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Autore: Atarassia_    08/04/2013    6 recensioni
-Io sto bene. Sei tu quello che ha dei problemi. E la prossima volta se dopo essere andato a letto con qualcuno non ne hai abbastanza, non ti azzardare a venirmi a cercare perché io non ci sto più!- esclamai sentendolo irrigidirsi e con le lacrime agli occhi mi allontanai fuggendo per le vie della città.- (Capitolo 7)
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La prima volta può deludere, dicevi "Fà piano" ed io pensavo a me mi chiedi persino se sei frigida volevi soltanto andassi via da te. Se sei andata in crisi c'è un perché tu eri bambina e non lo sei più che non è come immaginavi tu. [...]
Andiamo al centro, passeggiamo, vuoi? e da una vetrina forse scoprirai che le unghie a pelle non ti mangi più e all'improvviso capiremo noi che non è un problema di verginità, si è certo più donne quando non si ha, ma quel che graffia dentro è il crescere. (NEK - Cuori in tempesta)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Follie
Capitolo Tre


 
 
Bussai alla porta e attesi che mi venissero ad aprire. Sentii mia madre sgridare mio fratello e sorrisi pensando alla marachella che poteva aver combinato. Attesi ancora qualche istante poi vidi la luce del corridoio accendersi, la porta si aprì lasciando intravedere la figura di mio padre.
-Tesoro, fatti abbracciare.- disse lui stringendomi tra le sue grandi e confortevoli braccia.
Mio padre era un uomo corpulento, alto e con due spalle massicce. Le grandi mani ruvide segnate dagli anni di lavoro in fabbrica, la pelle della fronte solcata da molte rughe e due guance sempre arrossate.
Aveva gli occhi marroni e i capelli che, in passato erano mori, con il trascorrere del tempo si erano ingrigiti.
Amava starsene seduto in poltrona dove, dopo un’estenuante giornata lavorativa, si rilassava leggendo un giornale o guardando le partite in televisione. Amava anche le grandi riunioni di famiglia dove, in buona compagnia si mangiava e si beveva a volontà. Il cibo era un suo punto debole, cosa che testimoniava anche il suo pancione buffo che, a detta mia e di mio fratello lo faceva somigliare a Babbo Natale.
Tutto questo per colpa della sua golosità e della mamma che, lo viziava con la sua ottima cucina.
Mi strinsi forte a lui ed inspirai il suo profumo che sapeva di casa e mi richiamava alla mente ricordi dell’infanzia.
-Ciao papà! Come va?- chiesi io appena ci staccammo e lui subito iniziò con il suo vocione, a farmi la telecronaca della sua giornata.
-Mario, chi è alla porta?- la voce squillante della mamma ci interruppe. Si affacciò dalla porta della cucina e vedendomi mi venne subito incontro asciugandosi le mani bagnate in uno strofinaccio.
-Amore della mamma lei, puntuale come sempre.- esclamò.
Dopo ulteriori saluti ci avviammo verso la cucina da dove provenivano odori invitanti. Scolammo la pasta, la condimmo e ci andammo a mettere seduti. La mamma fece i piatti invitandomi a prendere posto.
 –Manuel! Vieni a tavola che è pronto.- strillò rivolta al mio fratellone.
Dopo un paio di richiami ecco entrare in sala anche l’ultimo membro della famiglia,Manuel. Quindici anni e la voglia di scoprire il mondo. Questo era mio fratello, un tipo ribelle che non amava le regole e lo studio, che preferiva giocare a calcio e buttarsi sul divano per giocare ai videogiochi.
Per questo suo carattere si era sempre scontrato apertamente con nostro padre che vedeva per lui tutt’altro futuro. Lo aveva costretto a scegliere una scuola che poi gli avrebbe consentito di  prendere il suo posto in fabbrica, lo ostacolava nella scelta di giocare a pallone.
E a Manuel tutte queste costrizioni non andavano giù. Vedeva i suoi amici liberi di scegliere e pretendeva lo stesso per lui. Non riusciva a capire che nostro padre voleva solo il meglio per noi.
Lo avevo coperto qualche volta quando invece di fare i suoi compiti usciva con gli amici e avevo cercato di convincere papà a farlo giocare a calcio. L’ultima cosa non sarebbe stata così difficile se non fosse che Manuel non la vedeva come un semplice passatempo ma come un futuro. Fantasticava ogni volta sul suo futuro da calciatore professionista e forse aveva anche le possibilità di realizzare questo suo sogno ma non secondo nostro padre.
Mi fece un cenno di saluto e si sedette di fronte  a me.
-Allora Bea, come va con l’università?- chiese interessata la mamma mentre mangiavamo.
Mandai giù il boccone e bevvi un sorso d’acqua.
–Tutto bene. A breve usciranno le date per i nuovi esami. Certo le lezioni si fanno pesanti ultimamente, ma niente che con un po’ di studio non si possa superare.- spiegai vedendo subito i volti dei miei farsi orgogliosi.
-Lo sappiamo tesoro che tu sei molto brava in queste cose.- disse mie madre con voce commossa.
Parlammo ancora un poco dei miei studi alternando di tanto in tanto i rimproveri da parte di mio padre a mio fratello che stava usando il cellulare a tavola.
-E con l’affitto invece? Tutto a posto o hai bisogno di una mano?- chiese la mamma premurosamente.
-Va tutto bene. Con lo stipendio della biblioteca ci arrivo anche se, dal prossimo mese, le spese aumenteranno perché Riccardo se ne va e quindi, dovremmo dividercele io e Sabrina. Ma niente di insostenibile per ora anche perché i proprietari hanno accennato anche alla possibilità dell’arrivo di nuovi coinquilini.- spiegai io.
-Per qualunque cosa,- iniziò mio padre –non ti fare problemi a chiedere a noi.-
 

 
********
 

Il pranzo era finito. Stavo aiutando mia madre ad asciugare le ultime stoviglie e tra una cosa e l’altra ci dedicammo a chiacchiere femminili.
Mia madre era una donna molto premurosa, che alternava il lavoro alla cura della casa. Una donna dall’esile corporatura, i capelli castani ben raccolti in una crocchia e dall’aspetto sempre ben curato. Sempre pronta a dare consigli sulla vita, su questioni di ogni genere. Mi spingeva ad aprirmi di più con la gente perché, secondo lei ero troppo chiusa.
Mi chiedeva sempre della mia situazione, cercava di darmi consigli sui ragazzi e faceva battutine spiritose in materia. Il tutto senza mai mettermi in imbarazzo, la vedevo come un’amica e riuscivo a parlarle di tutto, tra noi non c’erano segreti.
-E dei ragazzi che mi dici?- chiese sussurrando evitando di farsi sentire da mio padre che sonnecchiava lì vicino.
-Mamma!- esclamai io scocciata – Quante volte devo ripeterti che in questo campo non ci sono sviluppi?- continuai poco convinta ripensando all’incontro avvenuto in biblioteca non molto tempo fa.
Lei colse la mia titubanza e mi guardò inarcando un sopracciglio.
 –Siamo sicure? Non mi nascondi nulla?- insistette.
-Beh, se proprio ti interessa.- iniziai –La settimana scorsa ho conosciuto due ragazzi. Jessica ed Emanuele, due tipi strambi ma simpatici. Lui più di lei però…-
-E come è questo Emanuele? Carino?- chiese lei divertita.
-Si, è carino. Ma è gay mamma. Quindi non ci sperare.- spiegai frenando tutto il suo entusiasmo.
-Potresti invitarli qui qualche volta. Almeno ce li fai conoscere.- disse lei mettendo via le ultime pentole.
Riflettei sulle sue parole posando lo strofinaccio sul tavolo.
 –Invitare qui a casa Emanuele e Jessica? Con papà? Andiamo mamma lo sai che ne pensa lui sui gay e poi per non parlare di Jessica. Se solo la vedesse mi impedirebbe di frequentarla. La definirebbe un tipo poco raccomandabile.- dissi.
Mia madre capì che non era il caso di ribattere e il discorso finì lì.
-Invece di Lui che mi dici?- disse lei guardandomi negli occhi.
-L… Lui?- chiesi titubante.
-Si, lui! Li vedo i tuoi occhi cara. C’è uno strano luccichio.- disse sorridendo.
Avvampai e iniziai ad arrampicarmi sugli specchi. Negai fino alla fine l’esistenza di un qualunque lui. Che poi, teoricamente era la verità. Insomma capitava a tutti di incontrare qualcuno, salutarlo e scambiarci due chiacchiere. Giusto?
Quindi perché mai mia madre avrebbe dovuto intravedere questo luccichio?
Che avesse ragione? In effetti ogni tanto ripensavo a Davide. E certamente era un bel ragazzo, sembrava intelligente però potevo affermare con sicurezza che ripensavo a lui per il suo comportamento. Come poteva una persona mostrarsi una vola in un modo e quella successiva in un altro? Si, l’unica spiegazione era proprio questa o almeno credevo che lo fosse.
 
 
********
 
 
Uscii da casa dei miei genitori più confusa che mai. Riflettevo su quello che era per me realmente Davide senza giungere ad una conclusione concreta. Persa nei miei pensieri non mi accorsi di essere arrivata alla biblioteca. Entrai asciugandomi le scarpe e riponendo il vecchio ombrello nell’apposito contenitore.
Raggiunsi la mia postazione e salutai Teresa intenta a sfogliare le pagine di un vecchio tomo e ad eliminare le eventuali “orecchie” creatisi agli angoli.
Le sorrisi assicurandomi che avesse trascorso delle belle giornate poi, feci il punto della situazione e mi misi subito all’opera. Afferrai dei libri nuovi iniziando a registrarli e a riporli nelle varie sezioni. Stavo svuotando l’ultimo scatolone quando qualcuno si avvicino a me.
-Bea!- strillò Jessica da sopra una mia spalla.
Sussultai facendo cadere un libro e mi voltai intimandole di fare meno rumore. Lei ridacchiò e raccolse il libro porgendomelo. Si piazzò al mio fianco decisa a seguirmi nel mio lavoro.
-Allora come è andata con i tuoi?- chiese con un tono di voce più consono all’ambiente circostante.
-Bene, come al solito. Mi sono rilassata. Te piuttosto, che ci fai qui?- domandai io curiosa.
-Devo vedere una persona per un piccolo affare.- spiegò ammiccando.
Alzai gli occhi al cielo e poi la guardai con rimprovero. Quali affari? Doveva sicuramente comprare qualche grammo di fumo. Conoscevo Jessica da poco e già avevo captato i suoi stupidi vizi.
Amava divertirsi, poco contava la provenienza di questo divertimento.
Lele mi aveva raccontato che spesso era tornata da serate in discoteca in uno stato pietoso.
I vari problemi in famiglia, le amicizie pericolose e dei fidanzati poco raccomandabili l’avevano trascinata in questo in giro. Lele mi aveva confessato che anche lui ogni tanto si faceva qualche canna e che alla feste beveva ma, cercava sempre di non esagerare.
Jessica invece, non conosceva alcun limite.
Chiacchierammo un poco e lei mi raccontò di Lele che, la prossima settimana, avrebbe avuto un appuntamento con un tizio. Lo aveva conosciuto su face book e sembrava essere un tipo davvero interessante. Avevamo svuotato quasi tutti gli scatoloni e dovetti anche interrompermi di tanto in tanto per dare delle indicazioni a qualche cliente.
Eravamo così tanto perse nelle nostre chiacchiere che non ci accorgemmo di alcuni passi che si avvicinarono a noi.
Vidi Jessica guardare oltre la mia spalla ed assumere un’espressione infastidita.
-Ce ne hai messo di tempo.- disse con tono annoiato.
Mi voltai subito per vedere con chi stesse parlando e il mio cuore perse un battito.
Sorriso strafottente, sicuro di sé, bello e impossibile.
Davide.
Fece un cenno con il capo che, molto probabilmente avrei dovuto prendere per un saluto. Se ne stava ritto dinanzi a noie ci guardava divertito, uno sguardo che mi metteva in soggezione. Avvertii l’incombere dell’agitazione e il mio cuore batteva all’impazzata. Poi, avanzando ancora un poco, cacciò una mano nella tasca della giacca e frugando, tirò fuori un sacchetto per Jessica.
Era vicinissimo. Sollevando il braccio, avrei potuto sfiorare la sua mano, accarezzarla, stringerla tra le mie.
Lo osservai senza ritegno, scrutai ogni angolo del suo volto. Feci tutto ciò senza preoccuparmi di essere vista, la sua attenzione non era rivolta verso di me.
Jessica sfilò l’involucro dalle sue mani prese senza fiatare, riservandogli solo un’occhiataccia.
Poi si girò verso di me lasciandomi un bacio sulla guancia.
 -Ti chiamo questa sera.- disse e fece per oltrepassarci.
Un braccio la bloccò facendola voltare.
-E i miei soldi?- domandò Davide.
Jessica lo squadrò dalla testa ai piedi e per qualche secondo nessuno osò fiatare. Io rimasi in silenzio a guardare la scena con occhi sbarrati facendo scorrere alternativamente lo sguardo sulle due figure dinanzi a me.
Osservai i loro corpi tesi, i muscoli irrigiditi e i loro sguardi che si sfidavano in silenzio. Elettricità.
Quei due erano elettricità allo stato puro. Una sola scintilla avrebbe potuto mandare tutto all’aria. Erano così simili, complici che mi sentii un pesce fuor d’acqua. Io stonavo in quella scena.
Loro due si guardavano e sembravano essersi dimenticati di tutto. Il tempo continuava a scorrere e loro non ci facevano caso.
Avvertii una forte rabbia nascere in me. Quella scena mi dava fastidio, ero gelosa.
Una sensazione tutta nuova per me. Desiderai ardentemente che il braccio che Davide stava stringendo fosse il mio, che la persona che stava guardando fossi io e che lo sguardo  in cui si stava perdendo fosse il mio.
Poi Jessica rise è un’espressione maliziosa prese posto sul suo viso. Ghignando si rivolse a Davide.
-Mi sembrava di averti già pagato l’altro giorno e tu mi avevi detto che eravamo decisamente a posto con i conti.-.
 Poi con uno strattone si liberò e se ne andò come se non fosse successo niente.
Davide rise ed io sobbalzai essendomi accorta di essere rimasta sola con lui.
Mi riscossi dai miei pensieri ed osservai le sue spalle sussultare appena per la leggera risata. Si voltò verso di me ed inarcò un sopracciglio.
-Beatrice, non pensavo che frequentassi questo tipo di persone. Ti facevo diversa. Sembravi così ingenua ed innocente e invece sembri nascondere un lato molto più interessante. Deduco dalle tue conoscenze che ti piace divertirti, insomma conosciamo tutti Jessica. Non immagini quanto mi andrebbe di scoprire subito se tutto ciò sia vero…- sussurrò con voce roca senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
Il suo sguardo si fece penetrante e, sorprendendomi, come un fuoco si accese nel mio basso ventre. Avvertii il sangue fluire caldo nelle mie vene e il mio volto farsi arrossato per l’imbarazzo dovuto a questa mia reazione inaspettata.
Il suo sguardo profondo fisso su di me, la voce calda e roca, il lento e sensuale movimento delle sue labbra. Tutti dettagli che mi eccitavano!
Avevo letto diverse volte sui libri passi riguardanti questa sensazione, storie di giovani fanciulle protagoniste di intere vicende e che, scoprivano per la prima volta i piaceri di una relazione sentimentale o, molto semplicemente, i piaceri legati al desiderio sessuale.
Ma nessuna lettura poteva prepararmi adeguatamente a quell’esplodere di emozioni. Io lo volevo.
Delle immagini poco caste mi passarono davanti agli occhi, immagini di me e lui.
Avvampai ancora di più e imbarazzata dovetti distogliere lo sguardo.
Non mi era mai successa una cosa del genere. Ero avvolta da tutte sensazioni nuove e mi sentivo impreparata. Non sapevo come muovermi, cosa dire, niente.
Con la coda dell’occhio lo vidi ghignare. -Ti metto in soggezione?-  sussurrò avvicinandosi sempre di più.
Senza volerlo indietreggiai fino ad urtare contro lo scaffale. Non avevo alcuna via di fuga e sentivo l’aria mancarmi. Non sapevo dove poggiare lo sguardo e facevo di tutto per non incrociare il suo.
-Ti metto in soggezione, Beatrice?- domandò di nuovo con voce rauca.
Il mio nome pronunciato da lui era un qualcosa di afrodisiaco. Sentii dei brividi percorrermi tutto il corpo e potei giurare che lui si fosse accorto dell’effetto che produceva in me.
Mi sollevò il capo con due dita costringendomi a guardarlo.
Il mio cervello era come andato in tilt. Lui mi fissava con quello sguardo intrigante mettendomi ancora più in confusione. Eravamo due estranei, sapevamo solo il nome l’uno dell’altro ma, lui aveva un completo controllo su di me ed era completamente consapevole di questo suo potere.
E lui si prendeva tutte le libertà con me. Mi trattava come se ci conoscessimo da sempre e sembrava appagato dal vedermi imbarazzata.
Socchiuse le labbra e i miei occhi si posarono su di esse. Rosee, sottili, invitanti.
Si distesero in un sorriso malizioso ed io mi riscossi.
In quei pochi istanti in cui recuperai un po’ di lucidità, riflettei sulle sue parole. Lui mi faceva diversa?
 -Non sono come Jessica.- sussurrai con voce tremante –Non credo assolutamente di essermi mostrata diversa da quello che in realtà sono. Sono sempre stata sincera… Io!- continuai rimarcando molto le ultime parole così da fargli capire che forse era stato lui a presentarsi per un’altra persona.
-E te lo ripeto, io non sono come Jessica.- ripresi in sussurro fissandolo negli occhi.
Il suo sguardo si fece se possibile più intenso e lo vidi deglutire più volte.
Mi maledii per aver tirato fuori quelle parole. Avevo fatto una figuraccia?
Lui prese una ciocca dei miei capelli e portandola dietro all’orecchio poi, la sua mano si spostò sulla guancia e mi lasciò una carezza delicatissima.
-Questo lo so. Tu non sei assolutamente Jessica.  Assolutamente… Sei soltanto te.- disse in un sussurro.
I nostri volti erano molto vicini, sentivo il suo respiro sulla mia pelle.
Le gambe tremavano, l’agitazione saliva.

 


Ciao! ^_^
Ecco a voi un nuovo capitolo. Allora, avete del materiale su cui riflettere:
  •  Come avrete avuto modo di capire, la famiglia di Beatrice è all’antica, il padre soprattutto. Diciamo che è un tipo autoritario, una sorta di “padre padrone”. E cosa importante: è omofobo.
  • Il fratello invece, è un piccolo ribelle. Non avrà un ruolo di primaria importanza ma, vorrei tanto assegnarvi delle scene abbastanza significative andando avanti nella storia.
  • Jessica. Cosa ne pensate? Soprattutto riguardo questa parte: Mi sembrava di averti già pagato l’altro giorno e tu mi avevi detto che eravamo decisamente a posto con i conti!
Che intendeva la ragazza? Per ultimo, ma non per importanza: Davide. Che ne pensate del ragazzo?? E delle reazioni di Beatrice?
Detto questo, mi aspetto delle recensioni da parte vostra, che siano critiche o meno. Vorrei davvero conoscere i vostri giudizi riguardo l’andamento della storia. Quindi, fatemi sapere!
Ringrazio tutte coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite, coloro che hanno lasciato una recensione agli scorsi capitoli e le lettrici silenziose!
A presto,
Atarassia_
 
 
 



 
   
 
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