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Autore: Santanico_Pandemonium    07/04/2013    3 recensioni
Dicono che una groupie non svela mai il suo vero nome e nessuno lo conosce veramente. Detto ciò non vorrei cominciare svelandovi il mio proprio ora…
Salve, sono Penny Lane, così mi faccio chiamare, anzi credo che questo sia diventato il mio nome ormai.
Se non l’avete ancora capito, si, sono una groupie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Tommy Lee, Un po' tutti, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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28 dicembre 1986

Los Angeles, 20:52
«Non chiedermi cosa ho intenzione di fare. Non lo so cosa voglio fare, ok?» sbraitai mandando giù un sorso di whiskey che mi bruciò immediatamente la gola.
Ero seduta al bancone di un bar di LA vicino a T-Bone. Era da qualche ora che ero uscita dalla casa di Nikki per andare a farmi un giro. Starmene chiusa dentro quelle quattro mura luride iniziava a darmi alla testa. La villa sarebbe stata davvero splendida se solo Sixx l’avesse tenuta decentemente. Ma ridotto in quelle condizioni non riusciva a ripulire nemmeno se stesso, figuriamoci una casa.
Tommy mi guardava tenendosi il mento sul palmo della mano, poggiato al bancone di legno scuro. Sembrava che provasse pena per me.
Lo guardai. Cazzo, anche il batterista si drogava, così come Vince e Mick, ma allora perché solo Nikki era ridotto in quello stato merdoso? Perché soltanto Nikki non riusciva a darsi un contegno con quella fottuta roba?
«Bisogna fare qualcosa.» commentò T-Bone distogliendo gli occhi da me e fissando la parete colma di bottiglie davanti a lui.
«Già, ma cosa? Non riesco a tenerlo distante da quella merda neanche per più di tre ore... Non voglio perderlo Tommy, non voglio.». Guardai il bicchiere vuoto che stringevo nella mano. Era vero che non volevo perdere Nikki, soprattutto non per colpa della droga. Nonostante tutto sapevo fin troppo bene che se avesse continuato a drogarsi non sarebbe durato ancora per molto. Mi stupivo del fatto che fosse ancora vivo.
«Andate ancora a letto insieme?» mi chiese il batterista.
Lo guardai sgranando gli occhi e battendo le palpebre. Sapevo che sulla mia faccia era dipinta un’espressione di stupore, ma non capivo il perché di quella domanda.
«Si… Certo che si…» bisbigliai, sentendomi arrossire.
«Strano.» sorrise.
«Pensavo che non gli si rizzasse più.» anche lui fissò il suo bicchiere. Stava ridendo di Nikki ma non con cattiveria. Era come se Sixx fosse lì con noi e T-Bone lo stesse canzonando come facevano di solito quando stavano insieme.
«In ogni caso non ti consiglio di andarci ancora a letto. Potrebbe essersi preso qualcosa. Cazzo, magari ha l’HIV…» continuò, senza distogliere gli occhi dal vetro del bicchiere. Il sorriso era svanito.
Non ci avevo mai pensato. L’HIV. Bel problema del cazzo.
«Non usa siringhe sporche che trova in giro, Tommy. Non è ancora ridotto così male…» la mia sembrava più un’opera di autoconvinzione che altro.
«Ne sei sicura? Io non ci giurerei… Gli voglio bene, ma ormai è partito. Sarebbe capace di tutto.» concluse il batterista.
Fissai il muro con le bottiglie. Avevo uno sguardo perso nel nulla, totalmente fuori dalla realtà.
Nikki non poteva avere l’HIV, non si drogava con siringhe sporche. Non andava in giro a elemosinare droga, e poi io ero sempre con lui. Mi assicuravo che non combinasse troppe cazzate, anche se tenerlo distante da quella merda era impossibile. Ma almeno potevo essere certa di quello che si faceva e come se lo faceva.
«Ora vado. Non posso lasciarlo solo per troppo tempo.» salutai T-Bone e mi alzai dal mio sgabello per uscire dal locale.
«Tieni duro Penny. Ce la faremo.» la frase del batterista riuscì a farmi ritornare la speranza nell’animo.
 
Van Nuys, 21:42
Parcheggiai la Corvette nera di Nikki fuori dalla villa. Le luci erano accese, Sixx doveva essere ancora sveglio.
Chiusi il cancello alle mie spalle e mi avviai verso la porta di casa. Infilai le chiavi nella serratura ed entrai.
Mi guardai intorno ma non vidi il bassista. La televisione era accesa su MTV ma Nikki non era steso sul divano come al solito. Il tavolino era sporco di neve e c’era pure la pipa da freebase, appena usata.
«Cazzo…» sussurrai. Fanculo, era strafatto.
Chiusi la porta.
«USCITE DA CASA MIA! STRONZI, MI VOLETE TUTTI MORTO!! VAFFANCULO!» delle urla mi fecero sobbalzare. Era la voce di Nikki e proveniva dalla camera da letto.
«Dio…» mi avviai verso la stanza di Sixx a passo svelto.
«Nikki sono io. Sono Penny, Nikki…» dissi, cercando di mantenere la calma.
Mi diressi verso il ripostiglio della camera. Aprii la porta e lo vidi.
Dentro quello stanzino c’era un disastro. Siringhe e cucchiai incrostati sparpagliati ovunque, lacci emostatici, foglietti di alluminio, cotone, bustine colme di cocaina. Poi c’era Nikki, un fucile in mano e gli occhi da pazzo. Mi si strinse il cuore.
«Nikki…» sussurrai.
«Coraggio, entra! Sono tutti qui!! Vogliono uccidermi… Ma non ce la faranno mai a prendermi. Vieni!!» mi afferrò il polso e mi trascinò dentro lo sgabuzzino, richiudendo la porta.
Mi raggomitolai in un angolo evitando le siringhe mentre Sixx teneva il fucile carico puntato contro la porta di quello stanzino. Tremava ed era totalmente fuori di testa.
Non era la prima volta che succedeva. Ormai episodi di questo genere erano diventati molto frequenti. Se esagerava con il freebase, e con il resto di quella merda, iniziava il delirio. Pensava che ci fosse qualcuno fuori dalla villa che lo spiava, polizia o non so chi altro, e così si ritrovava chiuso nel ripostiglio a bucarsi. L’eroina era l’unica cosa che gli permetteva di far finire tutto quel casino nella sua testa.
«Nikki ti prego, metti giù il fucile…» lo esortai, toccandogli l’avambraccio.
«Non c’è nessuno che ti vuole uccidere Nikki… Ci sono solo io, e io ti amo.» continuai.
Abbassò le braccia lasciando andare l’arma. Lo abbracciai.
«Va tutto bene… E’ finita.».
Lo strinsi ancora più forte e aspettai che l’effetto della droga svanisse.
 
23:24
«Basta con questa merda... Non posso permetterti di ucciderlo, hai capito? Non lo ucciderai!» gridavo.
Stavo buttando tutta la roba nel cesso. Tutto quello che riuscivo a raccattare per casa lo buttavo via.
Avevo lasciato Nikki a dormire steso sul letto e avevo deciso che tutta la droga doveva sparire da quella cazzo di casa. Però stavo parlando da sola, la rabbia mi aveva fatto uscire di testa. Urlavo contro le bustine di neve, contro la pipa da crack, contro le siringhe. Stavo combattendo contro questo nemico che era la droga. Cercavo di farlo fuori, di farlo uscire dalla mia vita e da quella di Sixx una volta per tutte.
«Cosa cazzo stai facendo?» la voce del bassista mi fece fermare all’improvviso.
Era in piedi sulla soglia del bagno e mi fissava mentre me ne stavo inginocchiata davanti alla tazza buttando tutta la sua fottuta droga giù per il cesso.
Lo guardai senza rispondere.
«Cosa-cazzo-stai-facendo?» scandì la domanda parola per parola. Non era contento.
Mi voltai dall’altra parte e continuai con il mio lavoro, come se non l’avessi sentito.
«Tanto lo sai che ne comprerò altra.» disse e se ne andò dal bagno.
Non si era incazzato. Ormai non faceva più nemmeno quello. Un eroinomane che si vede buttare via tutta la roba davanti agli occhi reagirebbe molto male. Lui no.
Fui io a reagire male.
Mi alzai dal pavimento e corsi in corridoio, inseguendo il bassista. Stava per raggiungere il telefono ma io lo raggiunsi prima di lui. Lo afferrai e lo sbattei per terra con così tanta violenza che si frantumò al suolo. Voleva chiamare Jason e farsi portare altra droga.
«Cosa cazzo ti prende?» sbraitò lui.
«E’ ora di piantarla Nikki. Devi smetterla con questa merda.» risposi.
«Vaffanculo!» gridò. Si stava infuriando.
Si voltò e prese il giubbotto di pelle. Se lo infilò e fece per uscire dalla porta ma io lo fermai.
«Togliti dai piedi.» ringhiò.
Scossi la testa, le labbra serrate.
«Ho detto, togliti dai piedi!» continuò.
Mi morsi il labbro inferiore con forza e gli poggiai le mani sul petto spingendolo all’indietro. Non volevo che uscisse, sapevo cosa aveva in mente di fare e non potevo permetterglielo. Non dovevo permetterglielo.
Riuscii solo a farlo indietreggiare di qualche passo e lui mi afferrò un polso facendomi sollevare il braccio, poi mi spinse a terra. Caddi in ginocchio e scoppiai a piangere, coprendomi il viso con le mani mentre le lacrime sgorgavano fuori dagli occhi come fiumi in piena.
Lui non badò a me ma appena fu sulla soglia della porta d’ingresso si fermò, le mani strette agli stipiti, le unghie che quasi perforavano il legno da quanto stava stringendo.
Allora parlai, con la voce interrotta dai singhiozzi.
«Ti ho promesso che non ti avrei mai abbandonato, che ti avrei aiutato a superare ogni momento difficile. Se non mi comporto come ho fatto prima ti perderò per sempre… Non vuoi farlo per te stesso? Allora fallo per me Nikki…» dissi, sentendo il gusto salato delle lacrime sulle labbra.
Lui rimase immobile per un po’ e sapevo che nella sua testa era combattuto. Non voleva uscire dalla villa e lasciarmi lì sul pavimento, ma la voglia della droga lo spingeva verso la sua Corvette parcheggiata al di la del cancello per correre da Jason e rimpiazzare con altra roba quella che avevo buttato.
Ad un tratto staccò le mani dagli stipiti. Si voltò e, dopo aver lasciato cadere il giubbotto sul divano, si avviò in silenzio verso la camera da letto.
«Il resto della roba è nel ripostiglio.» disse.
Quando mi alzai dal pavimento freddo lo vidi appoggiato contro la parete del corridoio, all’entrata della camera.
Entrai e presi quello che era rimasto della droga dallo stanzino vicino all’armadio. Buttai tutto nel cesso.
Quando uscii dal bagno Nikki era ancora fermo contro la parete e mi guardava. Aveva le labbra serrate e lo vedevo combattere intensamente contro un dolore che gli veniva da dentro. La smania, la voglia di farsi. Un dolore forte che sapevo lo avrebbe tormentato per un lungo tempo.
Gli presi le mani e lo guardai negli occhi. Sorrisi e gli portai le braccia dietro la mia schiena per fare in modo che mi abbracciasse e che io riuscissi ad abbracciare lui.
Premetti il suo viso addosso alla mia spalla e mi appoggiai alla sua, il naso schiacciato contro il suo collo, le dita intrecciate tra i suoi capelli, il suo profumo così familiare che mi riempiva le narici inebriandomi.
«Sono qui.» sussurrai.

   
 
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