Buon
inizio di settimana, gente!
Be',
in realtà il lunedì non è mai buono
per nessuno, ma sorvoliamo,
va.
Bo',
vi posto con un po' di ritardo un altro capitolo, ma per farmi
perdonare l'assenza della scorsa settimana, questa penso
pubblicherò
due capitoli.
O
forse no. Chissà.
E'
un capitolo molto importante, questo, e vi farà scoprire un
bel po'
di cose nuove. Tra le tante, il motivo per cui Julya cerca il calice.
Ah, ultima nota poi giuro che mi dileguo: le "prove" di cui Julya
parlerà sono spudoratamente tratte da "Indiana Jones e
l'ultima crociata".
Comunque,
il banner è opera di un'altra pagina su FB, Katerina
Graphic, e
trovo che sia adorabile.
Buona
lettura a tutti^^
Knowing that the faith is all I hold
Questa
è l'ora di piombo e chi le sopravvive
la
ricorda come gli assiderati
rammentano
la neve:
prima
il freddo, poi lo stupore, infine
l'inerzia.
Emily Dickens
“Ricordami
ancora una volta perché abbiamo preso i cammelli”
Julya
era, a voler usare una definizione piuttosto blanda, molto
contrariata. Mentre il suo cammello incedeva nel deserto turco con la
sua andatura ondeggiante si chiedeva sinceramente perché
avessero
dovuto affittare quelle due cavalcature quando entrambi sapevano che
correndo avrebbero impiegato molto meno tempo.
“Sarebbe
stato strano avventurarsi nel deserto a piedi, non
credi? Non
dovevamo tenere un basso profilo?”
“Già”
lo prese in giro lei “Perché qui è
pieno di gente che può
vederci”
Stefan
le scoccò un'occhiata indecifrabile e poi tornò a
guardare di
fronte a sé con un cenno del capo.
“Tu
hai decisamente passato troppo tempo con Damon”
“Interessante.
Nel 1928 dicevi che assomigliavo a tuo fratello. E allora non lo
avevo ancora conosciuto”
“Touché”
Julya
tornò a fissare la distesa di sabbia di fronte a
sé con un sorriso
soddisfatto e non protestò per i successivi dieci minuti,
cosa per
cui Stefan fu infinitamente grato.
Per
carità, lui adorava Julya, ma a volte la sua lingua
tagliente e i
suoi commenti sarcastici gli ricordavano un po' troppo Damon.
Non
che fosse colpa sua e delle sua pessima influenza: Julya non aveva
mai avuto bisogno che nessuno le insegnasse l'arte di essere ironica.
Lei
aveva il dono, come lo definiva con un sorriso
malandrino, di
solito accompagnato da un'occhiata furba e un po' presuntuosa.
Aveva
visto il volto di Julya attraversato da tante espressioni e avrebbe
saputo dire cosa provasse in qualunque occasione, ma in quel momento
la sua espressione era impassibile e Stefan capì che aveva
lo
sguardo fisso sul premio.
Era
la sua frase preferita, probabilmente il motto che avrebbe fatto
ricamare su uno stemma se ne avesse avuto uno.
Stefan
la ammirava per questo: non aveva mai visto nessuno con una
volontà
tanto forte, tanto salda e inespugnabile.
Chissà,
forse molte persone avrebbero abbandonato un progetto come quello di
Julya da un pezzo, tanto tempo e tanti fallimenti prima.
Ma
lei no e Stefan era curioso di sapere quale obiettivo potesse darle
tanta forza. Ma lei glielo avrebbe detto?
“Hai
una determinazione ammirevole” le confessò,
indeciso su come farle
la domanda che tanto lo incuriosiva.
“Sono
sempre stata così, la trasformazione ha solo acuito questo
lato di
me”
“Ed
è solo per questo?”
Allora
Julya capì dove voleva andare a parare e non poté
dargli torto. Lo
aveva trascinato in un viaggio che si stava rivelando più
difficoltoso del previsto, dall'altra parte del mondo e senza dirgli
esattamente perché lo stava facendo: Stefan aveva tutto il
diritto
di sapere perché.
Dopotutto,
le mancava avere qualcuno con cui parlare di quel genere di cose. E
se non poteva farlo con Stefan, con chi avrebbe dovuto?
“Credo
che tu non stessi mentendo quando hai detto che lo facevi per
ambizione. Non fraintendermi” aggiunse quando la vide
inarcare un
sopracciglio e guardarlo perplessa “penso che non sia il vero
motivo, ma ti conosco e tu sei attratta da questo genere di cose in
un modo che io non riesco a capire”
“E'
vero” ammise con un pallido sorriso. Era sempre stato
così: la
storia e gli antichi manufatti avevano su di lei un fascino strano,
diverso da quello che esercitavano sulla maggior parte delle persone.
Non
le importava quali vantaggi avrebbe ottenuto da questo o
quell'oggetto: era lui, la storia che racchiudeva, a irretirla. Non
aveva mai capito come questo potesse accadere: sapeva solo che
così
era e che le stava bene perché quello aveva
dato uno scopo
alla sua vita quando Kol se n'era andato, quando era rimasta sola,
tanto tempo prima che Stefan entrasse nella sua vita.
E
anche allora il richiamo delle antichità era stato
più forte della
loro amicizia. E nonostante questo, non era stato facile lasciare
Stefan e continuare la sua ricerca, ma aveva scelto e quello si
era rivelato più importante.
“Credo
che tu abbia il diritto di sapere tutta la storia. Chissà,
forse
capirai anche perché ti ho lasciato solo tanto tempo fa. O
forse non
riuscirai a perdonarmi lo stesso”
“Io
ti ho perdonata”
Julya
ridacchiò e lo guardò con uno sguardo strano,
divertito e paziente
“Tu vuoi perdonarmi e l'aver preso
questa decisione è la
parte più importante, ma ci vorrà del tempo. Ed
è giusto che sia
così, Stefan: non è sbagliato dare al tempo la
possibilità di
farci guarire per poter passare oltre”
Julya
credeva davvero che fosse così.
Un
perdono rapido, immediato a volte non era che il risultato di una
rabbia fasulla o, in alternativa, una sorta di umiliazione o
vendetta.
Per
perdonare qualcuno ci voleva tempo, pazienza e comprensione. Era un
po' come curare una ferita: a prescindere dalla sua gravità,
bisognava darle il tempo di spurgare, di cicatrizzarsi e lentamente
sparire. Quella era, a suo dire, l'unica forma possibile di perdono e
avrebbe comunque lasciato dietro di sé un marchio, un
indelebile
ricordo di ciò che era stato.
“Comunque”
riprese in fretta “non è questo di cui vuoi
parlare. Vuoi sapere
perché voglio il Graal, ma per spiegartelo dovrò
raccontarti una
storia”
Stefan
annuì e Julya continuò. I cammelli camminavano
lenti e la valle era
ancora lontana mentre intorno a loro l'atmosfera cambiava.
“Era
il 1911 e io ero tornata in Russia per vedere la mia famiglia. Non
potevo avvicinarli: a loro era stato detto che ero morta al Cairo e
così dovevano continuare a credere. Volevo vedere come
stavano,
quale vita vivevano dopo la mia morte e volevo vedere Aleskeij. Lui
era ancora un bambino quando io me ne sono andata e volevo sapere se
si fosse sposato, avesse avuto dei figli... queste cose qui, insomma.
Ma quando arrivai scoprii che la mia famiglia era stata spazzata via
dal colera. Mia madre, mio padre, Vladirmir... di loro non restavano
che ossa, sepolte in stupide fosse anonime senza che io potessi fare
nulla per dare loro la sepoltura che meritavano”
Si
fermò un momento, stringendo le redini con forza a quel
ricordo.
Ricordò l'odore di cipolle nella piccola baracca nella
campagna
intorno a San Pietroburgo, il silenzio assordante nelle stanze quando
non veniva rotto dallo sferragliare dei treni e il volto sofferente
di Aleskeij mentre respirava a malapena.
“Solo
Aleskeij era ancora in vita, ma era chiaro che stava per andarsene
anche lui. Accecata dalla disperazione, non ho pensato. Sono corsa a
casa di una donna che tutti credevano essere una strega e l'ho
scongiurata di aiutare mio fratello. Io sentivo la sua aura, sapevo
che i pettegolezzi erano veri.
Alla
fine, ho dovuto minacciare di ucciderla perché si decidesse
a
seguirmi. Quando arrivammo, era troppo tardi. Ma io non potevo
accettarlo, non in quel momento e feci una cosa folle, l'azione che
condizionò la mia vita da quel momento in poi: chiesi alla
strega
più tempo, un modo per conservare il corpo di mio fratello
fino a
che non avessi trovato come riportarlo in vita”
Stefan
la guardò con gli occhi spalancati, incredulo. Nonostante
ciò,
riusciva a capire cosa avesse spinto Julya a comportarsi
così.
Come
poteva non capire, quando lui avrebbe fatto l'impossibile per salvare
suo fratello?
“E
la strega mi esaudì. Fece un incantesimo e ora mio fratello
giace in
una bara, morto, ma intatto, in attesa che io trovi il Graal che
è
l'unica cosa che può riportarlo alla vita”
“Io
ti capisco, davvero. Ma perché non lo hai vampirizzato?
Perché non
lo hai lasciato andare?”
“Era
un anno difficile per me. Mi sentivo sola, disperata, abbandonata
e credo di essere andata dalla mia famiglia per ricordare a
me
stessa che c'era ancora al mondo qualcuno che mi amava, anche se per
loro ero morta. Quando ho scoperto che anche l'ultima di quelle
persone stava per andarsene... non lo so, non sono riuscita a dirgli
addio”
“Ma
non sei sempre stata sola, nei secoli a venire. C'ero io”
Fu
più forte di lui ricordarglielo, anche se si era ripromesso
di
capirla e passare oltre. Eppure non comprendeva.
Era
stata sola, ma poi era arrivato lui e nonostante questo lei se n'era
andata per inseguire il suo grande scopo.
Che
senso aveva, dunque?
“So
cosa stai pensando. Anche tu ti sei sentito solo e non capisci
perché, anche quando ho trovato un amico che mi stesse
accanto, ti
ho abbandonato. Ma andiamo, Stef, non è la stessa cosa. Tu
non sei
mai stato davvero solo: anche
quando pensavi di esserlo, avevi sempre tuo fratello. Disperso in
chissà quale angolo del mondo, a compiere chissà
quali azioni
spregevoli, ma sapevi comunque che c'era qualcuno che ti avrebbe
amato qualunque cosa tu fossi diventato. Volevo solo la stessa
possibilità, un amore altrettanto grande e
irriducibile”
Confessare
la sua più grande debolezza fu per Julya come togliersi un
masso dal
petto, come tornare a respirare dopo una lunga apnea.
All'improvviso,
si sentì più leggera e liberarsi di quel segreto
– il più intimo
e nascosto che avesse- con Stefan la fece sentire diversa.
Se
lui fosse stato un'altra persona, forse aprirsi così tanto e
svelargli la parte più vulnerabile di sé
l'avrebbe terrorizzata a
morte, ma lui era Stefan e sapeva che sarebbe andato tutto bene
perché, per quante azioni spregevoli e morti avesse sulla
coscienza,
ai suoi occhi restava una persona molto migliore di quanto lui stesso
non credesse.
E
lo amava anche per quello, anche se non sapeva che tipo di amore
fosse.
Ma
quelle considerazioni e quello sguardo dolce e intenso non facevano
che metterla ancora di più in crisi.
Intanto
avevano raggiunto la valle, una gola circondata da alture a forma di
mezzaluna in cui non sarebbero mai riuscita a entrare se non avessero
trovato un sentiero o avessero abbandonato lì i cammelli.
Julya
smontò e si sedette sulla sabbia calda del deserto.
“Che
fai? Non cerchiamo un modo per accedere?”
“Prima
devi vedere una cosa”
Aprì
il libretto e lo sfogliò fino a fermarsi a un certo punto,
porgendoglielo.
“Quando
arriveremo nella grotta, dovremo affrontare tre prove: il respiro di
dio, la parola di dio e il sentiero di dio”
“Non
ti seguo”
“Sono
prove tratte da sant'Anselmo. La prima dice che solo l'uomo penitente
potrà passare; la seconda, solo sulla parola di dio si
potrà
procedere; la terza e ultima dice che solo saltando con un balzo
dalla testa del leone l'uomo potrà dimostrarsi degno del
sacro
Graal”
“E
cosa vuol dire?”
Julya
fece spallucce “Non ne ho idea”
Non
era esattamente ciò che Stefan sperava di sentire
perché sapeva che
neanche l'ignoto avrebbe fermato Julya.
Non
le aveva mai fatto paura il non sapere cosa la aspettava: al
contrario, sembrava che fosse piuttosto uno stimolo ad andare avanti.
A
Stefan faceva un po' paura la tendenza di Julya a rischiare tutto con
il pericolo di rimanere con niente in mano.
Ma
ora aveva capito perché e in qualche modo poteva quasi
condividere
il suo bisogno; sperava solo che, una volta raggiunto il suo scopo,
avrebbe abbandonato quel gioco pericoloso.
Conoscendola,
non era così fiducioso.
“Andiamo?”
“E
come intendi...”
Non
finì la frase. Con un ultimo sorriso, Julya si era
già lanciata giù
nella gola, fendendo l'aria a una velocità impossibile ma
con una
grazia ammirevole, assorbendo l'impatto con il suolo con la punta dei
piedi.
“Già,
come ho fatto a non pensarci” borbottò prima di
imitarla.
*
Mezz'ora
e parecchia sabbia nei vestiti dopo, Julya e Stefan trovarono
finalmente l'ingresso al luogo dove era custodito il Graal.
“Non
so come sia passato inosservato per tanto tempo”
constatò il
ragazzo riferendosi alla parete di roccia modellata per sembrare la
faccia di una modesta chiesa.
Julya
dovette ammettere che, in effetti, non avrebbe mai potuto passare
inosservato. Insomma, non capitava esattamente tutti i giorni di
trovare un tempio in un deserto.
L'interno
tuttavia non aveva subito la stessa lavorazione della facciata: dopo
l'ingresso, si apriva una lunga galleria di terra rossiccia, alta e
stretta, piena di ostacoli, probabilmente massi caduti nel corso del
tempo dalla volta.
Stefan
aprì la bocca per parlare, ma una voce li raggiunse e
ammutolì.
Anche Julya l'aveva sentita e si era irrigidita all'improvviso,
nascondendosi di scatto dietro un masso.
Stefan
la imitò e lei gli fece cenno di tacere, anche se non ce
n'era
davvero bisogno. La vampira si sporse un po' per vedere e il suo
volto si trasformò in una maschera di angoscia e rabbia
quando
riconobbe il vampiro delle catacombe, Werner.
Con
lui c'erano gli altri due vampiri – entrambi dai capelli
scuri, uno
nerboruto e l'altro smilzo-, ma gli umani erano diversi: c'erano due
donne stavolta, una ragazza giovane e dai capelli rossi e l'altra
più
adulta, con una crocchia di capelli neri a incorniciarle il viso.
Julya
immaginò che non dovesse essere troppo difficile trovare
collaboratori con la promessa della vita eterna, anche se non aveva
certo bisogno del Graal per concedere certe cose.
Comunque,
non era importante.
Dovevano
trovare il modo di entrare e trovare il Graal prima di quella
ridicola banda di cattivi da strapazzo, a meno di non volersi trovare
a fare i conti con un fan di Hitler al quale, disgraziatamente, era
stata donata l'immortalità.
Spremette
ogni parte della sua non trascurabile intelligenza alla ricerca di un
modo per aggirare l'ostacolo, ma loro occupavano tutto l'ingresso e
non c'era possibilità di entrare senza essere visti.
All'improvviso
ci fu un grido e poi qualcosa rotolò giù dalle
scale, proprio fino
ai loro piedi. Allora Julya si accorse che era una testa e
deglutì a
stento, ricordando le tre prove di cui aveva parlato a Stefan.
Neanche
essere un vampiro le avrebbe permesso di sopravvivere se le fosse
stata tagliata la testa.
O
forse sì, ma non aveva proprio voglia di sondare i limiti
della
propria natura quel giorno.
“Julya...”
“Non
è proprio il momento, Stef. Dobbiamo trovare il modo per
entrare
senza farci vedere”
“Uhm,
ho come l'impressione che sia superfluo”
“Cosa
stai...”
Alle
sue spalle c'era Noah, l'amico al quale si era rivolta per avere il
libretto, e teneva tra le mani una balestra con tanta forza da far
sbiancare le nocche.
Incoccato
al posto della classica freccia, c'era un paletto di legno e Noah
puntava dritto al cuore di Stefan.
Julya
calcolò le possibilità e capì che non
avrebbe avuto modo di
saltare alla gola dello studioso e ucciderlo prima che sparasse o
gridasse perciò alzò le mani e ringhiò
appena, cosa che fece
fremere Noah e sorridere Stefan.
Nel
momento in cui si alzarono altre balestre spuntarono fuori e vennero
puntate su di loro, con enorme fastidio di Stefan e rabbia di Julya.
Il
vampiro biondo si fece avanti con un mezzo sorriso divertito
“Speravo
di rivedervi ancora. Abbiamo giusto bisogno di un volontario per
affrontare qualunque cosa ci sia da quella parte”
“Mi
dispiace, ma nessuno di noi due è molto propenso ad aiutare
un
idiota filonazista”
“Quindi
sei disposta a lasciare che il Graal rimanga lì piuttosto
che
lasciarmelo toccare?”
Aveva
toccato un nervo scoperto, Stefan lo capì dall'espressione
negli
occhi di Julya. La risposta più giusta sarebbe stata sì,
ma
se avesse lasciato perdere Julya non avrebbe mai più riavuto
indietro suo fratello e ogni cosa si sarebbe rivelata vana.
Due
secoli sprecati a causa di uno idiota con manie di grandezza. Oh,
Stefan vedeva la rabbia lampeggiare negli occhi di Julya e sapeva che
non era mai un buon segno.
In
un attimo, seppe che non avrebbe lasciato il Graal dove si trovava
né
lo avrebbe ceduto al tedesco, ma che piuttosto lo avrebbe ucciso con
le proprie mani insieme a tutta la sua combriccola.
“No”
ammise Julya a labbra strette “ma senti cosa
accadrà: io entrerò
lì dentro e prenderò il Graal. Lo
porterò via con me, ma prima
ucciderò tutti voi a uno a uno e sarà un piacere
per me strapparti
personalmente il cuore dal petto”
Werner
rise, come se non credesse che lei lo avrebbe fatto e Stefan
pensò
che fosse sciocco sottovalutare Julya quando parlava con un tono
così
serio e pericoloso. Faceva paura persino a lui che pure sapeva che
non gli avrebbe mai fatto del male.
Julya
non vi badò e si fece avanti.
Gradino
dopo gradino, Stefan la guardò infilarsi nell'altro
corridoio,
diretta verso chissà quale destino.
Avrebbe
voluto fermarla o andare con lei, ma non glielo avrebbero permesso.
Sperò
solo che Julya sapesse cosa stava facendo e che tornasse da lui. Non
voleva lasciare andare un'amica ora che l'aveva appena ritrovata.
“Solo
l'uomo penitente potrà passare”
Julya
procedeva con circospezione, ripetendo le parole di Sant'Anselmo come
se fossero un mantra.
Aveva
paura, ma era anche emozionata come una scolaretta, a dispetto del
fatto che rischiava la vita a ogni passo.
Nella
sua testa si alternavano tutti i significati possibili di quelle
parole. I suoi sensi erano tesi al massimo nello sforzo di captare
qualunque movimento, ma l'unico rumore era quello dei suoi stivali
sulla terra rossa.
L'uomo
penitente... l'uomo penitente è umile al cospetto di dio.
Umile...
lei non lo era mai stata, non sapeva cosa volesse dire quella parole
e con che coraggio dunque pretendeva di seguire quel cammino?
Non
c'era nessuna umiltà nella sua ricerca, solo arroganza.
Era
lì per cercare di ingannare la morte; lei
stessa
era un tiro mancino alla volontà divina che aveva sancito un
ciclo
inamovibile per l'uomo: vita, crescita, morte.
Non
ci poteva essere presunzione peggiore della sua che voleva sovvertire
quell'ordine naturale.
Cosa
fa l'uomo umile? Chiede perdono, si umilia, si inginocchia.
Le
ragnatele di fronte a lei si mossero come agitate da una brezza
leggera e ci fu uno strano rumore, come se qualcosa si fosse azionato
all'improvviso e i suoi riflessi da vampira agirono prima che lei
potesse pensare razionalmente.
Si
gettò a terra e scivolò in avanti prima che le
due lame potessero
tagliarla a metà e si ritrovò a fissare il
soffitto con un gemito.
“Sono
passata!” urlò a Stefan e il ragazzo
respirò di sollievo, anche
se sapeva che quello era solo l'inizio.
Intanto
Julya si ripulì dalle ragnatele e dalla polvere e
continuò il suo
cammino.
“La
seconda sfida è la parola di dio”
ricapitolò gettando di lato la
sacca in cui teneva il libretto.
Guardando
di fronte a sé, non fu difficile immaginare cosa volesse
dire
“parola di dio”.
“Perfetto”
borbottò tra sé e sé “E' il
nome di dio” mormorò sconsolata.
Teologi,
studiosi e letterati si interrogavano su quel quesito da migliaia di
anni ed era il più grande mistero della storia.
Come
potevano pretendere che lei lo risolvesse in qualche minuto?
Osservò
le lettere che componevano il mosaico sul pavimento. Si sentiva
vibrare di adrenalina e di emozione, anche se sapeva che
quell'ostacolo avrebbe potuto interrompere la sua ricerca.
No,
non lo avrebbe permesso, non ora che era letteralmente a pochi metri
dalla meta.
Poi
le venne un'idea, il colpo di genio.
Con
un balzo, fu sulla lettera e, poi sulla g
e infine
sulla o.
Ego,
io.
“Io.
Dio è in tutti noi”
Provò
un moto di orgoglio, ma si disse che avrebbe avuto tempo per
insuperbirsi e farsi i complimenti da sola.
Trepidante,
si infilò in un cunicolo sempre più piccolo, le
cui pareti le si
stringevano sempre di più intorno fino a modellarsi quasi
intorno al
suo corpo.
Affrettò
il passo e si ritrovò a correre senza neanche capire quando
avesse
iniziato. Si bloccò di scatto arpionando la roccia intorno a
lei per
non cadere nel precipizio.
“La
terza prova: il sentiero di dio”
Julya
calcolò che avrebbe potuto saltare fin là, ma
sarebbe poi riuscita
ad atterrare nella nicchia dall'altra parte della roccia?
Sembrava
piccola anche per lei che pure era minuta.
“Abbi
fiducia in te stessa, Juls”
La
parola fiducia fu un campanello nella sua testa. Fiducia voleva dire
anche fede e che cos'era quello di fronte a lei se non un balzo della
fede?
Quello
sì che era un vero problema.
Lei
non aveva mai creduto in dio come ci credeva la maggior parte delle
persone. Da piccola, sua madre aveva tentato di inculcarle i principi
della chiesa in qualunque modo, a volte anche con la forza, ma Julya
era sempre stata più testarda.
Forse
c'era qualcosa lassù, ma qualunque cosa fosse sicuramente
non era
interessato a intromettersi nelle faccende dei mortali.
Non
aveva cambiato prospettiva quando era diventata un vampiro; al
contrario, la sua convinzione si era solo rafforzata e quando
guardava in uno specchio vedeva solo la dimostrazione delle proprie
teorie.
Se
ci fosse stato un dio come lo volevano i cristiani, non avrebbe
permesso a predatori spietati come i vampiri di vivere tra i suoi
figli.
Perciò,
quel balzo si rivelava più problematico del previsto.
Saltare
o non saltare?
Non
sarebbe riuscita a risalire da quel baratro se fosse caduta, non
quando non beveva da giorni ed era più debole del solito.
Con
il senno di poi, non era stata un'idea geniale correre nella gola
senza essersi prima nutrita.
Con
una mano sul petto e chiudendo gli occhi, saltò.
Si
aspettava di cadere per miglia, invece la suola degli stivali
toccò
subito terra e lei barcollò aprendo gli occhi di scatto.
Con
un sorriso tirato e un gemito procedette con passi esitanti, sperando
di avere fortuna ad ogni passo e arrivare dall'altra parte.
Anche
se il suo cuore era immobile, le sembrava di sentirlo pulsare insieme
al rombo del sangue nelle vene.
Sentiva
la vicinanza del calice, l'energia magica che emanava arrivava fino a
lei e quasi le vennero le lacrime agli occhi nel pensare che era
quasi arrivata.
Le
ricacciò indietro dicendosi che si sarebbe concessa di
piangere –
una volta, una sola volta e poi mai più- solo quando avrebbe
stretto
a sé Aleskeij.
Prima,
c'erano ancora troppe cose che potevano andare storte.
Si
accucciò e scivolò a gattoni lungo il cunicolo.
Quello sì che era
da penitente, ma non le importava di sbucciarsi le ginocchia e
rovinare il pantalone.
L'uomo
che la accolse alla fine del tunnel avrebbe potuto sembrare un
fantasma visto il suo pallore, ma non lo era.
Era
uno dei tre fratelli della leggenda, colui che era rimasto a vegliare
sul calice probabilmente.
Le
rivolse un sorriso gentile, da nonno e le fece cenno di avvicinarsi.
“Sono
passati così tanti anni da quando ho visto qualcuno...
nessuno è
mai giunto fino a qui, sino a oggi”
“Tu
sei uno dei tre fratelli?”
“Il
più valoroso e nobile dei tre, scelto per proteggere il
calice”
“Sono
passati settecento anni”
L'uomo
annuì “Un'attesa molto lunga”
“Attesa?”
Il
cavaliere annuì ancora “Sapevo che un giorno
qualcuno sarebbe
giunto per prendere il mio posto, un altro cavaliere. Non mi
aspettavo che fosse una donzella a fare la sua comparsa, ma suppongo
che la nobiltà alberghi in qualunque animo”
Alzò
la spada e gliela porse con dignità. Julya sentì
un groppo alla
gola di fronte alla solennità di quel momento, ma non poteva
accettare.
Non
era nata per quello, lei lo sapeva.
Non
era per nobiltà d'animo che era giunta fin lì, ma
per abilità e
conoscenze. Non aveva i sacri valori dei cavalieri né la
loro
dirittura morale: qualcun altro sarebbe giunto un giorno e sarebbe
stato lui il giusto protettore del Graal.
“Aspetta.
E' complicato da spiegare ma...”
Venne
interrotta dall'arrivo di Werner e della sua aiutante dai capelli
rossi. Ringhiò, ma l'altro non se ne curò, come
se lei non fosse lì
a sbarrargli la strada.
“Che
meraviglia... quale di questi è il Graal? Non sono uno
storico, non
saprei scegliere” ammise guardando con occhi colmi di
cupidigia
ogni calice d'oro come se non desiderasse altro che prenderli tutti e
portarli via con sé.
“Scegli
con attenzione” lo esorta il cavaliere con voce stanca, come
se
avesse all'improvviso perso ogni forza “il vero Graal ti
darà vita
eterna e potere. Allo stesso modo, il falso ti toglierà
tutto”
“Scelgo
per te” si offrì la ragazza dai capelli rossi e
iniziò ad
analizzare ogni calice, scrutandoli con uno sguardo così
intelligente e attento che Julya sentì un brivido di paura
solcarle
la schiena e farla fremere.
Alla
fine afferrò un calice d'oro meravigliosamente intarsiato di
pietre
preziose, una coppa il cui valore sarebbe stato inestimabile per
qualunque gioielliere.
“E'
degna di un re” convenne Werner guardandola con venerazione
prima
di immergerla in una conca d'acqua limpida.
Julya
non tentava di rivolgersi al cielo da tanti secoli e non era neanche
sicura che ci fosse qualcuno ad ascoltarla.
Dopotutto,
non avrebbe potuto dare torto a chiunque fosse lassù -sempre
che ci
fosse qualcuno- se avesse scelto di ignorare le sue richiesta.
Comunque,
era disposta a correre il rischio: quel giorno sentiva di poter
provare a credere, almeno per qualche ora.
Così
chiese che avesse sbagliato e che l'acqua lo uccidesse per poter
tentare a sua volta di trovare il Graal.
Forse
era contrario a tutti gli ideali che il Graal rappresentava, ma lei
era sicura di meritare di trovarlo. I suoi scopi non erano malvagi e
lo avrebbe riportato indietro presto, giusto il tempo di riportare in
vita Aleskeij.
Con
il cuore in gola guardò il vampiro suggere l'acqua, poi ci
fu un
momento di attesa. Un attimo che nella mente di Julya fu
un'eternità
prima che quello cominciasse a gemere e a invocare aiuto mentre si
disidratava lentamente.
Non
fu un bello spettacolo guardare mentre la pelle diventava come carta
velina e si accartocciava su se stessa, ma Julya non volle perdersene
nemmeno un secondo, godendo di quell'angoscia in ogni secondo fino a
quando non divenne polvere ai suoi piedi.
“Ha
scelto... molto male” ammise con uno sguardo annoiato il
cavaliere
e Julya provò la tentazione di scoppiare a ridere mentre la
ragazza
tentava la fuga.
Ma
Julya ricordava il sorriso sfacciato e derisorio che le aveva rivolto
quando li avevano catturati e si era ripromessa di ucciderli tutti
così in un attimo i suoi denti le squarciarono la carotide
mentre si
saziava.
Se
non altro, il suo sangue aveva un ottimo sapore.
Il
cavaliere non si scompose e, quando ebbe finito, le fece segno di
scegliere. Non la avvertì, ma Julya immaginava che pensasse
che ciò
che era appena successo fosse un monito sufficiente.
Soppesò
con attenzione ogni calice, cercando di riportare alla mente tutte le
letture che aveva fatto sull'ultima cena e sul santo Graal.
Era
facile immaginare una coppa tanto potente come un oggetto sontuoso,
pieno d'oro e pietre preziose, un calice degno del re dei re.
Eppure
era troppo facile e un minuto prima si era
rivelata la scelta
più sbagliata che potesse essere fatta.
Se
davvero il Graal era la coppa da cui Gesù Cristo aveva
bevuto
all'ultima cena, avrebbe davvero potuto essere un oggetto prezioso?
Un semplice falegname avrebbe potuto bere da una coppa d'oro?
In
tutta quella massa di delizie luccicanti, solo una poteva essere il
calice di un falegname.
Era
piccola e sgraziata, invisibile se paragonata alle altre, ma proprio
per questo poteva essere solo lei.
Non
le restava che un modo per scoprirlo.
Si
fece coraggio e la immerse nell'acqua poi si prese un momento per
pensare alla propria vita. Faceva tanto cliché, ma
ripercorse con la
mente le tappe saliente della propria vita e si disse che dopotutto
era stata una bella vita.
Aveva
partecipato a molte delle più importanti scoperte
archeologiche
degli ultimi due secoli, aveva preso parte ai primi movimenti
femministi, si era schierata contro la fucilazione dello zar e della
sua famiglia nel 1918 e poi era stata una flapper dell'età
del jazz.
Aveva
avuto la fortuna di essere amata, anche se chi l'aveva fatto se n'era
andato e l'aveva lasciata a fare i conti con la solitudine.
Era
molto più di quanto molte persone potessero dire.
Con
un sospiro, prese un bel sorso d'acqua e fu come provare di nuovo per
la prima volta la sensazione di bere sangue umano.
Si
sentiva ebbra; la sensazione di potere era indescrivibile, quasi lo
sentiva scorrerle nelle vene. Era afrodisiaco e perfetto come neanche
il sangue più buono che avesse mai assaggiato avrebbe saputo
essere.
Si
voltò verso il cavaliere che le sorrise con soddisfazione e
condiscendenza, come un nonno di fronte alle prodezze della propria
nipote.
“Hai
scelto con saggezza. Ma il Graal non dovrà mai oltrepassare
il
grande sigillo: questo è il limite e prezzo
dell'immortalità”
Il
sorriso di Julya scemò e si sentì come se le
avessero dato un
calcio alla testa. Per un attimo le idee le si mischiarono nella
testa confusamente e non seppe più nulla di ciò
che la circondava.
Avrebbe
voluto chiedere di ripetere, ma sapeva di aver sentito e compreso
bene ciò che le era stato detto.
Solo
che non riusciva ad accettarlo perché avrebbe voluto dire
che
Aleskeij non sarebbe più tornato in vita e che ogni
cosa era
stata inutile.
Boccheggiò
quando comprese a pieno quel pensiero e perse la cognizione di tutto
ciò che la circondava.
Non
provò a chiedere un'eccezione perché sapeva che
non potevano
essercene.
Doveva
essere quella la punizione per la sua arroganza: aveva tentato di
sfidare la morte, pensato addirittura di poterla vincere ancora una
volta e le era stato permesso per due secoli di crederlo per poi far
crollare ogni sua convinzione come un castello di carte proprio alla
fine.
Era
stato molto peggio così.
Aveva
accarezzato l'idea di riabbracciare suo fratello, per un attimo
–
un solo secondo mentre portava il calice verso il bacile- si era
concessa di progettare una vita con lui.
Aveva
immaginato la sua espressione quando lo avrebbe portato a Parigi e
Londra o dovunque volesse andare, aveva sognato di vederlo innamorato
e felice, aveva vagheggiato l'idea di essere una famiglia.
Invece
tutto le era scivolato dalla dita come sabbia trasportata dal vento
ed era lì, accasciata sulla terra rossa senza sapere cosa
fare.
Era
persa e aveva tanto bisogno di qualcuno che
rimettesse insieme
i pezzi che stavano andando alla deriva.
Riemerse
dalla nebbia quando sentì due braccia cingerla e sollevarla
con
delicatezza. Trovò lo spazio per sperare che fosse Stefan
– perché
se così non fosse stato avrebbe voluto dire che era morto-,
ma
quella fu l'ultima cosa che riuscì a provare.
“Non
può essere portato via da questa grotta”
mormorò e non riconobbe
la propria voce.
Poi,
come se qualcuno avesse battuto le mani e fatto scomparire tutto, ci
fu solo un vuoto impossibile da riempire.
“E
questa d'ogni mia speranza
e'
la silenzio fine.
Sorse
tra bei colori il mio mattino
precoce
ed arida la fine”
Emily Dickens
Continua
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