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Autore: I_am_a_cow    09/04/2013    4 recensioni
“H..Harry?” la sua voce.
Lui era davvero lì.
“Harry stai piangendo?” un sussurro rotto, troppo debole per combattere il dolore che ancora mi avvolgeva, mi sopraffaceva.
“Non lo fare, ti prego. Ti prego non mi toccare così se non vuoi farlo davvero. Non mi accarezzare solo perché ti faccio pena”
Kitten!Harry, Slash
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Wolfman

di I_am_a_cow

 

 

 

Camminavo svelto per il corridoio della scuola, il berretto di lana ben calcato in testa, il corpo avvolto in abiti il doppio più grandi della mia taglia.
Cercavo di passare il più inosservato possibile, grandemente aiutato dalla mia fama. O meglio, dalla mia non fama. Ero un ragazzo pressoché normale, o almeno cercavo di esserlo, e questo mi rendeva uno della massa, un'altra pecora invisibile.
In più avevo fatto in modo di nascondere tutti quei piccoli dettagli che avrebbero potuto farmi spiccare, anche se di poco, nella calca. Da un mese a questa parte avevo pure iniziato a guardare fissamente a terra in mezzo alla gente e a fuggire il contatto con altri occhi per paura che i miei, verdi torbido, restassero troppo impressi.
Sì, forse tutta quella storia mi stava un pochino ossessionando.
Fino all'anno prima avevo studiato a casa, da privato, ma poi mia madre aveva deciso che il fatto di essere oggettivamente diverso dagli altri adolescenti non mi doveva impedire di fare le mie esperienze.
“Sai, le cose che fanno tutti. Studiare insieme agli amici, praticare qualche sport, uscire con qualche ragazza..” aveva gettato lì subito dopo avermi dato la notizia bomba.
“Andare alle feste, fare sesso, ubriacarti..” aveva continuato Robin.
“Sì, insomma, quello che fanno tutti” aveva concluso mia madre prima di accorgersi di cosa aveva detto il mio patrigno e di iniziare a picchiarlo con il guanto da cucina. Arma letale.
Così l'anno dopo, ovvero un mese e mezzo fa, il nome di Harry Edward Styles era comparso nella lista degli iscritti alla Madison Square School ed era stato inserito nel mezzo dell'appello di un'anonima classe di quell'istituto.
Le prime due settimane ero stato oggetto di molte attenzioni, soprattutto dalle ragazze, ma poi la mia timidezza e il mio cercare di passare sempre inosservato avevano fatto sì che l'interesse generale pian piano scemasse.
Ora, di fronte alle tribune del campo di calcio, mi stavo chiedendo se valeva la pena di inerpicarsi fino alla cima per godere di quel poco di vento che c'era in quella giornata torbida o se era meglio restare seduto sul primo gradino a consumare il mio solitario pranzo. Delle voci che si avvicinavano mi fecero scegliere velocemente la prima opzione e mi catapultai su per la gradinata il più velocemente possibile.
Mi nascosi accuratamente nell'angolo dell'ultimo gradone e scartai il mio panino con la carne, divorandolo in pochi morsi e facendo versi di apprezzamento per quel cibo che tanto amavo. Poi appoggiai la schiena alla delimitazione della tribuna e rivolsi il viso verso il sole socchiudendo gli occhi dal piacere. Adoravo stare ore ed ore al sole, magari correndo in mezzo al verde.
Harry Edward Styles era un ibrido. Io ero un ibrido.
Un ragazzo nato con la coda, gli orecchi e i comportamenti di un lupo. Mia madre diceva che ero speciale, Robin diceva che ero figo, mio padre semplicemente non diceva nulla essendo morto poco dopo aver messo incinta mia madre. Mia nonna paterna era già uscita un po' fuori di testa alla notizia che il figlio era morto ubriaco, come succedeva spesso negli ultimi tempi, e quando mi aveva visto in braccio a mia madre con due grandi orecchie morbide era scoppiata a ridere istericamente. La situazione era peggiorata quando, dopo un vagito, avevo sventolato la mia coda pelosa sotto il suo naso. Erano stati costretti a rinchiuderla in clinica perché nessuno riusciva più a calmarla.
Sentii il rumore di una pallonata sulla rete che circondava il campo. Sfortunatamente la squadra di calcio della scuola (ero rimasto basito quando avevo scoperto che la scuola spendeva soldi per una cosa simile) aveva deciso di fare due tiri durante la pausa pranzo.
Avrei tanto voluto andarmene, ma a meno che non mi fossi buttato di sotto dalle tribune dovevo per forza passare di fianco al campo per tornare a scuola, quindi rimasi rannicchiato in un angolo, sperando che nessuno mi notasse. Un po' ero terrorizzato dalla possibilità che scoprissero il mio segreto, cosa abbastanza stupida visto che mi premuravo tutte le mattine di imbacuccarmi ben bene per evitarlo, un po' non mi piaceva la compagnia delle persone non appartenenti al mio branco. Branco che comprendeva solo mia madre e Robin. Abbastanza restrittivo come campo.
Tirai le ginocchia al petto circondandomele con le braccia e poggiando la testa su di esse. Chiusi gli occhi, cercando di non pensare che a poco più di cinquanta metri da me c'erano delle persone che avrebbero potuto notarmi.
Insomma, quale persona normale avrebbe mai pranzato da sola sulle tribune della squadra di calcio? Nessuna.
Mi maledii mentalmente per non averci pensato mentre una zaffata dell'odore di quei ragazzi mi arrivava al naso, fin troppo sensibile per un umano. Uno di loro doveva aver espulso i suoi gas, dall'odore dell'aria.
“Ehy, tutto okay?” sentii urlare.
Ma quando alzai lo sguardo, leggermente incuriosito, mi accorsi che in realtà nessuno aveva urlato e che la voce apparteneva ad uno dei ragazzi che stava precedentemente giocando nel campetto, che ora mi stava di fronte e mi guardava.
Mi scrutava.
Probabilmente doveva avermi visto dal campo e vista la mia posizione (mi detti dell'idiota) si era avvicinato cercando di capire se stessi bene. E il mio udito soprasviluppato aveva fatto il resto, illudendomi di averla scampata.
E invece ora mi ritrovavo davanti un ragazzo rasato, dal collo leggermente taurino e due occhi marroni e grandi. Troppo grandi per i miei gusti.
“Sì” borbottai soltanto, riconoscendo la mia voce a stento, tanto era roca dal disuso.
“Bhe, fattelo dire amico, non sembra proprio. Vieni ti accompagno in infermeria” il ragazzo si chinò e mi afferrò per un braccio cercando di trascinarmi chissà dove con lui.
Ringhiai sommessamente, prima di impallidire violentemente accorgendomi di averlo fatto. Ora sicuramente avrebbero capito tutto. Mi sentivo mancare.
“Ehy, che fai, svieni? Andiamo ti porto in infermeria” il ragazzo cercò nuovamente di alzarmi, ma io opposi ancora resistenza, attaccandomi quasi disperatamente al gradino e borbottando un debole “Lasciami..”
Sarei svenuto davvero di questo passo e il fatto che l'infermiera dovesse visitarmi non mi tranquillizzava. Affatto.
“Liam, lascialo. Non vuole venire, non vedi?” un altra voce si aggiunse al mio udito.
Stranamente quella voce non mi diede fastidio, ne tanto meno mi fece provare il senso di repulsione che provavo al suono di quella dell'altro.
La presa che mi bloccava le braccia si sciolse e io portai subito le mani a controllare che il berretto fosse al suo posto. Fortunatamente non si era spostato.
Alzai lo sguardo diffidente sul ragazzo che aveva fermato il suo amico e incontrai due lucidi zaffiri, che mi guardavano leggermente celati da delle lunghe ciglia per proteggersi dal sole.
Abbassai repentinamente gli occhi, sulle mie mani intrecciate che si torturavano tra loro.
Sentii un sospiro e dei passi allontanarsi, probabilmente quel ragazzo, Liam, se ne era andato insieme al suo amico.
Mi azzardai a guardare nuovamente nella direzione del campo, ma subito riportai lo sguardo sulle mie mani, venendo fulminato ancora una volta da quegli incredibili occhi blu.
“Ehy, sul serio, stai bene?” mi chiese il proprietario di quegli occhi.
Annuii con forza facendo ballare i pochi ricci sfuggiti al cappello e cercando di convincerlo.
“Beh, allora io vado..”disse con voce incerta il ragazzo.
Annuii ancora una volta.
“Sai un 'grazie' non ci starebbe male” sbottò infine, col tono infastidito.
Rimasi in silenzio, ancora una volta, ritornando nella mia posizione originale, come se questo potesse ulteriormente celare la mia origine ferina.
Solo allora, forte di quel finto senso di protezione, riuscii ad alzare lo sguardo ancora una volta, fermandomi però sul suo zigomo sinistro leggermente abbronzato e marcato, sebbene fosse delicato e quasi femminile. Come la sua voce.
“Lasciami stare” sputai fuori scontroso, la voce graffiante, reprimendo l'istinto di aprirmi con il mio salvatore. Era pur sempre un ragazzo. Uno diloro.
“Come vuoi..ci..ci vediamo in giro” balbettò lui, il suo tono un misto tra confusione, dispiacere e offesa malcelata.
Prima che il ragazzo se ne andasse riuscii a leggere il numero sulla sua maglietta: 17.


Fu quello stesso numero che sentii nominare da Kate Willingam una settimana dopo, in fila in mensa. Avevo preso a mangiare lì, dopo lo sfortunato incidente accaduto sulle tribune del campetto.
Nonostante avessi cercato in tutti i modi di dimenticare quella voce, quegli occhi, non c'ero riuscito. Mi ossessionavano.
Mi venivano a trovare di notte, turbando il mio sonno e mi prendevano in giro sfidandomi a trovarli. A trovarne il proprietario. Erano diventati un'ossessione, una preda. E si sa, quando il lupo sente l'odore della preda non fa altro finché non la cattura.
Perciò quando sentii quella ragazza parlare di quanto fosse figo il numero 17 della squadra di calcio, rizzai le orecchie sia metaforicamente che letteralmente.
“Dici Louis Tomlinson?” chiese la ragazza ricciola accanto a lei.
“Sì, questo Sabato darà una festa a casa sua. Ha invitato tutta la scuola, ha detto che è aperta a tutti. E' la mia occasione” iniziò a fantasticare l'altra.
“Sta sempre al 37 di Victoria Street, giusto?”
“Sì”
Le ragazze dopo aver preso il loro vassoio con il pranzo se ne andarono sempre parlando di questa fantomatica festa. Io presi il mio vassoio e mi appartai in un angolo con le parole di Kate e della sua amica riccia che mi frullavano per la testa.
Scelsi un tavolo appartato, ma invece di mangiare appoggiai la testa alla mano disegnando ghirigori sul tavolo con l'altra.
Uno strano qualcosa mi spingeva ad andare a quella festa. Sapevo che non sarei dovuto andarci, ma il desiderio di rivedere da lontano quegli squarci azzurri era più forte.
Era inutile negarlo, lo volevo. Volevo la mia preda.
Per questo due giorni dopo, alle nove, ero davanti alla porta di ingresso del 37 di Victoria Street, con la musica troppo alta per il mio udito che mi rimbombava nella testa, solo leggermente attutita dal solito cappello di lana che costringeva le mie orecchie ad appiattirsi sui riccioli.
Dopo un respiro profondo allungai la mano e spinsi la porta, che si aprì senza opporre resistenza. Entrai con passo esitante. Stavo entrando nella tana del lupo.
Mi avventurai guardingo tra la folla, passando radente al muro ed evitando il più possibile il contatto fisico con le altre persone.
Il puzzo era terribile, mi faceva lacrimare gli occhi. C'era odore di alcol, fumo, sudore e vomito. Mi appostai vicino ad una finestra semi aperta, facendo violenza su me stesso per non sporgermi ad ispirare qualche boccata di aria pulita.
La musica era veramente alta e c'era un sacco di gente, tanto che perfino dal mio angolino dovevo stare attento a muovermi con cautela. Mi chiedevo come facevano gli altri ragazzi a divertirsi così.
A me tutto ciò faceva solamente venire la nausea.
Quando poi un ragazzo e una ragazza intenti a fare cose decisamente poco adeguate al luogo in cui eravamo (ma anche questo era questione di punti di vista) mi caddero quasi addosso, rischiai di mettermi ad urlare, sebbene non fossi certo che qualcuno mi avrebbe sentito, con tutto quel casino.
Stavo quasi per rinunciare e andarmene a casa, quando vidi due spalle fasciate da una giacca di pelle nera e due occhi azzurri tra la folla.
Immediatamente li riconobbi e mi sistemai meglio vicino alla finestra aspirando profondamente, cercando di riconoscere il suo odore tra la folla. Quello che ottenni fu solo di farmi salire un altro po' in gola la cena, così smisi e mi limitai ad osservarlo.
Lo vidi lanciarsi in pista, ballando in solitario, ad occhi chiusi. Un sorriso stampato sulle labbra, le braccia leggermente allargate, come a pretendere il suo spazio.
Si dimenava come un'idiota, ridendo da solo di se stesso e delle sue stupide movenze. Aveva un non so che di ipnotizzante la sua danza. Era buffa, ma al tempo stesso fluida.
Poi le palpebre si risollevarono leggermente sui suoi zaffiri, sfiorandomi appena per poi tornare a fissarmi una volta riconosciutomi.
Come al campo, fuggii al suo sguardo, nascondendolo sulle mie scarpe.
Dopo qualche secondo gli lanciai un'occhiata di prova, ma lui era sparito.
Allungai il collo per cercarlo. Guardai tutto intorno, per vedere se nel corso del suo strano ballo si fosse spostato, ma non lo trovai in pista. Allora rivolsi lo sguardo al punto dove doveva esserci il tavolo degli alcolici, ma c'era troppa gente e non riuscivo a scorgere niente che somigliasse vagamente alla mia preda.
“Cerchi qualcuno?” mi sentii sussurrare vicino al punto in cui avrebbero dovuto esserci le mie orecchie. Peccato che non c'erano.
Mi girai e scorsi appena quei due abissi che mi tormentavano da giorni, prima che l'istinto prendesse il controllo facendomi riabbassare i miei occhi verde sporco sulle scarpe. Li strizzai a metà tra una punizione per essere andato lì e una conferma che lui era davvero davanti a me.
“Uhm..come va?” tentò lui, rendendomi consapevole che quel ragazzo dai vividi occhi azzurri era davvero di fronte a me.
“C'è puzzo” risposi istintivamente.
“P..puzzo?” balbettò lui spiazzato.
Proruppi in una bassa, roca risata, divertito dalla sua tendenza a balbettare quando era stupito o preso in contropiede. Mi sembrava di conoscerlo così bene.
Forse perché nelle notti insonni dell'ultima settimana l'avevo davvero fatto. Forse perché, anche senza volerlo, le mie orecchie avevano catturato scorci e scorci di conversazioni su di lui e forse perché il mio cervello, nonostante gli avessi ordinato di dimenticarle, le aveva custodite gelosamente. Come se quelle piccole informazioni fossero delle gemme preziose da non perdere assolutamente.
“Di sudore, fumo, alcol..vomito” risposi sottovoce dopo essermi ricomposto.
“Beh..è sempre così alle feste” rispose lui, come se non avesse un'altra risposta “Comunque io sono Louis e a te servirebbe uno spray”
Questa volta non resistetti e piantai le mie pupille nelle sue iridi di ghiaccio. Delle rughette apparirono ai lati dei suoi occhi mentre mi sorrideva divertito da solo lui sa cosa.
“Per la gola..sai la tua voce rauca” mi prese in giro.
Emisi uno sbuffo a metà tra il divertito e il pentito per tutta la confidenza che gli avevo accordato in così poco tempo. Mi dava la sensazione di potermi fidare di lui.
“Io sono Harry e a te servirebbero delle lezioni.. sai per il tuo modo di ballare” gli feci il verso io.
“Touchè” esclamò prima di scoppiare a ridere.
La sua risata era acuta, ma chiaramente maschile, al contrario del suo corpo conturbante.
Iniziavo a sciogliermi, con lui era facile parlare. Faceva tutto da solo, rendendomi una specie di spettatore della sua conversazione con un mio io, non ben identificato, che chissà per quale strana ragione gli rispondeva.
Ero completamente perso e, sebbene il mio cervello dicesse di correre via il più velocemente possibile, il mio istinto e tutti i miei sensi tacevano. C'era solo lui, solo Louis quella sera, in quella casa.
Solo il suo l'odore di pulito che copriva l'olezzo pesante di quella stanza, solo il colore dei suoi occhi azzurri a contrasto con il buoi illuminato unicamente da faretti da discoteca, solo il suo avambraccio lievemente a contatto con il mio.
Solo Louis, come sempre da quando l'avevo scorto la settimana prima.
“Forse potresti darmi te qualche lezione” propose esitate lui.
Scossi la testa con veemenza. Io non ballavo.
Un ricciolo sfuggì da sotto il berretto, finendomi sulla fronte, davanti agli occhi.
Prima che potessi fare nulla, Louis allungò una mano e lo rinfilò al suo posto, sfiorando con la punta delle dita il mio orecchio destro.
Trattenni il fiato, gelandomi sul posto e sperando che non avesse fatto caso a quella cosa pelosa che aveva avuto sotto i polpastrelli per qualche secondo.
Mi accorsi di quanto fosse vana quella speranza quando, alzando lo sguardo, lo vidi immobile, il braccio ancora a mezz'aria.
Poi le sue mani scattarono e si infilarono sotto il mio cappello, frugando febbrilmente sotto di esso, finchè non si chiusero a conca sopra le mie orecchie.
Le accarezzarono lentamente, quasi incantato, mentre le sue pupille tonde affondavano nelle mie più allungate. Non avevo mai provato una cosa del genere.
Certo mia madre e Robin a volte mi tiravano la coda e le orecchie per giocare, ma la maggior parte delle volte evitavano per non rimarcare la mia profonda differenza dal resto dei ragazzi della mia età.
Louis invece sfiorava le mie orecchie calde con meraviglia e delicatezza. Le accarezzava e le stringeva leggermente nei pugni con una dedizione tale da farmi commuovere. Nessuno mi aveva mai accarezzato così, come se la mia non fosse una strana deformazione, ma una caratteristica unica e meravigliosa.
Restò così per un po', poi un ragazzo urtò la sua schiena e Louis ritirò svelto le mani, ficcandosele nelle tasche dei suoi jeans chiari.
“Io..tu..cosa sei?” mi chiese infine sussurrando.
Stavo per rispondere quando notai nei suoi occhi il terrore di chi sta guardando qualcosa di diverso. Lo stesso terrore dal quale mi nascondevo celando il vero me.
Sentii un crack da qualche parte nel torace e gli occhi bruciarmi, cercando di espellere quel dolore insopportabile che mi portavo dietro dall'infanzia. Ogni singolo giorno. Ogni singolo attimo.
La gola mi andava a fuoco e io deglutii a vuoto per sciogliere quel nodo doloroso che si era formato proprio al centro e che mi impediva di fare altro se non boccheggiare.
“Io..scusa Harry, ma non ce la faccio”
Louis mi lasciò lì, da solo, andandosene chissà dove a riprendersi.
Rimasi per qualche altro istante immobile prima di correre fuori, lasciando la festa, lasciando lui lì da qualche parte con persone con cui poteva farcela.
Una volta a casa, sotto le coperte, ripensai a modo dolce con cui mi aveva accarezzato le orecchie e tutta l'adorazione che aveva messo in quel semplice gesto. Poi, immaginando che fossero le sue, portai le mani a coprirmi le orecchie, quasi a proteggerle e lasciai scorrere silenziosamente quelle lacrime sofferenti e tradite che premevano da dietro le mie palpebre serrate.
 

Passarono due settimane d'inferno da quel fatidico giorno.
Fuori ero sempre lo stesso, ma nessuno sapeva che la sera ancora piangevo coperto dal piumone e mi tiravo la coda e le orecchie, maledicendole, maledicendomi.
A scuola andava tutto come sempre, non avendo amici mi era stato facile fingere normalità evitando semplicemente di incontrare Louis, ancora ferito dal suo sguardo, dalle sue frasi ma soprattutto da quei gesti, da quelle carezze che mi facevano gemere di dolore la notte sapendo che erano state le uniche che il mio corpo avrebbe mai più ricevuto.
Ora pranzavo sulle scale antincendio, sempre che ne avessi voglia. Ultimamente non mangiavo neanche più. Che senso aveva nutrire un mostro?
Stavo appoggiato alla ringhiera, o seduto su un gradino abbracciando uno dei pali di sostegno fingendo che fosse Louis, che mi volesse con se. Per pochi, disperati, attimi riuscivo ad essere di nuovo in pace, tra le braccia del ragazzo che aveva catturato il mio cuore, ma poi le ondate di dolore ricominciavano ad abbattersi e sommergevano velocemente quel piccolo momento di calma.
Anche in quel momento stavo piangendo rendendomi conto che quella contro la mia guancia non era carne, ma freddo metallo e che la morbidezza immaginaria del suo corpo era in realtà solo un duro palo di ferro.
Poi lo sentii, il suo profumo.
Mi fece piangere ancora più forte, sempre celando i singhiozzi, e stringere gli occhi. Quel profumo di pulito che ormai mi sembrava di sentire ovunque. Nella mia camera la notte, poco prima di addormentarmi con le orecchie strette tra le mani, nel bagno la mattina fissando quel me che non ero io, a scuola, per i corridoi.
“H..Harry?” la sua voce.
Lui era davvero lì.
“Harry stai piangendo?” un sussurro rotto, troppo debole per combattere il dolore che ancora mi avvolgeva, mi sopraffaceva.
Due braccia esili che mi circondavano il busto, due mani che salivano a infilarsi sotto il berretto a coprirmi le orecchie, due labbra che mi asciugavano i solchi scavati dalle lacrime.
“Non lo fare, ti prego. Ti prego non mi toccare così se non vuoi farlo davvero. Non mi accarezzare solo perché ti faccio pena”
Altre lacrime, un singhiozzo bastardo, sfuggito al controllo.
“Mi dispiace Harry. Mi dispiace”
Ancora lacrime, ma non solo le mie stavolta.
Io piangevo di dolore, piangevo per il mio segreto, piangevo perché non ce la facevo più. Lui piangeva per il senso di colpa, piangeva per il dolore che ci aveva inflitto, piangeva perché semplicemente non poteva fare altrimenti.
Dopo non so quanto tempo i nostri occhi si incontrarono di nuovo, perdendosi ancora l'uno nell'altro. Le sue mani ancora strette sulle mie orecchie, coccolandole, tirandole di tanto in tanto come ad assicurarsi che fossero vere, che fossero lì.
“Non voglio che tu lo faccia se non ci riesci”
“L'unica cosa che non riesco a fare è stare ancora separato da te, cucciolotto”
Ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni. Ci sarebbe stato tempo per le scuse e per il perdono. Ma ora, ora su quelle scale c'erano solo due ragazzi, uno con le mani posate a coppa in testa a quell'altro e l'altro con i pungi stretti sulla maglia del primo. Ora su quelle scale c'erano solo i suoni di baci sommessi e l'eco dei singhiozzi che pian piano si trasformavano in risate.
Ora su quelle scale c'erano solo Harry e Louis.







NDA
Buon pomeriggio!
Come vi pare questa shot? Boh..l'ho partorita ieri, al posto di studiare. GO GIULIA!
Mi piaceva l'idea di una shot Kitten..io adoro il Kitten. Da morire..e nessuno ne scrive mai. E così ci ho pensato io. 
Spero vi piaccia la storia, non so..a me non convince molto..forse perchè Harry è stato un personaggio difficile da gestire. Così chiuso eppure così desideroso d'affetto. E Louis, a Louis credo di non aver reso molto giustizia, non pensate? Mi sembra così..piatto..
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate..mi sento molto Petrarca, l'uomo della crisi, senza il pisello e la finta modestia. Quindi per favore, ditemi qualcosa..anche un semplice messaggio "Ehy, non ho voglia di recensire ciao"
Alla prossima!



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