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Autore: Little Dreaming Writer    07/04/2013    3 recensioni
| RocoNatsu / Accenni EndoAki | Storico / Romantico| AU |
[Questa Fanfiction partecipa al contest "Parallel Times" indetto da Fay (Flame_Fairy) e Zael (_Nyarlathotep_)]
One-shot ambientata nel periodo della seconda guerra punica, tra le schiere dell'esercito romano.
Rococo è un giovane luogotenente di origini ispaniche, che si ritrova a combattere con i suoi terribili pensieri la notte prima della battaglia di Zama.
Buona fortuna a me che pretendo di presentare una cosina del genere ad un contest~
[Cit. dal testo: Il buio ed il silenzio regnavano indisturbati sulla terra africana, avvolgendo sia il campo cartaginese che la piccola ed affollata castra romana: si aggiravano leggeri  tra le case di legno e le tende rosse allestite alla meno peggio, ma pesavano come macigni, affaticando il respiro e la lucidità mentale dei soldati africani così come di quelli romani. ...]
[I personaggi della FanFiction non mi appartengono, al contrario dell'idea. Chiunque plagerà questo scritto sarà perseguibile in termini di legge.]
- Reby~♥ ©
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector/Rococo, Nelly/Natsumi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Little Dreaming Writer
Titolo: Epistola
Sottotitolo: Maxime Te Amo
Epoca: Battaglia di Zama [202 a.C.], accenni alla battaglia di Canne [216 a.C.]; Seconda Guerra Punica [218-201 a.C.]
Parole: 1362 secondo Microsoft World 2007
Pairing: RocoNatsu [Rococo Urupa x Natsumi Raimon]; accenni EndoAki [ Endou Mamoru x Aki Kino ]
Note di inizio capitolo (?): Come mi sembra ovvio –ma forse non lo è- in questa fanfiction i due personaggi sono, non solo estrapolati dal loro contesto storico, ma anche dalla loro nazionalità.
Rococo è un giovane libertinus [schiavo che ha ricevuto la libertà tramite un affrancamento legale da parte del padrone] di origini ispaniche, entrato nell’esercito romano dopo la liberazione e la conquista di Sagunto [218 a.C.] da parte dei romani prima al seguito dell’uomo che lo aveva preso come schiavo, poi, alla morte del suddetto, prendendo il suo posto come luogotenente della legione; Natsumi invece è una schiava di origini siciliane, diventata schiava del padrone di Rococo dopo la conquista di Siracusa [209 a.C.].
Endou è il padrone di Rococo, un nobile condottiero romano che perde la vita durante la battaglia di Canne; inoltre è sposato con Aki –non mi sembra di averla mai nominata in questa shot, ma nella mia testa è lei-, che è la padrona di Natsumi.
Di tanto in tanto nel testo ci sono delle note –dei numerini- , spiegate a fine shot.

Ringrazio Marika che mi ha fatto da beta e mi ha dato il suo parere –e a cui ho rotto le palle da quando ho cominciato a scrivere questa roba, povera cara, mi chiedo come mai ancora non mi odia-. Ti voglio bene Maki.
Come ultima cosa vorrei dedicare questa shot a lei, a Niki e a Cami.

 


Epistola
Maxime Te Amo

 

 
Il buio ed il silenzio regnavano indisturbati sulla terra africana, avvolgendo sia il campo cartaginese che la piccola ed affollata castra[1] romana: si aggiravano leggeri  tra le case di legno e le tende rosse allestite alla meno peggio, ma pesavano come macigni, affaticando il respiro e la lucidità mentale dei soldati africani così come di quelli romani.
E mentre i generali dei primi, in preda alla paura della difficile situazione, cercavano di organizzare un piano d’attacco che permettesse loro di  far indietreggiare le armate dei latini, le autorità dell’esercito romano uscivano con sguardo serio e determinato dalla tenda del generale, organizzati e preparati a qualsiasi situazione di battaglia si sarebbe presentata loro il giorno seguente.
 Ultimo tra tutti, con lo sguardo basso e titubante, uscì anche un giovane luogotenente ispanico, la pelle abbronzata, i capelli verde petrolio e gl’occhi scuri. Al contrario degl’altri, il giovane Rococo, non nascondeva la paura della battaglia imminente, non avrebbe avuto senso farlo, sebbene fosse pieno di fiducia ed ammirazione per il comandante Scipione[2], che già aveva portato l’esercito romano alla vittoria contro quello di Annibale in situazioni  difficili.
Prese a camminare rapidamente per le strade dritte dell’accampamento verso la sua tenda, tenendo le mani dietro la schiena e la testa bassa, perso a fissare il suolo a tal punto da ignorare i saluti dei soldati che si recavano verso le mura di recinzione per il turno di guardia. Gl’altri luogotenenti  sarebbero certamente andati a radunare le loro squadriglie per informarli dei piani di battaglia, lui no: non sarebbe servito, lo avrebbe spiegato loro il mattino perché lo avessero chiaro nel momento della battaglia e li avrebbe lasciati riposare.
Scosse la testa rassegnato a questi pensieri: era troppo umano per essere un buon superiore, gl’altri suoi pari avevano dannatamente ragione, ma lui non aveva intenzione di cambiare atteggiamento, riteneva che fosse giusto trattare bene i propri soldati per ottenere il massimo rispetto da loro, non si sarebbe mai sognato di abusare del proprio potere.
Notò di sfuggita, tra le altre, la sua tenda[3]; scostò con un gesto secco e potente  il drappo vermiglio all’entrata e gettò a terra, con altrettanta forza, il suo gladio[4], per cominciare poi a camminare nervosamente avanti e indietro per il suo piccolo ‘alloggio’.
Da appena dopo la riunione, sentiva il tempo scorrergli addosso troppo rapidamente, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo; la tensione aveva cominciato a farsi strada dentro di lui come mai prima di una battaglia: aveva lo stomaco come stretto in una morsa, ed il respiro, oltre ad essersi fatto terribilmente irregolare e pesante, di tanto in tanto gli mancava; sudava freddo, per la prima volta in vita sua.
Si lasciò cadere sullo scomodo letto arrangiato in un angolo della tenda e prese a fissare la stoffa che fungeva da soffitto con sguardo perso e vuoto, cercando di allontanare qualsiasi pensiero e trovare un minimo di serenità.
Tutto terribilmente inutile. Nemmeno chiudere gl’occhi servì a qualcosa.
Si passò una mano tra i capelli verde scuro ed inspirò profondamente, poi tentò di espirare altrettanto profondamente, ma il sospiro gli morì in gola, facendogli emettere un gemito strozzato molto simile ad un colpo di tosse.
No, la paura non se ne sarebbe andata. Avrebbe continuato a struggerlo per tutta la notte, fino all’alba, fino a che non si sarebbe trovato faccia a faccia col tanto odioso nemico cartaginese.
Cos’era a spaventarlo in quel modo? L’ormai misero e stremato esercito africano, che più di una volta aveva sconfitto insieme ai suoi? No, piuttosto, a ridurlo così era la possibilità di guardare negl’occhi la morte, come ormai quattordic’anni prima era toccato al suo buon padrone, a Canne[5], e di non riuscire a sottrarsene ancora una volta.
Il solo pensiero di quell’uomo, tanto onesto e umile nonostante le nobilissime origini, che a Sagunto[6] l’aveva salvato dalla schiavitù dei barbari invasori e al quale lui si era offerto di prestare servizio, lo commuoveva ogni volta: le lacrime scendevano prepotenti dai suoi occhi neri e profondi ogni qualvolta nella sua mente si faceva strada l’immagine di Mamoru che, dopo averlo salvato uccidendo un fante nemico, veniva trafitto alle spalle senza la minima pietà, per poi cadere a terra rantolando e  tremando. Rococo non avrebbe mai scordato quell’attimo atroce in cui aveva visto il suo padrone morire per mano dello stesso nemico da cui lo aveva salvato più volte e da cui gli aveva insegnato a difendersi, battaglia dopo battaglia. Non avrebbe mai scordato le lacrime versate della sua povera padrona, quando lo aveva visto tornare a casa pieno di ferite e con l’elmo ammaccato del giovane patrizio[7] tra le mani.
Bastò un attimo perché il giovane ispanico cominciasse a lacrimare, al ravvivarsi di quei terribili ricordi. Si passò rapidamente il dorso della mano sugl’occhi e si girò s’un fianco, tentando di scacciare dalla mente quelle immagini opprimenti; tentò di focalizzare i suoi pensieri sugli schemi di battaglia e sugl’ordini impartitigli dal generale, ma tutto sfumò quando il suo sguardo incrociò dei fogli di papiro e uno stilo macchiato d’inchiostro: con quelli solitamente scriveva il rapporto per i suoi superiori, ma in quell’istante qualcosa lo spinse a seguire la malsana idea di scrivere un’epistola[8] alla sua amata, che lo aspettava alla villa dei padroni.
Si tirò su ed afferrò il papiro con un gesto rapido, quasi istintivo, prese lo stilo e si appoggiò a terra, cominciando a scrivere incerto, quasi spaventato, ma ansioso di finire quella lettera per poter chiedere ai suoi superiori di inviarla a Roma insieme ai rapporti dell’ultima giornata prima della battaglia.
Di tanto in tanto lo stilo forava l’epistola, di tanto in tanto Rococo era costretto a cancellare le parole ed a riscriverle, di tanto in tanto invece doveva fermarsi ed asciugarsi gl’occhi per evitare di bagnare la lettera con le lacrime. Niente però gli avrebbe impedito di scrivere alla giovane serva dai capelli castani, che –questo il giovane lo sperava fortemente- attendeva impaziente il suo ritorno.
Natsumi era una ragazza molto piacente e, prima di essere presa come schiava alla conquista romana di Siracusa[9], circa sette anni prima, era sempre stata circondata da spasimanti, lo sapeva bene il giovane luogotenente, ma la cosa non lo abbatteva: voleva tornare da lei, vincitore e carico di onori, per poterla conquistare. Voleva liberarla dal suo stato di schiavitù[10], avrebbe speso la sua intera paga[11] se fosse stato necessario, e poi l’avrebbe sposata.
Per questo voleva vincere così ardentemente.
Per questo aveva così paura di morire.
Per questo scrisse in quella epistola tutto ciò che forse non le avrebbe mai potuto dire, concludendo con un semplice “Maxime te amo.”
 

La battaglia di Zama, del 202 a. C., fu una battaglia decisiva per le sorti della guerra, che pose fine alla seconda guerra punica con una schiacciante vittoria dall’esercito romano, sotto la giuda del celebre Scipione, detto da allora l’africano. La pace tra i due popoli fu decretata solo l’anno seguente.

 
Seduta a terra nel peristilio[12] della villa, la giovane schiava dai capelli castani mossi leggeva singhiozzando il foglio di papiro, rovinato nei lati e macchiato qua e là tra le parole scritte in modo visibilmente tremante e frettoloso.
La carta era arrivata a Roma dopo qualche settimana dalla battaglia, ma era stata recapitata alla giovane vedova, sua padrona, solo tempo dopo.
La guerra era finita da tempo quando la ragazza si ritrovò tra le mani quella carta, eppure Rococo non aveva ancora fatto ritorno.
Ragionando su ciò, Natsumi si morse il labbro inferiore, poi si passò un braccio sugl’occhi nel tentativo di asciugarli e strinse forte la epistola al petto, cominciando a mormorare, in modo sommesso, preghiere agli dei, chiedendo di veder presto tornare il giovane milites[13], di poterlo stringere tra le braccia, di potergli dichiarare il suo amore.
E mentre la ragazza implorava i suoi divini creatori, un giovane soldato dalla pelle scura camminava con passo svelto e sicuro lungo la via secondaria che portava all’ingresso della modesta villa di campagna: aveva le braccia fasciate in più punti, l’armatura ammaccata, l’elmo del padrone sotto braccio, la spada legata in vita ed un sacchetto di denaro in una mano, che risuonava ad ogni suo passo.
“Sto venendo a prenderti Natsumi.” Mormorò sorridente, prima di bussare all’imponente portone dell’abitazione.





[1] Castra è il termine latino con cui si indicava il tipico accampamento dei soldati romai.
[2] Publio Cornelio Scipione, noto politico e ancor più noto generale romano, risollevò le sorti dell’esercito durante la seconda guerra punica e lo portò alla vittoria.
[3] Negli accampamenti i soldati romani dormivano in delle tende che potevano ospitare fino a dieci uomini; i soldati di gradi superiori –quali i luogotenenti- avevano una tenda  completamente loro.
[4] Gladio è il termine latino con cui si indicava la tipica spada per il combattimento corpo a corpo; esistono due tipologie di gladio: una corta e leggera, ed una più lunga ma più resistente.
[5] Battaglia avvenuta nel 216 a.C. che ebbe un esito disastroso per l’esercito romano, che venne completamente sbaragliato da quello cartaginese guidato da Annibale.
[6] Sagunto è una città spagnola; venne assediata dai cartaginesi nel 219 a.C. e chiese aiuto a Roma. Questo diede inizio alla seconda guerra punica.
[7] I patrizi formano una classe sociale della Roma repubblicana: ne fanno parte gli abitanti di nobili origini.
[8]Epistola è il termine latino con cui si indicano le lettere.
[9] Sagunto è una città della Sicilia. Fu conquistata nel 209 a.C.
[10] Uno schiavo poteva diventare un liberto se veniva affrancato, cioè se pagava un certo prezzo per la sua libertà.
[11]La paga è la parte del bottino di guerra che spettava ad ogni soldato alla fine della suddetta.
[12]Il peristilio è uno spazia aperta  all’interno della casa romana, dove si raccoglieva l’acqua.
[13] Milites è il termine romano per guerriero/soldato.
   
 
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