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Autore: Sophie_Wendigo    07/04/2013    2 recensioni
- Piano la presa si allentò, il dio lasciò scivolare i gelidi palmi fino ai suoi polsi, cingendoli quasi dolcemente, poi si avvicinò al volto della donna, deviando all’ultimo verso il suo collo.
“Ti ho detto di non giocare con me…" sussurrò su di esso -
Genere: Erotico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Natasha fu avvolta dall’oscurità, non si vedeva praticamente niente, solo una piccola luce, posta di fronte alla porta, illuminava quell’androne grande e spoglio, e nonostante questo, le ci volle qualche minuto per poter distinguere la sagoma del dio, seduto a terra, con le spalle poggiate alla parete nuda.
Le spesse mura isolavano ogni rumore esterno, tanto che, anche ad una distanza di quasi 6 metri, la donna poteva sentire chiaramente il suo respiro regolare.
Avanzò di qualche passo, fermandosi sotto la lampada, abituandosi gradualmente alla semi oscurità che avviluppava ogni cosa.
“Ma non dovevamo andarcene domani? Avanti, aiutami ad alzar…” La voce morì sulle labbra di Loki che, sollevato il volto verso la tenue luce che si era accesa sulla soglia, invece di incontrare i tratti appena sbozzati del Dio del Tuono, riconobbe immediatamente le linee morbide di Natasha. “Chi ti ha mandato? Thor o Stark?” Chiese rimirando l’impercettibile bagliore dei suoi occhi chiari.
“Tuo fratello.” Disse la donna, avanzando ancora, fino a raggiungere i suoi piedi. Ormai riusciva a vedere relativamente bene in quella semioscurità.
“Che ti ha detto?” Domandò lui, curandosi che il suo tono non apparisse preoccupato.
“Cose a cui non credo.” Rispose fredda, lasciando scorrere lo sguardo sul suo viso macchiato da un esteso ematoma, quello che gli aveva procurato lei con lo scettro due settimane prima.
“Meglio così… mi stupisco ogni volta di quanto sia ingenuo!” mentì lui, mordendosi le labbra per non gridarle la verità. Non lo dava a vedere, ma quella situazione doleva più del dovuto, e l’unica cosa che lo fermava dal dirle le cose come stavano, erano proprio i sentimenti che provava. “Cosa sei venuta a fare Agente Romanoff? Vuoi finirmi o è solo una visita di piacere?” Chiese facendo appello a tutta la sua buona volontà, cercando di mostrarsi il più irritante possibile.
“Sai una cosa? Non ho la minima idea del perché sia venuta qui! Sto solo perdendo il mio tempo, come sempre con te.” Disse Natasha, sul punto di reagire alle sue provocazioni. Ma non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione, così si voltò e misurò a grandi falcate la cella, diretta alla porta.
“Addio Natasha…” disse con involontaria dolcezza Loki, e quella nota nella sua voce parve bloccare la donna, che si fermò di fronte alla pesante soglia in ferro.
Abbassò il capo, prese un bel respiro, chiuse gli occhi e lo disse.
Fu quasi un sussurro, ma bastò a penetrare le viscere del dio come un tuono.
 
“Sei incinta…” ripeté piano.
“Abortirò fra due giorni.” Disse atona, voltandosi lentamente.
“Non doveva andare così, perdonami…” mormorò il dio.
“Con che coraggio mi chiedi di perdonarti?!” ringhiò la donna, furiosa per quei suoi continui cambi di atteggiamento. “Tu sei un mostro! Mi hai usato per i tuoi scopi! Ti sei divertito alle mie spalle! Mi hai sedotta, mi hai messo incinta e sei partito per conquistare e distruggere la mia terra! E per colpa tua, dovrò uccidere mio figlio!” concluse la donna, lasciando che le lacrime scendessero copiosamente, perché dopo avergli urlato tutto il suo disprezzo, aveva ricordato a lui e a se stessa cosa sarebbe stata costretta a fare nel giro di poche ore.
“Ti prego, avvicinati.” disselui, rimirando il suo viso umido. “Ti prego…”
Natasha lo guardò, stupita e disgustata da quella che, inizialmente, le parve indifferenza; poco dopo però, quando tutto l’odio che aveva sputato smise di offuscarle la mente, poté vedere i suoi occhi: tristi e spenti, sinceri.
Così, dopo essersi data della stupida un centinaio di volte, camminò verso la divinità con passo tremante: sembrava che stesse lottando contro l’istinto di andarsene e dimenticare quel dannato sguardo, ma c’era qualcosa dentro questo, quella medesima cosa che l’aveva spinta a raggiungerlo nell’infermeria della nave, a fare l’amore con lui, che la spinse ad obbedirgli.
“Siediti qui, solo un attimo. Non ti farò nulla, ti ho già ferito abbastanza, non credi?” chiese Loki con un sorriso amaro sulle labbra. La donna non rispose, si limitò a fissare le sue pupille, accovacciandosi fra le sue gambe leggermente divaricate.
“Alza la maglia.” Sussurrò dolcemente lui, protendendosi appena in avanti.
“Cosa?” quasi urlò lei, strisciando indietro.
“Tranquilla, avvicinati. Devi fidarti di me, solo per questa volta. Ho bisogno che ti scopra il ventre.” Ripeté tranquillizzandola, finché questa non si accostò di nuovo.
Chiunque avrebbe avuto paura nella sua condizione: era ad un soffio dal Dio del Caos, avrebbe potuto ucciderla e lei non se ne sarebbe neppure accorta. Eppure, quei dannati occhi, la sua voce: le gridavano di fidarsi. Dopotutto, nelle condizioni in cui era, cosa aveva da perdere? Quella storia la stava logorando dall’interno, in un modo che non reputava possibile.
Prese un bel respiro, poi ripiegò la felpa sul seno, lasciando scoperto l’addome, come le aveva chiesto.
Loki allungò un palmo verso la sua pelle chiara, ma riuscì solo a sfiorarla, perché lei gli afferrò istintivamente il dorso della mano con la sua, premendo le unghie sullasua cute pallida.
“Fidati di me…” sussurrò di nuovo, questa volta aspettando che le sue falangi si rilassassero. Quando allentò la presa, Natasha seguì lo stessoi suoi movimenti, intrecciando le dita alle sue involontariamente.
 
La mano gelida di Loki si premette sul suo ventre, spingendo dolcemente, causando a Natasha non pochi brividi.
“Distendi tutti i muscoli, non farà male se non opponi resistenza.” Disse piano, guardando i suoi occhi chiari: era la prima volta che li vedeva così spaventati e confusi, e questo lo ferì nel profondo, poiché se c’era un colpevole, quello era lui.
La donna lo assecondò, si stava di nuovo lasciando andare, e la cosa non le piaceva affatto, ma quella sua mano, proprio lì, dove si stava sviluppando il loro figlio, le infondeva una strana sensazione, più piacevole del dovuto probabilmente.
Così rilassò tutti i muscoli, svuotando i polmoni.
Il dio premette ancora più a fondo, curandosi di non recarle alcun dolore, poi allontanò il palmo dal suo ventre, lentamente.
Quando fu abbastanza distante, Natasha poté distinguere un piccolo oggetto biancastro levitare a pochi centimetri dalla sua mano, era una minuta sfera luminosa, che trasmetteva un insolito calore tutt’attorno.
“Cos’è?” chiese in un soffio, continuando ad accogliere la sua mano nella sua, nella quale stava sospeso quel piccolissimo globo.
 
“E’ il feto, non sei più incinta. Ma a differenza di un aborto normale, qui il bambino è racchiuso in una membrana di minerali, non morirà mai, è solo assopito. È una magia potente: la membrana è di un materiale molto particolare, simile ha quello di una perla Midgardiana, ma indistruttibile. Potrai farne quel che vuoi Natasha, gettala se preferisci, forse è più giusto così; ma se vorrai, un giorno, ti basterà avvicinarla al ventre: la barriera si scioglierà e il feto tornerà a crescere come se nulla fosse accaduto… Per adesso però…” Sussurrò Loki, passando l’altra mano sulla perla e facendo apparire una finissima catenina d’argento sulla sua sommità. “… Sarà solo un bellissimo ornamento.” Disse il dio, mettendola con dolcezza al collo di Natasha. “Ah, se vuoi saperlo, sarebbe stata una bambina…” concluse il Principe degli Inganni, sfiorando appena la superfice del piccolo monile. Non aveva il coraggio di guardare il viso della donna, per tutto il tempo aveva contemplato la minuta sfera.
“Perché lo fai?” chiese con voce tremante.
“Faccio cosa?”
“Ti diverte così tanto prenderti gioco di me?” domandò allontanandosi appena, quel tanto che bastava perché non potesse più toccare la pietra. “Un momento prima sei il solito meschino senza cuore e poi… e poi questo…” disse indicando con lo sguardo la collana. “Perché lo fai?”
“Non sono mai stato bravo a recitare.” Rispose sorridendo mestamente.
“E che ruolo stai interpretando? Perché davvero non lo riesco a capire!” ringhiò la donna, ignorando le altre lacrime che di nuovo avevano preso a scendere. “Quello dell’amante dolce e premuroso, o quello del bastardo senza cuore? Dopotutto domani sparirai dalla mia vita per sempre, e non m’importa se ti vanterai di come Natasha Romanoff sia caduta nella tua trappola, non m’interessa! Voglio solo che tu sia sincero, per una volta…”
“Non crederesti ad una sola parola…” sussurrò abbassando il volto.
“Non hai le palle neppure per ammetterlo… Sei ridicolo!” gridò allontanandosi da lui, facendo pressione sulle braccia, già pronta ad alzarsi e andarsene.
 
“Quando arrivai sulla terra...” cominciò Loki. “Mi misi appositamente in mostra, in modo che vi fosse facile trovarmi e catturarmi. La verità è che il Tesseract è potente, e molto, al contrario del mio corpo: se avessi voluto, avrei potuto utilizzare tutti i suoi poteri e spazzare via voi Avengers in pochi secondi, ma non sarei sopravvissuto… Per questo la prima parte della mia missione, prevedeva che vi separassi, e per farlo dovevo essere imprigionato. Di certo non pensavo che Fury avrebbe mandato te, non subito almeno. Quando ti ho vista, ho capito che stavi tentando di fregarmi: nessun’agente si scoprirebbe tanto facilmente, e tu sei Vedova Nera. Così ho pensato di divertirmi un po’ alle tue spalle, e mi sarebbe servito per capire cosa avevi intenzione di fare. Hai reagito male, hai perso il controllo, e io mi sono guadagnato una bella ferita. I miei piani avevano preso da subito una brutta piega, e andava sempre peggio, considerato che non mi accorsi subito del veleno: ero troppo divertito dal tuo comportamento… Mi hai catturato dal primo istante, ma ero cieco e non volevo ammetterlo. Poi sei tornata, fredda e glaciale, mi hai curato e io ti ho ferito: altro imprevisto. Fu allora, quando mi portavano via già stretto nelle morse del sedativo, che capii: nel coma c’erano solo i tuoi occhi, il tuo viso, il tuo profumo… Dovevo venire da te, era una necessità, e l’avrei fatto anche se tu non fossi stata ferita. Ma la cosa non doveva andare oltre, se tu non mi avessi raggiunto nell’infermeria io sarei sparito completamente dalla tua vita. L’hai fatto, e subdolamente ne gioii, perché era la cosa che desideravo di più, e tu l’avevi capito: per questo non te ne sei andata, neppure quando ti intimai di farlo, sei rimasta… sei stata la prima ad averlo fatto, e l’unica che volevo lo facesse. Per questo, da egoista, non fermai le tua labbra, ma le accolsi. Quando però ti sei addormentata, fra le mie braccia, serena e bella come la stella più luminosa del firmamento, ho capito l’errore che stavo commettendo. Non potevo spegnere quella stella, non me lo sarei mai perdonato. Perché è nella mia natura, hai ragione a chiamarmi mostro, è quello che sono: ti avrei trascinata inevitabilmente nell’oscurità, e non potevo permetterlo… Così ti lasciai quel biglietto, e tuttora non me ne pento, perché adesso mi odi, e solo odiandomi sarai al sicuro da me e dalla mia natura autodistruttiva. Le ferite che mi hai lasciato erano la riprova che ero riuscito nel mio intento, ma nonostante questo, avrei dato tutto l’oro di Asgard per rivedere quell’espressione beata che avevi fra le mie braccia quella sera… Adesso però, mi rendo conto di averti ferito ugualmente, e di questo mi pento, più di quanto tu possa immaginare, perché era l’ultima cosa che volevo, te lo giuro… E se ti sto dicendo questo, è perché ormai siamo andati oltre, e meriti di sapere le cose come stanno, tanto domani sparirò per sempre dalla tua vita, ed è giusto che sia così. Inoltre, confido sul fatto che non crederai ad una sola delle mie parole…”
 
Natasha rimase immobile. Bloccata da quelle parole. Incapace di controbattere. Incapace di fermare le lacrime e la sua mano, che le aveva cancellate una ad una,via via che scendevano. Anche quando smise di parlare non lallontanò, non ne aveva il coraggio, continuava a sfiorare le sue guance umide, le sue labbra dischiuse… Non c’era alcuna malizia in quello che faceva, si rendeva conto che era impossibile chiederle di perdonarlo, in quel momento cercava ingenuamente di limitare i danni, asciugando le sue lacrime, una dopo l’altra.
  
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