7.
Intrappolata
in quei pensieri sul mio passato trovai l’amara consolazione nel ripensarci
solo per quei bei momenti che avevo completamente spedito nei meandri più
reconditi della mia memoria.
Ero
piccola, ero ingenua, ero una persona diversa.
Non
ero pronta a catapultarmi in cose più grandi di me, ad affrontare tutto ciò che
successe. Questo perché ero sempre stata una persona tranquilla, abituata alla
sua routine e legata alle abitudini.
Eppure
la vita a cui ero affezionata mi scivolò dalle mani senza neanche darmi il
tempo di accorgermene e in un attimo fui catapultata nella realtà, così dura e
prepotente che quasi riuscì a sopraffarmi. Come se la vita non mi avesse già
messa a dura prova quando mio padre decise di non riconoscermi o quando mia
madre fu afflitta dall’Alzheimer.
In
tutta questa malinconia trovavo sempre una consolazione: avevo l’orgoglio di
poter dire che mi ero sempre rialzata. E soprattutto senza l’aiuto di terzi.
Con le mie mani avevo costruito ciò che avevo, ciò che ero.
Eppure
se tutto fosse andato diversamente, non lo rimpiangerei.
Viene
chiamato destino. Caso. Fato. Dio? Io l’ho sempre considerata una serie di
scelte dettate da noi stessi che intersecandosi nel corso del tempo hanno
creato questo momento. Ogni volta che si compie una scelta si rinuncia a
qualcosa ma si spiana la strada per qualcos’altro, e anche se potesse sembrare
una cosa sbagliata, in un futuro, anche lontano, potrebbe essere la mossa
vincente.
Ciò
che avevo in quel momento era una tavola apparecchiata per quattro persone e io
che cenavo sola.
Presi
la salsa ai mirtilli e me la misi nel piatto. Sorrisi e in un sol boccone la
mangiai, sospirando.
Era
la prima volta che Jane metteva piede a casa mia. O almeno in questa casa.
Si
presentò educatamente a mia zia che la ricordò da piccola, con le sue buffe
trecce bionde e le lentiggini, era una
bambina un po’ irrequieta, così la
definì.
“
E’ davvero una bella casa “, si complimentò.
“
Si fa quel che si può! “, rispose zia Caroline facendo una smorfia. Ne era
evidentemente lusingata anche se tentava di nasconderlo. “ Ora io ne approfitto
per uscire un po’ dato che ci sei tu a far compagnia a Jo…
a dopo ragazze! “, e dopo avermi salutata con un bacio sulla guancia sparì
dietro la porta.
“
Te la volevi proprio conquistare con quel complimento! ”
“
Si fa quel che si può! “, disse imitando la zia.
Ridemmo
un po’ e l’accompagnai in cucina.
Vidi
che scrutava tutti gli ambienti in cui la conducevo con curiosità come un
turista che vede un posto per la prima volta. Eppure io gliel’avevo descritta
tante volte.
“
Avevi detto che si trattava di un verde vomito ed invece è un bel verde, idiota
“
Sbuffai
e aprii il frigorifero definito color pisello e guardai cosa c’era di buono da
mangiare. Tirai fuori la specialità di tutte le donne di famiglia eccetto la
sottoscritta: salsa ai mirtilli.
L’unica
volta che avevo provato a fare un piatto mia madre aveva rischiato
un’intossicazione alimentare.
“
Ti piace? “
Prese
il barattolo rustico con su un foglietto che diceva “mirtilli”. Fece spallucce
e se la spalmò su una fetta di pane. Appena l’addentò vidi che le brillavano
gli occhi e sorrisi.
“
La famiglia Connelly è specializzata da generazioni nella preparazione di
questa salsa. Peccato che io bloccherò la tradizione! “
Con
la bocca piena scosse la testa e bofonchiò qualcosa come “ Sei un disastro “
“
Non capisco il tuo idioma, mi dispiace. Hai finito d’ingozzarti e posso farti
vedere il resto della mia reggia? “
Si
pulì con un tovagliolo e ripose tutto, buttando anche le briciole. Guardai il
tavolo ed era come se di lì non fosse passato nessuno.
“
Maniaca. “
“
Fammi vedere la tua ultra mega villa “
La
portai in tutte le stanze, prima in quelle meno importanti, come il salotto o
la camera di mia zia, e poi nel mio bagno e nella lavanderia. Sulle scale le
spiegai che avevo il privilegio di detenere uno spazio tutto per me, ossia la
mia camera.
“
Pronta? “
“
Penso di sapere già un po’ come “
Entrammo
e si ammutolì, iniziò a guardare tutti quei poster, il letto, passò le mani su
una fotografia di noi due al mare, l’estate scorsa. Uscì sul balcone e annusò i
fiori che di solito annaffiava zia Caroline.
Rientrò
e passo le sue esili dita sulla scrivania, poi prese tra le mani una fotografia
e mi guardò.
Era
una situazione un po’ imbarazzante: la mia migliore amica vedeva la mia camera
da letto per la prima volta. Tentai di apparire tranquilla.
“
E’… è tua… “
“
Sì, è mamma. “
La
osservò ancora un po’ e tentò di abbozzare un sorriso.
“
Era bella “
“
Lo è ancora “
Posò
la foto un po’ scettica, probabilmente non sapeva cosa dire.
“
Lo credo “
Calò
il silenzio e si sedette sul letto, osservando i muri, e poi il soffitto.
“
Originale “
Annuii
e mi accomodai di fianco a lei.
“
Non è irritante avere la faccia del tuo ragazzo ovunque? “
Guardai
i poster e risi, scrollando il capo.
“
Risparmio sulle fotografie imbarazzanti, no? “
“
Hai ragione, in effetti non ne vedo nessuna di voi due.. dovete rimediare “
Arrossii
e mi sdraiai, posando lo sguardo su un paio di occhi nocciola, ed infine sul
soffitto. Sospirai ripensando alla canzone che mi aveva canticchiato qualche
giorno prima.
“
Allora Pretty Little Girl, com’è l’amore? “
Mi
alzai a quella parola e la guardai scioccata.
“
L’amore? Io non sono innamorata, io… “
“
Tu? Eh? “
“
Io ci tengo. “, affermai con decisione, probabilmente le scambiai anche un
brutto sguardo.
“
Josie… ammettilo a te stessa. Questa cosa non ti
ucciderà, né ora né mai. “
Già,
non mi aveva uccisa, ma mi aveva completamente stravolto la vita, non sapevo
nemmeno se in peggio o in meglio.
Mi
ritrovavo dopo più di quindici anni a ripensarci più di quanto dovessi fare, quindi
qualcosa dentro di me aveva lasciato.
Un
adulto pensa spesso ai tempi andati e per me la mia adolescenza era iniziata
quando avevo conosciuto Tom.
Mi
aveva fatto sentire più libera, meno matura, più menefreghista forse, più
spensierata e aveva anche tirato fuori lati del mio carattere sconosciuti
perfino a me stessa come la tenerezza. Mi aveva fatto scoprire cosa fosse la
complicità. E anche l’amicizia vera, sincera.
Era
normale per me che tutto ciò mi mancasse, che mi sarebbe mancato per sempre.
Perché quando non riesci a stare con la persona della tua vita è un po’ come se
perdessi un pezzo di te.
Spesso
pensavo a come sarebbe stata la nostra vita insieme, se il destino ci avesse
riservato il privilegio di non dividerci. Saremmo stati una bella famiglia, ne
sono sicura.
“
Mamma, che fai tutta sola? ”
Sentire
quella voce mi fece un po’ sussultare.
“
Matt, vieni a mangiare, su… ”
Mi
alzai e iniziai a togliere il mio piatto e quello di Andrew, sicuramente non
sarebbe venuto a tavola per quella sera, e per i giorni successivi.
Matt
si sedette al suo posto e gli diedi la cena, iniziò a mangiare in silenzio mentre
io sciacquavo i piatti prima di metterli in lavastoviglie.
Dopo
un po’ ruppe quel teso silenzio: “ Va tutto bene tra e te papà? ”
Mi
cadde bruscamente un piatto nel lavello.
“
Sì, siamo solo un po’ sovrappensiero per il lavoro, non è niente, cose che
succedono. ”
“
Mmmmh ”
Potevo
esattamente immaginare che espressione avesse sul volto in quel momento. Ed
anche il modo in cui si stava tirando giù le maniche della felpa ed era pronto
a dire un’altra frase.
“
Se… se doveste separarvi io verrei con te. Io sceglierei sempre te. ”
Fu
un attimo: delle lacrime iniziarono a scendere velocemente lungo il viso e non
riuscivo ad arrestarle. Quelle parole erano state come un flashback violento
che mi aveva colpita direttamente allo stomaco ed aveva mozzato il fiato.
Iniziai
a singhiozzare violentemente, anche se feci di tutto per nascondermi agli occhi
di mio figlio.
“
Mamma… mamma? ”
Sentii
la sedia muoversi e presto mi serrò in un abbraccio, un abbraccio così
famigliare che mi sentii ancora piccola e ingenua. Mi sentii la Josie che esisteva quindici anni prima e ora stava
esplodendo in quel pianto.
Shapespace: Eccoci di nuovo!
Questo capitolo è un po' strappalacrime per i miei gusti... non so nemmeno come sia riuscita a scriverlo hahah
Spero vi piaccia, lasciate pure recensioni e quant'altro!
A presto~