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Autore: Una Certa Ragazza    09/04/2013    5 recensioni
Si possono fare tante cose, per noia: commettere errori trascurabili come tirare sassi dai cavalcavia, oppure iscriversi ad un corso di pilates, o ancora trovarsi un hobby che preferibilmente coinvolga un ambiente tranquillo in cui farsi nuovi amici.
Per noia, Rossana inizia una rivoluzione.
Proponendosi di diventare paladina degli umili e degli indifesi - ovvero, senza allargarsi troppo, di coloro che non hanno vestiti firmati e non sono proprio degli adoni - Rossana sfrutta un'arma che internet le ha gentilmente concesso: Spotted.
Nella rete, Rossana si entusiasma, si perde, si ingarbuglia. E rischia di non accorgersi che - forse - qualcuno la sta cercando nella vita reale...
Genere: Commedia, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Sono reduce da una caccia spericolata ad un ragno incinto di nome Jerry, che si è risolta con un bicchiere di plastica verde giù dal balcone, io e la mia migliore amica chiuse fuori sotto la pioggia e i ragazzi piegati in due dal ridere. Non chiedete.
Dunque, visto che sono stata stranamente puntuale, oggi diluvia... anzi no, quella è la regola. Ad ogni modo, cercherò sul serio di aggiornare ogni settimana, in maniera regolare, ma mi conosco e vi avverto già che difficilmente manterrò fede al mio impegno, dunque scusatemi in anticipo.

Volevo dare alcune spiegazioni sul capitolo precedente (ho deciso che commentare nelle note del capitolo successivo potrebbe essere una buona idea, ditemi voi se siete d'accordo):
1- Il capitolo precedente è un po' squilibrato, con la parte dedicata ad Andrea molto corta e quella dell'amarezza di Rossana molto lunga; questo perchè dirò di più su Andrea nel capitolo 3, che un tempo era il 2 ma che ha richiesto un taglio al centro e che per una lunga serie di motivi mi sembrava la sede migliore in cui aggiungere dettagli su di lui.
2- Come forse avrete notato, la "voce interna" di Rossana non è fatta delle prime parole disponibili (non è neppure ricercata, ma è comunque appartenente ad una persona di media cultura), eppure lei ogni tanto ci tira qualche parolaccia. Il motivo è che volevo cercare di restituire la voce di una ragazza che in ogni caso ha diciannove anni e che non va tanto per il sottile, colta o no che sia.
3- Ci dev'essere sempre un "punto tre", ma in realtà non ho idea di cosa dire...
Ah, già: volevo avvertirvi di considerare il punto di vista come una terza persona non esageratamente stretta, il che significa che il narratore non vede tutto esclusivamente dagli occhi di Rossana. Per questo posso prendermi la libertà di descrivere/dire cose che Rossana riterrebbe scontate. Esempio nel capitolo scorso: Rossana sa perfettamente che Andrea è un suo amico (e grazie ai rapanelli! Sarebbe strano il contrario...), ma il lettore non lo sa. Vista la mia scelta nel p.d.v, io posso dirglielo.

Ora la smetto, ringrazio tutti quelli che hanno letto/commentato/messo la storia tra le seguite e vi lascio al capitolo!




CAPITOLO 2

Rossana

 

"Cara Rossana, no che non sono arrabiato

solo mi chiedo dove abbiamo sbagliato."

"Rossana", Mercanti di Liquori

 

«Eccomi.» salutò Rossana entrando in casa «E la prossima volta scordati che io ti compri tutte queste schifezze.»

La testa di Emma, sua coinquilina e sua sorellastra, nonché sua migliore amica, fece capolino dalla porta del soggiorno «Ohh, Sana, li hai comprati!» dal tono sembrava che Rossana le avesse appena salvato la vita, ma d'altronde Emma metteva un'enfasi del genere in tutte le cose che diceva, come se fosse sempre questione di vita, di morte o di sentimenti sconfinati.

Era il tipo di persona che gridava di spavento se cadeva un cucchiaio, saltellava per la stanza se le preparavano un dolce e lanciava esclamazioni di sorpresa se trovava una coccinella sul davanzale.

Era, in una parola, Emma, con i suoi capelli castani sempre raccolti in una coda di boccoli che le sfiorava le spalle e con le labbra sottili – le stesse di Rossana – che si stiracchiavano di continuo in un sorriso.

«Certo che te li ho comprati.» sbuffò Rossana «Ho perfettamente idea della faccia che avresti fatto altrimenti. Ma, come ti ho detto, non lo farò mai più.»

«E su, è solo qualche pacco di pop corn.» ribatté Emma, svolazzando nella piccola cucina – che più che altro era un angolo cottura a penisola che dava sul soggiorno – seguita con più calma da Rossana «Ho fatto ben di peggio.»

Rossana ridacchiò «Come se non lo sapessi, il fatto però è che continui a mangiare robaccia e non fai uno straccio di attività fisica.» buttò la tracolla con i libri sul divano, affossando il cuscino «Ma del resto non sono tua madre, perciò fa' un po' come vuoi.»

Emma le fece una linguaccia, ma Rossana non aveva nemmeno bisogno di chiedersi se se la fosse presa o meno: si conoscevano e bisticciavano con affetto da così tanto tempo che quella era ordinaria amministrazione.

Mentre Emma le raccontava un paio di fatti divertenti successi quel giorno, Rossana si sedette alla scrivania, che avevano dovuto mettere nel salotto per mancanza di spazio, accese il computer e iniziò a vagare su internet come un'anima in pena. Ogni pagina diventava inutile non appena la apriva, e in questo Rossana non poteva non trovare un ironico rimando al resto della sua vita.

Ma ehi, bisognava essere felici e sorridere, eh?

Più di una volta fu tentata di andare a controllare su Spotted per vedere se il suo post era stato pubblicato; anzi, a dirla tutta fu la prima cosa che pensò di fare una volta preso in mano il computer, ma facendo violenza su sé stessa si costrinse a non andare su quella pagina.

Perché una volta che lo avessero pubblicato e lei lo avesse letto che cosa sarebbe successo? Niente, assolutamente niente, al che l'essersi agitata tanto per veder pubblicate delle parole che non dovevano far effetto su di lei – che le aveva scritte – ma su qualcun altro avrebbe voluto dire essere cadute proprio in basso, su questo non c'erano dubbi.

Si chiedeva, non senza una certa pigrizia, che razza di persona sarebbe diventata se non avesse più saputo controllare neppure le proprie smanie inutili.

Ad un certo punto Emma, che stava raccontando di come un professore aveva cliccato sulla diapositiva sbagliata così da regalare all'intera facoltà la visione di una foto delle sue vacanze in quel di Riccione, mentre veniva baciato dalla sua baffuta moglie, si interruppe di botto, come se fosse stata colpita – e forte – da un pensiero improvviso.

Rossana, che pure stava ascoltando con un orecchio solo, si rese conto del silenzio.

«Emma?» domandò secca e preoccupata, voltandosi di scatto per assicurarsi che la sorella non avesse sbattuto la testa contro uno spigolo o addirittura non fosse caduta dalla finestra, cosa che conoscendola poteva sempre capitare.

La vide in cucina, con le mani strette sul bordo del passavivande con una certa forza. Quando si accorse che Rossana la stava fissando distolse lo sguardo.

Solo in quel momento Rossana notò che sul piano della cucina c'era il suo telefono.

«Scusa, Sana» sussurrò Emma «L'ho sentito vibrare e... e allora l'ho preso-»

«Cos'è successo?» chiese Rossana con le sopracciglia aggrottate, già indovinando.

«Ti ha chiamato lui» la sua voce si spezzò in un singhiozzo, e Rossana scattò in piedi allarmata.

«Ha chiamato te, cercava te» Emma di ripiegò su sé stessa come un sacco vuoto, sparendo dietro alla penisola della cucina «Di nuovo.» le ultime parole raggiunsero Rossana in un sussurro soffocato.

Il Bastardo. Sarebbe stato tanto bello se fosse stato un fidanzato traditore o un amore non corrisposto, ma sfortunatamente era il padre di Rossana. Il padre di Emma.

Rossana andò a ripescare Emma, che sedeva piangendo sul pavimento della cucina, con le braccia conserte appoggiate alle ginocchia.

«Scusami, Rossana, sono solo un po'... davvero, è tutto ok.» balbettò lei, rendendosi conto che la sorella, capendo che la cosa doveva essere più seria di quella che sembrava, si era sistemata accanto a lei.

«Ehi, ehi» fece Rossana, abbracciandola goffamente «Va tutto bene, eh? Non c'è niente di cui piangere. Ti vuole bene anche lui, è solo che non te lo dimostra perché è un idiota. Lo sappiamo.»

«Parli così perché a te considera.» mugugnò Emma «Sei sempre stata la sua preferita.»

I muscoli del viso di Rossana si tesero, mentre il gelo di un senso di colpa che provava da anni si impadroniva di lei.

Era vero, non era possibile negarlo: quel loro padre degenere che lei si ostinava a chiamare con gli insulti più disparati, benché, ed era dura dirlo, le facesse anche un po' male, aveva sempre mostrato di preferire lei ad Emma. Ma Rossana, che pure detestava essere indulgente, ormai pensava che fosse soprattutto perché non era mai stato un vero genitore e forse era del tutto incapace di esserlo, e non perché davvero volesse meno bene ad Emma.

Dal punto di vista biologico erano le sue figlie, ma era come se si fossero dovute conquistare il suo affetto nello stesso modo in cui se lo conquista un amico, che prima di diventarlo è un conoscente: Emma, che aveva meno interessi in comune con lui di quanti non ne avesse Rossana, ne era uscita sconfitta.

Tuttavia Rossana non era mai riuscita a... capire. No, era davvero troppo, e poi lui era un uomo tutto sbagliato ed Emma ne soffriva, anche se lei per tanto tempo non se n'era accorta.

E da questo non si assolveva.

«Scusa, io...»

Emma sollevò lo sguardo e spalancò gli occhi «No, no, Sana! Non volevo dire questo.» disse, alzandosi di botto e asciugandosi gli occhi «Non potrebbe mai essere colpa tua, nemmeno per un secondo! È solo che...» gli occhi di Emma si riempirono di nuovo di lacrime, tutto da capo, e addirittura la sua bocca si contrasse, arricciandosi un po' agli angoli, segno che quasi non riusciva a parlare per l'amarezza che sentiva «A-a volte mi chiedo» le sfuggì un singhiozzo «cos'ho fatto d-di male.»

Anche Rossana si alzò, mise con fermezzazza una mano sulla spalla di Emma e, riprendendo un po' del piglio che Emma stessa quand'erano piccole definiva "da dura", affermò: «Niente, Emma, d'accordo? L'abbiamo già fatto, questo discorso, un sacco di volte. Il Bastardo è appunto un bastardo, e tu te ne devi fregare

Emma annuì con lentezza, ma Rossana sapeva benissimo che non avrebbe seguito il suo consiglio. Non a lungo termine, di sicuro.

«Ma sì.» disse Emma, aprendo il rubinetto del lavandino e prendendo una manciata d'acqua con cui sciacquarsi la faccia «Ho tanta gente che mi vuole bene. Ho te, la mia mamma, la tua mamma, gli amici, e poi ho Giacomo.»

Ah, Giacomo. Il ragazzo di Emma, affascinante persino agli occhi di Rossana. Ma stava bene dove stava, con sua sorella, che se lo meritava nella maniera più assoluta, anzi: semmai era lui che doveva dimostrare a lei di meritare Emma.

Rossana sorrise: «Ecco, hai visto? Non è proprio il caso di piangere, su.»

Emma la abbracciò. Un abbraccio breve breve, di slancio, e poi era già lì a girellare per la sala mettendo a posto, gli occhi ancora rossi di pianto ma con un tenue sorriso sul volto.

«Scusa» disse, mentre lavava i vetri della porta finestra «Sono proprio una stupida, è solo che è una settimana di stress e allora divento matta per cose sciocche.»

Rossana sospirò di sollievo. Era passata, e anche se sapeva che Emma prima o poi ci avrebbe ripensato e sarebbe stata male e si sarebbe messa a piangere di nuovo, per un po' potevano stare tranquille.

Rinfrancata, si sedette di nuovo alla scrivania e tornò al computer.

Ad un certo punto, dietro di lei Emma iniziò a passare l'aspirapolvere.

«Ma perché la passi a quest'ora?» si lamentò Rossana. Quell'aggeggio infernale faceva chiasso, troppo chiasso inutile e irritante.

«Perché è una settimana che non puliamo, hai presente? Potresti darmi una mano anche tu, sono sicura che non ti farebbe male!» fece Emma ridacchiando. Parlava con allegria, quasi con qualche balzo di gioia nella voce; Rossana sapeva che dopo un momento di crisi doveva parlare così per un po', per ristabilire una sua qualche armonia con cui sembrava vedere il mondo.

«Ti ho fatto tutti i compiti di tutte le materie scientifiche per cinque lunghi anni, sono sicura che puoi faticare ancora per un po'.» replicò con leggerezza Rossana, mentre un repentino sorriso le solcava le labbra e subito spariva.

La sua attenzione tornò al portatile, mentre caricava "il Barometro", un forum di attualità politica e non su cui bazzicava ormai da più di due anni. All'inizio era stata un utente estremamente attivo: commentava, scriveva, proponeva. Adesso ci passava di sfuggita di tanto in tanto, senza neppure più scrivere nella tag board, parabola riconducibile a quella che era stata la sua passione per gli argomenti trattati.

Aveva voluto fare Scienze Politiche per via di una sua fantasia romantica in cui lei, incorruttibile e intelligente, dimostrava che la gente, gli stati e la politica possono cambiare, ma già da prima di finire le superiori i suoi entusiasmi si erano gradualmente raffreddati: le persone sembravano straordinariamente refrattarie a qualsiasi cosa coinvolgesse un mutamento nelle loro opinioni.

Oh beh.

Si era comunque iscritta alla facoltà perché sapeva che non le sarebbe piaciuto studiare nient'altro allo stesso modo; e poi perché nessuno poteva dirle cosa fare, e il Bastardo voleva che facesse Medicina come lui, al che lei aveva risposto "col cavolo".

Questo non significava che si facesse illusioni in merito.

Alla fine, dopo aver dato un'occhiata d'insieme e aver deciso che non c'erano nuove discussioni imperdibili, spense tutto e radunò i fogli sparpagliati in giro, giudicando che per una volta poteva anche dare retta ad Emma e fare un po' d'ordine. Il foglio che finì in cima era quello su cui quella mattina aveva scritto una poesia che la mandava in bestia al solo guardarla.

Per puro spirito di abbandono, forse per autolesionismo, la rilesse, come se in realtà stesse vivendo di nuovo quello che l'aveva portata a scriverla.

 

Vorrei andare

sulla cima del mondo e

gridare.

Non servirebbe a niente

non lenirebbe il mio male

ma lo stesso vorrei andare

per la stessa ragione del grido

gridare.

 

«È una nuova poesia?» se Rossana fosse stata appena un po' più impressionabile e un po' più assorta, si sarebbe spaventata nel vedersi arrivare Emma alle spalle in quel modo «La metterai su qualche sito?»

Rossana si stiracchiò, facendo spallucce: «Dubito che molti potranno riconoscere il riferimento a De Andrè.»

«Dovresti guardare le altre persone come se fossero sul tuo stesso piano, Sana, te lo dico sempre.»

Rossana fece un gesto di indifferenza con la testa. Secondo lei era più che lecito guardare dall'alto in basso persone che a loro volta l'avrebbero guardata dall'alto in basso per i motivi più vari, dal fatto che non aveva una Louis Vuitton al fatto che non si era mai particolarmente interessata alla lettura dei classici.

Guardare con sufficienza persone che non ritengono importante quello che tu ritieni importante è uno degli istinti basilari dell'essere umano, tanto valeva accettarlo subito senza essere ipocriti.

Lanciò la penna sui fogli pasticciati, lasciando che rotolasse. Già le era passata la voglia di mettere a posto. A che pro farlo? Il giorno dopo sarebbe di nuovo stato tutto all'aria.

«Non è una delle migliori che hai scritto.» disse allegramente Emma, a commento della poesia.

«Taci, sorellastra cattiva.» la rimbeccò Rossana, senza tuttavia riuscire a sembrare del tutto irritata «E comunque non è già più vera.» aggiunse, quasi sottovoce, parlando tra sé e sé come se volesse convincersene. Il pensiero che stesse cercando di abbindolare persino sé stessa le diede il voltastomaco.

Odiava il fatto che il mattino dopo si sarebbe alzata nello stesso modo in cui si alzava tutti i giorni, ancora una volta senza un posto verso il quale andare, semplicemente muovendosi, mentre tutto attorno a lei si svuotava di senso e diventava abitudine, ogni giorno un po' di più.

Eppure c'era stata quella meravigliosa sensazione, quella mattina...

Emma notò il viso pensoso e quasi dolorante di Rossana, e il suo sorriso si appannò un po' «Rossana...» iniziò, poi sembrò lottare con le sue stesse parole e tacque, con i segni dell'imbarazzo sul volto, il volto ancora un leggermente segnato dal pianto di poco prima.

A quell'espressione Rossana ebbe una fitta di malinconia. C'era stato un tempo – non molto tempo prima, in effetti, a non voler essere tragiche era passato solo qualche mese – in cui tra loro non esistevano barriere, come in quelle spiagge che c'erano a casa loro e che sembravano poter continuare all'infinito.

Quelle spiagge non esistevano, nella stupida pianura dove studiavano, e Rossana adesso si guardava bene dal raccontare ad Emma certe cose che le passavano per la testa, anzi se poteva cercava di non fargliene percepire nemmeno l'estistenza. Come spiegare ad Emma la sua disillusione, il suo piccolo vuoto interno che a volte diventava male di vivere? Ad Emma, con quella sua allegria e quella sua semplicità disarmante?

Se avesse provato a spiegarle tutto questo non si sarebbero capite, e in fondo era meglio così: Rossana desiderava che non si capissero, altrimenti Emma l'avrebbe raggiunta nella sua uggiosa apatia, proprio quando lei considerava la solarità di Emma qualcosa di inestimabile.

«Dimmi, Emma.» si affrettò a dire, rendendosi conto di essere stata zitta per troppo tempo.

«Sono preoccupata.» iniziò, spingendo avanti e indietro col pollice un fermacarte a molla «Per te.» aggiunse. Poi, e Rossana l'aveva visto accadere già altre volte, dopo l'iniziale esitazione arrivò un fiume di parole: «Sei..giù, Sana, tu non lo dici ma io me ne accorgo, e una volta non eri così. Voglio dire, non è che tu sia mai stata una di quelle persone che sorridono sempre o parlano, parlano, parlano, però non è neanche da te trascinarti di qua e di là come se la vita non ti ispirasse granché! Io... ah! Non volevo farti un rimprovero, ti prego, non prenderla come una critica, è solo che una volta sembrava per lo meno che il mondo non ti irritasse così tanto, che fosse un posto dove potevi vivere in tranquillità, e invece adesso non ti dai pace: quando torniamo a casa non vedi l'ora di tornare qui, e manco ti accorgi di quello che c'è là. Quando sei qui sembra sempre che tu voglia tornare indietro, e continui ad aggirarti tra i tuoi pensieri come se non avessi un proposito. Ho paura... che tu sia depressa, Sana.»

Rossana cacciò fuori una specie di risata senza vivacità. Non l'aveva ingannata nemmeno per un secondo, davvero, e se lo sarebbe dovuta aspettare. Spinse il mento un po' in avanti, gesto che faceva spesso come se volesse che la mandibola fuggisse dal resto del volto, poi disse: «Mia cara Emma, sai perché certe persone si dicono lunatiche? Perché vengono dritte dritte dalla luna, e la luna è un posto triste, dove speravi di trovare cose che invece non sono mai lì. Ogni tanto ci finisco anch'io, ma tu non ti devi preoccupare: torno sempre.»







Qui ci sono un paio di schizzi di Rossana ed Emma. So che sono orribili, ne avevo fatto una sfilza tutti per benino ma me li sono dimenticati nella mia città natale, così ho dovuto ripiegare su questi, fatti in cinque minuti di tempo perso. Scusatemi, spero che quelli della prossima volta possano piacervi di più!

   
 
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