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Autore: weirdo_soul    07/04/2013    2 recensioni
STORIA SCRITTA A QUATTRO MANI CON: Perfect c:
IN GARA PER IL CONCORSO Lasciati ispirare... da ciò che scegli di Fight_4
Storia di Ryan, il solito ragazzo che avrete incontrato almeno 5 volte nella vita, e Caterina, la solita ragaz... No, lei non è come le altre. Lei non la incontrerete. Solo in questa storia.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Give me love
Lui era solo un ragazzo che viveva la sua vita. Non aveva niente di speciale o di invidiabile: un semplice ragazzo di circa 16 anni, trasferitosi a Londra da appena un anno, da una città vicino. Non era una cosa che gli era pesata particolarmente, non credeva di aver perso i suoi amici. In fondo, quando avrebbe voluto gli sarebbe bastato prendere un treno. Inoltre pensava che i cellulari esistessero anche per questo motivo.
La sua era una vita fatta di orari, di scadenze, di banchi e di compiti. In tutto questo, non capiva dove fosse rimasto il posto per le sue aspirazioni. Non ne aveva comunque di particolari, ma riteneva di avere tempo per decidere cosa farne del resto della sua esistenza.
Sì, viveva molto alla giornata, ma gli piaceva fare programmi a breve termine, così come in diversi giorni si ritrovava a rimuginare e rivivere il passato.
Probabilmente ancora non capiva molte cose, ma sapeva osservare. Si aggirava per i corridoi con passo tranquillo ma allo stesso tempo curioso, come se fosse la prima volta che metteva piede in quell'edificio. In parte era vero, sarebbe comunque riuscito a perdersi. Si chiedeva ed inventava la vita degli studenti che gli passavano accanto, si chiedeva se anche loro non fossero sempre felici e perfetti come sembravano. Ormai lo sapeva che nessuno è perfetto, ma non riusciva mai a trovargli un difetto. Forse, si rifiutava di vedere la realtà per com'era. Il suo tempo passava troppo velocemente, o troppo lentamente, tra una lezione e l'altra.
<< Hey, Ryan, ascoltami! >> disse il suo compagno di banco, prima persona ad essergli diventato amico, dopo essersi trasferito. Si era abituato facilmente al fatto che fosse sua abitudine perdersi nei suoi pensieri, nei momenti di noia.
<< Oh, scusami, che succede? >>
Era possibile notare una lieve differenza d'accento.
<< Nulla di cui preoccuparsi, volevo solo sapere se finite le lezioni andiamo da qualche parte! >>
<< Beh, dipende dove è questo 'da qualche parte'! >> non gli piaceva non programmare, quando ne
aveva l'opportunità.
<< Non lo so, non possiamo decidere sul momento? >> il suo tono era quasi supplicante... che avesse avuto qualcosa di importante da fargli vedere? Ci stava pensando su, puntando il suo sguardo senza attenzione nell'aula in cui si trovavano. Il soffitto era alto, le lampade al neon gli ricordavano molto un'ospedale dalle pareti un tempo bianche, a cui nel tempo si erano aggiunte scritte di dubbia provenienza e gusto. La loro non era una scuola nuova, e perfino qualche piccola crepa iniziava a farsi strada sui muri, inosservata, innocua.
<< Va bene, per 'sta volta hai vinto. >> rideva, così come quando lo seguiva diretti da qualche parte. A lui era sempre piaciuto uscire, soprattutto quando poteva usufruire di una bella e rara giornata come quella. Non c'erano molte nuvole e il cielo sembrava assai limpido. Presero la metropolitana per un breve tratto. Quando si era trasferito inizialmente gli era risultato difficile imparare a capire dove portassero le varie linee. Così come gli era altrettanto difficile stare a contatto con molte persone, d'altronde aveva sempre vissuto in una città non molto grande.
Parlarono del più e del meno, della loro giornata, dei loro compagni e delle voci che giravano su di loro, dalle più strane alle più conosciute. Non si sentiva in colpa nel farlo, ma piuttosto si chiedeva quanto di tutto quello che sapevano, era vero. A volte si chiedeva da chi fossero partite, quelle voci, del loro scopo. Possono davvero averne uno? Non voleva sapere quanto tempo era passato dalla fine delle lezioni, ma riusciva a capire che si stavano spingendo in un posto abbastanza lontano. Non se la sentì di chiedere quanto mancava alla loro destinazione. Non voleva certamente rovinare l'atmosfera di quell'uscita, né voleva che il suo amico si innervosisse per causa sua. Sospirò pentendosi subito dopo d'averlo fatto. Alzò gli occhi al cielo, cosa che non faceva spesso, troppo impegnato a scrutare il terreno, la sua andatura. A volte trovava cose interessanti, come qualche moneta straniera. Ma stavolta, al posto del solito cielo, c'era il London Eye, quello che lui aveva soltanto visto in foto, e non aveva ancora avuto occasione di vedere.
<< Perché mi hai portato qui? >> Fu l'unica cosa che riuscì a dire, troppo preso a meravigliarsi.
<< Non lo so, mi avevi detto che non l'avevi ancora visto, così ho pensato che ti avrebbe fatto
piacere! >> e aveva ragione. Non poteva non apprezzare quel gesto. Sorrise.
<< Grazie... A questo punto ti devo un favore. >>
<< Ma non ce n'è bisogno! Anzi... perché non mi aiuti nel prossimo compito di grammatica? >> aveva l'espressione di chi ha un piano, e non dubita di sé.
<< A questo punto non posso dirti di no. Se ci dovessero beccare? >>
<< Semplice: non succederà. Smettila di preoccuparti, divertiti un po'! >>
Per quanto loro si stessero divertendo, non potevano sapere che quello stesso giorno la vita di una ragazza sarebbe cambiata del tutto, e anche la sua, di conseguenza. Salirono una volta sulla ruota, d'altronde, era quello per cui erano arrivati fin lì. Era un peccato che non avesse portato la sua macchina fotografica, gli piaceva poter immortalare dei momenti per sempre. Mangiarono qualcosa, erano stanchi dalle lezioni. E in tutto questo, non notarono i soccorsi arrivati per una ragazza, che avrebbe incontrato lì la sua morte. I suoi giorni continuarono tranquilli, senza una vera e propria novità. La sveglia suonava alla stessa ora e nei corridoi vedeva le stesse identiche persone. Anche il suo vicino d'armadietto, con cui tra l'altro non scambiava quasi mai qualche parola, non era cambiato. Era molto alto, e nonostante i suoi occhi assai chiari, verdi, riusciva a mettergli molta paura, senza neanche saperne il perché.
Quel giorno si era preso un attimo di pausa prima che il professore della prima ora entrasse, giusto il tempo per fare un salto al bagno. Questo richiedeva certamente passare diverse classi, e qualche laboratorio in cui probabilmente non era neanche mai entrato. Si prendeva il suo tempo, camminava con un passo tranquillo. In quel momento, si stava quasi sentendo padrone di quel posto, deserto, ma sempre con le sue odiate lampade al neon. "Dev'essere per questo che mi alzo ogni mattina" pensava, contento di saltare almeno una decina di minuti di lezione. Sapeva anche che c'era la possibilità che potesse pentirsene, ma in quel momento non importava.
La sua attenzione fu catturata da una persona, appena fuori da una classe, appoggiata alla parete. A quanto pare quel corridoio non era così deserto come aveva pensato.
Non avrebbe pensato che fosse insolito, se non per il fatto che non sembrava doversi, o volersi dirigere da alcuna parte. Sembrava piuttosto... piangere.
Questo scombinò buona parte della sua tranquillità. Una parte di lui avrebbe voluto fermarsi, chiedere almeno se aveva bisogno di qualcosa. L'altra aveva semplicemente troppa paura per farlo. Almeno non era stato visto, o così credeva.
Vinse la prima parte: non sarebbe riuscito a sopportare i sensi di colpa, se non avesse fatto qualcosa. Si avvicinò inizialmente insicuro, togliendosi un piccolo ciuffo di capelli che gli era finito davanti a un occhio.
<< Are you okay? >> chiese con un po' di imbarazzo come se alla fine fosse lui a stare male.
<< Yes, I am... >> disse la ragazza tra le lacrime e un lungo e profondo singhiozzo.
<< It's okay not to be okay... >>
<< Just go and leave me alone! >>
Il ragazzo avvertì  una stranezza che gli era familiare nella sua voce. Ma sì, certo: l'accento. Era italiana, o almeno, così sembrava. Dunque, avendo studiato questa difficile lingua (almeno per gli stranieri) per tanti anni, cercò di venire incontro alla ragazza.
<< Sei italiana? >>
Sorrise, determinato a cercare di tirarla su di morale. Almeno a qualcosa era servito quel suo fermarsi in corridoio.
<< Dai raccontami che è successo. Sono bravo ad ascoltare! E non racconterò niente a nessuno. >>
Se lo avesse allontanato, nessuno l'avrebbe biasimata, ma presa da una tale disperazione e un tale dolore quasi abrasivo, la ragazza cominciò a sfogarsi:
<< E' da poco tempo che sono a Londra. La mia famiglia si è trasferita qui nell'estate. Prima vivevo in Italia, a Verona. Ero innamorata della mia vita e per nessuna ragione al mondo sarei venuta qui se non per l'affetto che provo per mio padre. Avevo le mie migliori amiche, a scuola andavo bene e stavo iniziando a frequentare un ragazzo. Avevo le mie passioni, le mie abitudini, il mio dialetto... Ma non è questo il punto. Il punto è mia sorella... Si chiama Claudia, ha cinque anni più di me. Con lei ho avuto un raaporto di amore-odio. Lei mi ha sempre chiamata Disastro da quando avevo undici anni. Una volta ero inciampanta e avevo rotto inavvertitamente il regalo del suo compleanno. Comunque non è neanche questo il punto. Il punto è che sei io amavo la mia vita in Italia, lei ne era... ossessionata. Così da quando siamo a Londra ha smesso di mangiare e... >>
<< E' diventata anoressica? >> la interruppe. Per quanto questo gesto possa sembrare maleducato, era rimasto molto coinvolto, nonché dispiaciuto, per la storia di... Cavolo! Non sapeva il suo nome!
<< Sì... >> voce tremante, occhi lucidi quasi trasparenti e fissi a terra: ecco l'espressione di dolore.
In realtà non sapeva che fare, come trattarla o cosa dirle. Quindi seguì l'istinto.
<< Vieni con me. >>
Si alzò, la prese per mano e la tirò su. Poi iniziò a correre sperando di non essere visto da nessun professore. Si stava sentendo stupido, ma libero. Non sapeva nemmeno il nome della ragazza, ma la trattava come se fosse una sua grande amica. La portò alle macchinette. Si prese qualche minuto per osservarle, e con un vecchio trucchetto imparato quell'anno, le regalò una merendina al cioccolato, un pacchetto di patatine e una Coca Cola senza tirar fuori il portafoglio, che tra l'altro, non aveva con sé. Aveva pensato che quelle cose avrebbero potuto farla stare meglio, per quanto non potesse sapere i suoi gusti.
A volte avere degli amici più grandi serve. Era da loro che aveva imparato quel trucco e, ovviamente, non molte persone avevano il privilegio di conoscerlo!
<< Giovedì siamo state al London Eye per la prima volta. >> iniziò così il discorso.
<< Anche io ci sono stato lo stesso giorno per la prima volta! A te è piaciuto? >>
Silenzio. Inquietante e imbarazzante silenzio.
<< No. >>
<< Come mai? >> domanda bollente, che certamente non avrebbe dovuto fare.
Un sospiro profondo, un singhiozzo e continuò: << Mentre eravamo vicine al punto più alto, mia sorella ha avuto uno dei suoi capogiri mentre io ero distratta a fare una foto. Mi sono girata e... stava cascando e non ho fatto in tempo a... prenderla. >> ed ecco scorrere altre lacrime.
Scioccato e trovandosi nel panico più totale, disse le prime parole che riuscì a trovare e a balbettare: << Mi dispiace. Se non te la sentivi potevi non raccontare. Comunque, è meglio se andiamo in bagno, ok? >>
<< No, non ti scusare, andiamo. >> cercò di sorridere e di fermare le sue lacrime che continuavano a scendere come se fossero senza fine.
L'accompagnò nel bagno dei disabili per farle sciacquare il viso e cercare di tranquillizzarla. Era raro che fosse usato, quindi aveva pensato fosse il posto perfetto. Se l'avesse accompagnata a quelli femminili e qualcuno fosse entrato, sarebbe stato nei guai.
Ma lei aveva mentito. Gli disse che non era morta perchè fortunatamente era caduta sul prato morbido, ma era in prognosi riservata. Si sentiva tremendamente in colpa, nonostante nessuno avesse attribuito a lei nessuna colpa. Dopo essersi lievemente calmata, aggiunse:
<< E sai qual è la cosa che mi fa più rabbia? Che quei cretini dei miei compagni credono che sia stato un tentativo di suicidio. Loro sono così presuntuosi, ma non sanno un cazzo! >>
<< Vai a casa. >> ed era l'unico consiglio che si sentiva di darle, con un sospiro deciso e sicuro.
<< Non posso. >>
<< Portami il libretto delle giustificazioni, firmo io. >>
<< Sicuro di saperlo fare? >>
<< Fidati di me! Non è la prima volta che faccio una firma falsa! >> non che ne andasse fiero, ma per lo meno era vero. Sperava solo che la firma da riprodurre non fosse troppo complessa.
Lo andò a prendere, glielo porse e lui firmò. Non era proprio perfetta, ma passabile.
<< Bel nome! >> commentò, restituendole il libretto. Stava suonando la campanella per il cambio dell'ora. Non che per lui fosse un problema, visto che aveva due ore con lo stesso professore. Ah, gli aspetta una bella sgridata! Ma non si pentiva di quello che aveva fatto, né si era reso conto di tutto il tempo che era passato da quando era uscito.
<< Grazie, davvero. Tu come ti chiami? >>
<< Ryan! >> disse << Ora, prima che la tua professoressa entri in classe, vai a casa! >>
Si sentì in dovere di accompagnarla a prendere lo zaino, anche perché era nella sua strada per tornare alla classe. Caterina lo ringraziò ed eseguì gli ordini.
Ryan tornò in classe, momento che sperava non dover essere costretto a vivere e trovò il professore infuriato per la sua assenza in classe. Ma, come suo solito, se la cavò con un "Ha pienamente ragione, mi scusi, non accadrà più" e un sorrisetto malizioso sotto i baffi. Come avesse evitato una qualche punizione, non lo sapeva neanche lui. Quel giorno, doveva essere particolarmente fortunato, di sicuro non poteva lamentarsi!
Tornò a casa, contento di esser stato d'aiuto per qualcuno. Sperava di poterla rivedere presto, non si fidava a lasciarla da sola, anche se di sicuro aveva degli amici. Capì che le speranze di entrare nella sua vita erano davvero poche.
Passarono i mesi e intanto Ryan e Caterina si vedevano ogni tanto nei corridoi, nei laboratori, alla mensa e ai corsi di recupero di qualche materia. Nonostante della scuola gliene importasse meno che zero, gli dava fastidio avere insufficienze, ma, in fin dei conti, non era perfetto. Certo, in quel modo la vedeva più spesso. In tutte quelle occasioni, non aveva mai trovato il coraggio di rivolgerle la parola, un po' per vergogna, un po' per timore. E così aveva fatto lei. Ogni volta si prometteva che quella dopo sarebbe stata l'occasione perfetta. A quanto pare, riusciva a rimandare quasi all'inifito.
Vedeva sempre le solite lampade al neon, sempre le solite crepe, sempre le solite facce, sempre i soliti libri e sempre i soliti voti. Almeno di quest'ultimi, non poteva più lamentarsi. Per fortuna era riuscito a recuperare quasi tutte le materie e ora la sua unica preoccupazione era matematica. Una causa persa.
La sua vita si stava facendo monotona dopo essersi lasciato con Alex, considerata da tutti come una delle più sexy della scuola. Era rimasto con lei per poco più di metà anno, ma infine si erano lasciati per la dubbia reputazione di lei. Non poteva negare di esserci stato male, ma sapeva che sarebbe riuscito ad andare avanti. Aveva bisogno di una svolta, qualcosa di  un po' magico e un po' misterioso che lo potesse risvegliare un po'.
Un giorno Ryan si recò a scuola nel pomeriggio per il corso di teatro e lì incontrò Caterina. Il teatro, nonostante il suo menefreghismo rispetto alla vita scolastica, era la sua unica ragione per andare a scuola. Certo, vedere belle ragazze era la prima ragione in assoluto, ma il teatro era indubbiamente la seconda. Quest'anno, a differenza degli altri, non conosceva nessuno, tranne lei. C'erano soprattutto persone degli ultimi anni e non molti della sua età.
Lui che parte aveva ottenuto? La solita, "non protagonista, ma neanche antagonista e in sostanza un personaggio piuttosto inutile". Probabilmente sbagliava a considerare la sua parte inutile. Ogni personaggio o quasi è utile ai fini della storia. Tutto come al solito; con una piccola eccezione: la maggior parte delle scene doveva recitarle insieme a Caterina. La cosa gli era piuttosto indifferente. Non era capitato in coppia con Jessie, ragazza misteriosa ed affascinante, ma neanche con Tina, arrogante e d'aspetto raccapricciante.
Terminate le due ore previste, Ryan si trovò da solo alla fermata dell'autobus, con cui tornava a casa quasi tutti i giorni, con Caterina. Così, superando l'imbarazzo e il timore di essere invadente, iniziò la conversazione:
<< Scusa ma... poi tua sorella... sta bene? Che le è successo? >>
<< Per fortuna sì. Ha capito di essere arrivata all'esagerazione e ora si sta riprendendo, ovviamente con i suoi alti e bassi. Però è determinata a guarire e questo è l'importante. >> si era girata nella sua direzione, un po' sorpresa.
<< E tu invece? >>
La ragazza non si aspettava quella domanda, non pensando che a lui potesse interessare: << Io... be'... i sensi di colpa sono diminuiti ed è rimasto solo un orribile ricordo e tanto dolore riaguardo alla vicenda e in generale alla situazione. >>
<< Dai bene, è già molto! Insomma, almeno stai un po' meglio. >>
<< Direi di sì. Grazie ancora per quel giorno. >>
<< Figurati! >> disse con un sorriso vero, pieno di quella gioia che ti danno solo le cose semplici, vere e genuine. << Senti sono troppo irriverente se ti chiedo il numero di cellulare? >>
<< No assolutamente! Mi dai il tuo? >>
Si scambiarono i numeri; poi, creatosi un silenzio quasi troppo pesante, la ragazza, con una strana sicurezza che non sembrava esserle propria, disse:
<< Senti, ora che tu sai la mia storia... Mi racconti la tua? >>
Ryan sorrise nuovamente e si morse il labbro senza prestarci attenzione, come suo solito fare quando pensava a qualcosa o tratteneva le risate. Trovava la domanda strana, ma preferì tenerlo per sé. Infine disse:
<< Va bene, ma a una condizione. >>
<< Sentiamo! >>
<< Ti racconterò la mia storia solo dopo averti dato un bel ricordo del London Eye e dopo aver assunto un ruolo nella tua storia. >>
<< Ci sto! >> replicò Caterina entusiasta.
Ancora non lo sapeva, ma quello era quel qualcosa di un po' magico e un po' misterioso che Ryan tanto attendeva. Il ruolo nello spettacolo fu sempre il solito, ma nella storia di Caterina fu il protagonista.
  
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