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Autore: ermete    10/04/2013    14 recensioni
"Fu il turno dell’ex soldato di ridere “Il gioco non è finito.” mutò poi espressione, tornando serio. Fin troppo serio per quello che aveva definito un gioco “Catene.”
Sherlock registrò il cambio di espressione dell’uomo, ma non seppe attribuirvi la motivazione. L’uomo del mistero lo aveva stupito ancora “Catene?”
L’ex medico militare non attese la spiegazione dell’indizio, fornendo subito il successivo in un crescendo di impazienza e aspettativa “Sbarre.”
Sherlock era decisamente confuso “Ora stai dicendo parole a caso.”
“Specchi.” fu la risposta sempre più atona dell’uomo."

AU in cui John torna dalla guerra e, semplicemente, non è più lo stesso
Hurt/Comfort a palate e leggermente Noir
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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***Ciao pupette! Ecco il secondo capitolo (perdonate le 13mila e passa parole) di questa storia malata che sta facendo diventare bipolare anche me, ma che, ho scoperto, vi sta piacendo <3 vi ringrazio davvero, siete di incoraggiamento <3 Ora, non voglio ammorbarvi e anticiparvi nulla quindi la pianto qui! Volevo solo dirvi che, essendo una AU mi sono presa la libertà di inserire piccolissimi richiami alla serie originale, ma sono solo richiami perchè ad esempio qui Moriarty e la Adler non esistono quindi le cose a cui accenno sono proprio ineziucole... vabbè leggendo capirete a cosa mi sto riferendo XD (d'altronde anche nel primo capitolo c'è lo smile giallo con i fori di proiettile in faccia, ma non c'è stato il caso del Banchiere Cieco, quindi... capito no? Ecco u.u) e comunque sono solo dettagli che non interferiscono con la trama <3 Bonci, ho parlato anche troppo :D Vi slinguazzo tutte! BACIO!!!***



L'anima è lo specchio di un universo indistruttibile (*)

Con grande disappunto da parte di Sherlock, al John diurno capitava spesso di avere degli incubi di cui poi, stranamente, non ricordava nulla: la conseguenza evidente del suo sonno scombussolato era che, dopo un incubo, non riusciva mai a riaddormentarsi correttamente, bensì continuava a rotolarsi nel letto in uno scomodo dormiveglia che finiva col farlo alzare all'alba. Questo, ovviamente, implicava non incontrare il John notturno che tanto avevo affascinato Sherlock.

Sherlock stilò dunque uno schema mentale delle abitudini di John, riscontrando che quando lo coinvolgeva nei suoi casi, l'altro si stancava fisicamente al punto da dormire un sonno così tranquillo da scatenare l'episodio di sonnambulismo a cui conseguiva l'apparizione del John notturno.

La verità era che Sherlock, a prescindere da quella motivazione, aveva comunque deciso di coinvolgerlo nei suoi casi e ci era in parte riuscito: John era una persona molto curiosa ed intelligente, quindi, nonostante un'iniziale titubanza, si ritrovò a seguire il consulente investigativo con molto entusiasmo. Adorava in particolare i casi più machiavellici che comprendevano il furto di opere d'arte, truffe, investigazioni private del genere più disparato; tendeva invece ad evitare crimini violenti come omicidi, rapimenti e aggressioni di vario genere. A Sherlock spiaceva questo particolare perché era convinto che più alto era il rischio che correvano e maggiore sarebbe stata l'adrenalina. E una maggiore adrenalina avrebbe contribuito a risvegliare la porzione di psiche sepolta, incatenata e imprigionata di John. Inoltre, quando Sherlock si occupava da solo dei casi, John rimaneva a casa a rimuginare sul pericolo che il suo coinquilino avrebbe potuto correre, pensieri che si sommavano alle sue già numerose paranoie che causavano un piccolo passo indietro per la sua guarigione.

Poté tuttavia riscontrare un discreto successo nella realizzazione del suo piano: da quando convivevano, infatti, il John diurno aveva abbandonato la sua stampella in un angolino buio del suo armadio e il suo carattere stava acquisendo piccole sfumature che suggerivano una lenta ma progressiva rinascita. Sfumature come una maggiore imposizione delle proprie idee, rinvigorire la forza delle proprie proteste, contestare le decisioni altrui. Il John notturno, invece, possedendo una personalità decisamente più forte, non presentò molti cambiamenti evidenti, tuttavia Sherlock notò che addolciva a tratti i propri modi di fare rudi e sfumava i comportamenti possessivi nei suoi confronti.

Sherlock non se ne rese conto, ma la presenza di John, in tutto il suo essere, aveva un effetto terapeutico anche su di lui: ricorreva sempre meno all'uso della cocaina poiché grazie al suo mistero fatto a persona non si annoiava quasi mai. Paradossalmente, tuttavia, la frequenza con cui allietava il suo frenetico cervello con la soluzione al sette percento, era inversamente proporzionale alla cadenza con cui il John notturno si presentava. Inoltre, quando Sherlock non era abbastanza attento da nascondere i segni della propria dipendenza a John, riceveva due tipi di reazione diversa: mentre il diurno lo colpiva psicologicamente negandogli il dialogo e la propria presenza, quello notturno lo feriva fisicamente, assestandogli dei sonori schiaffi e dei sermoni degni di un capitano dell'esercito.

Erano diventati interdipendenti in un modo che entrambi, per un motivo o per l'altro, non erano minimamente in grado di immaginare.


°oOo°


Che cosa siamo noi?” chiese una volta il John notturno a Sherlock, mentre osservava il soffitto della propria camera da letto.

“Mh?” mugolò Sherlock che, dopo la schiaffo subito da John, era steso sul letto dandogli le spalle.

John ruotò su un fianco e insinuò la mano tra il braccio e il fianco di Sherlock, quindi gli appoggiò le labbra sulla nuca, tra i riccioli neri: si pentiva sempre subito dopo averlo colpito perché pur sapendo che l'altro si meritava una sgridata per aver ceduto nuovamente al richiamo della cocaina, sapeva che una punizione fisica non era il modo giusto per affrontare la questione. O, almeno, sapeva che lui non era solito comportarsi così. Lo strinse poi, in cerca di attenzioni, ripetendo il proprio quesito “Che cosa siamo noi?”

Sherlock si mosse per tentare di scrollarselo di dosso, ma non ci riuscì “Che domanda stupida.”

“Oh, insomma.” sbottò John, stringendosi ulteriormente a lui per fargli dispetto “Era solo uno schiaffetto. Se ti avessi colpito sul serio a quest'ora staresti ancora girando come una trottola.” e quando sentì l'altro iniziare la propria protesta verbale, si affrettò ad aggiungere “Ti fa molto più male la robaccia che ti inietti nelle vene che il mio schiaffo di prima.”

Sherlock sapeva che John aveva ragione, ma non lo avrebbe mai ammesso. Inoltre la guancia non gli faceva veramente male: era semplicemente offeso. Per l'affronto di John: neanche Mycroft aveva mai osato alzare le mani su di lui a causa della cocaina. Per la verità neanche tanto nascosta dietro la motivazione di quel gesto: sapeva di offendere il proprio corpo con l'utilizzo di quella sostanza, ma non riusciva a farne a meno. La sua dipendenza era al tempo stesso gioia e dolore, l'ossimoro per eccellenza. Non rispose dunque alle affermazioni di John, ma non provò più a divincolarsi dalla sua presa.

“Che cosa siamo noi?” ripeté John la cui domanda, evidentemente, necessitava assolutamente una risposta.

Coinquilini.” fu la risposta breve e apparentemente disinteressata di Sherlock.

John nascose la delusione con un tono sorpreso “Soltanto questo?”

Sherlock, infantile nel suo capriccio, non voleva dargli soddisfazione e sebbene la conferma che stava per fornirgli gli creava un accenno di nausea, non rinunciò a smentirsi “Sì.”

A volte sei cattivo.” John liberò Sherlock dalla presa delle sue braccia, quindi si voltò e dopo pochi minuti si addormentò senza emettere un fiato.

Sherlock se ne andò dalla stanza subito dopo.


°oOo°


Una sera, quando tornarono a casa, Sherlock era particolarmente di cattivo umore: il caso che gli aveva sottoposto il suo ultimo cliente era il peggiore che avesse accettato fino a quel momento. Tuttavia erano due settimane che non vedeva l'ombra di un caso interessante e pur di uscire dalla noia aveva accettato anche un banale caso di frode in un concorso di bellezza in cui non solo la soluzione era ovvia e scontata, ma aveva finito anche col ritrovarsi una limetta per unghie infilzata nel fianco destro.

John, che lo aveva accompagnato, si era fatto da parte non appena la situazione si era surriscaldata, fuggendo anche dallo sguardo malizioso di alcune aspiranti miss i cui sfioramenti erano divenuti tutt'altro che casuali e le occhiate ricche di malizia.

Sherlock non aveva spiccicato una parola in taxi, ma il continuo tamburellare delle dita sul proprio ginocchio suggerivano l'entità del suo malumore. John, d'altro canto, si limitava a guardarlo di tanto in tanto senza neanche provare a giustificare la propria improvvisa sparizione.

Una volta a Baker Street, nella tranquillità della casa, John trovò il coraggio per esprimere le proprie scuse.

“Sherlock, scusami.” iniziò John seguendo Sherlock con lo sguardo “È che lì... iniziavano ad esserci troppe persone... e urlavano tutte.” rabbrividì al ricordo di quella confusione e dovette appoggiarsi al muro poiché la gamba gli doleva “Mi sentivo a disagio.”

Sherlock, d'altro canto, non aveva voglia di sentirlo, né di vederlo. Prese in mano il teschio dentro cui c'era nascosto un pacchetto di sigarette dal quale ne estrasse una “Smettila di ammorbarmi con queste scuse, John.”

John avrebbe voluto protestare quando vide Sherlock accendersi una sigaretta, ma non ne trovò la forza “Ma è vero.” si giustificò dunque, muovendo qualche passo fino ad appoggiarsi alla propria poltrona.

“Inutile.” mormorò Sherlock, tirando le prime boccate di fumo con voracità “Completamente inutile.”

L'altro sospirò colpevole “Sherlock io... ti ho chiesto scusa.”

“Non me ne faccio nulla delle tue scuse!” sbottò Sherlock, alzando il tono di voce. Era la prima volta che discuteva con qualcuno arrivando persino ad urlare: di solito rimaneva calmo e distaccato, ma l'astinenza dalla cocaina unita alle scarse apparizioni del John notturno rendevano quello screzio, che sarebbe dovuto essere insignificante, un'enorme scusa per sfogare tutti gli umori negativi repressi da giorni.

A John parve strano tutta quella rabbia: Sherlock non era il tipo da prendersela così tanto per un motivo del genere “Va bene, sei arrabbiato, potrei dirti qualsiasi cosa che non andrebbe bene.” sospirò impotente e dall'alto della sua infinita pazienza offrì comunque il suo aiuto “Fammi almeno vedere quella ferita. Almeno ora potrei fare qualcosa per aiutarti.”

“Non è niente.” replicò Sherlock che, di fatti, si ricordò della ferita solo quando John l'aveva menzionata. Tirò altre boccate dalla sigaretta usando il caminetto come portacenere.

“Potrebbe fare infezione.” protestò John.

“Non ne ho voglia!” urlò Sherlock buttando il mozzicone tra le braci spente che poi smosse in malo modo con gli alari.

John osservò la scena e si sentì profondamente a disagio. Di nuovo. Lasciò passare qualche istante, quindi cambiò approccio “Ok, senti. Non ti sei mai arrabbiato per minuzie del genere.” il tono di voce era comprensivo “Cosa c'è veramente?”

“Eri un soldato!” Sherlock alzò nuovamente il tono di voce, buttando a terra il ferro con cui stava torturando la cenere nel caminetto “Eri in mezzo ai bombardamenti, in mezzo alle pallottole, in mezzo al finimondo e ora hai paura di un branco di galline urlanti!”

John spalancò gli occhi e deglutì pesantemente: non si aspettava che Sherlock avrebbe tirato fuori quella questione. Non l'aveva mai fatto, aveva sempre avuto la delicatezza di non parlarne o, quanto meno, di introdurre l'argomento con circospezione, quindi trasalì di fronte al suo impeto “Era...” esitò, abbassando lo sguardo “È stato tanto tempo fa.”

Sherlock si rese conto di cosa aveva detto solo quando lesse l'impaccio negli occhi di John. Si calmò un poco, ma ormai l'argomento era stato tirato in ballo, quindi tanto valeva affrontarlo “Esatto, tanto tempo fa. È ora che tu reagisca.”

John scosse il capo a metà tra lo sconcertato e l'ansioso “Non puoi capire.” pronunciò quella risposta vaga nella speranza di chiudere il discorso.

Sherlock allargò le braccia verso l'esterno “Spiegamelo.”

John non ne aveva la minima intenzione: rievocare gli orrori della guerra era fuori discussione. Non ne aveva la forza, non ancora. Alzò un indice accusatore verso Sherlock, provando a deviare il discorso “Parli proprio tu poi.”

Sherlock si espresse con una risata breve e secca “Cosa?”

“Parli tu.” ripeté John, gesticolando anche più del dovuto “Che quando c’è qualcosa che non va ti rifugi in quella maledetta camera da letto a drogarti.”

Il consulente investigativo scosse il capo: sapeva dove John sarebbe andato a parare. Era fin troppo facile intuirlo. Non fu altrettanto facile evitare di scendere al livello di John, di quel John impaurito ed insicuro, così facile da leggere e manovrare “Io almeno vivo, John.” non riuscì a frenare la lingua che in quel momento fu più rapida del suo cervello “Tutti i giorni e tutte le notti.”

John si bloccò, smettendo anche di gesticolare: osservò Sherlock reclinando il capo verso la spalla sinistra nell'espressione più basita e al tempo stesso ignara che avesse mai assunto in vita propria “E questo cosa significa?”

“Nulla.” replicò Sherlock, mordendosi la lingua per la rivelazione che si era lasciato sfuggire. Non era saggio che il John diurno sapesse del John notturno, non ancora. Il John diurno non avrebbe capito, ne era certo “Non significa nulla.” distolse lo sguardo sospirando per l'incredibile piega che quella assurda discussione aveva preso.

John interpretò in modo tutto suo la mimica di Sherlock. Distolse a sua volta lo sguardo prima di posarlo nuovamente sull'altro: i suoi occhi erano accesi di un barlume di coraggio. Perché aveva bisogno di tutta la forza che possedeva per palesare quel pensiero che gli opprimeva la mente ogni volta che discutevano seriamente e che mai era riuscito a pronunciare “Sarebbe stato meglio se mi avessi lasciato in quel garage.” disse a voce alta, dando forma ad una delle sue paure “Lo pensi a volte. Vero?”

Se da una parte Sherlock era felice di poter vedere negli occhi di John quella luce di forza e coraggio, dall'altra fu spaventato dal significato delle parole appena pronunciate. Non era vero, non aveva mai pensato a quell'eventualità, non lucidamente quantomeno. Gli era capitato di pensarlo dopo due settimane di incubi in cui il John notturno non si era palesato e che aveva portato all'assunzione di una dose al limite dell'eccesso. John gli aveva fatto una paternale infinita e Sherlock dovette mordersi la lingua per non spiattellargli la verità in faccia e farlo crogiolare nelle sue paranoie infinite. Era in quella situazione che lo aveva pensato, ma ringraziò il proprio autocontrollo che gli impedì di pronunciare le parole di cui ora John lo stava incolpando. Inspirò a lungo concentrandosi sullo sguardo di John, chiedendosi se fosse il John notturno a parlare, se fosse riuscito ad infiltrarsi nella psiche del John diurno per poterlo così sfidare apertamente: sarebbe stato da lui. Ma la verità era che non aveva mai visto quello sguardo in John e, rimanendone sia affascinato che annichilito, rispose in malo modo ponendosi sulla difensiva “Non provare a leggermi, John, non ne sei capace.”

La reazione di Sherlock contribuì a rammaricare John: il suo sguardo precedentemente acceso di forza, assunse anche una colorazione amareggiata “Non hai negato.”

“John.” Sherlock avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma John lo interruppe.

“Sai, tu puoi essere molte cose. Sei geniale, brillante e incredibilmente intelligente.” drizzò le spalle e il tono era saldo pur nella sua nota intristita “Poi ci sono le volte che sei insopportabile, borioso e vanitoso. E questo posso sopportarlo.” si staccò dalla poltrona e fece qualche passo indietro “Poi ci sono quelle volte che fai male, Sherlock. A volte sei cattivo.” concluse incamminandosi verso l'uscita dell'appartamento. Aveva avuto la forza di esprimere il proprio rammarico, ma non aveva il coraggio di sentire una nuova risposta sprezzante da parte di Sherlock.

Sherlock spalancò gli occhi e ripeté quelle parole nella sua mente. 'A volte sei cattivo': non era la prima volta che sentiva pronunciare quelle parole da John e non dovette sforzarsi per ricordare l'episodio a cui era collegato quel ricordo “John...” si ritrovò senza voce quando provò a chiamarlo, fiato che gli tornò quando sentì i passi dell'altro scendere le scale di corsa “John!” urlò, ma il portone del 221B era già stato sbattuto con forza.


Sarebbe stato così facile per Sherlock cedere al fascino della cocaina in quel momento. Ripensò a ritroso agli avvenimenti mentre cercava il proprio astuccio nero nel cassetto dei calzini.

John che se ne andava sbattendo la porta: sarebbe tornato? Doveva farlo, non aveva un posto dove andare. Londra può diventare un posto molto pericoloso di notte e il John diurno aveva paura praticamente di tutto.

Lo sguardo di John che non apparteneva né al diurno, né al notturno. Che appartenesse al vero John? Quando lo aveva aiutato a sistemarsi nella stanza al piano di sopra aveva notato un vecchio libro da cui spuntavano delle foto, ma dato che John passava la maggior parte del proprio tempo a casa, non aveva ancora avuto modo di cercare quel libro. Si ripromise di farlo e nel mentre prese l'astuccio tra le mani.

La stupida discussione, le scuse di John, il disagio provato durante le indagini. E poi la consapevolezza che per la prima volta in vita sua stava mettendo in discussione il proprio carattere a causa di un'altra persona. Provò ad analizzare il resto, ma la verità era che la sensazione che continuava ad affiorare era il timore che John non tornasse. Non solo per la curiosità che provava nei confronti del John notturno, ma anche per il sincero sentimento che si accorse di provare anche per il diurno. Un sentimento che era affetto misto a senso di protezione nei confronti di quell'uomo spaventato che, conoscendo il corrispettivo notturno, sapeva che nascondeva il cuore di un leone. E un senso di appartenenza. Quando alzava lo sguardo verso John, sapeva che lui avrebbe ricambiato con un sorriso che seppur debole nascondeva una dolcezza che nessuno aveva mai usato nei suoi confronti.

Urlò di frustrazione e lanciò l'astuccio contro il muro, odiando se stesso e la propria dipendenza, madre dell'astinenza che aveva causato il suo malumore che aveva a sua volta condotto a quella lite. Mentre si buttò esausto sul letto, privo di stupefacenti nelle proprie vene, gli parve molto chiara la situazione: John non era solo un esperimento, un mistero, un caso da risolvere. John, in tutte le sue sfaccettature, era ciò che lo faceva sentire al sicuro in quell'appartamento, così come ovunque o in nessun dove, sempre oppure mai. E ora che la sorgente della sua sicurezza era lontana, si sentiva pericolosamente e ineluttabilmente perduto.


Sherlock si risvegliò dopo un lasso di tempo che non riuscì a calcolare: sapeva solo che era notte, poiché le uniche luci che filtravano dalle persiane chiuse erano quelle gialle e artificiali dei lampioni presenti a Baker Street. Sdraiato su un fianco, si sollevò e ruotò fino a ritrovarsi seduto con i piedi appoggiati per terra: controllò l’ora e si stupì di sentirsi ancora stanco nonostante avesse dormito quasi quattro ore. Era un’altra novità: non gli era mai successo di addormentarsi per la stanchezza provocata da quel tipo di stress emotivo.

Inspirò a lungo e si alzò muovendosi lentamente, a piedi nudi, incamminandosi verso l’uscita della propria stanza: era il momento di verificare se John fosse tornato a casa o se avesse preferito passare la notte in qualche posto buio ed umido pur di affrontarlo nuovamente.

Camminò adagio il corridoio che collegava la camera da letto al soggiorno: una volta giunto nell’ampio spazio aperto che comprendeva salotto e ingresso, iniziò a cercare i segni dell’eventuale passaggio di John. Scoprì con rammarico che non vi era la sua giacca appoggiata allo schienale della poltrona, così come non c’erano le scarpe poste ordinatamente in un angolino dell’ingresso. Entrò in cucina: il bollitore era freddo e non c’erano tazze utilizzate nel lavello. John era solito farsi una tisana rilassante prima di andare a dormire per cercare di sfuggire agli incubi.

Sherlock si riscoprì a mugolare di autentico dolore: mentre con la mano sinistra si avvolgeva il ventre in un piccolo massaggio, con la destra si coprì naso e bocca impedendo ad una dose eccessiva d’aria di soffocarlo. Gemette frustrato, finché non si accorse che Douglas non era presente nel soggiorno. Trovando il costante appoggio del muro contro il proprio profilo destro, si incamminò verso il salotto, quindi verso le scale che salì lentamente eppure con insofferenza. La porta della camera di John era socchiusa quindi poteva scorgere la luce dei lampioni che rischiarava appena la stanza a causa delle persiane lasciate aperte, ma non proveniva nessun rumore dall’interno. Né il miagolio di Douglas, né tanto meno il respiro pesante tipico di una persona dormiente.

Sherlock scosse il capo ripetendosi che non poteva averlo perso, non per una stupida discussione, non per colpa del suo brutto carattere peggiorato dall’astinenza, non per colpa della droga. Un’altra fitta di dolore lo colpì allo stomaco, mentre il diaframma si alzava ed abbassava in due piccoli singhiozzi. Trovò il coraggio di alzare il braccio sinistro col quale spinse leggermente la porta per avere la conferma o la smentita di ciò che gli stava provocando un dolore che, in tutta la sua vita e fino a quel momento, era secondo solo alla morte dei suoi genitori.

Poi lo vide. Non avrebbe potuto udire i miagolii di Douglas, né il respiro pesante di un John dormiente, no di certo. Non avrebbe potuto farlo perché Douglas stava dormendo sul lato destro del letto e John era seduto, impegnato a sbarbarsi nel bel mezzo di un episodio di sonnambulismo. Sul comodino affianco al lato sinistro del letto, un flaconcino contenente compresse a base di melatonina per conciliare il sonno e, buttate disordinatamente ai piedi del letto, le scarpe e la giacca di John.

Il sollievo provato da Sherlock, lenì almeno in parte il dolore allo stomaco che si trasformò in un pesante groppone che sembrava volergli impedire di respirare. Si trascinò sul letto di John, di fronte al quale si inginocchiò: lo sguardo vuoto del coinquilino fu la molla che fece scattare definitivamente il suo sfogo. Alzò nuovamente la mano destra sul volto, provando a fermare le piccole lacrime che insistevano a volergli rigare le guance: sentì il diaframma traballare e dovette usare anche la mancina per cercare di nascondere i singhiozzi che lo stavano animando.

Quando l’episodio di sonnambulismo finì, il John notturno impiegò pochissimi istanti prima di realizzare cosa stesse succedendo “Sherlock.” sussurrò con una dolcezza che quella porzione di psiche così esageratamente spavalda e maliziosa non era abituata ad usare. Il soldato capì subito: era la parte dominante della psiche spaccata di John, quindi era quasi sempre presente mentre l’altra metà era sveglia. Non interveniva quasi mai, ma aveva abbastanza forza per assistere alla vita della metà diurna, quindi aveva assistito alla lite con Sherlock. Aveva assistito e aveva capito. Aveva da subito capito come ragionava Sherlock e quali erano i suoi diversi interessi nei confronti di entrambe le parti del suo essere. Così ora aveva di fronte a sé un giovane uomo in piena crisi emotiva che temeva di aver perso l’unica persona per la quale pensava valesse la pena vivere, mettersi in gioco, rischiare tutto. Lo chiamò nuovamente per nome, ma Sherlock in quel momento era come un bambino che non sapeva come affrontare qualcosa di più grande di lui: era fermo, seduto sui suoi stessi talloni, con le mani che gli celavano in parte il viso e gli occhi umidi e spaventati puntati sulla fonte della propria salvezza.

John si sporse in avanti e dopo aver alzato le braccia che poi chiuse attorno all’esile corpo di Sherlock, tornò seduto sul letto, appoggiato allo schienale, stringendo l’altro in una posizione che forse non era completamente comoda, ma che ispirava un senso di protezione tale da far smettere di tremare il coinquilino per qualche istante “Sherlock, va tutto bene. Sono qui.” sussurrò John con le labbra appoggiate sulla fronte dell’altro. Essendo il John notturno la chiara rappresentazione di una porzione di psiche portata all’eccesso, solitamente non trovava strano il piacere dell’egoistica idea di essere l’unica persona importante per Sherlock, anche a discapito dell’altra metà di sé, il John diurno, colui che trascorreva la maggior parte del tempo con il consulente investigativo. Ma anche il John notturno, seppur di nascosto, si stava evolvendo e percependo il disagio ed il dolore di Sherlock, non poté fare a meno di modificare la propria ultima asserzione “Siamo qui, Sherlock. Non ce ne andremo da nessuna parte.”

Le ultime parole di John ebbero un effetto salvifico per l’intatta ma affranta psiche di Sherlock che gli buttò a sua volta le braccia attorno al collo e strinse convulsamente, più forte che poté, liberando nuovi ma piccoli singhiozzi che ebbero il piacevole effetto di scatenare l’empatia di John il quale gli strinse le braccia attorno alla vita, muovendo le mani sulla schiena a mo’ di massaggio.

“Shush...” lo consolò John che molto lentamente riuscì a farlo girare: lo fece sdraiare pur senza spezzare la stretta entro la quale continuava a tenerlo. Gli fece appoggiare il capo sul proprio bicipite e coprì entrambi col piumone: sapeva che Sherlock se ne sarebbe comunque andato via una volta che avesse ceduto al sonno per non rischiare di destare sospetti nel John diurno, ma almeno finché riusciva a rimanere sveglio voleva tenerlo accanto a sé. Per consolarlo, per fargli capire che era importante e che non si sarebbe mai allontanato da lui. Nuovamente gli posò le labbra sulla fronte e aspettò che Sherlock si fosse calmato un poco per parlare “Stai meglio?”

Sherlock si lasciò guidare e riuscì a calmarsi un poco di fronte alle premure di John sul cui braccio appoggiò la tempia destra e sul cui torace fermò le proprie mani che apriva e chiudeva a pugno, mimando inconsciamente le carezze che Douglas era solito fargli quando lo teneva in braccio. Si sentiva nuovamente al sicuro occupando assieme a John solo la metà di quel letto a due piazze, avvolto dal morbido piumone, ma soprattutto dalle calde braccia di quel John notturno che sembrava così diverso dal solito. Alzò lo sguardo ancora umido di acqua e sale sul suo per sincerarsi che quel John fosse veramente il soldato notturno che era solito sfiorarlo maliziosamente o schiaffeggiarlo dopo l’assunzione di una dose di cocaina. Era lui, era il soldato: i suoi occhi blu erano forti, privi di paure ed esitazioni. Ma notò anche che l’espressione entro cui orbitavano era addolcita, non più rigida o sfacciata. Dunque anche il John notturno mostrava segni di cedimento. Sherlock pensò che fosse logico, in fondo: era come se il diurno e il notturno fossero due immagini opache che, andando via via sovrapponendosi, avrebbero finito col formare il vero John. Entrambe avrebbero dovuto cedere, dunque. Non solo il John diurno.

Non sentendo alcuna risposta verbale, John abbassò il capo quando vide Sherlock soffermarsi sul suo sguardo. Sorrise leggermente, quindi gli sfiorò il viso con le labbra partendo dalla guancia destra che iniziò ad asciugare, seguendo a ritroso il percorso delle lacrime che erano state piante, fino a baciargli l’occhio e la palpebra. Fece lo stesso con la parte sinistra del viso, terminando le proprie cure con l’ennesimo bacio sulla fronte di Sherlock che rimase ancora in silenzio. Bloccato nella presa possessiva di John, allietato dalla delicatezza delle sue carezze, in un paradosso tra due differenti gestualità di cui lo stesso soldato non sembrava accorgersi.

Sherlock invece riuscì a notare quella antinomia nonostante l’agitazione che lo aveva colto solo pochi minuti prima. Era impossibile non notare quelle contraddizioni sottili eppur sempre presenti sia nel John diurno che in quello notturno. Quelle piccole cose ma che a Sherlock sembravano così evidenti. Come se quei due differenti John fossero in realtà delle bambole le cui teste erano state attaccate a dei corpi sbagliati, con i corpi che non riuscivano ad interpretare i messaggi del cervello semplicemente perché non riconoscevano quel cervello come il comandante di quella complicata macchina che è l’uomo. Tuttavia, a Sherlock quella presa salda e possessiva piaceva. Si sentiva al sicuro, si sentiva voluto. “John.” ruppe poi il silenzio all’improvviso, la voce ancora impastata dal leggero pianto.

“Sherlock.” ricambiò John che, dopo aver posato la propria fronte su quella dell’altro, si ritrovò a sospirare pesantemente sulle labbra di Sherlock. Era capitato molte volte, durante i loro incontri, che fosse tentato di baciargli gli labbra, così come era altrettanto palese il fatto che non gli importasse nascondere quel desiderio. Era tuttavia altrettanto vero che non avesse ancora osato farlo: succedeva che si perdeva a fissargli le labbra, quindi guardava Sherlock negli occhi, lo guardava molto intensamente e dopo qualche istante di titubanza si tirava indietro. Proprio come in quel preciso momento: provò a dissimulare l’accaduto voltandosi il tanto che bastava per accendere la luce dell’abat jour presente sul comodino “Fatti vedere un pochino, impiastro.”

Sherlock mugolò frustrato quando sentì il respiro di John allontanarsi: ci aveva sperato. Questa volta ci aveva veramente sperato. Il momento sembrava propizio, l’atmosfera quella adatta e invece nulla. Non riusciva a comprendere il motivo dell’esitazione di John: era già capitato che lo avesse toccato con malizia, che si fosse strusciato in maniera equivoca, ma mai e poi mai aveva osato baciarlo. Si bloccava sempre quando lo guardava negli occhi. Sospirò e strizzò le palpebre di fronte all’improvvisa luce dell’abat jour “Non sono un impiastro.” protestò leggermente e alzando lo sguardo, assistette proprio al momento in cui John si voltò nuovamente verso di lui, la luce del paralume come alone, come aura perfettamente adatta a circondargli il viso. Sherlock perse il respiro per qualche istante perché John non gli era mai parso così bello come in quel momento.

“Sì che lo sei.” ridacchiò John per poi riportare anche il braccio destro su Sherlock, posandoglielo sul torace. Socchiuse gli occhi e gli avvicinò le labbra all'orecchio sussurrando in tono possessivo “Il mio impiastro.”

Sherlock rabbrividì quando percepì le labbra di John sfiorargli prima il lobo, poi il collo. E non poté fare a meno di notare un cambiamento nel carattere del John notturno che, mentre quando lo consolava sembrava aver abbandonato la malizia e la superbia che lo contraddistinguevano, ora le stava via via recuperando. Non che gli desse fastidio, ma la dolcezza con cui l'aveva tranquillizzato pochi istanti prima l'aveva fatto sentire bene in un modo in cui non lo era mai stato. Reclinò appena il collo, tuttavia, permettendogli di adoperare quelle particolari attenzioni “Dove sei stato prima?”

“Dove è stato lui, vorrai dire.” tenne a specificare John “In giro, a schiarirsi le idee.” spiegò dunque, mentre lasciava scendere la mano destra fino al ventre di Sherlock “Eri sempre nei suoi pensieri.” aggiunse poi, mimando il modo di parlare del John diurno, rendendolo esageratamente più insulso, sottolineando quanto, a suo parere, fosse molto patetico “Sono geloso, sai?” se ne uscì, poi, fermando la mano all'altezza dell'ombelico di Sherlock che era ancora coperto dalla maglietta di cotone.

Sherlock, ancora appoggiato con la nuca sul bicipite di John, seguì i movimenti della mano del soldato “Geloso di te stesso?”

John piegò il gomito sinistro, in modo da poter raggiungere il mento di Sherlock che alzò, osservandolo così in volto “Lui non è me.”

Il consulente investigativo inarcò un sopracciglio “Sì che lo è.” lo corresse, ma nell'ala del suo Palazzo Mentale dedicata a John, non poté fare a meno di annotare quanto il notturno insistesse nel voler prevalere sul diurno.

John chiuse gli occhi e scontrò la propria fronte con quella di Sherlock in un gesto che, probabilmente, avrebbe voluto essere più delicato “Detesto quando hai ragione.”

“Quindi mi detesti sempre.” osò Sherlock armato a sua volta delle proprie munizioni: presunzione che affrontava altrettanta sicumera.

“Tu avresti sempre ragione?” John rise “Anche prima, quindi? In salotto?” domandò strafottente, dimostrando quanto effettivamente fosse cambiato nel giro di pochi minuti. Non temeva di offendere o dispiacere il proprio interlocutore, soprattutto se voleva impartire una lezione.

Ma a Sherlock non piaceva ricevere lezioni da alcuno. Soprattutto se la lezione riguardava un argomento così delicato “Questo è un colpo basso.” ruotò sul fianco sinistro, tutto intenzionato ad allontanarsi.

John, d'altro canto, non era d'accordo “Fermo dove sei.” lo bloccò prima che potesse allontanarsi legandogli entrambe le braccia attorno alla vita in una presa totalmente costrittiva e possessiva. Affondò il viso nell'incavo tra la spalla e il collo di Sherlock posando le labbra ovunque riusciva ad arrivare, mentre con le mani continuava a stringerlo e ad esplorare il suo corpo come mai era ancora giunto a fare “Mi sei mancato.”

Sherlock trasalì per la sorpresa perché non solo sentì le mani di John farsi strada sotto la sua maglietta, ma, data la posizione, poté percepire l'evidente eccitazione del soldato premergli contro il fondo della schiena. Sentì anche il proprio corpo reagire a quella vicinanza, a quel tocco, a quelle labbra. Cercò tuttavia di dissimulare il tutto mantenendo un tono di voce neutro e un atteggiamento apparentemente distaccato “Comunque è colpa tua se ero così nervoso.”  nel trovare una scusa per giustificare il proprio operato, si rese conto troppo tardi che le proprie parole finirono col donare al John notturno un'importanza che avrebbe preferito non palesare. Ma ormai era inutile ritrattare, quindi continuò “Non ti facevi vedere da una settimana.”

John, infatti, mugolò lusingato “Ora riconosco il mio Sherlock Holmes che dà agli altri la colpa dei propri errori.” mosse i palmi sotto la maglietta di Sherlock, tastando a piene mani il torace asciutto che continuava ad esplorare con un interesse che non aveva la minima intenzione di celare. Lasciando la destra a giocare con i capezzoli inturgiditi, fece scendere la sinistra sull'addome, quindi sull'ombelico e solo quando iniziò a giocare con l'elastico dei pantaloni si sentì fermare da Sherlock.

Il consulente investigativo gli fermò la mancina perché non voleva smascherare la propria eccitazione in quel momento. Non era certo del motivo del proprio indugio: forse temeva, semplicemente, che una volta che avesse permesso a quella nave di salpare non sarebbe più tornato indietro. O, più probabilmente, avrebbe preferito risolvere prima il proprio litigio col John diurno “Ora riconosco il mio John Watson che infila impunemente le mani ovunque.”

John rise “Te l’ho detto, mi sei mancato anche tu.” sussurrò poi e, pur fermando le proprie mani, strusciò il proprio bacino sul fondoschiena di Sherlock in un gesto tutt'altro che casuale. Smontò poi la propria presa coercitiva a favore di una più morbida “Hai già pensato a come risolvere la situazione con l’altro?”

Quando Sherlock sentì il proprio corpo libero di muoversi, ruotò di centottanta gradi, sdraiandosi su un fianco in modo da poterlo osservare “Accetto suggerimenti.”

John lo lasciò fare, ma tenne la propria mano destra sul fianco di Sherlock per non farlo allontanare troppo “Basterebbe che gli chiedessi scusa.” rise, poi, per le proprie stesse parole “Ma tu sei Sherlock Holmes, tu non chiedi scusa.”

Sherlock ruotò gli occhi verso l'alto di fronte al sarcasmo di John “Visto che lo sai, non sprecare fiato.”

Il soldato, d'altro canto, fece spallucce “Beh, questa volta dovrai farlo.”

“Vuole andarsene?” fu la domanda repentina di Sherlock il cui tono di voce si fece evidentemente allarmato.

John annuì gravemente “Portandomi via con sé”

Sherlock scosse il capo, iniziando a dubitare delle parole dell'altro che in quel momento gli pareva fin troppo tranquillo: in fondo, se il John diurno se ne fosse andato, ci avrebbe perso anche lui “Non è vero.”

“Te la senti di rischiare?” lo sfidò John accentuando la propria presa sul fianco di Sherlock.

“John.” sussurrò Sherlock: lo vedeva diverso rispetto al solito, come se quel lato della sua personalità già esclusivamente smaliziato, fosse stato portato ulteriormente all'eccesso “Perché ti comporti così? Fino a pochi minuti fa eri...” faticò a trovare la parola giusta “...diverso.”

John si esibì in un sorriso che era un misto tra compiacimento e allusività “Oh, Sherlock. Diverso rispetto a chi, a quando e quanto?” rise nuovamente e nel tirarlo un poco verso di sé, fece sfumare l'ambiguità della propria espressione rendendola leggermente più comprensiva “Povero piccolo, sono troppo complicato persino per l’uomo più geniale e brillante di tutta Londra.”

“Com’è possibile?” mugugnò Sherlock che dovette riconoscere la realtà di quel fatto: aveva compreso ben poco di John e anzi, continuare a conoscerlo non lo aiutava a capirlo meglio.

“Sei troppo coinvolto ormai.” spiegò John che, tra i due, sembrava incredibilmente quello più intuitivo “Non sono più solo il tuo caso, una rarità da studiare.” sussurrò svelando la conferma di ciò che Sherlock sospettava già da tempo: lo scienziato era stato scavalcato dal suo stesso esperimento e ora era a lui a dettare le regole del gioco “Sono molto di più, ora.”

Sherlock non riuscì a smentire. D'altronde sarebbe stato inutile, era evidente. A quanto pareva il John notturno assisteva alla vita del John diurno molto più di quanto Sherlock avesse creduto, ritrovandosi così con molti più dati per poterlo capire e al tempo stesso con molte più possibilità di poter celare i lati della propria psiche che voleva tenere nascosti. Mentre Sherlock ringraziava se stesso per non essere una persona per nulla trasparente, si preoccupò di cercare di tener testa a John. Quelle continue sfide, d'altro canto, lo stimolavano parecchio “Così come io sono per te molto più che una semplice dama di compagnia per il tempo in cui rimani sveglio.”

“Vero.” John annuì, quindi socchiuse gli occhi ed avvicinò le labbra all'orecchio di Sherlock “Ma a me non dà fastidio ammetterlo.” scese ancora con il viso, iniziando a baciargli languidamente il collo. Mosse nuovamente anche la mano, tirando il fianco di Sherlock verso il proprio.

A Sherlock sarebbe piaciuto così tanto cedere, sfogare tutte le sue frustrazioni facendosi assalire dal corpo di quell'uomo dalla psiche così prepotentemente scissa a metà da poter eventualmente e tranquillamente evitare qualsiasi ripercussione con il John diurno, ma fu proprio il pensiero della metà mancante che lo fece desistere. Lo sguardo che il John diurno gli aveva riservato durante la loro lite lo aveva marchiato a fuoco facendo in modo che il suo pensiero andasse costantemente a lui “Dimmi come posso farmi perdonare da lui.” chiese dunque, posando la destra sul capo di John e la sinistra sui propri pantaloni per impedire che scendessero sotto il tocco insistente dell'altro “Affinché rimaniate qui.”

John si staccò dal collo di Sherlock e si allontanò abbastanza per riuscire a guardarlo in viso “Inizia a piacerti anche lui.”

Lui è te.” Sherlock si accorse solo dopo aver pronunciato quella risposta di non aver smentito l'affermazione di John.

“In parte.” ribadì John che sembrava essere sempre più insofferente all'idea di dover dividere Sherlock con quella che sì, era una parte di sé, ma che in quel momento non conviveva appieno con lui.

Sherlock fu tentato di ingraziarselo con qualche moina, ma preferì non rischiare quella mossa azzardata “Dimmelo.”

John sbuffò: se voleva continuare a vedere Sherlock, era necessario che la sua metà diurna continuasse a vivere in quella casa, con lui “Chiedigli scusa. Va bene anche a modo tuo.” ritrasse le mani dal corpo di Sherlock, sdraiandosi supino e tenendo solo il capo voltato verso di lui “Non è testardo come me, accetterà anche un gesto gentile che non necessiterà tassativamente la pronuncia della parola ‘scusa’.” rise appena “Non vorremmo mai che il signor Holmes si abbassasse a tanto.”

Sherlock annuì, quindi seguì il corpo di John sul cui fianco si appoggiò appena. Sapeva che il soldato stava per addormentarsi, quindi desiderava semplicemente rimanere a guardarlo da vicino, cosa che il John diurno raramente non gli permetteva “John.”

John mugolò appena, alzando il braccio verso il viso di Sherlock in una carezza che, in quel momento, sembrava essere molto gentile “Sto per addormentarmi, Sherlock.”

“Per prima, sai...” sussurrò il consulente investigativo, accogliendo con un sorriso il dolce tocco di John: arrivò pure a posare la mano sopra a quella dell'altro per continuare a tenerla sulla propria guancia “Sei stato di aiuto.”

John sorrise con gli occhi socchiusi “La parola che cerchi è ‘grazie’.”

Anche Sherlock allargò le labbra che poi andò a posargli sulla fronte: aveva notato che quando il John notturno stava per addormentarsi diventava incredibilmente più dolce, quindi decise di ripagare quell'attitudine rara e gradita “John.” sussurrò ancora, come se sperasse di evocarlo solo grazie al potere del richiamo verbale.

Che cosa siamo noi?” chiese John, come spesso gli capitava di fare nel dormiveglia.

Sherlock si aspettava quella domanda, ma, come sempre, gli riusciva difficile trovare una risposta “Coinquilini.” iniziò, per poi posargli le labbra sulla guancia sinistra, quella più vicina a sé “Amici.” lo premiò poi, perché voleva ricompensare la dolcezza con cui l'aveva consolato all'inizio del loro incontro.

John sorrise ad occhi chiusi, soddisfatto “Notte, Sherlock.”

Sherlock attese qualche istante soffermandosi sul sorriso disegnato sulle labbra di John. Le labbra di John. Le avrebbe volute davvero “Perché non mi baci?” domandò, sicuro di non poter essere ascoltato.

“Perché...” esalò John, spaventando quasi Sherlock che si ritrasse subito, pur non essendo così vicino alle sue labbra. Ma la mente di John era già lontana, fluttuante in un ipotetico ponte di cristallo in cui attendeva che dall'altra parte della sponda facesse capolino la sua metà, il John diurno. “...perché...” Sulle sue labbra, le stesse labbra che Sherlock avrebbe voluto baciare, rimaneva solo l'eco dell'ultima parola da lui pronunciata e che era priva della motivazione essenziale che il suo coinquilino ed amico andava cercando.


°oOo°


John si svegliò relativamente presto la mattina successiva: dalla finestra le cui persiane si era dimenticato di chiudere filtrò un raggio di sole lo colpì in pieno volto, facendolo mugugnare e voltare dall'altra parte. Provò a riprendere sonno, ma i rumori provenienti dal piano di sotto gli impedirono di farlo.

Cosa stava combinando Sherlock, questa volta?

Il pensiero della lite col consulente investigativo lo investì come un'onda. Un'onda che, indietreggiando per tornare ad abbracciare il proprio mare, lasciò uno strascico dietro di sé.

Perché Sherlock lo aveva preso così a cuore?

A John piaceva praticamente tutto di Sherlock, persino i suoi difetti e le sue stranezze. Persino quando gli faceva male, quando era cattivo. Perché sapeva che in verità Sherlock non lo era, non con lui quanto meno. A volte si esprimeva con parole infelici, non poteva negarlo, ma era anche vero che così come eccedeva in negativo, lo faceva anche in positivo, dimostrandogli una premura che John non pensava di meritare. Considerando anche tutta la situazione.

Perché, in fondo, cosa faceva lui per Sherlock?

Gli riordinava la casa, cucinava, faceva la spesa. A volte provava a convincerlo di non drogarsi, ma con scarsi risultati. Gli faceva compagnia? Davvero a Sherlock serviva compagnia? Sapeva che gli facevano piacere i suoi sinceri complimenti, ma davvero lo teneva in casa solo per quel motivo?

Che Sherlock gli stesse nascondendo qualcosa?

Il suono del violino di Sherlock lo ridestò dai suoi pensieri: si alzò e recuperò un maglione dalla sedia vicina al letto, quindi si apprestò a scendere al piano di sotto.

Quando John entrò nel soggiorno, Sherlock stava ancora suonando il violino, dando le spalle all'ampio ambiente domestico. John evitò di salutarlo, apprezzando come sempre le note delicate suonate dal consulente investigativo che preferì non interrompere. Entrò in cucina e si fermò di fronte alla vista della tavola apparecchiata: l'aroma del caffè lo raggiunse per primo sfiorandogli l'olfatto, per poi lasciar spazio al gusto che previde il dolce sapore della marmellata presente nel piattino vicino alle fette biscottate. L'udito era già ampiamente soddisfatto dalla musica che continuava a fare da sfondo a quella mattina pacifica e quasi surreale. Mancava il tatto, pensò John. Poi vide un foglietto ripiegato a metà fermato dalla tazza girata a testa in giù: lo prese in mano e lo lesse.

Ho spazzolato Douglas. Sembrava felice. SH

John sorrise perché scoprì che in un certo senso era stato soddisfatto anche il tatto: fu letteralmente toccato da quel gesto che, in modo del tutto timido e forse imbarazzato, era il modo di Sherlock di chiedere scusa. Sherlock usava sempre Douglas come tramite per le richieste che non riusciva a palesare a voce. Richieste come l'implicita domanda sottintesa tra quelle parole.

Douglas è felice di stare qui, tu ami Douglas, tu devi rimanere qui perché io rendo Douglas felice.

John alzò lo sguardo quando si accorse che la musica aveva lasciato posto al silenzio: notò anche un'ombra dietro di sé, quindi non si stupì quando, voltandosi, si ritrovò Sherlock a pochi passi di distanza. Lo osservò e non poté fare a meno di notare che sembrava in attesa di qualcosa, di una risposta, dell'esito che le proprie personalissime scuse avevano portato.

John scoprì l'innaturale desiderio di tenerlo un poco sulle spine: indietreggiò e dopo essersi seduto iniziò a fare colazione, controllando il consulente investigativo di sottecchi. Lo vide fremere e sederglisi accanto ad una distanza che non poté definire socialmente accettabile. John continuò ad ignorarlo e finse sia di leggere il biglietto più volte, che di soppesare una decisione che non necessitava neanche di essere presa. Non aveva mai voluto andarsene da quella casa, neanche la sera precedente, neppure quando aveva sbattuto il portone dietro di sé. Ma vedere Sherlock ribollire di impazienza lo divertiva ad un livello sottile, seppur innocente.

Sherlock continuava ad avvicinarsi millimetro su millimetro finché non arrivò ad appoggiare il mento sul braccio destro di John, impedendogli di usarlo: ruotò il volto poi, in modo da poterlo osservare. Era convinto che John lo avesse perdonato: nulla nel suo linguaggio corporeo suggeriva rabbia. Tuttavia ne voleva la conferma.

A John fuggì un piccolo risolino “Sì? Vuoi qualcosa?” gli sembrava di aver a che fare con Douglas e la cosa lo divertiva a dismisura.

Sherlock, che sembrava avesse davvero acquisito parte del carattere di un felino, non rispose a parole, bensì si limitò a mugolare e ad osservarlo in modo eloquente. Lo sai bene cosa voglio, diceva il suo sguardo. Trovò tuttavia interessante il modo scherzoso in cui John aveva impostato quella innocente disputa: sembrava meno apatico e molto più vivo. E ancora una volta, lo trovò molto bello.

John posò la tazza ed alzò la mancina fino a posarla tra i capelli di Sherlock: non sapeva il perché, ma provava anche l'irrefrenabile istinto di avvicinare anche le labbra a quella foresta nera e selvaggia, ma si limitò a sfogare quel bisogno con alcune carezze. Erano carezze strane, che partivano pesantemente e che si concludevano in maniera più leggera e delicata, che si soffermavano pochissimi istanti sulla cute prima di ripartire e tornare sostanziose. Era come se stesse accarezzando Douglas. Era come se non volesse accarezzarlo, ma non potesse al contempo farne a meno.

Sherlock liberò il viso in un sorriso liberatorio sospirando di autentico sollievo quando sentì il tangibile perdono di John accarezzarlo. Si stupì, inoltre, del modo in cui aveva scelto di farlo: il John diurno non lo toccava spesso e certamente non in modo così sentito. Il John diurno era quello che ripeteva di non essere gay quando qualcuno insinuava che loro due fossero una coppia e che faceva di tutto per non guardarlo quando gironzolava per casa con addosso solo un lenzuolo finendo così col rendere le proprie occhiate ancora più evidenti. Il John notturno che si faceva più dolce e quello diurno che s'azzardava ad accarezzarlo ed imponeva le proprie opinioni: le due immagini iniziavano a sovrapporsi in maniera più consistente.

Conclusero quella riappacificazione così come era iniziata: in silenzio. Sherlock si staccò da John ed entrambi fecero colazione con un'espressione rilassata disegnata sul volto.

La quiete, tuttavia, sembrava non voler durare troppo a lungo.

Improvvisamente, quando John stava lavando i piatti del giorno precedente, Sherlock si scostò dalla finestra che si affacciava su Baker Street e si diresse rapidamente in cucina “John. Vai in camera tua, per favore.”

John si sentì tirare per un braccio e non fece in tempo ad asciugarsi le mani dalle quali caddero alcune gocce di acqua insaponata “Cosa? Perché?”

Sherlock non aveva tempo di spiegare: continuava a tirare John tendendo sempre un orecchio al piano di sotto “Vai in camera tua e ascolta della musica. Possibilmente con degli auricolari.”

“Sherl...” John si impose quando colse l'incredibile foga con cui il coinquilino cercava di mandarlo via dalla stanza. Fece forza e riuscì a fermare entrambi di fronte alla rampa di scale che portava al piano di sopra “Lo faccio solo se mi dici perché.”

Sherlock mugolò frustrato: tra tutti i momenti in cui John poteva tirare fuori un po' di carattere, doveva farlo proprio in quel momento? “Sta arrivando mio fratello.” spiegò, dunque: era già successo che Mycroft fosse passato a trovarli e Sherlock era sempre riuscito a fare in modo che John non fosse presente alle conversazioni. Non voleva che Mycroft rovinasse il suo prezioso lavoro. Ma mentre le altre volte l'apatico John non si era mai posto troppe domande, ora Sherlock aveva a che fare con un uomo che pretendeva spiegazioni molto difficili da elargire nel giro di pochissimi minuti “Non voglio che ascolti quello che avrà da dire.”

John sembrò confuso: reclinò il capo di lato e provò a studiare il volto di Sherlock “Perché?”

“John, ti prego.” Sherlock abbassò la voce e provò nuovamente a spingere John verso la rampa di scale “È già al portone.”

Ma John si impose “Questa amicizia può andare avanti solo se ci fidiamo l'uno dell'altro.” era serio in volto e sembrava avere tutta l'intenzione di muoversi fino a che non avesse avuto una spiegazione che era sicuro di meritare “Dimmi perché.”

Sherlock sentì il portone aprirsi, quindi riprese a spingere, seppur invano. Era quella la vera forza di John? “Sarebbe lunga da spiegare.”

John era combattuto: da un lato leggeva la reale preoccupazione sul volto di Sherlock e gli spiaceva alimentarla. Dall'altra, visto che il motivo di tale preoccupazione lo riguardava, sentiva di avere il diritto di conoscerne il motivo “Allora sii breve ed efficace.”

Sherlock ringraziò mentalmente la buona signora Hudson che al piano di sotto stava intrattenendo Mycroft ancora per qualche istante. Osservò John e fu quasi rapito da quella determinazione: pensò che forse era arrivato il momento di introdurre lentamente il grande tabù di John. In modo da convincerlo a salire da una parte e per cercare di farlo guarire dall'altra “Non approva la nostra amicizia e farebbe di tutto per metterti in difficoltà arrivando anche ad usare ciò che è successo a Mainwand.” una mezza verità sembrò un buon compromesso a Sherlock. Che Mycroft  non approvasse la loro amicizia e che avrebbe fatto di tutto per metterlo in difficoltà erano due motivazioni vere. Ma la verità era che non solo Mycroft avrebbe potuto usare la battaglia di Mainwand per metterlo in difficoltà, ma che avrebbe anche usato la carta del disturbo dissociativo per distruggerlo definitivamente. Già se lo immaginava: lo vedeva giocherellare con l'ombrello e sproloquiare parole del tipo 'Dottor Watson, mi dica, come sta la sua seconda personalità? Ci va d'accordo? Pensa che sia più o meno interessante di lei?'. No, Sherlock non lo avrebbe mai permesso. La sola idea lo faceva infuriare.

John spalancò gli occhi a quel nome e tutta la sicurezza atteggiata in quel momento andò vacillando “Come fai a sapere di Mainwand?” sussurrò mentre, spinto da Sherlock, iniziava a salire qualche gradino, seppur con difficoltà “Cosa sai di Mainwand?” continuò poi, inciampando quasi sulle proprie stesse gambe “Te l'ha detto lui?” John conosceva a grandi linee il lavoro di Mycroft, sapeva che era un uomo di potere in grado di ottenere praticamente tutto ciò che voleva. Quindi non gli sembrò strano che avesse ottenuto anche un'informazione del genere, soprattutto se gli importava conoscere il passato dello sconosciuto che il fratello minore si era portato a casa.

A Sherlock spiacque destabilizzare John in quel modo: dovette quasi reggerlo sulle scale man mano che saliva “E chi altrimenti?” mentì ancora e si biasimò anche per quella bugia, ma in quel momento non avrebbe potuto fare altro “Dai, vai.” lo incoraggiò poi, con un tono più dolce. Lo spinse leggermente dentro alla camera da letto e gli sorrise appena, nella speranza di vedere quel gesto ricambiato. Ma John non fece altro che sedersi sul letto e prendere tra le mani l'ipod poggiato sul comodino in un gesto meccanico: il suo sguardo era di nuovo vuoto.

Sherlock non lo sopportò. Sapeva che Mycroft era probabilmente già entrato nel loro appartamento, ma non gli importava che aspettasse. Si avvicinò di corsa al letto e prese il volto di John tra le mani “John.” lo chiamò e lo vide alzare stancamente il volto “Scusami.” deglutì e scoprì che non era poi così difficile pronunciare quella parola se si provava realmente quel sentimento “Per ogni volta che soffri per colpa mia.” aggiunse per poi piegarsi e baciargli la fronte, premendo le labbra forte e con insistenza, senza mai staccarle, sperando in una reazione da parte di John.

La reazione si fece attendere, ma fortunatamente arrivò: John alzò la mano libera sulla testa di Sherlock e la accarezzò piano, senza troppa apparente convinzione, ma con costanza “Hai spazzolato Douglas due volte oggi, Sherlock.” sussurrò e vide il proprio amico staccarsi dalla sua fronte ed osservarlo con un misto di incredulità e commozione “Oggi sei proprio bravo.”

Sherlock deglutì e non poté fare a meno di riscontrare la vicinanza fisica col John diurno: era così vicino al suo viso che sentì nascere nel proprio petto un'emozione a cui non sapeva dare un nome “Oggi sono bravo.” ripeté e trovò che quello fosse il regalo più bello che John avrebbe potuto fargli dopo gli ultimi eventi. Dopo la lite del giorno prima, dopo il recente colpo di scena dell'arrivo di Mycroft e la conseguente confessione riguardante Mainwand.

“Sì, lo sei.” confermò John che, data la vicinanza così prossima al viso di Sherlock, socchiuse gli occhi e li abbassò un poco.

Sherlock colse quello che identificò come imbarazzo, quindi si staccò dal volto di John che però non abbandonò con le mani “Grazie, John.” gli accarezzò le guance e notò i suoi occhi erano nuovamente aperti e illuminati da una luce piccola, ma vivace.

“Grazie a te.” disse John in un modo che potrebbe definirsi istintivo. Difatti poi aggiunse “Non so ancora per cosa, ma grazie.”

Sherlock avrebbe passato delle ore ad osservare John, come spesso faceva d'altronde, perché quel nuovo sguardo era sintomo che qualcosa si era leggermente sbloccato in lui. Non lo avrebbe mai detto fino a poche settimane prima, ma si ritrovò ad essere più felice dei progressi del John diurno piuttosto che di quelli del notturno. Si staccò, poi, quando udì i ticchettii dell'ombrello di Mycroft battere sul pavimento del piano di sotto “Lo mando via in fretta.” vide John accendere l'ipod e portarsi gli auricolare alle orecchie, quindi si affrettò ad aggiungere “A tra poco.” ci teneva a specificarlo, così come gli premeva concludere in fretta quell'episodio per poter tornare ad interagire con John. Chiuse la porta dietro di sé e scese le scale che lo avrebbero portato in salotto.


L'umore e l'espressione di Sherlock ebbero il tempo di una piccola rampa di scale per cambiare radicalmente: da pacifico e sorridente, divennero battagliero e corrucciato, pronto a mordere e a combattere per la difesa di ciò che reputava suo.

Mycroft accolse il suo ingresso nel soggiorno con un sorrisetto supponente che ebbe il potere di infastidirlo ulteriormente. Sherlock lo studiò a fondo e con rapide occhiate cercando qualcosa che non andasse su cui battere una propria eventuale offesa, ma, come sempre, l'apparenza del fratello era impeccabile. Nulla che potesse suggerire un punto debole e la cosa gli dava sui nervi.

Notò poi che portava con sé, oltre all'immancabile ombrello, un fascicolo “Hai un caso per me?”

“Buongiorno anche a te.” replicò Mycroft non senza una punta di sarcasmo a colorargli il tono di voce.

Sherlock, d'altro canto, non aveva voglia di giocare ai bravi fratelli ben educati “Saltiamo i finti convenevoli e arriva al punto.” si sedette sulla sua poltrona resistendo all'impulso di prendere tra le mani il proprio violino: Mycroft aveva capito che quando lo faceva era per mascherare il proprio nervosismo e non voleva decisamente fargli intuire il proprio stato d'animo tumultuoso.

Mycroft tuttavia sembrava non aver veramente bisogno di quel piccolo particolare per capire quando Sherlock era agitato: poteva tranquillamente leggerglielo in faccia “Sì, arriviamo pure al punto.” si sedette di fronte a lui e lasciò spaziare lo sguardo fino a fermarlo nella direzione in cui era posizionata la camera da letto di John “Tanto ora John Watson è nascosto al sicuro. Possiamo anche parlare.” emise un mezzo risolino, quindi riportò la propria attenzione su Sherlock.

Sherlock fece roteare gli occhi all'indietro in un gesto teatrale in cui cercava di dissimulare la reale importanza del discorso introdotto dal fratello “Dimmi di cosa si tratta e vattene.”

Ma Mycroft non poté fare a meno di notare lo sguardo di Sherlock che lo aveva gelosamente seguito nel momento in cui si soffermò nella direzione in cui era plausibile si trovasse John. Così come si era accorto del tamburellare delle dita sul bracciolo della poltrona interrotto all'improvviso quando il suo sguardo si era nuovamente posato su di lui “Il mio fratellino che trabocca di emozioni.” lo provocò con l'intimo intento di farlo scoprire: aveva bisogno della sua completa attenzione e della sua totale percezione per affrontare quel particolare discorso “Non ti vedevo così coinvolto in qualcosa da quando hai ricevuto il tuo primo microscopio.” prese una pausa teatrale “A cinque anni.”

Sherlock resistette, facendo orecchie da mercante sull'ultimo intervento di Mycroft “Che cosa ha smarrito questa volta il nostro sbadatissimo governo?” mugolò una sillaba nasale prolungata, atteggiandosi come si stesse impegnando a pensare “Progetti missilistici, foto compromettenti della famiglia reale o criminali di fama internazionale?” ipotizzò quelli che, in un universo alternativo, sarebbero potuti essere i reali problemi di Mycroft.

Anche Mycroft finse di non udire le parole di Sherlock, riallacciandosi direttamente al discorso precedente “Ti dice qualcosa il nome Mainwand?” sorrise nel vedere Sherlock reagire a quel nome: lo aveva evidentemente colto di sorpresa. Vide il pomo d'adamo alzarsi ed abbassarsi freneticamente e le mani stringersi a pugno e si chiese se davvero Sherlock pensava che non avrebbe indagato sul passato dell'uomo con cui conviveva “Sì, evidentemente conosci questo nome.”

Sherlock cercò di imporsi la calma “Mycroft.”

“E vediamo se sai anche tutto il resto.” aprì il fascicolo che aveva in mano e che conosceva già a memoria, fingendo di leggerlo per la prima volta “Un certo tenente McKnight?” alzò lo sguardo su Sherlock e vide che quel nome era evidentemente nuovo alle orecchie del fratello “Douglas Osbourne McKnight.” specificò poi.(1)

Sherlock sbattè più volte le sopracciglia intuendo finalmente l'entità del fascicolo che Mycroft teneva in mano: doveva aspettarsi un colpo basso del genere. Anzi, ci aveva messo anche troppo tempo considerando che ormai conviveva con John da tre mesi. Quando udì il nome del tenente McKnight, poi, sentì la bocca seccarsi “Douglas?” ripetè iniziando a fantasticare sull'importanza che quel soldato doveva avere per John, sentendosi infastidito da quell'eventualità. Non si accorse neanche che l'omonimo felino, sentendosi chiamare, stava iniziando a strusciarsi sui suoi polpacci.

Se solo non fosse stato suo fratello, Mycroft avrebbe provato una profonda soddisfazione di fronte allo shock arrecato al proprio interlocutore “Irlandese. Rossiccio.” a quanto pareva, stava guardando una foto: risollevò lo sguardo dal fascicolo solo quando si accorse della presenza del felino di cui era già a conoscenza “Come il gatto che sta reclamando le tue attenzioni.”

Sherlock si chinò e spostò Douglas dalle proprie gambe, indirizzandolo non proprio delicatamente verso la cucina “Arriva al punto.” ringhiò poi, quando rialzò lo sguardo su Mycroft.

Mycroft osservò con sufficienza il felino che sfilava a lato della poltrona sulla quale era seduto “Questo è il fascicolo della battaglia di Mainwand. Una vera tragedia, non c'è che dire.” sospirò fingendosi affranto, continuando a girare pagine su pagine, foto su foto. C'era persino un DVD col quale si sventolò un po' d'aria in volto: non ne sentiva veramente il bisogno, volevo solo far vedere tutti i reperti di cui disponeva “Orrori tali da giustificare un disturbo dissociativo da stress post traumatico.”

Le dita di Sherlock ripresero a tamburellare sul bracciolo della poltrona: intravide solo il retro delle foto che Mycroft stava osservando. Mycroft aveva visto il volto del vero John e lui no. Quando vide il DVD, poi, sentì l'irrefrenabile voglia di strapparglielo dalle mani per impossessarsene, ma riuscì a trattenersi. Nonostante tutto, provò ancora a fingere noncuranza “E il punto è?”

Mycroft rialzò lo sguardo su Sherlock con l'espressione del viso mutata: non era più attraversato da un ghigno strafottente, bensì da un'impassibile lastra di ghiaccio il cui gelo era quasi percepibile a livello sensoriale “Il punto è che John Watson è un uomo molto disturbato e tu non hai bisogno di ulteriori problemi nella tua vita. Non ti aiuta neanche durante i casi più pericolosi. E dire che potrebbe.” studiò le reazioni di Sherlock e valutò che mancavano ben poche gocce per far traboccare il traballante vaso delle sue emozioni “Qui c'è scritto che è un eccellente tiratore e che ha ancora il porto d'armi per la sua Sig Sauer P226R dell'esercito inglese. Lo sapevi?” (2)

No, Sherlock non lo sapeva e Mycroft lo intuì facilmente. Il consulente investigativo non rispose e si mosse appena, iniziando a trovare scomoda la seduta della sua poltrona preferita. Osservò Mycroft con odio, chiedendosi dove volesse andare a parare.

Mycroft infierì “Lo sapevi che è l'unico sopravvissuto di Mainwand?” richiuse il fascicolo e lo tenne in mano: la pantomima era finita “E che è stato ferito alla spalla e non alla gamba?” ancora nessuna risposta da parte di Sherlock. Decise di infliggere il colpo finale “No? Nessuna delle sue personalità te lo ha detto?”

Sherlock scattò in avanti ed afferrò Mycroft all'altezza del nodo della sua cravatta “Basta, Mycroft!” urlò senza lasciare la presa attorno al suo collo. Si sentiva offeso dalla quantità delle notizie che ancora non conosceva su John, ma ancor di più lo infastidiva il fatto che fosse Mycroft quello più informato. Si sentiva oltraggiato, sia per se stesso che nei riguardi di John, per quell'intrusione nella sua sfera personale che neanche con lui aveva ancora deciso di condividere. Tenne lo sguardo fisso su Mycroft, inviperito anche per l'assoluta calma con cui il fratello maggiore stava affrontando quella situazione “Hai detto troppo.”

Mycroft si soffermò ad osservare Sherlock da vicino come non accadeva ormai da molto tempo “Non dirmelo.” scosse il capo per l'evidenza di ciò che lesse nel suo sguardo. Ciò che aveva sempre temuto si stava dunque concretizzando “Sei innamorato di lui.”

Sherlock indietreggiò, mollando inevitabilmente la presa sul collo del fratello “Non dire sciocchezze.”

“Di quale personalità?” chiese Mycroft per confermare la propria tesi e per distruggere lo scudo entro il quale il fratello aveva da tempo nascosto la propria capacità di provare sentimenti ed emozioni.

“Non è questione di personalità.” mugolò Sherlock, abbassando sensibilmente il tono di voce.

Mycroft trovò l'amara conferma che cercava nella risposta di Sherlock “Allora è vero.”

Sherlock ringhiò frustrato quando si rese conto di essere stato l'oggetto della deduzione di Mycroft. Deduzione che non lo colse totalmente di sorpresa, in quanto erano giorni che si domandava a sua volta l'entità del proprio legame con John. Sapeva di provare qualcosa, ma cosa? E per chi? Chi preferiva tra il John diurno e quello notturno? Un'altra idea gli balenò per la mente e sopraffatto da tutte quelle nuove ipotesi, l'unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento sarebbe stata riflettere. E non con suo fratello presente “Vattene, Mycroft.”

Mycroft si sistemò il nodo della cravatta e si alzò in piedi, abbandonando il fascicolo sulla poltrona dalla quale si appena alzato. Si avvicinò al fratello, unendo pollice ed indice della mano destra a supporto delle proprie parole “Manca tanto così affinchè io decida di allontanarti da lui, Sherlock.” la reale natura apprensiva di quella frase era nascosta dalla vena minacciosa assunta dal suo tono di voce “E sai che ho i mezzi per farlo.”

Sherlock scansò la vicinanza col fratello a favore del caminetto: alzò lo sguardo sul teschio, ammaliato dalla tentazione della nicotina “Non sono un maledetto bambino, non puoi dirmi chi io possa o meno frequentare.”

Poi Mycroft disse qualcosa di inaspettato, qualcosa contro cui aveva combattuto a lungo ma che non poté più frenare. Amava suo fratello senza alcuna riserva e conservava gelosamente i ricordi di quando ancora si comportavano normalmente tra di loro. E se c'era anche una sola speranza di poterlo vedere sorridere nuovamente, allora era giusto alimentarla. Fece dunque quello che non avrebbe mai pensato di fare: lo spronò “Allora fai qualcosa di concreto.” sibilò, in evidente contrasto con la propria volontà di salvaguardarlo e con la speranza di vederlo vivere una vita per quanto più possibile normale “Pensi di aiutarlo nascondendogli la verità?” insistette dunque, non fermandosi neanche di fronte allo sguardo stupito di Sherlock “Scopri chi è veramente John Watson e solo dopo potrai decidere se investire te stesso in lui. Non ora che la sua personalità è instabile.”

Sherlock si sentì schiacciare da quelli che poteva chiamare consigli. Mycroft gli stava consigliando come procedere con John. Ancora una volta fu infastidito dalla profonda verità sottostante le parole del fratello che, dovette ammetterlo, aveva ragione. Sapeva anche lui che nascondere la verità a John non era la mossa giusta da fare se voleva sperare in una sua guarigione, ma era sempre stato fermato dalla paura che l'ex medico militare potesse rifiutare la realtà al punto da negargli la propria presenza nella sua vita. La voglia di conoscere il vero John, la bellissima ed ipotetica idea che si era fatto di lui, era più debole del rischio di perdere due metà in netto contrasto tra loro ma fisicamente presenti nella sua vita.

Mycroft alzò la mano destra fino a posarla sulla spalla di Sherlock “Non sono un tuo nemico, Sherlock.” strinse la propria presa in cui istillò tutto il suo affetto mai espresso a parole, un sentimento dolceamaro che non sembrava avere il destino di realizzarsi “Vorrei che lo capissi. Lo vorrei davvero tanto.”

Quando Mycroft lasciò l'appartamento, era andata via anche la voglia di fumare di Sherlock. Si avvicinò invece al fascicolo abbandonato sulla poltrona: lo prese in mano ed iniziò a chiedersi se avesse voluto apprendere quelle notizie attraverso un rapporto ufficiale o se avesse preferito aspettare che gliele raccontasse John. Concluse che lo sterile racconto scritto su un pezzo di carta non avrebbe neanche lontanamente eguagliato le violente emozioni scaturite dalla narrazione in prima persona dell'unico superstite di quella che doveva essere stato un conflitto terribile e atrocemente indimenticabile.

Tuttavia rimase un grande dubbio riguardante due questioni: reperti audiovisivi e il tenente McKnight. Foto, DVD e Douglas. Non resistette: estrasse dal fascicolo chiuso solo il DVD e accese il proprio laptop. Mentre il lettore caricava il contenuto del DVD, si sedette sul tavolo del salotto in modo da non dare le spalle alla rampa di scala che portava alla camera di John, in modo da non essere stupidamente colto in flagrante dall'ex medico militare.

Il contenuto del DVD altro non era che una serie di file video denominati con numeri progressivi: il contenuto, dunque, non poteva essere intuito. Neanche dall'anteprima che era, in tutti i filmati, misteriosamente nera. Ipotizzò che potessero essere filmati riguardanti lo scontro di Mainwand registrati grazie a qualche satellite, ma la speranza di Sherlock era decisamente un'altra. Inserì gli auricolari nelle orecchie e dopo aver dato un'ultima occhiata alle scale, avviò il primo filmato.


“Devo seriamente fare questa cosa? Un confessionale? Come nel 'Grande Fratello'? Ridicolo.”

John è lì sullo schermo e ride. Un John più giovane, il taglio di capelli fresco, spalle dritte, bicipiti più sviluppati, le piastrine militari portate fieramente al collo. E ride, John. Ride.

“Dunque, ci hanno detto che dobbiamo fare questi video-log a frequenza regolare per riscontrare eventuali cambiamenti psicologici nei soldati, perchè, beh, la guerra cambia un uomo. Io ancora non lo posso dire per esperienza personale, ma è quasi certo che succederà.”

John prende una piccola pausa durante la quale sembra cercare un argomento di cui parlare.

“Ci hanno detto di parlare di tutto ciò che ci passa per la mente, dalle banalità alle questioni riguardanti la guerra stessa, dalle nostre famiglie in patria alle amicizie nate qui. Io ho voglia di parlare del perchè sono qui, così quando mi congederanno e mi riconsegneranno questi filmati potrò vedere se è cambiato qualcosa. Come quando leggi una pagina di diario scritto tempo addietro e ti domandi 'Ma come? Le ho veramente scritte io queste cazzate?'”

John ride di nuovo e si accarezza i capelli corti perchè gli piace la sensazione di solletico che gli crea, come se stesse passando la mano sopra ad una spazzola.

“Mi sono arruolato per terminare gli studi, ovviamente. Dovendo scegliere una specializzazione ho voluto unire la mia predisposizione all'ordine e all'azione all'idea di aiutare gli altri. Quindi medicina d'emergenza. In guerra. Afghanistan.”

John fa spallucce, come se la motivazione fosse ovvia. Poi l'espressione sul suo viso diventa più seria.

“Il clima qui è diverso rispetto al campo d'addestramento. Tutti cercano di ridere il più possibile, ma si vede che i sorrisi sono spesso tirati. O sono risate nervose che sfogano la tensione accumulata sul campo. Sia chiaro, non pensavo che arruolarsi fosse uno scherzo. Però...”

John fa un'altra pausa: si accarezza il bicipite destro con la mancina.

“Sono contento di essere in squadra con Douglas. Eravamo nello stesso campo d'addestramento e siamo diventati amici. È davvero spiritoso e divertente! Un irlandese DOC! L'altra sera mi fa 'Johnny, meno male che siamo in squadra insieme, così so dietro chi coprirmi in caso di attacco imminente, che sei piccolo ma spesso. Poi non preoccuparti, ti vendicherò a pugni, eh!'. Scemo che è, riesce sempre a farmi ridere! Fa tanto il gradasso, ma quando ha nostalgia di casa è da me che viene. Allora poi alza il gomito e dice che lui non vede i draghi quando è sbronzo, no. Vede i leprocauni e gli arcobaleni!”

John ride di nuovo, questa volta più forte: si tiene lo stomaco con le mani e quando ha finito controlla l'ora.

“Beh, dieci minuti sono belli che passati. Il mio primo video-log finirà così...”

John nasconde un sorrisetto dietro ad una maschera di finta serietà, quindi alza la mano destra sul cuore e parla solennemente.

“Come direbbe Douglas, Dio salvi la Regina, ma soprattutto i nostri culi!”

John ride mentre allunga il braccio per spegnere la telecamera.


Sherlock era rimasto immobile per tutta la durata del filmato: nel momento in cui aveva cliccato sull'icona del primo file video e aveva visto John sullo schermo, si era semplicemente bloccato di fronte all'immagine del vero John. Il vero John.

Mano a mano che scorrevano i secondi, l'unica cosa che fece fu mutare espressione: sorrideva di rimando alle risate di John, sentendo il cuore pompare più forte di fronte alla dolcezza che traspariva e che si avvicinava a quella del diurno, mentre la forza e quel pizzico di arroganza gli ricordavano quelle del notturno. Ma il carattere, il temperamento e soprattutto lo sguardo erano totalmente diversi da entrambi. Deglutì di fronte all'energia di quel John che era così potente da uscire dallo schermo e avvolgerlo in un brioso calore che lo faceva sentire al contempo felice e triste. Felice perché aveva conosciuto il vero John, triste perché di quel John non ne aveva ancora visto l'ombra nonostante convivesse con lui da almeno tre mesi.

E poi c'era Douglas. Che ruolo aveva avuto nella vita di John? Erano solo amici? Se John era l'unico sopravvissuto delle atrocità successe a Mainwand e se Douglas fosse stato più di un amico per lui, allora si sarebbe mai ripreso? Potrebbe mai riprendersi completamente una persona dalla morte di un compagno?

La tentazione di vedere gli altri filmati fu molto forte, ma la verità era che non ne aveva la forza: sentì un groppo in gola che quasi gli impediva di respirare all'idea di vedere nuovamente il vero John. Il vero John ridere. Il vero John ridere per merito di un altro uomo. Il vero John così distante da quello attuale.

Estrasse il DVD dal computer portatile e dopo averlo infilato nel fascicolo, nascose tutto nella libreria, in un punto molto alto fuori dalla portata di John. Si fermò poi al centro della stanza, alzando le mani sul volto per strofinarlo forte: gli risuonavano ancora nella testa le risate di John e il pensiero più intenso che gli attraversò la mente fu un desiderio tanto futile ed incessante.

'Perchè non ti ho incontrato sei anni fa? Perchè non è successo? Ti avrei fermato, non ti saresti mai arruolato e non avresti mai sofferto così tanto.'

Era quello il pensiero fisso di Sherlock: la non quantificabile dose di dolore che aveva dovuto passare quel John così energico, sorridente e positivo, da giustificare una scissione così netta della psiche.

Sherlock era sempre stato accusato di non provare emozioni, sentimenti ed empatia, ma se qualcuno lo avesse visto in quel momento, avrebbe saputo che non solo era in grado di comprendere lo stato d'animo altrui, ma che era anche in grado di amare.

Sherlock se ne rese conto e ne uscì profondamente provato: era stancante provare emozioni così intense, soprattutto se non si poteva sfogarle in nessun modo.

Fu tentato di rinchiudersi in camera ed abbandonarsi all'oblio della soluzione al sette per cento, ma gli venne in mente che John era ancora al piano di sopra. Un John che non era quello vero, ma che era vivo, in carne ed ossa. Ed era ancora chiuso nel suo mondo momentaneamente condito dalla musica del suo ipod.

Si avviò dunque al piano di sopra, stancamente, con le gambe che sembravano pesare come dei macigni: aprì la porta della camera e fece capolino alla ricerca del suo coinquilino che trovò sdraiato sul lato sinistro del letto, supino, gli occhi chiusi rivolti verso il soffitto e la bocca che mugolava al ritmo di musica. Sembrava tutto sommato molto tranquillo.

Al contrario, a Sherlock quella visione attorcigliò lo stomaco in una morsa che portava con sé un duplice significato: vedere John così tranquillo lo fece sperare per il meglio, ma anche arrabbiare per il palesarsi continuo delle proprie emozioni in maniera così evidente. Tuttavia, con John si sentiva al sicuro: con lui poteva mostrare la propria anima, anzi, pensò che, facendolo, fosse più probabile che anche John decidesse di fidarsi di lui al punto di  aprirsi e iniziare la propria guarigione.

Si arrampicò sul letto e prima che John potesse obiettare, gli si accoccolò sul fianco destro stringendogli il braccio contro il quale nascose il viso: tirò su col naso e strofinò il volto, preoccupandosi in particolar modo di celare il proprio sguardo colpevole alla vista dell'altro.

Quando John si accorse del calore materializzatosi sul suo fianco destro era già troppo tardi: si tolse le cuffie con la mancina e quando aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il cespuglio di riccioli neri che si strusciava sul suo avambraccio. La voce dentro la propria testa che difendeva a spada tratta la propria eterosessualità, crollò definitivamente quando udì i continui mugolii che Sherlock stava cercando con tutte le forze di nascondere.

“Sherlock...” bisbigliò intenerito, quindi ruotò sul fianco e, rispettando sempre la volontà del coinquilino di celare il proprio viso in quel frangente, gli fece appoggiare il volto sul proprio petto e lo avvolse col braccio sinistro “Cosa c'è? Mycroft ha fatto lo stronzo?” sussurrò con voce calma e comprensiva.

Sherlock si adattò di buon grado alla situazione, nascondendo il viso nel soffice nascondiglio che offrivano il petto e il maglione di John: godette per quell'intimità mai vissuta col John diurno ed inspirò a lungo il suo profumo che era di gran lunga più dolce rispetto a quello del notturno che era più pungente, più caratteristico, profondamente contaminato dall'eccitazione che accompagnava sempre i loro incontri. Annuì con un lievissimo cenno del capo alla domanda di John, perché in fondo non era una bugia e perché intimamente era ancora indeciso se iniziare ad affrontare il discorso riguardante Mainwand, Douglas e la dissociazione.

“Ahhh, lo sapevo.” sbottò John bonariamente, continuando a strofinargli la schiena. Pensò ad un modo per tirargli su il morale, quindi impostò un tono di voce scherzosamente serio “La prossima volta voglio assistere alla conversazione, così se c'è da menare le mani...”

“Picchieresti Mycroft?” lo interruppe Sherlock, la voce ovattata dalla stoffa del maglione di John. Sorrise, poi, perché la prospettiva di John che picchiava Mycroft lo allettava parecchio ed il fatto che lo facesse per proteggerlo gli donò una sensazione di calore che partiva dal centro del petto e si irradiava lungo tutto il suo corpo.

John adorava l'idea di riuscire a donare un senso di protezione a Sherlock: finora era sempre stato il consulente a prendersi cura di lui e sebbene gli fosse grato per tutto ciò, sentiva che non era il suo ruolo quello di farsi difendere da qualcun altro. In una piccola parte di se stesso sentiva che doveva essere lui quello che proteggeva, quello con le spalle larghe, quello che doveva fare di tutto pur di difendere la persona a cui teneva maggiormente. Si accorse anche che non gli dava fastidio ammettere che Sherlock fosse la persona a cui teneva maggiormente, né tanto meno si vergognò di accentuare la presa attorno al suo esile corpo, perché nascosti nell'intimità e nel senso di sicurezza che infondeva l'appartamento, lontano dai pericoli del mondo, tutto sembrava legittimo “Nessuno può permettersi di farti soffrire.”

Dopo aver superato uno stupore iniziale, Sherlock ricambiò la stretta, deliziato dal calore proveniente dal petto di John. Si ritrovò inevitabilmente a pensare ancora alle diversità tra il John diurno e quello notturno: le strette del soldato erano forti, eccitanti in ogni più piccola fibra, addirittura costrittive. Mentre l'abbraccio in cui era avvolto in quel momento era dolce, ma al tempo stesso saldo, simile a quelli con cui una madre è solita coccolare i propri figli. Si rilassò in quell'abbraccio, Sherlock, che trovò finalmente il coraggio per uscire dal proprio nascondiglio ed alzare lo sguardo verso il volto dell'altro “John.” lo chiamò e dopo che i loro occhi si incontrarono per un breve istante, vide John osservare altrove, pur continuando a stringerlo. Sherlock non si abituava mai a ricevere da John segnali contrastanti come quelli: aveva accettato la vicinanza fisica, ma evidentemente, pensò, uno sguardo diretto lo imbarazzava ancora. Non forzò la mano da quel punto di vista perché non lo trovava giusto e tanto meno indispensabile, ma era sicuro che c'era ancora una questione in sospeso: poteva sentire gli ingranaggi del cervello di John incepparsi nonostante la sua calma apparente. Inspirò a lungo, quindi osò “Riguardo a Mainwand...” iniziò, ma l'altro lo interruppe prontamente.

“Non sono pronto a parlarne, Sherlock.” disse velocemente, senza quasi lasciare una pausa tra una parola e l'altra, come se si aspettasse quella domanda e avesse la risposta pronta già da tempo. Apprezzò l'attitudine di Sherlock di rispettare quella sua volontà e lo espresse riportando lo sguardo sul suo viso, pur senza concentrarsi sul suo sguardo “Ma voglio aiutarti con i casi.” bisbigliò: il tono partito con una stonatura incerta si fece via via più sicuro “Anche quelli più pericolosi.”

Se Sherlock pensava che John avesse finito di stupirlo, si sbagliava di grosso: si aspettava tutto, tranne che l'ex medico militare potesse proporre un'idea del genere, soprattutto dopo aver rifiutato di parlare di Mainwand. Altre contraddizioni che si sommavano alla già grande complessità che rappresentava la figura di John. D'altro canto era anche felice della decisione dell’ex medico militare, profondamente convinto che una maggiore adrenalina avrebbe fatto emergere il suo lato battagliero. L'aggressività del notturno che si univa alla dolcezza del diurno: Sherlock pregustava già quell'unione che avrebbe dato vita all'alba della guarigione e al crepuscolo della dissociazione. Eppure voleva essere sicuro che a John fossero chiari i rischi a cui andava incontro “Ci saranno morti violente, cadaveri in pessimo stato e criminali da affrontare. Ti senti pronto?”

“Non lo sapremo mai se non provo.” sospirò John che no, non era entusiasta all'idea di determinare le cause della morte di qualche povero morto ammazzato, ma aveva ormai scoperto una motivazione che aveva contribuito a quella decisione, una motivazione che era più grande della paura “Inoltre non voglio che affronti quei pericoli da solo. Non posso permettere che ti accada qualcosa di brutto.” aprì la bocca come se volesse aggiungere qualcosa, ma lasciò cadere il discorso, dissimulando quella defiance con una stretta fintamente distratta attorno alla vita di Sherlock.

Sherlock non avrebbe saputo dove iniziare se avesse dovuto analizzare ad alta voce le parole dette, ma soprattutto quelle non pronunciate da John. In primo luogo rimase meravigliato perché percepì la forza della motivazione che aveva mosso John: lo stava facendo per lui, per proteggerlo. E poi intervenivano le parole non dette: voleva difenderlo, non poteva permettere che gli accadesse qualcosa di brutto come era già successo con qualcun altro. Come era successo con Douglas e tutto il resto della sua squadra. Al che si domandò se John non ricordasse nulla o se fingesse di farlo: un meccanismo di difesa o una bugia? Mentre si appuntava mentalmente di porre quelle domande al John notturno, tirò un lungo sospiro e appoggiò la fronte sul mento dell'altro: lo strinse maggiormente, poi, nel caso in cui avesse voluto fuggire da quel contatto “Posso stare ancora un po' qui con te?”

John arrossì e dopo aver scostato il volto per qualche istante a causa della sorpresa, riportò il mento a contatto con la fronte di Sherlock. Avendolo così vicino al proprio viso, non resistette oltre: infilò una mano tra i ricci di Sherlock e gli massaggiò la nuca, soddisfacendo così anche il proprio desiderio di inspirarne il profumo e di tastare con mano la soffice consistenza “Sei più viziato di Douglas.” mormorò poi, mascherando il proprio desiderio che attribuì ad un capriccio di Sherlock.

Sherlock non fece in tempo a crogiolarsi nel piacere che il massaggio di John gli stava arrecando, che si risentì per le sue parole “Io sono più importante di Douglas.” ringhiò quasi, rendendo possessiva la presa attorno al suo corpo. Sembrò non notare quanto i ruoli fossero clamorosamente invertiti tra giorno e notte: mentre il John notturno vedeva come rivale nessun altro che la propria metà diurna, di giorno era Sherlock ad essere geloso per colpa di un'ombra, di una persona che non esisteva più e il cui rapporto con John non era ancora stato definito.

John rise a cuor leggero “Non puoi seriamente metterti in competizione con un gatto.”

Sherlock non registrò nessun cambiamento nella voce di John: che l'ex medico militare non ricordasse nulla sul serio? Sbuffò, cambiando radicalmente discorso: non voleva interrompere quella atmosfera “Se dovesse salire la signora Hudson in questo momento...”

“Ti scalcerei via dal letto e giurerei fino alla morte che mi stavi aggredendo.” replicò John con un'inaspettata naturalezza e senza smettere di massaggiare la testa di Sherlock neanche per un istante.

“Mpf.” borbottò Sherlock “Qui qualcuno è un pochino sulla difensiva.” mugolò di languido piacere sotto a quel massaggio e senza rendersene conto infilò il volto tra il cuscino e la guancia di John.

“Mpf.” John gli fece il verso “Qui qualcuno è inaspettatamente più affettuoso di quanto voglia far credere.” si adeguò di buon grado alla nuova postura assunta da Sherlock, spostando il capo in modo da star comodo e da mantenere il contatto della propria guancia col suo profilo. Non gli importava sul serio se la signora Hudson fosse salita e li avesse scoperti: si sentiva al sicuro come non accadeva da moltissimo tempo e nulla avrebbe rovinato quel momento.






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(*)Citazione di Leibniz
(1)Omaggio ad una delle mie scrittrici preferite Julienne Osbourne McKnight. Se vi piacciono i racconti sui druidi e le leggende celtiche, vi consiglio i suoi “Il cavaliere irlandese” e “La figlia d’Irlanda”

(2)Non mi ricordo dove ma ho letto che la pistola di John è quella. Se per caso avessi sbagliato, segnalatemelo pure e cambierò il modello ^^

   
 
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