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Autore: Kitri    08/04/2013    16 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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VECCHIE FERITE 
 
 
«Perché non mi hai detto che sei il figlio di Hiroshi Chiba?».
Quella domanda era stata una doccia fredda improvvisa.
Immediatamente, il volto di Mamoru cambiò espressione.
Usagi vide i suoi occhi blu stringersi fino a diventare due fessure. Cercò di scorgervi un qualsiasi sentimento, ma niente! Erano cupi, gelidi, completamente inespressivi. Per la prima volta non li riconobbe e provò quasi un senso di smarrimento di fronte a essi.
«Come lo hai saputo?».
Improvvisamente la voce grave del ragazzo ruppe il pesante silenzio che regnava nella stanza.
«È stato tuo padre in persona» gli rispose Usagi, mentre continuava a guardare quegli occhi, che ora sembravano stravolti da quella rivelazione.
La ragazza provò una fitta al cuore, ma continuò a parlare. Mamoru doveva sapere e lei doveva capire.
«È venuto fin qui per propormi una borsa di studio, solo per riavvicinarsi a te!».
«Che cosa?!?».
Gli occhi di Mamoru quasi saltarono fuori dalle orbite.
Mentre Usagi raccontava tutto quello che era avvenuto nell’ufficio del primario, la sua espressione diveniva sempre più disgustata, mentre la rabbia mai sopita gli cresceva dentro a dismisura.
Quell’uomo era stato capace di servirsi della sua fidanzata, prendendola in giro, solo per arrivare a lui. Un piano cinico degno del migliore stratega!
Si portò le mani al viso sospirando nervosamente, cercando di non perdere il controllo davanti a Usagi, che era già visibilmente scossa.
«È ancora qui?» chiese poi, dopo qualche secondo di silenzio.
La ragazza scosse la testa e alzò le spalle, non sapendo se Hiroshi Chiba fosse ancora in quell’ufficio.
«Perché mi hai nascosto una cosa così importante?» gli chiese, nella speranza di ottenere una risposta valida che potesse giustificare quella mancanza.
Ma un ghigno comparve sul volto di Mamoru.
«Davvero pensi che essere figlio di quell’uomo sia una cosa importante?».
«No, - rispose la ragazza con un velo di amarezza negli occhi – per me è importante conoscere te».
«E mi conosci!» replicò Mamoru a voce alta, lasciando la sua postazione, dietro la scrivania, e procedendo verso lei.
«Non è vero, Mamoru! Conosco solo quello che mostri di te. Non conosco il tuo passato, non conosco i tuoi dolori. Mi sono sempre chiesta cosa ti facesse soffrire così tanto, ma tu non ti sei mai aperto con me! Perché tuo padre è arrivato a questo?».
Ancora una volta Mamoru sospirò nervosamente. Doveva delle spiegazioni ad Usagi, ma in quel momento non se la sentiva.
«Adesso non mi va di parlarne. Magari un’altra volta, ok?» le disse con un tono di voce più dolce, alzando la mano per accarezzarle il viso, sperando di chiudere subito la questione.
«Magari un’altra volta?!? – questa volta fu Usagi ad alzare la voce, scansando decisa la carezza di Mamoru. Per lei la questione non poteva essere rimandata ulteriormente.
«Sono sei mesi che aspetto, - aggiunse indispettita dall’atteggiamento del ragazzo – Ti ho visto soffrire mille volte, ma non ti ho mai fatto domande, nella speranza che fossi tu a raccontarmi qualcosa di te. Ma tu niente! Ci è voluto Hiroshi Chiba in persona perché io sapessi qualcosa».
«Ti prometto che te ne parlerò. Ma ora, ti prego, lasciami in pace! Quello che lui ha fatto e il solo pensiero che possa essere ancora qua … ».
Non concluse la frase ma, in un gesto di impeto, colpì con un pugno la scrivania. Si girò verso la finestra portandosi una mano sugli occhi, visibilmente agitato. Cercò di calmarsi, poi, di nuovo, si voltò verso di lei, che era rimasta impietrita di fronte a quel Mamoru che non riconosceva.
«Ti prego, Usagi, vorrei rimanere solo!» aggiunse il ragazzo.
E a quel punto fu inutile continuare a insistere. Usagi girò le spalle e andò via, lasciandolo solo come lui le aveva chiesto. 
 
Mamoru rimase tutto il giorno nel suo ufficio a combattere contro i fantasmi del suo passato. Non uscì neanche per la pausa pranzo e affidò i suoi pazienti alle cure di Seiya e Naru, dando loro l’ordine tassativo di chiamarlo solo in caso di necessità.
Aveva molto da lavorare e parecchi appunti per la sua ricerca da sistemare. Provò inutilmente a concentrarsi, ma la sua mente continuava a fare salti nel tempo.
 
“Quella mattina era rientrato, come di consueto, per ora di pranzo.
«Mamma, sono a casa!» salutò varcando la soglia.
Kaori lo accolse con un’espressione strana in viso.
«Vieni, oggi c’è anche papà» gli disse.
Mamoru fece una smorfia nauseata.
«Impazzisco di felicità!» esclamò, mentre sua madre gli dava un colpetto sul braccio per farlo zittire, prima di entrare nella sala da pranzo.
«Non si saluta?» chiese suo padre con il suo solito tono austero.
«Ciao! Che bello, pranzi con noi!» rispose il ragazzo con sarcasmo.
Ma Hiroshi, dopo averlo freddato con uno sguardo,decise di ignorarlo.
«Ho belle notizie per te – disse,invece, posando sul tavolo una busta, che Mamoru osservò perplesso – Sei stato ammesso alla facoltà di medicina più prestigiosa del Paese!».
«Che cosa?!?» gridò il ragazzo.
Lui non aveva mai fatto domanda di iscrizione. Anzi, aveva più volte espresso il desiderio di trasferirsi nella capitale a studiare.
«Dovresti fare i salti di gioia, figliolo! Pochi vengono ammessi a quella facoltà. Ho parlato con un mio carissimo amico e ti ha già riservato un posto alla scuola di specializzazione in cardiochirurgia».
Cardiochirurgia?!? Ma era ancora troppo presto per scegliere la specializzazione! E poi lui era sempre stato più propenso per la neurochirurgia. Il suo sguardo cominciò a riempirsi di odio verso quell’uomo che pretendeva di sapere sempre tutto.
«E che altro hai deciso per me?» aggiunse Mamoru.
«Partirai la settimana prossima per Londra. Ti ho già iscritto alla migliore scuola di inglese per perfezionare la lingua».
Questo era troppo!
Mamoru progettava da tempo un viaggio in giro per l’Europa, lontano da tutto, prima di incominciare l’università. E lui voleva impedirgli addirittura un po’ di svago con gli amici.
«Tu vuoi sempre il meglio per me, vero?Ma ti sei mai chiesto io che cosa voglio?».
«Non è importante quello che tu vuoi adesso, sei troppo giovane per decidere. Quando sarai diventato il mio degno successore, vedrai che mi ringrazierai».
«Questo scordatelo! Tu sei pazzo! Io mi sono rotto di fare sempre e solo quello che dici tu!». Mamoru esplose. Non ce la fece più a trattenere tutto quello che gli bruciava in corpo.
«Mamoru, stai attento a quello che dici!» lo rimproverò duramente Hiroshi.
«Perché altrimenti che fai?» rispose lui sfidandolo.
«Tesoro, calmati!».
Sua madre, capendo che la situazione stavolta stava davvero precipitando, si intromise posando una mano sul braccio di Mamoru.
«Lascialo andare Kaori. È solo uno stupido ragazzino ingrato, che non apprezza i sacrifici dei suoi genitori».
«Tranquillo,esimio professor Chiba! Il ragazzino ingrato ha deciso di togliere il disturbo. Me ne vado e non ci metto più piede in questa casa!».
«Vai, vai! Il mondo ti aspetta a braccia aperte! – disse Hiroshi facendosi beffe di suo figlio. Poi continuò - Ma ti vuoi mettere in quel cervello bacato che senza di me non vali nulla?».
Mamoru non gli rispose. Furioso, amareggiato dall’ennessima offesa di quell’uomo, corse in camera sua. Ormai era deciso ad andare via e nessuno l’avrebbe fermato.
Nel giro di mezz’ora aveva racimolato quelle poche cose di cui necessitava, il resto gliele avrebbe portate sua madre, con la quale si sarebbe messo in contatto non appena ne avrebbe avuto la possibilità.
«Lascialo, finchè sei in tempo!» le aveva detto, mentre lei continuava a piangere cercando di fargli cambiare idea.
«Ti chiamo io, sta tranquilla!» le disse, infine, abbracciandola e baciandola.
Uscì dalla sua stanza con lo zaino in spalla.
«Allora sei deciso!» esclamò Hiroshi con sarcasmo, non appena lo vide.
Ancora una volta Mamoru non rispose.
«Se oltrepassi quella porta, io non muoverò più un dito per te, non avrò più un figlio!» aggiunse poi l’uomo indispettito dall’atteggiamento menefreghista del ragazzo.
«Io un padre non l’ho mai avuto!».
E queste furono le ultime parole che Mamoru rivolse a suo padre, prima di uscire definitivamente da quella casa.
Hiroshi era rimasto sbalordito dalla sicurezza di Mamoru, ma non volle mostrare la sua debolezza, nascondendola dietro la sua maschera di ghiaccio.
«Lascialo andare Kaori, tornerà con la coda tra le gambe chiedendo perdono».”
 
A quanto sembrava, però, chi era tornato con la coda tra le gambe era proprio Hiroshi.
A quell’ultimo pensiero, sul volto di Mamoru fece la sua comparsa un ghigno beffardo, ma che subito fu velato da un’espressione malinconica, quando rivide l’immagine degli occhi di sua madre in quel momento.
Non volendo, Mamoru l’aveva fatta soffrire, più di quanto non avesse già sofferto in tutti quegli anni.
 
“La porta era socchiusa e la sentiva piangere e singhiozzare, come spesso accadeva. Sbirciò nella stanza per essere sicuro che fosse sola. Poi, una volta accertatosi che suo padre non c’era, il piccolo Mamoru spalancò la porta e di corsa saltò sul letto accanto a lei. Con la manina le accarezzò il viso.
«Mamma, perchè piangi? Hai di nuovo mal di testa?» le chiese con un’ ingenuità e una dolcezza disarmanti.
Kaori si sforzò di sorridere.
«Sì, amore mio! Ma non ti preoccupare. Adesso la mamma si riposa un po’ e passa tutto come sempre».
«E se ti do tanti bacini ti passa più in fretta?».
«Sì, amore! – aveva risposto la donna stringendolo a sé – Ma devono essere tanti tanti».
E il bambino ridendo si era gettato tra le braccia della sua mamma, pronto a ricoprirla con una pioggia di baci.”
 
Mamoru poggiò i gomiti sulla scrivania, poi si lasciò andare con la testa tra le mani, rimanendo a fissare il vuoto per qualche secondo.
Sua madre! Quella donna a volte così impicciona e fastidiosa, ma che lui amava tanto.
Aveva sofferto tanto e lei stessa, quella sera a cena, sei mesi prima, gli aveva confessato tutte le sue pene. Ma forse, la pena più grande, quella che aveva angustiato lui per tutto quel tempo, le era stata risparmiata. Forse Kaori non sapeva niente e di certo non sarebbe stato lui, suo figlio, ad aggravarla di quell’ulteriore dolore.
Mamoru strinse i pugni, sbattendoli poi sulla scrivania.
Odiava Hiroshi Chiba!
Eppure un tempo era stato il suo eroe, come lo è un padre per ogni bambino.
 
“«Il mio papà mi porta sempre alle giostre» aveva esclamato la bambina bionda.
«Anche il mio papà! E quando torna a casa dal lavoro giochiamo sempre a nascondino» aveva risposto, invece, l’altro bambino orgoglioso.
Mamoru li ascoltava e pensava.
Lui non aveva mai fatto tutte quelle cose con il suo papà.
Quando si trattava di giocare, c’era sempre e solo la sua mamma.
Ma il suo papà era importante e doveva sempre lavorare.
«Il mio papà è un supereroe – pronunciò quindi, impettito, di fronte agli sguardi curiosi dei due amichetti – lui salva le persone malate».
«Davvero?!?» avevano chiesto i due bambini sgranando gli occhietti.
Il bambino aveva annuito fiero.
«Quando il loro cuore non funziona più, il mio papà li opera e loro guariscono. E dopo sono contenti».
I due bambini lo guardavano ammaliati, mentre il piccolo Mamoru sorrideva felice, pensando che un giorno sarebbe diventato proprio come il suo papà”.
 
Da bambino voleva diventare come suo padre e in parte ci era riuscito, anche lui salvava vite.
Ma non si sentiva affatto un eroe, e di certo anche Hiroshi non lo era mai stato.
Ma quand’è che aveva incominciato a vederlo con occhio diverso? Forse quando aveva iniziato a rendersi conto che suo padre non aveva l’animo buono e gentile degli eroi.
 
“«Papà, vieni alla mia recita di Natale?» gli aveva chiesto il bambino trepidante.
«Mi dispiace, Mamoru! Sarò impegnato tutto il giorno» rispose lui, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
«Ma verranno tutti i papà e io avrò una parte importante! » piagnucolò il piccolo deluso.
Hiroshi sbuffò. Detestava che il bambino cominciasse a fare i capricci, distogliendolo dai suoi impegni.
«Mamoru – gli disse sforzandosi di essere dolce – sono contento che tu abbia una parte importante nella recita scolastica, ma vedi, io in ospedale ho un ruolo molto più importante».
Il bambino lo guardò ancora con i suoi occhietti languidi, stava quasi per piangere, ma una dolce carezza sulla testa lo tranquillizzò.
«Amore, vieni con la mamma a giocare?» gli chiese quella voce angelica, riportando subito il sorriso sul suo faccino.
«Per una volta potresti prenderti un paio di ore di permesso!» esclamò poi Kaori, rivolgendo un’occhiata gelida a suo marito.
L’uomo sogghignò, tornando alle sue carte.
«Un paio di ore per queste cazzate?».”
 
Di episodi come questi c’erano stati a migliaia.
Nella sua vita, Mamoru non ricordava un unico gesto di affetto da parte di Hiroshi.
Crescendo aveva cominciato a sviluppare una sorta di avversità nei suoi confronti, ma tutto il rancore, che tuttora provava verso suo padre, era nato sicuramente in un preciso momento, quando quella mattina di dicembre Mamoru aveva scoperto il suo segreto.
«Maledizione!» urlò.
E, in un accesso di stizza, con il braccio scaraventò a terra tutto ciò che era sulla scrivania.
Tolse il camice, gettandolo a fare compagnia a tutti quegli oggetti e fogli che ora formavano un tappeto sul pavimento, e poi corse via.
In un attimo di lucidità, l’ultimo pensiero lo rivolse ad Usagi. Un breve sms, freddo e conciso: “Non mi aspettare, non torno!”.
Poi spense il cellulare e cominciò a vagare senza meta, con il solo desiderio di anestetizzare il cervello e soffocare i pensieri.
 
Quando Usagi lesse il messaggio lapidario di Mamoru, provò una forte fitta allo stomaco. Si era sdraiata sul divano al buio, in attesa che lui rientrasse, ma stando a quanto le aveva appena scritto, quella sera non l’avrebbe rivisto.
Immobile nella sua posizione, continuava a fissare il soffitto.
Non riusciva proprio a comprendere cosa ci potesse essere nel passato di Mamoru e nel suo rapporto con il padre. E, qualunque cosa fosse, non poteva di certo giustificare il suo comportamento.
Stavano per sposarsi e lui l’aveva esclusa dalla sua vita, privandola, oltre che della sua fiducia, di una parte importante di lui, per quanto brutta e penosa potesse essere.
Usagi sospirò pensierosa. Guardò l’anello che brillava al suo anulare e ripensò alla gioia che aveva provato quando lui le aveva chiesto di sposarlo.
Avvertì il gusto salato di una lacrima, che era appena scivolata giù lungo il suo viso. L’asciugò velocemente, ma subito ne sopraggiunse un’altra, e un’altra ancora.
Si sentiva ferita da tutte quelle verità nascoste e dal fatto di essere stata lasciata in un angolo, da sola, con la sua delusione e la sua amarezza. Ma allo stesso tempo si sentiva un’egoista, perché sapeva che la sofferenza di Mamoru era più grande della sua e in quel momento anche lui era da solo a combattere contro di essa.
Ebbe quasi l’impulso di rivestirsi per andare a cercarlo, ma sapeva che non sarebbe servito.
Lui le aveva chiesto esplicitamente di restare solo e lei non poteva far altro che rispettare quella richiesta.
 
Mamoru aveva vagato tutta la notte, arrivando fino al mare.
Una birra gli aveva tenuto compagnia, mentre osservava le onde infrangersi sugli scogli, una dietro l’altra. Così aveva atteso l’alba del nuovo giorno, godendo di quel momento di pace, da solo con se stesso.
Spesso il pensiero volò alla sua Usako, da sola a casa e forse in pena per lui, e in più momenti desiderò che fosse lì con lui, a godere dello spettacolo che il sole nascente stava offrendo. Ma poi pensò che in quel momento fosse giusto essere lì da solo, a fare i conti con le vecchie ferite che improvvisamente si erano riaperte.
Tornò alla macchina e, benché stanco della notte passata in bianco a tormentarsi, decise che aveva un’ultima cosa da fare.
Dopo circa mezz’ora, arrivò in un paesino dell’entroterra.
Fermò l’auto davanti al cimitero e, a piedi, proseguì lungo i sentieri di quel piccolo luogo di pace, fino a quando non giunse davanti a due lapidi, dove si fermò.
Erano anni che non andava più lì. L’ultima volta era stata circa dieci anni fa, quando aveva deciso di dare definitivamente un taglio a tutto ciò che ancora lo legava a suo padre e che non doveva più far parte della propria vita.
Restò lì fermo a riflettere, guardando le fotografie su quelle lapidi. Pochi minuti, poi decise di riprendere la strada verso casa.
Si sentiva un po’più sereno, anche se aveva avuto giorni migliori, e ora la cosa più importante era solo tornare da Usagi e parlare con lei, sperando che capisse e lo perdonasse.
 
Per Usagi era stata una giornata infernale in cui non aveva fatto altro che correre avanti e indietro in ospedale, tra un paziente e l’altro, senza contare il putiferio nella sua testa.
I suoi pensieri erano costantemente rivolti a Mamoru, di cui non aveva notizie da più di ventiquattro ore. Cominciava seriamente a essere preoccupata.
Aveva provato diverse volte a chiamarlo, ma il suo telefono era spento e a casa rispondeva solo la segreteria telefonica. Anche Heles e Motoki non l’avevano sentito, ma entrambi, saputo cosa fosse accaduto il giorno prima, la convinsero a stare tranquilla, perché presto si sarebbe fatto vivo. In passato era capitato spesso, le dissero, Mamoru aveva solo bisogno di stare da solo e calmarsi.
Erano quasi le sei del pomeriggio quando Usagi tornò a casa.
Si preparò un bagno caldo alla vaniglia per rilassarsi e lavare via tutto lo stress della giornata. Indossò canottiera e pantaloncini e andò direttamente a sdraiarsi sul letto, dal lato dove era solito dormire Mamoru. Prese il cuscino tra le braccia e, respirando il suo dolce profumo, si addormentò.
 
E fu così che Mamoru la trovò, quando finalmente rientrò a casa, rannicchiata in posizione fetale, avvinghiata al suo cuscino, che dormiva.
Lentamente, avendo cura di non svegliarla, si sistemò sul letto accanto a lei.
Appoggiato sul gomito, la guardò. Doveva essere molto provata per dormire così profondamente già così presto, e sicuramente anche lui aveva contribuito alla sua stanchezza. Si sentì un vigliacco e un egoista ad averla lasciata da sola per un giorno intero, senza dare sue notizie, coinvolgendola in tutto quel casino.
Delicatamente le spostò una ciocca di capelli dal viso e si chinò su di lei per baciarla. «Perdonami, amore mio» sussurrò.
In quello stesso istante, Usagi avvertì la sua presenza e aprì gli occhi.
«Mamoru, sei tornato?» disse con un filo di voce, senza voltarsi, ma rimanendo ferma nella stessa posizione.
«Sì, Usako! Sono qui!» le rispose lui, ancora chinato sul suo viso.
«Dove sei stato?» chiese lei sempre con voce pacata, ma decisa.
«In giro. A riflettere».
«Sono stata molto in pensiero per te!».
«Lo so! – rispose lui baciandola ancora – Mi dispiace, scusami!».
Seguirono pochi secondi di silenzio, durante i quali lui continuava ad accarezzarle i capelli, mentre lei rimaneva immobile, sempre dandogli le spalle.
Poi Mamoru si decise a parlare e porre fine all’attesa di Usagi.
«Quando ieri mi hai detto che lui era qui e che aveva cercato di riavvicinarsi a me tramite te, mi si sono riaperte delle vecchie ferite che credevo rimarginate da tempo. Avevo chiuso con mio padre e anche lui con me. Non credevo che, dopo tanti anni, tentasse di rientrare nella mia vita e, per giunta, in una maniera così vile. Mi dispiace che tu sia stata coinvolta ingiustamente!».
Usagi lo ascoltò attentamente.
«Perché lo odi tanto?» gli chiese.
Mamoru sospirò. Non era facile ripercorrere per l’ennesima volta le stesse vicende, ma Usagi aveva il diritto di sapere. Le raccontò tutto, dalla freddezza di Hiroshi alle lacrime di sua madre, dalle decisioni imposte alle continue liti, fino ad arrivare al giorno in cui era andato via di casa per sempre.
Più il racconto di Mamoru andava avanti, più il cuore di Usagi si stringeva. E la cosa che più le faceva male era che nelle sue parole non avvertiva solo tristezza, ma anche, e soprattutto, rabbia e rancore, come se ci fosse qualcos’altro oltre al pessimo rapporto col padre, qualcosa che si portava dentro e che là, in fondo al suo cuore, sarebbe rimasto.
«Perché non mi hai mai detto niente?» gli chiese stringendosi ancora di più al cuscino, come se vi potesse trovare un conforto.
«Non l’ho mai raccontato a nessuno, perché volevo farmi strada nella vita da solo e non come il solito “figlio di” e, poi, anche perché preferivo dimenticare».
«Ma Heles e Motoki lo sanno!».
«Loro li ho conosciuti due mesi dopo essere andato via di casa, quando la ferita era ancora aperta e avevo bisogno di sfogarmi. Mi sono fidato di loro, anche se non subito. Con te è stato tutto diverso. Quando ti ho conosciuto, è stato come chiudere definitivamente con il passato e con quello che ero diventato a causa di Hiroshi. Tu eri il mio presente e il mio futuro, quello che non volevo sporcare con i ricordi. Volevo solo continuare a vivere nella nostra bolla di cristallo. Scusami, Usako!».
Alla fine, Usagi, che aveva ascoltato tutto senza fiatare, si voltò, fissando il suo sguardo negli occhi blu di Mamoru. Gli accarezzò il viso e lasciò che lui la stringesse tra le sue braccia.
Dentro di sé non era convinta di riuscire a perdonare subito quella sua mancanza, ma voleva solo che lui capisse che aveva compreso il suo dolore e che stava male per lui.
Per questo non disse nulla quando lui la baciò e neanche quando le sue carezze si fecero più audaci.
Si lasciò andare e fece l’amore con lui, anche se in un modo diverso.
Sempre con la stessa passione, ma una passione che, stavolta, racchiudeva dentro di sé non solo l’amore e la complicità che li legava, ma una miriade di altri sentimenti contrastanti.
C’erano rabbia, delusione, tristezza. E poi una strana sensazione che Usagi non riuscì a decifrare.
E anche Mamoru avvertì la stessa strana sensazione.
Mentre i loro corpi si univano e i loro dolori trovavano sfogo, sapeva che Usagi era lì con il cuore e la mente, riusciva a sentire tutto il suo amore, ma aveva come il presentimento che qualcosa si fosse spezzato e che tutto non sarebbe più stato come prima.
Poi Usagi accorciò le distanze tra i loro visi, piegandosi in avanti e appoggiando la sua fronte a quella di Mamoru, occhi negli occhi. I loro respiri si fusero in un unico sospiro. Un ultimo ansimo, quello più intenso, e i loro corpi esplosero, senza però liberare quella sensazione opprimente, che rimase ancora dentro loro.
Mamoru scivolò delicatamente accanto a lei , prendendola tra le braccia. Poi si fece coraggio e le chiese: «Non mi hai perdonato, vero?».
Usagi non rispose subito. Ci mise qualche secondo per riordinare i pensieri.
«Non ce la faccio a fare finta di niente e a dimenticare tutto, così da un momento all’altro. Capisco il tuo dolore e, credimi, sto male anche io, ma quella della bolla di cristallo è una scusa, una stupida giustificazione … ».
Mamoru si scostò dall’abbraccio per guardarla negli occhi.
 «Non è una scusa! È veramente quello che penso».
«Può essere, ma io non la vedo così! – rispose lei sciogliendo definitivamente l’abbraccio – Per me è solo una mancanza di fiducia da parte tua, mi hai escluso dalla tua vita, mentre io ti ho fatto entrare nella mia da subito. Posso capire che la tua situazione familiare non era idilliaca come la mia e che tu ti sia preso i tuoi tempi per rendermene partecipe, ma quand’è che l’avresti fatto? Quando sarebbe arrivato questo momento? Maledizione, Mamoru, stiamo per sposarci!».
«Forse non l’avrei mai fatto!» rispose lui con molta sincerità, dopo essersi messo a sedere.
A quell’esclamazione Usagi sollevò gli occhi al cielo, sospirando nervosamente, e con uno scattò si alzò dal letto.
«Certo, non me l’avresti mai detto! – esclamò perdendo il tono pacato che aveva usato fino a quel momento – E io per tutta la vita sarei stata la moglie ignorante, mentre i tuoi amici sanno tutto di te!».
«Ehi, non correre troppo! Ho detto “forse”, non “sicuramente”. E poi che c’entrano Heles e Motoki?».
«C’entrano dal momento in cui hai deciso che ti fidi più di loro che di me!».
«Sei proprio una bambina! Ti ho già spiegato il motivo per cui loro sanno».
«Bambina io? E tu, che scappi dai tuoi problemi senza affrontarli, cosa saresti?».
«Io non scappo dai miei problemi!».
«Mamoru, invece di andare in quel maledetto ufficio ad affrontare tuo padre, hai preferito chiuderti nel tuo ufficio per poi passare una nottata intera fuori, chissà dove, senza neanche preoccuparti di chi era in pena per te! Questo non lo chiami scappare?».
«Avevo bisogno di stare da solo e riflettere».
A questa affermazione Usagi sorrise sarcasticamente.
«Sai che ti dico? – gli disse – Adesso anche io ho bisogno di stare da sola e riflettere!».
«Che cosa vuol dire?» chiese Mamoru serio, cercando di non far trasparire quanto quell’esclamazione l’avesse colpito.
«Che non voglio vederti! Ho bisogno di ragionare e rimettere in ordine tutti i miei pensieri su questa brutta faccenda».
«E dopo che farai? Hai intenzione di lasciarmi?» chiese lui, ancora più serio.
«Non ho detto questo!».
«Non hai detto questo, ma è una delle due possibilità».
«Mamoru, mi dispiace, ma non riesco a fare finta di niente, dammi almeno il tempo di calmarmi. Ho una tale confusione in testa! E poi, sono convinta che tu non mi abbia detto tutto. C’è dell’altro, ne sono sicura!».
Il volto di Mamoru si oscurò.
«Non c’è nient’altro! » rispose secco, mentendo.
Poi prese la sua giacca e fece per uscire dalla stanza.
«Prenditi il tempo che vuoi!» aggiunse, infine, freddamente, senza neanche darle il tempo di replicare.
Usagi sentì solo il tonfo della porta d’ingresso sbattuta. Cadde sul letto e scoppiò a piangere, sfogando tutta la tensione accumulata in quei giorni, assieme alla paura di averlo perso per sempre. 
  
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