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Autore: Dreamer91    07/04/2013    1 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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Buon Pomeriggio angioletti miei e buona Domenica a tutti ^^ lo so, sono passati trenta giorni dall'ultimo epilogo, avete tutte le ragioni di questo mondo per essere arrabbiati con me... solo che questo epilogo proprio non mi piace.. l'ho scritto proprio per non deludere voi e perché quando mi prefisso qualcosa voglio portarla a termine... diciamo che, tolta una parte che mi è anche piaciuta, se fosse dipeso da me l'epilogo sarebbe finito nel cestino, ma... mi sono stancata di portarla troppo per le lunghe, voglio chiudere JaL per dedicarmi un po' ai miei Seniel *__* dunque... vi ringrazio per l'affetto che continuate a regalarmi, siete meravigliosi qui e anche nella pagina autore.. siete davvero importanti per me ed io non mi stancherò mai di dirvelo. Ci vediamo con l'ultimo epilogo, finalmente Klaine che ho intenzione di strutturare diversamente rispetto ai precedenti, proprio perché la Klaine è la coppia base della storia e perché vorrei chiudere in bellezza ^^ quindi potrei anche aggiornare molto prima di quanto non crediate... mettere fine a JaL fa male, molto più di quanto potessi immaginare, solo che... tutto finisce, ahimé.. anche le cose più belle ç__ç me ne vado prima di affogare in un mare di lacrime.. vi amo <3
p.s. Grazie a Dan perché parte dell'idea me l'hai data tu :*
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta Seniel ( Now and Forever)


Epilogo n°8
William & Emma
"Il Dono più Grande"




New York City. Ore 04.54 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)


Quando ero un adolescente e tornavo a casa da scuola, venivo sempre accolto dal profumo dell'ottimo cibo che mia madre cucinava, che mi metteva inevitabilmente di buonumore ed era capace di farmi dimenticare qualsiasi cosa, anche il solito litigio con il mio compagno di banco o il richiamo ingiustificato da parte di un professore che ce l'aveva con me. Io entravo in casa, annusavo l'aria e tutto andava meglio. Mia madre mi accoglieva con uno splendido sorriso, mi baciava la fronte e mi spediva in bagno a lavarmi le mani perché tanto era già tutto pronto e l'unica cosa di cui mi sarei dovuto preoccupare sarebbe stato addentare quello splendido cibo che già troneggiava sulla tavola. Era un po' un rituale, una nota che si ripeteva ogni giorno, un punto fermo nella mia vita che mi aveva accompagnato fino al mio penultimo anno di liceo. Poi tutto era cambiato: un giorno, tornando a casa come sempre, invece dell'odore di cibo e del sorriso di mia madre, ad accogliermi non trovai proprio niente. Mia madre non c'era, la tavola non era apparecchiata, il forno era vuoto... già quello fu per me una sorta di presagio che mi mandò immediatamente nel panico. Soltanto dieci minuti più tardi avevo scoperto che mia madre si era sentita male, aveva avuto un ictus e non c'era stato nulla da fare. In meno di dieci minuti la mia vita era cambiata completamente: da essere rallegrata dalla gioia di tornare a casa e trovarci lei ad aspettarmi, divenne solo solitudine allo stato puro ed una cucina che ogni giorno sembrava sempre più vuota e triste. Rimasi solo a diciassette anni, dato che mio padre non lo avevo mai conosciuto perché morto prima che io nascessi. Rimasi a casa di un lontano parente fino al diploma dopodiché per mia fortuna volai fino a New York per studiare e laurearmi ed iniziare la carriera di insegnante.
Il vuoto lasciato da mia madre era rimasto tale fino a quando, un giorno per caso non avevo incontrato lei. Incontrato è davvero una parola grossa perché più che altro quel giorno fra di noi ci fu un vero e proprio scontro.
Io ero in bicicletta e mi stavo dirigendo verso l'università dove insegnavo spagnolo da qualche mese e stavo tranquillamente attraversando la strada, sulle strisce pedonali e con tanto di semaforo verde. All'improvviso però un rumore brusco di frenata aveva attirato la mia attenzione e pochi istanti dopo, senza neanche accorgermene, mi ero ritrovato sull'asfalto, con un ginocchio dolorante e la bicicletta spezzata a metà. Dopo un primo momento di confusione ed aver capito cosa fosse successo, mi ero tirato su pronto ad inveire contro quel pilota maledetto che mi aveva quasi ucciso, fregandomene se così facendo avrei fatto tardi a lezione o peggio mi sarei messo contro qualche personaggio poco raccomandabile. Quell'incivile doveva avere quello che si meritava.. come minimo! Solo che alla fine non andò esattamente come avevo immaginato: dalla macchina - un maggiolone giallo canarino - uscì una donna piccola ed esile, con dei lucenti capelli rossi e due meravigliosi occhi da cerbiatto che si spalancarono all'istante non appena si posarono su di me. Visibilmente scioccata corse a soccorrermi, chiedendomi scusa in ogni modo - e la sua voce sembrava l'insieme di tanti piccoli campanellini dolci e soavi - dicendo di non avermi visto attraversare, di non aver neanche visto il semaforo, di aver avuto paura di avermi ucciso e che mi avrebbe ripagato la bicicletta distrutta. Io però ero già partito per un altro mondo, stregato dai suoi occhi, incantato dal suono della sua voce, rapito dal movimento delle sue labbra. E così, invece di chiederle le generalità per chiamare la polizia e far scattare la denuncia, le porsi la mano e le dissi semplicemente:
"Piacere.. William.. posso sapere come ti chiami?" lei per un istante era rimasta interdetta e aveva spalancato leggermente gli occhi grandi, incantandomi ancora di più e poi lo aveva detto
"Emma!" e da quel bellissimo nome, da quella semplice stretta di mano in mezzo alla strada, da quell'incidente che per fortuna non ebbe nessuna conseguenza grave sulla mia salute fisica... nacque tutto.
Meno di due mesi dopo ci ritrovammo fidanzati e altri sei mesi pronunciammo il nostro sì, davanti ad un prete, in una chiesa magnificamente addobbata - e di ogni cosa si era occupata soltanto lei - con tutti i nostri amici e parenti. In quel momento, mentre la cerimonia correva tranquilla e il prete faceva il suo sermone, mi ero concesso un momento per chiedermi cosa avrebbe pensato mia madre se fosse stata lì a festeggiare con noi. Probabilmente si sarebbe commossa, probabilmente mi avrebbe sorriso da lontano e ancora più probabilmente mi avrebbe lasciato il solito bacio sulla fronte e mi avrebbe detto: "Ecco... ora ci sarà Emma che penserà a te, che ti accoglierà ogni volta che tornerai a casa e che ti amerà tanto quanto ti ho amato io fino ad ora." e in un certo senso, quelle parole per me le pronunciò davvero, perché lei c'era.. c'era sempre stata e avrebbe continuato ad esserci fino alla fine dei miei giorni.
Dopo il matrimonio e il ricevimento, partimmo per un breve viaggio di nozze - dato che non avevamo poi tante risorse economiche a disposizione - per poi andare ad abitare a Lower East Side, in un appartamento di proprietà di suo padre che in quei sette mesi di matrimonio era stato il nostro perfetto nido d'amore. Amavo tutto di Emma.. ogni più piccola ed insignificante sfumatura: amavo la sua risata leggera, la sua carnagione chiara che rischiava di farla scottare anche d'inverno, il suo carattere così timido ma ugualmente forte e combattivo.. ma soprattutto amavo il modo in cui mi faceva sentire: amato, rispettato, a volte perfino venerato. L'unica nota leggermente stonata nel nostro rapporto erano stati i suoi genitori: i signori Pillsbury. Rusty e Rose Pillsbury avevano provato più volte a mettersi in mezzo tra di noi, avevano tentato di convincere la povera Emma che io non fossi alla sua altezza, che trovare un marito con i suoi stessi geni fosse più adatto per il suo futuro - avevano anche parlato di tenere viva la razza, o qualcosa del genere - e le avevano perfino proposto una serie di candidati più adatti. Lei per mia fortuna non era affatto succube dei suoi genitori e alla fine eravamo ugualmente riusciti a sposarci, pur non avendo ottenuto il pieno consenso da parte loro. Al matrimonio erano ugualmente venuti, ovviamente non si erano risparmiati la predica neanche per quel giorno e suo padre, durante il ricevimento, mi aveva perfino preso da parte per avvertirmi:
"Stai attento, Will." mi aveva detto con la faccia di chi sta per confessare qualcosa di molto grosso "La mia piccola Emma non è così docile come sembra. Prova a sporcarle la sua tovaglia preferita o ad entrare in casa senza prima esserti ripulito le scarpe in maniera meticolosa... e vedrai cosa succede!". Ovviamente la sua era una tecnica piuttosto subdola per tentare di farmi scappare a gambe levate, peccato che io già sapessi perfettamente di cosa stesse parlando. Emma soffriva di un disturbo ossessivo compulsivo chiamato misofobia, ovvero aveva una paura patologica verso qualsiasi forma di sporcizia, anche la più insignificante e trascurabile. La maggior parte della giornata la trascorreva con in mano lo spazzolino da denti e il disinfettante e guai ad interrompere il suo rituale sacro di pulizie giornaliero.. era capace di perdere il senno in pochissimi istanti. All'inizio, dopo aver scoperto questa sua... particolarità, mi ero sentito un tantino a disagio. Non sapevo come trattarla, cosa poter fare e cosa no perché avevo una paura terribile di farle involontariamente venire a galla tutta la sua paura. Eppure lei aveva tentato in ogni modo di rassicurarmi: prendeva già delle pillole per contenere i suoi attacchi e un modo molto semplice per evitare di appesantirle la situazione, sarebbe stato quello di trattarla come se non ci fosse nulla di cui aver timore e... indossare delle ciabatte pulite ogni giorno. In quei sette mesi le cose erano andate a gonfie vele e i suoi genitori si erano perfino abituati all'idea di avermi come genero: in fondo Emma al mio fianco era felice e allora cos'altro avrebbero potuto chiedere di meglio?
Quel pomeriggio tornai a casa praticamente distrutto, dopo una pedalata lunga almeno undici isolati, un mal di testa assillante e una fame davvero incredibile. Era da poco iniziata la sessione estiva degli esami e in facoltà c'era un gran fermento, non contando le visite guidate alle matricole che ovviamente il rettore affidava sempre al sottoscritto e i vari laureandi che chiedevano consigli e delucidazioni. Amavo il mio lavoro, tentavo di svolgerlo sempre nel migliore dei modi e con il sorriso sulle labbra pronto per tutti, solo che alcuni giorni davvero non riuscivo a sostenere tutto quel peso e quelle numerose responsabilità. Ero umano anche io e per quanto fossi per natura molto disponibile e presente... cavolo, non esistevo soltanto io in quell'università. Professor Schuester qui, professor Schuester là... c'erano giorni in cui vivevo nell'incubo di essere preso in ostaggio da un gruppo di studenti e costretto a revisionare tesi intere, saggi, progetti video e perfino relazioni sui convegni semestrali. Mi era capitato più di una volta di scappare e nascondermi nei bagni pur di evitare qualche faccia nota, rettore incluso.
Con un sospiro stanco, mi richiusi la porta alle spalle e poggiai la valigetta dei miei libri a terra, per poi indossare le mie pantofole pulite e lasciare le scarpe su un mobile basso, dove poi le avrei dovute ripulire. Mi diressi in cucina con le migliori intenzioni, mettendo su un sorriso spontaneo per la mia adorata moglie e poterla salutare nel migliore dei modi. Tuttavia ad attendermi in cucina non trovai nessuno. Per un attimo, una piccola frazione di secondo, andai nel panico perché quella situazione mi sembrò un crudele déjà-vu della mia adolescenza.. niente tavola apparecchiata, nessun profumo di cibo pronto, nessun sorriso emozionato ad attendermi, niente di niente.
No, non é possibile.. non di nuovo...
Ignorando completamente le regole rigide di pulizia e ordine di quella casa, lanciai il cappotto sul divano e corsi a controllare il resto della casa. Quella volta non avrei permesso al panico di invadermi completamente e non avrei neanche atteso, lì fermo, senza fare nulla. Prima di tutto avrei controllato ogni angolo della casa, perfino nel box doccia e poi l'avrei chiamata sul cellulare, avrei chiamato i suoi, l'ufficio, la psicoterapista da cui andava ogni settimana, avrei bussato ai vicini, avrei...
Un rumore leggero dietro la porta del bagno mi fece bloccare il respiro. Senza pensarci due volte l'aprii con uno scatto, facendola sbattere rumorosamente contro il muro e probabilmente staccandone perfino un pezzo. Ed Emma mi avrebbe ucciso per quello. Ma lì per lì non me ne preoccupai affatto perché tutta la mia attenzione si focalizzò sulla scena che trovai dietro quella porta: a primo impatto la stanza fu esattamente come sempre, lo stesso identico ordine, lo stesso rilassante odore di vaniglia, la stessa tendina per la doccia bianca e rosa. Eppure qualcosa stonava leggermente nell'insieme, ovvero una piccola donna seduta sul pavimento, accanto alla lavatrice, rannicchiata e con le gambe stretta al petto, con gli occhi ancora più spaventati del giorno in cui per poco non uccise quel ragazzo in bicicletta.
"Will... ma che..."
"Emma!" sussurrai, mentre mi lasciavo andare ad un lungo e distensivo sospiro di sollievo. Lei si strinse maggiormente in sé stessa e corrugò leggermente la fronte
"Non si usa più bussare?" domandò, non infastidita.. più che altro sembrava ancora spaventata da qualcosa
"Sì, hai.. ragione.. scusa. É che mi sono.." ma non riuscii a concludere la frase perché ammettere che non trovarla al mio ritorno ad accogliermi come sempre mi aveva fatto tornare alla mente il giorno in cui era morta mia madre, mi sembrava un tantino stupido. Ero un uomo maturo di trentasei anni.. che diavolo mi era preso?
"Cosa?" mi esortò lei, confusa. Scossi la testa e rilassai all'istante le spalle. Bene, mia moglie per fortuna stava bene ed io mi ero fatto assalire dalla paura per niente. Però, pensandoci... c'era ancora qualcosa che non mi era del tutto chiara.
"Tesoro..." la chiamai avanzando leggermente "Cosa ci fai seduta sul pavimento?" lei sembrò realizzarlo solo in quel momento, perché lanciò un'occhiata disperata verso le mattonelle chiare e poi fece una smorfia, ma non si mosse
"L'ho pulito due minuti fa... volevo.. controllare che fosse.. sufficiente!" spiegò leggermente esitante e non risultò affatto credibile alle mie orecchie. Avanzai ancora, fino a trovarmi a meno di un passo da lei e prima che potesse sollevare lo sguardo su di me, mi accovacciai al suo fianco per poi sfiorarle delicatamente una spalla
"Emma.. cosa ti succede?" le domandai, ma proprio mentre le sue labbra si aprivano leggermente per rispondere 'niente' io l'anticipai "E non dire che non hai niente, per favore. Ti conosco perfettamente e so che quando hai qualcosa che ti turba sei perfino capace di ignorare la tua fobia per gli acari e i germi." ed indicai il pavimento immacolato, dove probabilmente per lei si annidavano i mostri più pericolosi del mondo. Lei fece un'altra smorfia e si poggiò leggermente contro la mia gamba, quasi a voler scappare da quella minaccia.
Passarono altri sette secondi - sette lunghissimi secondi - e poi lei finalmente fece qualcosa: allungò la mano al suo fianco, afferrò qualcosa e me lo porse senza dire nulla. Confuso allungai la mano per afferrare una specie di penna bianca e l'analizzai per bene. Solo in quel momento mi accorsi di cosa si trattasse e per poco non caddi con la faccia sul pavimento.
Oh.. la miseria...
"É un..." non riuscii a finire la frase, gli occhi ancora incollati sull'oggetto incriminato e il rumore del mio stesso cuore arrivato fin dentro al cervello
"Un test di gravidanza!" terminò lei la frase per me, ma fu un debole sussurro, quasi una voce lontana. Era davvero un test di gravidanza, allora. Un test di gravidanza di mia moglie. Un test di gravidanza positivo di mia moglie. Un test di gravidanza positivo di mia moglie che era...
"Sei incinta!" esalai, senza fiato. La mia non era una domanda. In quel caso non serviva domandare... e infatti lei non rispose, ma a me quello bastò come conferma. Mi lasciai scappare il test dalle mani - un test positivo, dannazione! - e mi fiondai su di lei stringendola forte, mentre il petto mi si stringeva di conseguenza a causa dell'emozione. Mia moglie era incinta.. aspettava un bambino.. un bambino mio. Non mi sarei mai aspettato una notizia così bella, non così all'improvviso. Oh mio Dio.. era sensazionale.
Io.. padre...
"Emma.. è... la notizia più bella che potessi darmi!" esclamai entusiasta, sentendo gli occhi inumidirsi per la gioia. Sarei diventato padre.. era.. il mio sogno più grande. E grazie alla mia dolce Emma stava per diventare realtà.
"Will..."
"Oh mio Dio sono così felice, tesoro... non hai idea." strinsi più forte, ignorando il fatto che le sue braccia non stessero ricambiando l'abbraccio. Beh, magari era ancora scioccata, il che avrebbe spiegato come mai fosse seduta sul pavimento al mio arrivo. Notizie del genere andavano affrontate con calma, quindi era normale che fosse tanto sorpresa. Anche io lo ero... Dio mio...
"William.. io..."
"Ecco perché in questi giorni eri così affamata e hai voluto guardare tre volte 'Una scatenata dozzina'... ora mi è tutto più chiaro." mormorai, mentre tutti i suoi atteggiamenti strani di quei giorni tornavano a galla lentamente, rivelandosi, a posteriori, dei veri e propri segnali evidenti. Era incredibile... proprio perché non era programmato e nessuno se lo sarebbe mai potuto immaginare, era questo a rendere la notizia ancora più bella. Chissà cosa avrebbero detto i suoi genitori, magari finalmente questo avrebbe appianato definitivamente i contrasti tra di noi, perché, si sa, l'arrivo di un nipote risolve sempre tutto. E forse, per farli contenti, avremmo potuto usare come secondo nome, a seconda se fosse stato maschio o femmina, quello del nonno o della nonna e così sarebbe...
"William!" la voce ferma di Emma mi riportò sulla terra e lasciai stare i miei viaggi mentali per dedicarmi al momento e a lei. Sciolsi l'abbraccio - che era stato completamente a senso unico visto che lei non aveva affatto partecipato - e mi concentrai sui suoi occhi. Quello che vi trovai non mi piacque affatto. Mi aspettavo la stessa gioia che sentivo colorare i miei, mi aspettavo un po' di commozione, qualche lacrima leggera, o almeno un sorriso. Ma niente. L'unica cosa che riuscii a scorgere furono i suoi lineamenti contratti in una smorfia di disappunto.
Non è così che ti aspetti che tua moglie reagisca ad una notizia del genere...
"Io non... penso di volerlo questo bambino!" esclamò infatti, pugnalandomi. E a me in quel momento mancò il fiato, oltre che il pavimento sotto ai piedi
"Co-cosa?" era assurdo ciò che stava dicendo e per questo mi ritrovai a ridacchiare stupidamente, per tentare di sdrammatizzare la situazione "Stai scherzando, vero?" le chiesi ma il momento di ironia durò davvero poco perché lei scosse la testa in risposta, mandando il pugnale leggermente più in profondità.
"Ma... perché?" domandai, boccheggiando appena. Lei si perse in un piccolo sospiro tremante prima di rispondere
"Ho paura Will..."
Anche io ho paura, è ovvio...
"Di cosa? Pensi..." feci una pausa, deglutendo a vuoto "Pensi che non siamo pronti? Che avremmo dovuto aspettare un altro po'?" azzardai, mettendo giù le prime cose che mi vennero in mente, dato che non avevo davvero idea di cosa stesse parlando. Ma purtroppo scosse di nuovo la testa
"No, non è questo..." ammise, guardandomi per un attimo e portando una mano sulla mia guancia, per accarezzarmi "Sono fermamente convinta che tu possa essere un ottimo padre." e quelle parole sussurrate mi fecero battere appena più forte il cuore e tirai fuori un sorriso spontaneo
"E tu una madre meravigliosa!" esclamai, con tutta la sincerità e la spontaneità di cui ero capace. Lei però tremò appena e si affrettò ad affermare il suo dissenso
"No!" esclamò con forza, sgusciando via dalla mia presa
"Emma..."
"Io sono..." si prese un attimo per fare un profondo respiro molto teatrale, per poi mordersi entrambe le labbra e parlare, quasi si stesse rivolgendo ad un bambino e non a suo marito che la conosceva perfettamente e la amava proprio per questo.
"Ho un problema, Will... il mio problema e tu lo sai!" affermò e mi ammonì con lo sguardo, quasi fosse indecente da parte mia non riuscire a capirla. Ed era proprio questo che mi sconvolgeva di più... il non capire.
"Lo so Emma.. so quale.. qual'è il tuo problema! Ma fino ad ora non è mai stato importante per nessuno dei due!" mormorai con convinzione
"Non lo sarà stato per te, Will... ma per quanto mi riguarda è una cosa che mi assilla ogni momento di ogni giorno." spiegò agitandosi, nonostante a tratti cercasse di imporsi una respirazione più controllata, tecnica che le era stata consigliata dalla sua terapeuta. Ma in quel momento non aveva effetto.
"E cosa.. cosa c'entra con questo bambino?" domandai di conseguenza. Pronunciare la parola bambino mi creava ancora una certa aritmia, soprattutto se pensavo al fatto che fosse nostro.. mio e suo. Ma mi contenni.. non era il caso di esultare quando avevamo ancora un piccolo problema da risolvere
"Il disturbo che ho mi impedisce di... prendermi cura di qualcuno, soprattutto se questo qualcuno è un neonato!" sentenziò secca e concisa. Altra pugnalata, ancora più in profondità
"Ma... cosa.. dici? Come fai ad essere sicura che.."
"Lo so Will... lo so perché lo sento. Sento di non poterlo fare, di non essere in grado e so anche di non volerlo fare!" esclamò alzando la voce per sovrastare la mia. Ed Emma arrivava a gridare solo quando era seriamente turbata da qualcosa. Ma forse non tanto turbata quanto me in quel momento
"Non sono mai riuscita a pensare a me in quest'ottica, neanche da piccola. Questa idea non mi fa sentire a mio agio, mi spaventa... quale futuro pensi che possa dare ad un bambino, a.. mio figlio, se la mia unica preoccupazione al momento è trovare il giusto disinfettante per il lavello della cucina o la perfetta tonalità di rosa confetto per le tende del bagno?" mi chiese, quasi disperata, mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi. Peccato che non fossero esattamente lacrime di gioia quelle che minacciavano di uscire. Non mi piaceva ciò che stava dicendo, era un ragionamento che non riuscivo a comprendere né tanto meno a condividere. E stranamente iniziai ad avvertire una strana sensazione allo stomaco, qualcosa che prima di allora non avevo mai provato con lei, qualcosa di troppo simile alla rabbia da farmi addirittura paura.
"Io non sono capace di fare da madre a nessuno, né a questo bambino né a nessun altro. Ci sono donne che nascono con la predisposizione, adatte a questo ruolo.. io non lo sono e non lo sarò mai!" esclamò alla fine, sempre più secca, continuando ugualmente a tremare come una foglia e sempre sfuggendo al mio sguardo. Quel mai rimbalzò nella mia testa, facendo un fracasso assurdo e probabilmente annebbiandomi la ragione perché mi ritrovai a parlare ancora prima di aver lucidamente riflettuto
"Questo è assurdo, Emma... non puoi utilizzare il tuo disturbo come alibi. Avresti dovuto già mettere in conto che prima o poi avremmo avuto dei figli. É normale... é insito in tutte le coppie che si amano... é la più alta alta dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché hai... qualche problema con la pulizia ossessiva?" le chiesi, mentre lo stomaco mi si stringeva ancora e bruciava in maniera fastidiosa. Non mi piaceva il tono che avevo usato contro di lei, non era da me parlarle in quel modo. Solo che l'argomento mi aveva toccato nel profondo e c'erano certe questioni che mi stavano più a cuore di altre... quella dei figli, era una di queste. Ed era strano, perché prima di sposarci ne avevamo parlato della prospettiva di mettere su famiglia.. cosa si aspettava? Che quelle parole rimanessero vane per sempre? Che un domani non provassimo ugualmente a concepire un figlio? Che mi dimenticassi del mio sogno più grande e che facessi finta di nulla solo perché lei si sarebbe rifiutata di parlarne?
Gli occhi da cerbiatto di Emma si spalancarono come non mai e per un istante lunghissimo potei giurare di averla vista chiaramente smettere di respirare. Quello fu il segnale: avevo decisamente esagerato.
"Ho un problema con la pulizia ossessiva, Will?" mi chiese sconvolta, quasi non credesse neanche lei a ciò che stesse dicendo. Fui io quella volta a trattenere il fiato, perché non credevo possibile di averle detto quelle cose, figurarsi trovare altre parole da dire in risposta "Come... come riesci a sminuire tutto quello che mi distrugge l'esistenza in maniera così.. banale?" sbatté le palpebre velocemente e da quel movimento scapparono un paio di lacrime al controllo che le rigarono le guance. Sentii il cuore sbattere contro la cassa toracica e fare male di conseguenza. Quasi fosse una punizione. Una punizione ampiamente meritata.
"Emma.. io.. non intendevo.." non riuscii neanche a mettere in piedi qualcosa di sensato perché non sapevo cosa poter dire e cosa no. Avrei potuto rovinare tutto anche con una semplice parola. Non volevo farla piangere, non era mia intenzione.. io non volevo neanche dire quelle cose che mi ero reso conto da solo fossero leggermente fuori luogo. Lei chiedeva di essere capita, chiedeva di essere ascoltata come sempre. Ed io invece di farlo, di mostrarmi come al solito dalla sua parte - perché lo ero davvero - ero riuscito soltanto ad aggredirla. Perché non avevo capito quanto fosse grande il suo bisogno di parlare? Perché non mi ero limitato a chiederle.. e tu, tesoro.. tu cosa pensi di questo bambino?
Sono una merda...
"Tu sapevi perfettamente a cosa saresti andato incontro sposandomi. Se avessi voluto la famigliola perfetta e felice, avresti fatto meglio pensarci prima... se avessi voluto le cose semplici, quelle a portata di mano, quelle chiare che rispecchiano i tuoi più grandi sogni... avresti dovuto portare un'altra donna all'altare. Se pensi che il mio problema riguardi solo una... stupida ossessione per la pulizia.. allora mi chiedo chi tu creda di aver sposato quel giorno, William!" e detto questo, ancora piangendo, si sollevò dal pavimento e scappò via. Sgusciando abilmente da ogni mio tentativo di tenerla ferma a me, di bloccarla, di risolvere la situazione. Volò via da me all'improvviso e quella volta neanche io potei fare qualcosa per impedirlo.

New York City. Ore 05.40 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)

Era un incubo. Tutta quella giornata era stata un totale incubo, uno di quelli che sembrano talmente tanto sbagliati da toglierti il respiro già dopo un solo attimo, quelli da cui speri di uscire in fretta, quelli che possono avere un unico epilogo.. il suono della sveglia. Ma io non stavo sognando purtroppo, quella era la realtà e non avrei neanche avuto bisogno del pizzicotto sul braccio per rendermene conto.
Dopo aver lasciato in fretta e furia l'appartamento, mi ero diretta verso l'interno della città, senza una meta precisa. Semplicemente mi ritrovai a camminare a testa bassa e con le mani nelle tasche, sperando di non incontrare nessuno e soprattutto sperando di non essere trovata da William. Così mi ritrovai a vagare per le strade di Manhattan, mischiandomi con le altre persone sui marciapiedi affollati e provando a chiedermi cosa si provasse a sentirsi una delle tante per una volta soltanto. Ero semplicemente un membro della folla, senza alcun segno particolare, senza nessun disturbo ossessivo compulsivo, senza un marito che mi voltava le spalle davanti ad un problema per me insormontabile, senza... senza avere nessun bambino a crescermi nella pancia.
Dopo una mezz'ora di cammino insensato mi ritrovai al City Hall Park, inondato di sole e pieno di gente. Ero nel cuore dell'isola e volevo continuare a stare in mezzo alla gente perché così mi sarei sentita meno sola e per una come me la solitudine era davvero una specie di arma a doppio taglio. Avevo creduto che parlare con mio marito mi avrebbe aiutato a fare chiarezza... alla fine si era rivelato un grandissimo sbaglio.
Con un sospiro mi sedetti su una panchina - non prima di averla ripulita per bene con un fazzoletto - e mi concessi di scrutare molto attentamente l'ambiente circostante e tutte le persone, tra adulti e bambini, che ne facevano parte. A quell'ora, nonostante fosse Martedì, c'era davvero gente di ogni età: ragazzi in comitiva, persone sole in compagnia del cane, sportivi intenti a fare jogging, gruppi di anziani radunati attorno alla fontana per chiacchierare allegramente, famiglie riunite per un pomeriggio di svago. Le famiglie. Le famiglie con bambini. I bambini.
Istintivamente mi portai una mano sulla pancia, avvertendo una strana sensazione invadermi: era buffo pensare che dentro di me in quel momento ci fosse qualcuno, qualcuno che dipendeva completamente da me, che si nutriva grazie a me che... sopravviveva grazie a me. Io che non ero mai riuscita a tenere in vita neanche il pesce rosso che i miei compravano ogni anno alla fiera del quartiere... come avrei potuto sperare di crescere un figlio.. un altro essere umano?
Avresti dovuto già mettere in conto che prima o poi avremmo avuto dei figli...
Le parole di William mi rimbalzarono nella testa senza neanche pensarci veramente. Erano lì, forse io avevo tentato di metterle da parte, ma ovviamente sapevo che non sarebbe durata troppo a lungo. Erano in agguato e mi avrebbero sommersa nel momento esatto in cui mi fossi fermata a riflettere. E lo avevo fatto: mi ero fermata e quelle parole avevano ripreso a girare. E facevano male... cavolo se lo facevano.
Erano circa dieci giorni che sentivo di avere qualcosa di strano: come aveva detto William, avevo più fame del solito e soprattutto mi ero accorta di essere diventata più sensibile. Non che normalmente non lo fossi già abbastanza ma.. avevo decisamente superato il limite. A tutti quei piccoli segnali si era poi aggiunto un considerevole ritardo che mi aveva fatta giungere ad una conclusione, purtroppo l'unica. Ed era per questo che, uscita dal lavoro, ero andata direttamente in farmacia per acquistare il test di gravidanza e, tornata a casa, lo avevo fatto, senza neanche preoccuparmi di ripulire il bagno prima. Ero entrata una specie di stato di trance, perché sentivo di muovermi ma non riuscivo a capire perché né cosa facessi esattamente. Poi era arrivata l'attesa: si erano succeduti i cinque minuti più lunghi di tutta la mia vita, durante i quali avevo cercato di non pensare, di non respirare, di non guardare verso la bacchetta bianca che avrebbe dovuto colorarsi per darmi una risposta, ma soprattutto avevo cercato di non andare nel panico. Ovviamente non ero riuscita a fare nulla di ciò che avrei voluto. I cinque minuti però erano passati e gli occhi si erano precipitati a controllare, ancora prima che la mente e la volontà lo richiedessero. E da quel momento, dall'istante in cui avevo scorto le due linee blu al centro della bacchetta che non lasciavano più alcuna possibilità di scampo.. beh, avevo iniziato a sentirmi male. Ma non male come la nausea mattutina che da qualche giorno mi perseguitava, non male come quando non riuscivo a pulire come volevo il tavolo della cucina e neanche male come quando mia madre mi ripeteva che ero strana e che non sarei mai migliorata. Molto, molto peggio. Mi si era aperta una voragine nel petto e cosa peggiore era stata avere la possibilità di affacciarsi dal margine per costatarne l'altezza e scoprire che il salto sarebbe stato ancora più profondo di quanto non avessi potuto temere. E il fondo non si scorgeva neanche.
Poi era tornato Will e l'istante dopo il battito era rallentato ancora perché incontrare i suoi occhi e sentire di nuovo la sua voce fu come realizzare immediatamente qualcosa di ancora più grande: quello che avevo appena scoperto non riguardava soltanto me, riguardava anche lui, riguardava i miei genitori, gli amici, i colleghi di lavoro, la gente per strada... riguardava tutto e troppo ed io non ero in grado, né di prendere in considerazione un'idea del genere né tanto meno di affrontarla in futuro. Eppure.. l'entusiasmo con cui Will aveva accolto la notizia.. era stato destabilizzante. Non lo avevo mai visto così.. felice, forse neanche il giorno del nostro matrimonio. Quella sua reazione per un istante mi aveva fatta desistere e mi ero ritrovata a chiedermi se non fosse eccessivamente egoista da parte mia pensarla in un modo completamente diverso da quello di mio marito. D'altronde, sull'altare, io avevo promesso di rispettarlo e sostenerlo sempre, nella gioia e nel dolore... quindi, da parte mia sarebbe stato più logico rispondere a quell'abbraccio e gioire con lui, no?
No...
Ma non ce l'avevo fatta, ancora una volta la paura aveva preso il sopravvento sulla ragione e mi ero ritrovata a confessare tutto quello che in quei cinque minuti lunghissimi avevo provato. Speravo che lui potesse, se non capirmi, perlomeno ascoltarmi fino alla fine senza giudicare. Ma ovviamente... non era stato affatto così.
Non puoi utilizzare il tuo disturbo come alibi...
Era vero, io avevo un problema, e quel problema condizionava la maggior parte della mia vita, dal mattino presto fino a quando andavo a dormire: era parte di me, ci convivevo da molti anni ormai, eppure non ci avevo ancora del tutto fatto l'abitudine. Il pensiero di me con in braccio un bambino, per quanto strano, per un momento mi aveva fatto bene. Avere una creatura così piccola tra le mie braccia e poterne sentire il calore attraverso i vestiti.. doveva essere davvero una bella sensazione. Eppure... era durata davvero poco, perché subito la ragione aveva prevalso, buttandomi addosso la realtà: io non volevo quel figlio, non soltanto perché soffrissi di un disturbo ossessivo compulsivo che mi impediva di sedermi a tavola non prima di aver lucidato tutti i fornelli, perfino quelli che non avevo utilizzato... io non volevo quel figlio perché sentivo di non essere in grado di crescerlo. Non mi ritenevo adatta per un ruolo del genere, non credevo che una persona come me meritasse di avere un dono tanto grande. Far nascere, accudire, crescere qualcuno era qualcosa di troppo importante ed io non ero degna.
Avrei voluto che William capisse il mio disagio, mi stringesse ancora finché non fossi stata in grado di fare altrettanto e che mi chiedesse di spiegare con calma cosa provassi e cosa avrebbe potuto fare per me.. per noi.. per rendere tutto più semplice. Io non avevo pensato neanche per un istante all'idea di.. interrompere la gravidanza, anche perché soltanto l'idea mi dava il voltastomaco.. solo... avevo creduto ingenuamente che confidarmi con mio marito, metterlo a corrente di quello che mi turbava e sperare che almeno lui potesse aiutarmi a fare chiarezza.. sarebbe servito a qualcosa e invece.. aveva solo peggiorato la situazione. Lui aveva peggiorato la situazione con quelle parole, buttandomi addosso quella freddezza con la speranza di farmi ancora più male. E ci era riuscito.. mi aveva davvero fatta stare peggio.. molto peggio.
É normale... é insito in tutte le coppie che si amano... é la più alta alta dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché hai... qualche problema con la pulizia ossessiva?...
Sentire come potesse sminuire tutto ciò che avevo in quel modo, con soltanto sei parole mi aveva distrutta perché per un momento mi erano tornate alla mente tutte le critiche dei miei genitori, quelle che mi avevano accompagnato dall'adolescenza fino ad allora. Anche loro avevano sempre pensato che il mio problema fosse semplicemente legato ad un bicchiere sporco o ad un tappeto messo male. Era ben altro. Era il vivere nella costante paura di essere inadeguata, di sbagliare qualcosa e rovinare di conseguenza tutto il resto. L'avere il terrore di una reazione esagerata, di non poter essere all'altezza, di credere fermamente una cosa e poi realizzarne un'altra. Era questa la mia paura. Certo.. c'era anche la questione dei germi e della polvere.. ma non si limitava solo a quello. Nella mia vita, per sentirmi degna, avrebbe dovuto essere tutto preciso e perfetto, senza una grinza e forse solo allora mi sarei potuta concedere un sospiro di sollievo e mi sarei goduta la vita.
Tutte le mie paure però si erano realizzate nell'esatto momento in cui avevo scoperto di essere incinta: era qualcosa di non programmato, che usciva completamente fuori da ogni regola e schema, qualcosa che non riuscivo a gestire e che avrebbe reso il mio domani troppo incerto. Per questo non avevo reagito bene e soprattutto avevo detto a William di non aver mai pensato di avere figli. Su una cosa però lui poteva aver ragione: forse avremmo dovuto parlarne prima. Forse avrei dovuto essere chiara fin dall'inizio con lui e magari affrontare un tale discorso insieme già preso alla lontana.. avrebbe aiutato ad arrivare più preparati a quel momento. E invece.. io ero sola, lui era solo e non avevamo risolto un bel niente.
Senza farci troppo caso, iniziai ad accarezzarmi la pancia distrattamente, stringendo poi il tessuto della maglia in un pugno e lasciandomi scappare un mezzo singhiozzo. Sapevo che non fosse particolarmente intelligente da parte mia mettermi a piangere in mezzo a tanta gente ma... non riuscivo a trattenermi più. Se non ero libera neanche di piangere e sfogarmi a casa mia, con mio marito.. beh allora l'avrei fatto in quel parco.
Ad un tratto, mentre ignoravo le lacrime che mi bagnavano ormai le guance, e continuavo ad accarezzarmi lentamente la pancia da sopra i vestiti, qualcosa accadde: nel mio campo visivo fu registrato un movimento strano alla mia destra e per questo sollevai gli occhi e mi sorpresi non poco di ritrovare un donna, seduta praticamente accanto a me che mi offriva un fazzoletto di stoffa ripiegato ed un sorriso gentile sul volto. La osservai non capendo cosa volesse e chiedendomi subito chi fosse. Era per caso qualcuno che conoscevo?
Non mi pare...
"Tieni... prendilo." mi invitò con un sorriso. Che voce profonda che aveva: sembrava così forte e quasi... mascolina. Eppure era una bella donna.. la testa piena di ricci, gli occhi chiari, il sorriso gentile. Aveva una presenza... molto abbondante, però... non mi incuteva paura, affatto. Lanciai un'occhiata verso il fazzoletto: aveva tutta l'aria di essere pulito e di contenere migliaia di germi, ed io ero disperata sì, ma non fino a quel punto.
"No... la ringrazio.. non è necessario." le risposi scuotendo la testa. Non si accetta nulla dagli sconosciuti, benché meno caramelle e fazzoletti di stoffa. Per me che ero pure ossessionata, poi...
Il sorriso della donna non cedette minimamente, anzi, sembrò quasi intensificarsi
"Sì che lo è... questo serve più a te che a me, scricciolo!" mi disse, ridacchiando leggermente sul finale. In quel momento mi sorpresi di tre cose contemporaneamente: prima di tutto lei mi dava del tu, quasi ci conoscessimo davvero e non sembrava neanche del tutto turbata dal vedermi in lacrime in un parco pubblico. Seconda cosa... mi aveva chiamata scricciolo? Che cosa diavolo significava? Era perché io ero così piccola e fragile e lei sembrava invece... tutto il contrario? E terzo.. cosa più sorprendente.. dopo un rapido sospiro ed essermi persa nella contemplazione dei suoi occhi buoni e trasparenti, non seppi come ma mi ritrovai ad allungare la mano ed afferrare il fazzoletto.
"Grazie.. mille." borbottai tentando un sorriso. Lei ricambiò per poi strizzarmi l'occhio
"Figurati." rispose semplicemente. Spostò lo sguardo sul parco, dove lentamente il sole iniziava ad allontanarsi e l'aria iniziava di conseguenza a farsi più frizzante. Chissà perché quella donna aveva deciso di avvicinarsi a me.. era perché mi aveva vista piangere? Voleva solo darmi quel fazzoletto ed asciugarmi il trucco colato? Stavo dando spettacolo e lei aveva deciso di intervenire? Oppure... semplicemente voleva rendersi utile?
Mi chiedo ancora se magari ci conosciamo e sono io che non lo ricordo...
"L'uomo che ti ha fatta piangere, probabilmente non merita nessuna delle lacrime che stai versando." mormorò ad un tratto, con un sorriso amaro sulle labbra, sempre guardando davanti a sé. Mi si bloccò il respiro in gola per via delle sue parole. Cosa le aveva fatto credere che stessi piangendo per colpa di un uomo?
"Mi scusi?"
"Non serve fingere, sai... certe cose sono talmente tanto chiare.." e si girò per sorridermi di nuovo. Era chiaro? Era chiaro che avessi discusso con mio marito e fossi scappata di casa?
"Io non.."
"Evidentemente lui non capisce le tue ragioni... oppure non siete riusciti a trovare il giusto linguaggio per comunicare. Si dice che gli uomini e le donne provengano da due pianeti diversi.. beh, forse è per questo che tu credi determinate cose su di lui e invece queste non si sono dimostrate esatte." scrollò le spalle, quasi stessimo parlando da tempo dello stesso argomento, quasi io mi fossi confidata con lei e adesso stessi ascoltando un consiglio. Beh... peccato che non ci conoscessimo affatto, peccato che non sapesse nulla su di me e su Will e su quello che ci stava succedendo, peccato che...
"Non pensi che abbia paura anche lui?" mi domandò a bruciapelo, scioccandomi.
"C..osa?"
"Potrebbe essere una situazione che non riesce ad affrontare.. qualcosa che lo spaventa ed è per questo che si è trovato a prendersela con te.. ma sono sicura che non ne avesse l'intenzione." disse con tranquillità, continuando a guardarmi. Ma cosa stava dicendo? Cosa ne sapeva lei che avevo litigato con mio marito? E cos'era quella storia di Will che non poteva affrontare la situazione?
"Io non so di cosa stia parlando... io neanche la conosco in realtà." ci tenni a precisare, mentre iniziavo a spazientirmi.
"Ne sei davvero sicura... Emma?" mi domandò con un sorriso ironico, spiazzandomi. Sgranai gli occhi, letteralmente scioccata e iniziai seriamente a provare una certa paura. Quella donna mi conosceva eccome, sapeva come mi chiamavo e sembrava sapesse perfino cosa mi stesse distruggendo. Che diavolo stava succedendo?
"Lei come fa.."
"A sapere il tuo nome? Oh... io so molte cose su di te, mio caro scricciolo.. molte più di quante forse non ne sappia William." e mi sorrise ancora, affettuosamente. Oddio.. sapeva anche il nome di Will. Cos'era? Una stalker? Ci seguiva? Voleva rapirmi e poi chiedere il riscatto? Beh i miei genitori non lo avrebbero mai pagato.. William forse..
Che sciocchezze dici, Emma.. certo che Will pagherebbe per salvarti...
"Ma ti prego di non spaventarti. Non è mia intenzione farti del male né tanto meno perseguitarti. Io ti conosco bene, certo.. ma è proprio perché ti conosco che ho solo intenzione di aiutarti e non altro." si affrettò a specificare, quasi avesse sentito i miei pensieri. Mi leggeva anche nella mente adesso?
"Eh no.. non ti leggo nel pensiero. Sei solo molto facile da indovinare!" esclamò ridacchiando e lì assunsi qualche tonalità calda di rosso che mi riempì completamente la faccia. In quel momento la sua mano avanzò nuovamente verso di me, quella volta però vuota
"Io mi chiamo Shannon... e per favore, scricciolo.. dammi del tu!" esclamò divertita. Shannon... la donna aveva anche un nome carino, per la misera.
Però, nonostante ora sapessi come si chiamasse, rimaneva ugualmente un'estranea ed io continuavo a non capire cosa volesse esattamente da me. Decisi di rimanere in silenzio e di non stringerle neppure la mano: non avevo ancora usato il suo fazzoletto figuriamoci se mi mettevo anche a toccarla. Lei però non si perse d'animo, mi sorrise ancora e ritirò il braccio, rimettendosi composta. Lanciai un'occhiata disperata verso la piazza: nessuno sembrava prestare particolare attenzione a noi, tutto continuava a procedere tranquillamente, come prima del suo arrivo e Shannon non faceva paura a nessun altro, tranne che a me.
Bene...
"So che ti stai chiedendo come mai conosca così tante cose su di te e su tuo marito e magari ti stai anche domandando quale diritto abbia di commentare la tua vita... sappi solo che mi sono permessa di intervenire perché tu potessi riflettere lucidamente e perché credo che avere un'opinione esterna e disinteressata possa aiutarti a capire come tu ti senta in realtà." spiegò tranquillamente. Cosa ne sapeva lei? D'accordo, conosceva il mio nome e quello di William, ma come poteva pretendere di sapere ciò che sentivo dentro?
"Io non credo tu possa capire. Sono cose private e tali devono rimanere!" esclamai infastidita, sperando che una risposta così secca potesse farla desistere. Oh, quanto mi sbagliavo...
"Posso farti una domanda, scricciolo?" se ne uscì lei, ignorando completamente le mie parole. Rimasi allibita per l'ennesima volta e lei interpretò evidentemente il mio silenzio per un assenso perché tornò a parlare qualche istante dopo
"Tu ami William?" mi chiese puntando gli occhi chiari nei miei e spiazzandomi completamente.
"Che razza di.. domanda è? Certo che lo amo!" risposi indignata. Non era normale e non stava né in cielo né in terra che io mi mettessi a parlare dei fatti miei con un'estranea. Solo perché lei aveva detto di non volermi fare del male, non significava che non me ne avrebbe ugualmente fatto. Sarei dovuta scappare, alzarmi da quella panchina e andarmene.. a casa, magari.
"E pensi che lui ti ami?" domandò ancora. Strinsi istintivamente il tessuto della maglia in un pugno e mandai giù una manciata di saliva in eccesso. Altra domanda particolarmente insensata.
"Ne sono convinta!" esclamai con fermezza, sorprendendomi da sola di quanto potessi essere sicura di me in certi argomenti: d'altronde per una persona insicura, avere un punto di riferimento era tutto e William e l'amore che sentivo provasse per me.. rappresentava proprio questo. Ero sicura di poche cose... il suo amore non l'avrei mai messo in dubbio.
Sul viso di Shannon si aprì un sorriso mite, stranamente impregnato di qualcosa che somigliava molto all'orgoglio. Ma orgoglio per che cosa?
"L'amore che lega due persone è meraviglioso... è capace di far superare qualsiasi ostacolo, anche il più impossibile e ci rende più forti. Ti vedo.. vedo come i tuoi occhi si colorano quando parli di lui, quando pensi a ciò che vi lega e vedo anche quanto ci stai male per essere scappata in quel modo. Anche lui soffre, Emma.. soffre perché ha appena capito di essere stato egoista con te, perché avrebbe dovuto fermarsi a riflettere e soprattutto avrebbe dovuto capirti... tu non sei cattiva.. hai solo molta paura e penso sia assolutamente normale." fece un profondo sospiro incrociando le mani in grembo "Ti meraviglierebbe sapere quante di queste persone attorno a te, in questo momento, provano paura. Quella ragazza per esempio.." ed indicò una biondina circondata da altre amiche, con un telefono in mano e gli occhi bassi "Stamattina ha discusso con sua madre e ora sta aspettando di trovare il giusto coraggio per chiamarla e chiederle scusa, e ha paura.. paura di non riuscirci perché le vuole troppo bene e non vuole rovinare nulla." la ragazza in quel momento scosse la testa, ignorando le risate delle amiche e finalmente si portò il telefono all'orecchio: bastarono tre secondi netti e poi qualcuno le rispose perché il volto le si illuminò di colpo e riuscii benissimo anche a distanza a vedere le sue labbra mimare un 'Scusami, mamma.. ti prego.' che mi fece bloccare il cuore. Non era possibile... come sapeva quelle cose? Come faceva a sapere così tanto di tutti?
Mi girai confusa verso di lei che mi restituì l'occhiata e poco dopo un altro sorriso
"Chi sei tu?" le chiesi con il cuore in gola. Shannon ridacchiò, forse perché un po' se lo aspettava.
"Non importa sapere chi sia io... importa capire cosa ti sta succedendo e cosa potrei fare io per farti stare meglio." rispose in uno strano tono di voce. Quasi materno. Avrebbe potuto aiutarmi? Facendo cosa?
"Di cosa hai paura, Emma? Cos'è che ti spaventa più di ogni altra cosa al mondo?" mi domandò voltandosi verso di me con il busto e poggiando un braccio sullo schienale della panchina. Senza sapere bene il perché, mi ritrovai a riflettere sulla sua domanda: cosa mi spaventava? Di cosa avevo paura? In fondo non serviva chiederselo, perché lo sapevo già.
Ora resta da capire se ho la forza di ammetterlo...
"Ho paura di... deluderlo." le parole mi scapparono dalla bocca ancora prima di aver lucidamente pensato a qualcosa. Mi stupii di come fosse stato semplice tirarle fuori e allo stesso modo di come non riuscissi a sentirmi affatto in colpa per averlo fatto.
"Parli di William?" chiese conferma ed io annuii
"Deludere lui sarebbe come deludere me stessa. William crede così tanto in noi e nel nostro futuro che.. ogni giorno ho sempre più paura di commettere lo sbaglio fatale che mi porterà a perderlo definitivamente. Ed io non posso permetterlo." tirai su con il naso e mi strinsi nelle spalle, colta all'improvviso da un brivido di freddo "E ho anche paura di non... poter essere adatta per... lui o lei." e strinsi ancora il pugno sullo stomaco, chiedendomi se Shannon sapesse anche del bambino. Conosceva vita, morte e miracoli di tutto il parco probabilmente, quindi immaginai che le fosse arrivata all'orecchio anche quell'ultima notizia. Lei si perse in un profondo sospiro, tanto che temetti stranamente si fosse spazientita e avesse deciso di alzarsi e andarsene. Ma non lo fece. Fece in realtà qualcosa di molto più grande.
"Emma quello che sta succedendo a te e tuo marito è un miracolo.. è un dono di Dio.. e se non credi in Lui allora credi nella vita.. credi nell'amore che vi lega e vi legherà per sempre." mormorò poggiando una mano sulla mia spalla e stringendola. Non pensai neanche per un istante di scansarmi perché mi accorsi subito che il suo tocco non era affatto minaccioso, anzi. Era piacevole e tremendamente rassicurante. E le sue parole... il dono di Dio... il miracolo della vita che unisce me e William...
"Non avere paura di non essere degna perché sarai una madre splendida che amerà suo figlio tanto quanto ama suo marito. E quel bambino diventerà tutto il tuo mondo.. lui ti adorerà perché sarai la sua mamma e il suo faro e la sua salvezza sempre, anche quando tutto sarà nero, anche quando la vita vi sembrerà pessima.. tu avrai lui e lui avrà te e voi.. avrete William che penserà a proteggervi e a tenere unita la famiglia." senza rendermene conto, mi lasciai scappare due grosse lacrime che fuggirono chissà dove, a perdersi nella profondità delle parole di quella donna. E così io... sarei potuta diventare il punto di riferimento di qualcuno.. di mio figlio. Lui che non mi avrebbe mai abbandonato e non mi avrebbe mai deluso e mai mi avrebbe fatta sentire sbagliata... lui che sarebbe stato mio per sempre perché io lo avrei fatto nascere, l'avrei cresciuto e allevato e lo avrei voluto più di ogni altra cosa al mondo.
Mio... perfettamente mio...
"Goditi questo miracolo, Emma... goditi il frutto del vostro amore e accoglilo nella tua vita nello stesso modo in cui hai accolto l'amore di Will. Ne uscirai arricchita e scoprirai che non c'era niente.. niente per cui valesse la pena avere paura." aggiunse in un sussurro leggero che mi fece tremare perfino il cuore. Ormai le lacrime vagavano da sole ed io neanche mi preoccupavo più di asciugarle perché tanto sarebbe stato completamente inutile. La sensazione che mi stava crescendo nel petto e me lo stava riscaldando era qualcosa di.. meraviglioso. Era un rendersi finalmente conto di qualcosa che per tutto quel tempo era rimasto lì in attesa di essere portato alla luce. Era capire finalmente cosa sarebbe stato giusto e cosa no. Era scoprire quanto potesse essere grande l'amore e quanto larghi i suoi confini. Era provare l'ebrezza della gioia più profonda e non sentire più alcuna paura a frenarti. Era Emma Pillsbury che aspettava un bambino dall'uomo che amava di più al mondo e finalmente si rendeva conto di quanto fosse stata maledettamente fortunata.
Assieme alle lacrime mi lasciai finalmente scappare un sorriso, il primo dopo chissà quanto tempo e Shannon parve sciogliersi all'istante perché anche lei come me realizzò qualcosa. Le sue parole erano state una manna dal Cielo e crederci o meno sarebbe servito a poco: lei mi aveva aiutata ad aprire gli occhi, quindi un miracolo era comunque riuscito a compierlo. Si sporse appena verso di me per lasciarmi una carezza sulla guancia e quello fu un altro contatto benefico che mi riscaldò dentro e che non pensai neanche per un istante di interrompere. Al diavolo se rimaneva un'estranea o se fosse stata una criminale. Era buona e aveva un cuore d'oro, questo bastava ed avanzava.
"Sei una donna molto fortunata, Emma Schuester
!" esclamò allora lasciandomi un altro sorriso al quale finalmente riuscii a rispondere anche io. Mi asciugai le guance con un gesto veloce mentre la sua mano si allontanava e mi preparai a dirle qualcosa, ringraziarla, magari scusarmi per essere stata parecchio sgarbata poco prima, ma qualcosa me lo impedì: un gruppetto di bambini si avvicinarono correndo nella nostra direzione ed uno di loro per poco non cadde a terra davanti a me, ma alla fine riuscii a rimanere in piedi e a raggiungere gli altri nel trambusto generale che aveva fatto girare mezza piazza. Ridacchiai divertita... se mio figlio in futuro avesse fatto una cosa del genere.. sarei morta di vergogna.
Mio figlio... mio figlio..
Girai di nuovo gli occhi verso Shannon per poterle finalmente dire ciò che volevo, ma per la seconda volta non ci riuscii... accanto a me sulla panchina non c'era più nessuno.


New York City. Ore 08.03 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)


Erano quasi due ore che Emma era scappata di casa e non essendosi portata dietro il cellulare non ero neanche riuscito a rintracciarla. Stavo morendo. Volevo disperatamente sapere dove fosse, cosa stesse facendo ma soprattutto a cosa pensasse. Avevo provato a fare il giro del quartiere in macchina per cercarla ma non avevo trovato un bel niente e rassegnato me ne ero tornato a casa perché sarebbe stato meglio aspettare che tornasse piuttosto che disperarmi in una città tanto grande. Emma, nonostante le sue paure, era una donna responsabile e non avrebbe mai fatto nulla che nuocesse alla sua salute e mi facesse preoccupare. Mi fidavo di lei, ciecamente.
E proprio perché mi fidavo di mia moglie, mi diedi dello stupido: ero stato un grandissimo egoista a reagire in quel modo alla notizia della sua gravidanza, accusandola di quelle cose terribili senza neanche darle modo di spiegarsi, di spiegarmi e di capire insieme. Cosa c'era di sbagliato in me? Perché prima di reagire non avevo almeno riflettuto? Eppure lei non pretendeva molto.. mi aveva sempre chiesto di essere ascoltata e proprio quando ne aveva più bisogno io... lo ignoravo. Ero stato davvero un pessimo marito, dovevo vergognarmi. Pensare di aver fatto soffrire la mia Emma in quel modo... Dio.. non riuscivo neanche a pensare...
In quel momento, mentre misuravo a grandi passi la stanza un rumore colpì la mia attenzione: la porta d'ingresso si aprì e si richiuse e meno di tre secondi dopo sulla soglia del soggiorno apparve Emma con gli occhi stanchi e le mani strette sulla pancia, quasi timorosa. Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo che mi fece tremare e senza neanche dire una parola mi fiondai su di lei, abbracciandola, stringendola più forte di quanto non avessi mai fatto e sorridendo nel momento in cui mi resi conto che quella volta anche lei stringeva le braccia attorno a me.
"Emma... amore mio... mi dispiace, mi dispiace così tanto che.. tu.. io non volevo, ti giuro che non volevo dirti quelle cose orribili. Io ti amo da morire e non voglio perderti." mi affaticai a dirle tutto quello che mi premeva in testa e che in quelle ore mi aveva fatto riflettere così tanto. La sentii sorridere e fu senza dubbio uno dei rumori più belli del mondo
"Lo so, Will.. so che non pensavi quelle cose e.. ti devo anche io delle scuse. Sono stata profondamente immatura e avrei dovuto spiegarti con calma ciò che provavo invece di scappare via. Non si risolve nulla in questo modo." mi disse scostandosi appena per guardarmi negli occhi. I suoi erano lucidi, segno che avesse pianto ancora e quella constatazione mi fece stringere il cuore.
"Mi spiace." ripetei mortificato, ma lei scosse la testa e sorrise ancora. Ancora più bella del solito.
"Ti amo così tanto, Will." disse in un sussurro che mi scaldò il petto e mi fece sorridere emozionato "E continuerò ad amarti sempre.. questo non devi mai dubitarlo."
"Non lo farò mai.. promesso." confermai infatti per poi circondarle il viso con le mani e sporgermi per lasciarle un bacio leggero. Mi ero sentito morire in quelle due ore, non sapendo cosa fare e cosa aspettarmi: averla di nuovo con me era come stare in pace con i sensi finalmente.
Si staccò dal bacio, con un sorriso sereno
"Voglio tenerlo, Will!" esclamò a bruciapelo, spiazzandomi
"Co-cosa?"
"Il bambino." e si portò una mano sulla pancia accarezzandola "Voglio far nascere e crescere questo bambino assieme a te... mettere in piedi la nostra famiglia e sono disposta a combattere fino all'ultimo per tenerla in vita e farla durare per sempre." mi spiegò, con gli occhi lucidi per l'emozione. Qualcosa nel mio petto esplose, perché sentii un rumore fortissimo che mi sconvolse appena, ma riuscii a non cadere.
"Ne.. sei.. sicura?" domandai in un soffio. Lei mi prese le mani e le strinse forte
"Sono sicura di te.. dell'amore che ci unisce e inizio ad essere discretamente sicura che questo sia esattamente ciò che voglio dalla vita. Rimanere per sempre al tuo fianco, con te che mi permetti di amarti ed io che ti permetto di realizzare il tuo più grande sogno. Solo che... non sarai solo.. lo vivremo insieme.. lo faremo come una famiglia." guidò la mia mano fino al suo stomaco e la posò delicatamente, premendo appena. Tremai di conseguenza perché solo allora realizzai davvero che oltre la sua pelle, dentro di lei.. c'era nostro figlio. Mio e suo. E lei lo voleva.. lo voleva con me. Rimasi senza fiato ad accarezzarle lentamente la pancia da sopra la maglia durante uno di quei momenti che sembrano ovattati, presi e messi lì per essere fatti solo di silenzi e di amori e di infiniti pensieri. Il mio era soltanto uno: lei era la mia famiglia, lei mi avrebbe regalato una famiglia ed io avrei fatto di tutto per proteggerla sempre.. proteggere lei e nostro figlio, ad ogni costo.
La mia famiglia...
"Posso farti soltanto una piccola richiesta, Will?" mi domandò esitante, ma con un piccolo sorriso divertito sul volto. Tornai a respirare giusto un attimo prima di sollevare gli occhi e puntarli nei suoi
"Tutto quello che vuoi." concessi. Lei arrossì appena, e strinse la presa attorno alla mia mano
"Se sarà femmina... vorrei chiamarla Shannon!" e fu il mio turno di sorridere e commuovermi perché pensare ai nomi rendeva il tutto ancora più reale.
"Shannon.." ripetei e suonava davvero bene "Mi piace." dopodiché, senza neanche preoccuparmi di chiederle come mai avesse scelto un nome del genere, mi sporsi verso di lei e la baciai. Così il nostro futuro sarebbe iniziato esattamente da quel piccolo grande gesto, così semplice ma allo stesso tempo così pieno di amore. Il nostro.
  
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