quale era storica si può dire che ci sia l’incipit di quest’ultima?»
Io lo guardo con espressione ebete. Sarà l’ansia, ma non ho neanche afferrato quello che vuole chiedermi.
«Mi scusi, potrebbe ripetere la domanda?» cerco di essere gentile, ma purtroppo l’odio si espande a ondate troppo grandi per poterle limitare.
«Cos’è il buddhismo e quando nasce?»
Sorrisetto.
Prendi per il culo?
Faccio riaffiorare alla mente i concetti chiave e gli dico tutto quello che mi ricordo. Stranamente non abbiamo iniziato con una domanda in cui sarei stata costretta a fare scena muta.
«Bene, anche se io non userei il termine ‘corrente’. Mi sembra più adatto ‘movimento’. Bisogna fare attenzione a queste cose.»
Mi guarda con espressione di rimprovero.
Io sono lì lì per rispondere con un scusi, la prossima volta provvederò a munirmi di dizionario dei sinonimi e dei contrari e lo consulterò prima di aver la faccia tosta di darle una risposta con termini non adeguati, ma saggiamente decido che forse è meglio non fare polemica con una persona che ha palesemente il coltello dalla parte del manico.
Mi limito ad annuire.
Il resto dell’interrogazione si svolge in modo stranamente liscio. Più parlo e più le mie speranze si sollevano.
Pinco, non ridere.
Finalmente il professore decide che con me ha finito. Io cerco di nascondere la soddisfazione per essere riuscita a cavarmela, ma lui mi smonta.
«Beh, i concetti ci sono…»
Non è quello l’importante?
«… ma l’esposizione non va molto bene.»
‘Corrente’ al posto di ‘movimento’ non conta come brutta esposizione.
«A volte usa termini non adeguati.»
Ancora con questa corrente?
«Però si vede che ha studiato!»
È un contentino?
«Beh, dai va bene, le do un voto alto.»
Sta parlando da solo, se ne rende conto, vero?
«Avanti il prossimo!»
Ma siamo dal macellaio? Su, ragazzi, se non avete il ticket non potete passare. Mettetevi in fila. Comunque le ali di pollo sono già finite, sappiatelo.
Ridi pure, Pinco. Un giorno toccherà anche a te. E non è detto che ti vada bene, sappilo.
Io, intanto, per questa volta l’ho scampata, mi ritengo già fortunata per quello.



Salve!:) Per la cronaca, sì, il birra pong è spudoratamente preso da 'Greek'!:)
Coooomunque...
Se al telegiornale parlano di nuovo del calo degli iscritti all'università mi dovrò ritenere responsabile?:)
No, suvvia, non prendete alla lettera quello che vi dico. Iscrivetevi all'università con aspettativa, preparatevi una buona dose di prosciutti e un'altra di santa pazienza e forse ce la fate!:) E con questa perla di consiglio, vi saluto!:)

Nihal

  
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