Capitolo
7
This version of violence, dolci torture
Sprofondo nel divano
sbuffando, esausta.
La casa è buia, le persiane sono abbassate,
ma gli anodizzati sono stati lasciati schiusi per far passare aria,
visto il gran caldo di questi giorni.
Kristine se n'è andata –
chissà da quando – ma ha prima terminato tutte le
pulizie di
casa.
Sono davvero dispiaciuta per il modo in cui l'ho trattata,
per come ho dipinto lei ed i nostri amici.
Sono mortificata per
come mi comporto ormai da tre anni.
Probabilmente dovrei chiamare
la mia amica, chiederle scusa. So già, però, cosa
mi direbbe, se le
telefonassi.
«È
tutto
a posto, non preoccuparti!»
Mi
risponderebbe.
Preferirei che non mi perdonasse, che non si
comportasse in funzione delle mie dipendenze.
Vorrei che scindesse
il mio problema da me, che tornasse la Kristine che conoscevo prima
che io iniziassi ad autodistruggermi.
Vorrei che il tempo ci
trasportasse indietro, a quel concerto, e regalasse a tutti noi
un'altra vita.
Mi decido ad aspettare che il mal di cuore di
Kristine sparisca.
Le passerà presto, credo.
Chiudo gli occhi,
mi immergo nella mia mente.
Ripenso al pomeriggio appena trascorso
con Brian, ripenso a lui, alla sua voce, al suo pungente
sarcasmo.
Staserai ci verrai da Michel?
Dovrò
sopportare la tua presenza, le tue battute, le tue frecciatine per
una serata intera?
Di che mi preoccupo, non vengo certo per te,
Brian.
Vengo per Michel, per Jack. Per la mia Kristine.
È
tutto ciò di cui ho bisogno. La mia migliore amica, la mia
amica.
Impazzisco al solo pensiero di vedere la tua faccia di
bronzo per tutta la cena.
I miei pensieri mi trasportano a quella
notte.
Tre anni fa.
Sesso. Cosa è rimasto dopo?
Tu hai
dimenticato la tua Helena, e non di certo grazie a me, una delle
tante scopate. Io invece ho perso.
Sei uno stronzo, Brian. È
colpa tua.
Solo colpa tua, sparisci da Londra, dai miei amici
dalla mia vita!
Lasciami crogiolare nel mio
autolesionismo.
Lasciami in pace.
Stringo i capelli nelle mie
dita, strizzo gli occhi cercando di non pensare alla mattina dopo il
mio maledetto cedimento.
Se tu non fossi stato così stronzo,
Brian...
Esplodo in un urlo straziato. Breve.
Gli occhi
bruciano, cercano di rimandare indietro le lacrime, pulsano rossi e
gonfi.
Mi alzo di scatto in cerca della mia borsa. Mi giro a
destra, a sinistra, senza muovermi da dove mi trovo.
La mia borsa
è sul divano. Appena me ne rendo conto la prendo e cerco il
cellulare tra tutte le cianfrusaglie che mi porto sempre dietro.
Mi
risiedo sul divano provocando un tonfo. Respiro forte e mi
tranquillizzo.
Devo chiamare Kristine. Chiederle scusa.
Me ne
frego della mia indipendenza. Adesso ho bisogno di lei.
Compongo
il suo numero frettolosamente. Aspetto.
Il numero da lei
chiamato è inesistente...
«Merda!»
Mi dico ad alta voce.
Ho composto il vecchio numero della mia
amica, quello che aveva tre anni fa.
Non sono mai riuscita a
memorizzare il suo numero attuale.
Apro la rubrica del mio
cellulare, inizio a sfogliare i contatti.
Aaron... Il mio
editore. Chissà quante me ne ha mandate, quando non m'ha
trovata a
casa.
Bart, Christian, Dimitri, David, Enrica, Funny, Flora,
Federika, Hans, Lionel...
Tutte persone che non sento da una
vita..
Jack... Dopo chiamo anche lui...
Jenny,
Kristine...
Jenny....
Mi fermo. La tentazione di chiamarla
è troppo forte.
Sono sconvolta, ricordare quella notte è
terribile. Lo è stato anche adesso.
La chiamo.
«Pronto?
Sì... Ciao, Jenny
– Prendo
un forte respiro – Sono Monika... Sì, certo... No,
è che volevo
sapere verso che ora è
l'”appuntamento”... No, non sono sicura
di venire, però magari riesco a liberarmi... Ok, ti
farò sapere tra
mezz'ora, ciao».
Stacco
la chiamata.
Ho una gran fame.
L'appuntamento con i Fratelli è
alle sei e dieci.
Controllo l'orario sul cellulare.
Le quattro
e mezza.
Devo farmi una doccia, lavarmi i capelli anche, prima di
uscire.
Magari mi preparo anche, così esco e dopo l'appuntamento
vado da Michel.
Però ho una gran fame.
Mi alzo dal
divano.
Decido di andarmi a fare la doccia e prepararmi.
Appena
finisco ordino una pizza e mi metto comoda in soggiorno a guardarmi
qualche telenovela strappalacrime.
«Siediti»
Jack
è venuto a trovarmi. Mi ha trovato nel bel pieno della mia
maratona
di soap-operas.
«Cosa
guardi?»
«Amori
e burrasche III»
Risposi
senza notare il suo sorrisino derisorio.
Si siede accanto a me sul
divano.
«Come
ti
senti?»
Mi volto a
guardarlo. Ha uno sguardo così preoccupato...
«Meglio,
grazie»
Jack non
riesce a credermi, glielo leggo dagli occhi, e dal modo in cui ha
aggrottato le sopracciglia.
«Ho
litigato con Kris – Gli confesso – Ho parlato male
di lei, di
voi... Ma non ho pensato nulla di tutto ciò che ho detto!»
Lo
guardo disperato. Jack si avvicina e mi cinge con le sue braccia,
sorridendo dolce.
«È
tutto a posto, piccola. Kristine mi ha detto tutto. Stai tranquilla,
non se l'è presa, davvero»
Scoppio
in un pianto silenzioso. Gli bagno la camicia.
Jack mi stringe più
forte a se, mi bacia i capelli. Lascia che mi sfoghi.
Mi
addormento tra i singhiozzi, ma soprattutto, tra le braccia di un
amico.
Il mio posto a tavola è accanto a Kristine.
A
dir la verità, sono tra Kristine e Brian, ma Jack e Michel
mi hanno
sistemata così pensando di farmi un piacere.
Non sanno dell'odio
profondo che provo per quel ragazzo.
Un po' mi fa pena, però. Gli
rifilo tutte le colpe di quella sera.
Più ci ripenso, più la mia
rabbia verso di lui aumenta.
Brian parla, ride, scherza. È un
ottimo intrattenitore.
Io, invece, resto in silenzio per quasi
tutta la cena.
Osservo gli sguardi dolci e preoccupati di Jack,
seduto di fronte a me.
Gli sorrido, mentre lo imploro con la
mimica facciale di far finire la mia agonia.
Jack afferra la mia
richiesta di aiuto, un po' stupito, e propone:
«Ragazzi,
che ne dite se andiamo in salotto?»
«Ottima
idea! – Approva Kristine – Prima però
devo andare in bagno a
ripassarmi il trucco. Monika vieni con me, ragazzi vi raggiungiamo
fra un po'».
Entrate
nel bagno Kristine si siede sul bordo della grande vasca da bagno.
Io
resto accanto alla porta, in piedi e immobile.
«Cos'hai,
Moni? Sei stata zitta per tutta la serata!»
«Sì,
hai ragione, mi dispiace – Mi scuso mortificata –
Ma sai, la
presenza di Brian un po' mi imbarazza... stare seduta accanto a lui
non mi è stato d'aiuto. Vedrai che d'ora in poi
andrà
meglio»
Sorrido, poco
convinta delle mie parole.
Kristine si alza, mi guarda sorridendo,
sforzandosi di credermi.
Torniamo dai ragazzi.
Michel e Jack
sono seduti su uno dei divani del salotto, parlano con Brian del
più
e del meno, intento, quest'ultimo, a provare dischi su dischi nel
lettore.
Ci sediamo su un divanetto a due posti. Chiacchieriamo un
po' fra di noi.
Brian si decide finalmente a far partire una
canzone. Nell'aria si levano le note di un brano dal ritmo
accattivante e leggermente ritmato, che non conosco.
Si avvicina a
me, allunga un braccio verso di me.
«Dai
forza! Muovi il culo!»
mi
urla prendendomi una mano per invitarmi a ballare.
In un attimo mi
trovo a sfiorare il suo corpo.
Brian sorride, è leggermente
sudato.
Si alzano anche gli altri, ballano.
Mi sento
completamente sola, in balia del lupo cattivo.
Solo che non è
Brian, il lupo. Sono io stessa.
Penetro i suoi occhi. Riesco a
leggere lo stesso desiderio di tre anni fa.
Mi vuole.
Struscio
il mio corpo contro il suo. Ballo e lo mando in estasi.
Il suo
profumo mi fa perdere la testa.
Vorrei cercare di concentrarmi
sulla canzone, capire qualche parola del testo.
Non ci riesco, mi
sento come fatta d'eroina.
Sei tu, Brian, la mia eroina?
Mi
svegliai colpita da un profondo senso di turbamento e
fastidio.
Allungai le braccia in cerca di Brian, speravo di non
trovarlo, speravo di aver soltanto sognato.
Brian non
c'era.
Sollevata, mi misi a sedere. Sentivo chiaramente un
continuo scroscio d'acqua.
Registrai la camera in cui mi
trovai.
Non ero nel mio letto, non avevo sognato.
Mi sentii
male, terribilmente in colpa.
Avevo mentito, quando avevo detto a
Brian di non essere fidanzata.
Frequentavo Thomas da poco. Per
anni siamo stati ottimi amici. Quasi d'improvviso abbiamo iniziato a
comportarci in modo diverso, nei nostri confronti.
L'avevo tradito
e mi sentivo una merda. Dovevo dirglielo al più presto.
Approfittai
che Brian si prendeva tutto il tempo di godersi una doccia eterna per
chiamare Kristine.
Mi allungai verso il telefono della suite sul
comodino, composi il suo numero.
«Pronto?»
Kristine aveva una voce strana.
Non ci feci caso.
«Indovina
dove mi trovo?»
Le chiedo
con finta malizia.
«Monika!
Dove cazzo sei? È tutta la notte che cerco di chiamarti!»
«Come,
scusa?»
Mi alzai di
scatto, coprendomi con il lenzuolo completamente sfatto del letto e
raggiunsi frettolosamente il divano sul quale avevo lasciato la mia
borsa.
Nel camminare diedi un'occhiata alle finestre, l'alba stava
spuntando.
Aprii la borsa, estrassi il telefono da una tasca
interna.
Trenta chiamate perse.
Mio Dio.
«Kristine,
perché hai provato a chiamarmi così tante volte?
Cos'è
successo??»
La mia
amica, dall'altro capo del telefono, scoppiò a piangere.
Brian
uscì dalla doccia. Indossò l'accappatoio bianco
su cui vi era
cucito lo stemma dell'hotel a cinque stelle nel quale alloggiava con
il suo gruppo e lo staff.
Annodò distrattamente la cinta alla sua
vita ed uscì dal bagno.
«Oh
la la, buongiorno!»
Disse, vedendomi seduta sul divano.
Si avvicinò lentamente, il
suo petto scolpito spuntava bagnato dall'accappatoio, mille
goccioline d'acqua rigavano la sua pelle liscia.
Così diverse,
quelle gocce, dalle lacrime che scorrevano lungo sulle mie
guance.
Brian si spaventò.
«Cristo
Monica, cos'è successo?»
Non
riuscivo a rispondergli. Non volevo.
La mia disperazione era
troppo forte per cedere. Sarebbe stato come accettare quella notizia,
che il mio cuore non voleva neanche minimamente affrontare.
Deglutii
e mi feci forza, tra i singhiozzi.
«Nicole...
è morta»